Un`associazione funziona quando…

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Seminario L’immensa maggioranza (EG 102)
Azione Cattolica e Fter – Bologna, 13 Novembre 2015
Un’associazione funziona quando…
Matteo Truffelli, presidente nazionale AC
Desidero anzitutto salutarvi e ringraziarvi per l’invito che mi avete rivolto e per la vostra
presenza.
Sono reduce dal Convegno Ecclesiale di Firenze, che è stata una bella esperienza di Chiesa, e
di Chiesa sinodale, come ci sta insegnando a pensare Papa Francesco. Questi giorni così
intensi e questa esperienza così bella sono stati sicuramente faticosi, ma allo stesso tempo
mi hanno lasciato un forte entusiasmo.
Ho accettato con grande piacere il vostro invito, per molte ragioni. Ne cito solo alcune.
In primo luogo, all’AC di Bologna sono affezionato: abbiamo vissuto insieme tanti momenti
e conosco tante persone a cui sono legato. Sicuramente è una gioia particolare ritrovare don
Giancarlo, con cui abbiamo condiviso un’esperienza di sei anni, io come delegato regionale,
lui come assistente. Inoltre, incontrare le associazioni locali, la Chiesa ancora tanto ricca e
ancora vitale che c’è in ogni diocesi, è sicuramente quanto di più bello possa fare una
persona che ha assunto l’incarico di Presidente nazionale dell’Azione Cattolica. Un incarico
che comporta fatiche e impegni, ma anche molte gioie. E tra le gioie, la più grande è proprio
quella di incontrare concretamente la realtà della nostra Associazione e comunque stupirsi
ogni volta di scoprire ancora una Chiesa così vera e capace di tanta vitalità.
Sono particolarmente contento, poi, di essere qui in questo momento particolare per la
Chiesa di Bologna, che recentemente ha visto la nomina di Mons. Zuppi. Poche ore fa ho
avuto il piacere di incontrarlo e sono certo che sarà un grande Arcivescovo.
L’AC funziona quando è associazione
Riguardo al tema da affrontare stasera, Un’associazione funziona quando, la prima risposta
che do contiene tutte le altre e solo apparentemente è banale: l’Azione Cattolica funziona
quando è realmente un'associazione, e cioè quando si ricorda di essere un'associazione, si
pensa e si vive come tale.
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Ciò significa che l’AC funziona se è fatta da laici che scelgono consapevolmente di
condividere la missione evangelizzatrice della Chiesa, e scelgono di farlo appunto da
associati, non ognuno per sé, in ordine sparso. E questo vale per i laici dentro la parrocchia,
dentro la diocesi, dentro la Chiesa italiana.
L’AC, dunque, funziona laddove ci sono laici che decidono di assumersi la responsabilità della
vita della Chiesa e scelgono di farlo insieme, non semplicemente da laici ma da laici associati.
Se è così, l’AC diventa immediatamente segno, ma anche forma concreta di un modo di
pensare e di vivere la Chiesa, che è quello che ci ha insegnato il Concilio e su cui insiste tanto
Papa Francesco: una Chiesa intesa come Popolo di Dio che cammina insieme; una Chiesa che
sa che il compito di evangelizzare non spetta a qualcuno o a pochi, ma a tutto il Popolo di
Dio.
Un’AC che costruisce legami buoni
Questa premessa comporta alcuni corollari.
Se l’AC funziona è autenticamente associazione allora funziona quando costruisce, quando
vive, quando progetta e realizza cammini comuni, o meglio quando è un cammino comune, è
Chiesa che cammina insieme, e cioè sinodale.
Papa Francesco insiste molto, e lo ha fatto anche al Convegno Ecclesiale di Firenze, sull’idea
di una Chiesa sinodale. Lo stesso termine Sinodo, del resto, significa appunto camminare
insieme. Un’AC che è associazione è quindi un’AC che costruisce, custodisce e valorizza
legami buoni di vita fra le persone e per le persone, accompagnandole e sostenendole nel
loro camminare insieme nella vita, nel mondo, dentro la Chiesa.
Un’AC capace di discernimento comunitario
Inoltre, un'Azione Cattolica che si vive e si pensa come associazione fa continuamente
esercizio di discernimento comunitario. Siamo associazione quando sappiamo che tutto ciò
che riguarda la vita dell’associazione, della Chiesa, delle persone che ci sono affidate, del
territorio nel quale siamo posti, va interpretato e vissuto solo attraverso una lettura
profonda e attenta della realtà, realizzata in modo comunitario, mettendo insieme
sensibilità, punti di vista, esperienze diverse per capire a fondo il proprio tempo, il proprio
territorio, la vita delle persone che vivono accanto a noi, e cercare di comprendere insieme
come tutto ciò ci interpella, ci chiama a fare scelte precise.
Un’AC luogo di corresponsabilità
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Questo significa che l’associazione funziona quando è luogo di esercizio della
corresponsabilità. La responsabilità in Ac, come in ogni ambito di vita, è sempre personale,
ma la responsabilità personale in associazione esiste solo se è vissuta come una
responsabilità che non riguarda solo noi stessi, ma che esercitiamo sempre insieme agli altri,
come associati corresponsabili di ogni aspetto del nostro cammino, del nostro impegno
comune.
Un’AC come esperienza che forma
E ancora, l’Azione Cattolica funziona bene perché proprio essendo associazione è esperienza
che forma. Il primo e fondamentale modo attraverso cui l’AC forma coscienze mature,
responsabili, critiche è proprio l’“essere associazione”. Vorrei insistere su questo punto,
perché è qui uno dei grandi equivoci che ruotano attorno all’Azione Cattolica. Spesso,
infatti, essa viene pensata come una realtà che propone metodi formativi, mentre sappiamo
bene che la nostra formazione, quella di ciascuno di noi che siamo qui presenti questa sera,
non è dipesa tanto dai singoli cammini percorsi, o dagli incontri di su questo o su quel tema,
o dalle guide, pur bellissime, predisposte dal Centro nazionale utilizzate dai nostri educatori.
Ciò che ha veramente formato ciascuno di noi, e ciò che ci caratterizza come laici divenuti
maturi in associazione, è l’essere cresciuti in quel modo di essere Chiesa che dipende dal
nostro essere associazione, essere laici che insieme camminano dentro il mondo e dentro la
chiesa, insieme condividono legami di vita buona, insieme progettano e verificano le
proposte dell’associazione, insieme si prendono cura della vita di persone, famiglie,
comunità.
L’AC funziona quando è e costruisce una Chiesa sinodale
Sulla base di queste premesse, si possono sviluppare alcuni aspetti.
Se è vero che l’AC funziona quando è associazione, allora funziona quando si fa ed è
costruttrice di Chiesa Sinodale, cioè di Chiesa che sa di essere chiamata innanzitutto
all’ascolto reciproco, alla costruzione di una cammino condiviso. Venti giorni fa, durante il
Sinodo, per celebrare il 50esimo anniversario dell'istituzione dei Sinodi, in aula Paolo VI ha
avuto luogo un momento pubblico al quale il Consiglio Nazionale ha potuto partecipare. In
quella occasione il Papa ha tenuto un discorso, che credo sia uno di quelli fondamentali del
suo pontificato. In esso ha spiegato chiaramente che la prima cosa che è chiesta alla Chiesa
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in questo momento è essere Chiesa sinodale, Chiesa dell’ascolto al proprio interno e Chiesa
dell’ascolto nei confronti del mondo e del tempo nel quale viviamo.
Da questo punto di vista l'Azione Cattolica ha una responsabilità specifica, che discende
proprio dal suo essere capillarmente radicata in tutto il corpo ecclesiale: l’AC sa farsi
costruttrice di Chiesa sinodale quando è capace di divenire tessuto connettivo dentro la
Chiesa e dentro la società, quando sa essere amalgama, quando tiene insieme le persone, le
fa discutere, le fa anche litigare se occorre – come ha detto Papa Francesco a Firenze -, ma
sempre camminando insieme.
L’AC funziona quando è radicata nella Chiesa locale, con lo sguardo rivolto alla Chiesa
universale
Proprio per questo, l’Azione Cattolica funziona bene quando è profondamente radicata nella
Chiesa locale, quando il suo essere associazione è a servizio della Chiesa locale, della diocesi
e della parrocchia, e cioè della Chiesa che vive là dove le persone vivono.
Essere associazione significa anche saper aiutare le nostre parrocchie a camminare al passo
della diocesi e aiutare la nostra diocesi ad respirare con il respiro, e a volte anche la
pesantezza e il disorientamento, delle nostre parrocchie.
Come AC abbiamo una potenzialità, un compito, un dovere ben precisi: divenire sempre più
elemento che tiene insieme il cammino della diocesi. Essere radicati nella Chiesa locale
significa essere radicati nella Chiesa e allo stesso tempo nel territorio: due elementi che non
possano essere disgiunti.
Ancora. essere associazione significa anche un’altra cosa: significa essere completamente e
profondamente, con “i piedi e le mani” nella Chiesa locale, ma al tempo stesso essere
capace di camminare con la testa alzata, con lo sguardo volto al cammino della Chiesa
universale. Essere associazione significa sapere che la mia Chiesa non finisce nel mio gruppo
parrocchiale per i giovanissimi, o nel mio consiglio pastorale parrocchiale per gli adulti. Non
finisce neppure nel mio paese, nella mia diocesi. La mia Chiesa ha un cammino universale, di
cui come associazione siamo chiamati a sentirci parte e farci carico.
L’AC funziona quando è capace di tradurre concretamente l’Evangelii gaudium
Ma se dovessi dire in una sola parola quando l’AC di oggi funziona, la prima risposta vera,
fondamentale, è che l’AC funziona oggi se è capace di farsi carico del disegno di Chiesa che
Papa Francesco sta costruendo, se è capace di tradurre concretamente l’Evangelii gaudium
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nella vita dei nostri quartieri, dei nostri paesi, delle nostre città. Papa Francesco ha un bel da
darci indicazioni e spronarci, ma se non siamo noi a tradurlo, questo disegno di Chiesa
rimarrà astratto.
Un’AC che sa farsi carico della vita di tutta la Chiesa, così come essa è
L’AC, per la sua natura, la sua storia e la sua identità prettamente ecclesiale sa di avere una
peculiare responsabilità nel tradurre concretamente l’Evangelii gaudium nella vita della
nostra Chiesa. E per fare ciò deve farsi carico della vita di tutta la Chiesa, non
accontentandosi di essere "minoranza profetica", di “correre avanti”, mentre gran parte del
corpo della Chiesa rimane con lo sguardo rivolto all’indietro. Essere associazione di Azione
Cattolica ci dà questa responsabilità in più rispetto a tante altre realtà ecclesiali, che consiste
proprio nel farsi carico di portare la Chiesa, tutta la Chiesa, nella direzione indicata dal Papa.
Questo ci chiede anzitutto di essere costruttori di comunione, fattori di fermento di
comunità con il Vescovo, con i pastori, con i parroci, con gli assistenti, con le altre realtà
ecclesiali.
Tutto ciò implica la necessità di seguire un’altra grande lezione che viene dall’Evangelii
gaudium, la quale ci dice con chiarezza che la realtà è superiore all’idea. Non siamo chiamati,
cioè, a servire la Chiesa come la vorremmo, o a essere educatori di giovanissimi o di giovani
come li vorremmo, o a relazionarci con parroci come li vorremmo, perché ciò che vorremmo
di solito è qualcosa che disegniamo a nostra immagine e somiglianza. Siamo invece chiamati
a farci carico della Chiesa così com’è, dei preti così come sono, dei laici così come sono, dei
ragazzi così come sono. In un passaggio dell’EG, del resto, il Papa chiarisce che se si segue
l’idea invece della realtà, si finisce per diventare sterili. L’Azione Cattolica, allora, funziona
bene se sa farsi carico della realtà così com’è, senza sognarne una diversa.
Un’AC che sa farsi carico del proprio tempo
Ciò significa anche che l’AC funziona bene se sa farsi carico del nostro tempo, e cioè delle
persone e della cultura del nostro tempo. Ancor più e meglio, se ha simpatia per il nostro
tempo, se lo ama, se lo vive non rimpiangendo il passato o attendendo il futuro. L’AC
funziona bene se è fatta di laici che vivono pienamente questo tempo, cogliendone
certamente tutti i limiti, la drammaticità, la durezza, ma anche coltivando il bene che c’è e
sapendolo far fruttare.
Essere associazione che coltiva legami buoni e che fa discernimento significa essere laici che
insieme cercano di leggere in profondità il proprio tempo per capire come abitarlo facendo
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crescere i semi di bene che sono posti al suo interno, significa voler bene al proprio tempo,
avere simpatia per le persone e prendere a cuore la loro vita concreta.
Un’AC che sa rinunciare alla logica del “si è sempre fatto così”
Tutto questo implica la capacità di mettere sempre in discussione quanto si fa. Spesso in AC
pensiamo che ciò che ha funzionato bene in altri tempi e occasioni potrà essere perpetuato
all’infinito. Se però la vita delle persone sta cambiando, sotto tanti, tantissimi aspetti,
l’associazione non può continuare a seguire la strada percorsa finora come se tutto fosse
sempre uguale. Se oggi, ad esempio (ma è proprio solo un esmpio), non soltanto i ragazzi e i
giovani, ma anche gli adulti vivono in rete, sul digitale, è impossibile non abitare questo
terreno. Non possiamo più pensare a un’associazione che, volendo farsi carico del proprio
tempo, non sa parlarne la lingua.
L’AC funziona quando si mette in ascolto della vita delle persone, dandole unità
Un’associazione che si sforza di aderire alla vita delle persone deve anzitutto mettersi
autenticamente in ascolto delle persone, facendo capire loro che le esistenze che vivono
sono per noi importanti, le abbiamo a cuore e le accogliamo nella loro concretezza, con le
aspettative di bene, le difficoltà e i limiti che portano con sé.
Queste vite hanno innanzitutto bisogno di essere aiutate a compiere un esercizio oggi
fondamentale: ritrovare unità, avere un centro di gravità. Come associazione, allora,
abbiamo il grande compito di aiutare le persone a fare sintesi nella propria vita, trovando
una chiave di volta in quella miriade di spinte divergenti che vive il laico oggi. Tante volte
teorizziamo la necessità di curare di più la vita spirituale senza poi riuscire a dare corpo e
senso a tutto questo. Ebbene, curare la vita spirituale delle persone significa anzitutto
aiutarle a fare unità nella loro vita.
Tante volte mi viene posta la questione: “come si fa a fare il responsabile associati, a fare
l’educatore, e poi a essere anche un bravo fidanzato e un bravo studente, e po avere tempo
per la famiglia, e magari coltivare i propri hobby, le amicizie...?”. È una domanda che nasce
da un modo di vedere questi elementi come separati tra loro, come pezzi diversi da
incastrare, nasce dalla difficoltà dei giovani, ma non solo, a vivere ogni dimensione della loro
vita in senso unitario.
Allo stesso modo, mi viene chiesto: "come fai a conciliare vita familiare, viaggi, università,
servizio associativo?". L’unica risposta possibile è che queste dimensioni non vanno
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conciliate, perché sono la mia vita. Credo che se aiuteremo le persone a fare questo
esercizio, avremo fatto un buon passo avanti per formare laici maturi, consapevoli e
responsabili, che vivono con intensità e generosità ogni dimensione della propria vita.
Un’AC che funziona sa attrarre e proporsi
Se l’Azione è tutto questo, allora può essere anche un’associazione capace di attrarre le
persone, di essere esperienza attrattiva.
Se sa camminare insieme, sa costruire legami buoni per la vita delle persone, sa renderle
responsabili (e responsabili in quanto corresponsabili), se le forma, le educa, le fa crescere
nella concretezza della loro vita, allora potrà essere anche una realtà capace di coinvolgere e
potremo e dovremo avere il coraggio di proporla. E se siamo convinti che vivere l’esperienza
dell’Azione Cattolica può essere decisivo per la vita di tante persone, così come l’è stata per
noi, può essere decisiva per la vita della comunità nella quale siamo e delle persone a cui
vogliamo bene, allora dobbiamo avere la responsabilità di fare in modo che anche altri
possano fare questa bella esperienza. Dobbiamo offrire loro la possibilità di conoscere e
sperimentare la bellezza di un’esperienza intensa di fede, di vita, di cammino condiviso.
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