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La Santa Regola
di San Benedetto
UNA SAPIENZA ANTICA PER L’AZIENDA
E PER L’UOMO CONTEMPORANEO
MATERIALI DI CULTURA D’IMPRESA E DEL
LAVORO – 2016
A CURA DEL PROF. RENATO PILUTTI
La Santa Regola
di San Benedetto - I
 Stiamo dando inizio a una piccola serie di incontri
seminariali, dove si realizzerà un confronto fra
un’antica dottrina e le sue possibilità applicative nella
contemporaneità dell’ambiente d’impresa.
 La metodologia sarà improntata alla proposizione di
una serie di concetti e riflessioni su cui sarà
essenziale il contributo di tutti i partecipanti.
La Santa Regola
di San Benedetto - II
 Un Testo antico (VI secolo) di Sapienza sull’Uomo:
 Per comprendere meglio l’Uomo.
 Per comprendere meglio il Gruppo.
 Per costruire un processo virtuoso nel Gruppo.
La Sapienza…
 È un qualcosa di sapido, di saporoso, di
interessante.
 Permette di penetrare nei significati delle cose e
delle azioni umane.
 Permette, in definitiva, di conoscere l’uomo in tutte
le sue manifestazioni evidenti come le parole e le
azioni, e nascoste, ma non del tutto (cf. “i segnali
deboli”).
Le Virtù “Benedettine”
 Le virtù più evidenziate e apprezzate nella lezione
del Santo di Norcia, Subiaco e Montecassino, in
altre parole l’umiltà, l’obbedienza (cf. La Santa
Regola) e il silenzio, possono essere considerate
anche al giorno d’oggi un riferimento eccellente
per chi fa impresa, per chi gestisce Risorse
Umane, perché l’uomo come struttura e
fondamento non cambia, pur nel mutamento dei
tempi e dei sistemi collettivi socio-politici ed
economici.
L’Uomo - I
 L’homo è sempre essenzialmente “quello della pietra
e della clava”, è homini lupus (Hobbes) e richiede un
continuo ammaestramento. Il conflitto fra ciò che la
natura e gli istinti determinano e il giudizio sull’agire
soggettivo libero delle facoltà razionali è sempre
presente.
L’Uomo - II
 La “scimmia nuda” autocosciente, in altre parole
l’uomo stesso, ha bisogno di una diuturna
manutenzione morale, per non far prevalere gli
effetti (sulle sue azioni) che si possono riferire al
patrimonio genetico in comune con il pur nobile
silver back e altri cugini meno affini.
 In altre parole per rendere sempre più “umani” il
pensiero e l’azione della persona.
La Persona
 La persona è quasi un ossimoro antropologico,
nel frattempo assai prossimo, e pur tuttavia
lontanissimo dagli altri animali superiori.
 Sappiamo che l’uomo ha bisogno di esercitarsi, sia
fisicamente sia psicologicamente per migliorarsi.
Se la ginnastica è l’esercizio fisico per eccellenza,
la conoscenza e la pratica delle virtù morali è
“l’esercizio” per il miglioramento interiore.
Le Virtù Morali - I
Le virtù morali che reggono l’intero impianto della
struttura psichico-spirituale della persona sono la
prudenza, la giustizia, la fortezza (o coraggio) e la
temperanza (o equilibrio).
Le Virtù Morali - II
 Le Virtù Morali sono la struttura portante dell’Etica
umana, fonte di ispirazione delle azioni libere
dell’Uomo e criterio di giudizio sulla qualità delle
azioni libere stesse.
 Contrastano frontalmente i vizi, specialmente quelli
principali, come la superbia, l’invidia e la cupidigia.
La Giustizia - I
 La Giustizia va coniugata nelle sue tre dimensioni:
a) generale, o politico-sociale; b) di scambio, o
contrattuale; c) distributiva, o di solidarietà (welfare).
Aspetti particolari possono essere considerati anche
la magnificenza, la munificenza e la longanimità.
La Giustizia - II
 La virtù di giustizia deve essere però sempre
aiutata dalla virtù di epichèia, che è un sapere
particolare, legato alla virtù di prudenza (nelle
dimensioni potenziali della gnome e dell’eubulia),
atto ad assumere decisioni ad hoc. L’epichèia è la
virtù che permette di affrontare le situazioni
particolari, applicando il principio di giustizia
secondo esigenze straordinarie.
La Prudenza
 La
Prudenza va scomposta nelle sue parti
costitutive: a) parti soggettive: memoria, intelligenza,
docilità,
solerzia,
razionalità,
provvidenza,
circospezione, cautela, b) parti integranti: prudenza
individuale, prudenza politica, prudenza economica,
prudenza sociale; c) parti potenziali: eubulia, sinesi,
gnome.
La Fortezza
 La Fortezza può essere detta anche coraggio. Le
parti principali che la costituiscono sono la pazienza,
la tenacia o perseveranza e la magnanimità.
 Questa è una virtù tipica di chi è disposto a
rischiare, come l’imprenditore.
La Temperanza
 La Temperanza è strutturata come segue, ovvero ne
fanno parte le seguenti virtù: la verecondia, l’onestà,
l’astinenza, la sobrietà, la pudicizia, la continenza,
l’umiltà, la mansuetudine, la clemenza, la modestia.
Le tre virtù principali - I
 le
tre virtù principali per il processo di
miglioramento, che devono essere, prima
riconosciute, e poi esercitate, sono:
L’Umiltà, che è un sentirsi vicino alla terra
(humus), e dunque fallibili e fragili.
 L’Obbedienza, che è un mettersi in ascolto (obaudire), in piedi, e pronti ad agire secondo
saggezza e conoscenza (competenze).
Le tre virtù principali - II
 Il Silenzio, che non è un vuoto mentale o
l’assenza di proposte, ma il momento e il modo
che le fa maturare. Collegate al silenzio e
funzionale ad esso sono la sobrietà e la proprietà
di linguaggio.
 I tre concetti dovrebbero essere declinati alla luce,
però, di un quarto concetto unificante, quello di
Persona, come essere razionale autocosciente
libero.
La Leadership - I
 Innanzi
tutto osserviamo le figure che San
Benedetto esamina nella sua regola.
 1. L’abate è la figura trattata che pone, in primis,
con grande evidenza, la questione della
leadership. San Benedetto insegna che l’autorità
non deve essere assoluta, perché anche l’abate
deve rispondere a qualcuno, che è il Signore.
La Leadership - II
 Potremmo affermare che il leader aziendale, come
l’abate, deve analogamente rispondere all’azionista,
così come a lui rispondono i manager, che il Santo
chiama decani, tra i quali vi è il priore, una sorta di
primus inter pares, o di amministratore delegato.
La Leadership - III
 2. Il cellerario, che si occupa dell’economia del
monastero,
è
assimilabile
al
direttore
amministrativo
e
finanziario
dell’azienda
moderna. Egli, come il priore deve essere
prudente, non smodato nel bere nel mangiare,
oculato nell’amministrare.
 Il testo della Santa regola giunto fino a noi è ricco
di dettagli, perché la cura del dettaglio e dei
segnali deboli provenienti dall’organizzazione
sono fondamentali per la sua gestione.
La Leadership - IV
 3. Vi è poi il guardiano, che si occupa degli
approvvigionamenti e della vendita dei prodotti,
senz’altro assimilabile a chi in azienda si occupa
degli aspetti logistici, commerciali e del
marketing.
 San
Benedetto
raccomanda
anche
la
consultazione dei monaci, che noi possiamo
tradurre anche con comunicazione strategica.
Lavoro e Riflessione
 Tutti
devono sempre sapere dove si sta
andando e tutti devono sentirsi coinvolti. San
Gregorio Magno, che fu il biografo di Benedetto,
sottolineò soprattutto la compenetrazione profonda
fra lavoro e preghiera. La preghiera, nell’azienda
moderna, potrebbe essere comparata con la
riflessione, sia analitica sia sintetica.
Il “Know how” sull’Uomo
 I monaci benedettini con il loro motto “Ora et
Labora” possiedono dunque da un millennio e
mezzo, si può dire, il know how intellettuale e
morale di un’organizzazione intrinsecamente
sana, perché provvista di una profondissima e
attualissima cultura sapienziale sull’uomo, che
non può diventare obsoleta, poiché si richiama a
ciò che dell’uomo non muta, la sua struttura
esistenziale profonda.
La Persona e l’Umiltà - I
L’uomo è autonomo e libero, [1] ma deve fare i conti
con la propria finitezza naturale, con la parabola della
propria crescita, sviluppo e declino fisico (e talora
mentale).
 Occorre sempre “ricordarsi” (vale a dire richiamare al
cuore, e non solo tramite il processo mentale della
memoria) ciò che si è e ciò che ci può riguardare:
debolezza e coraggio, salute e malattia sono
possibilità esistenziali sempre presenti.
[1] Cfr. Il sillogismo dimostrativo: 1) l’uomo è un essere
razionale, 2) l’essere razionale è libero, 3) l’uomo è
libero.
La Persona e l’Umiltà - II
 Il potere e le disponibilità economiche presenti a
livello soggettivo, non impediscono che ogni
essere umano rimanga irrimediabilmente e
necessariamente “prigioniero” della propria
“creaturalità” e del proprio limite.
 Occorre anche mettere in subordine la propria
volontà (e il proprio orgoglio) quando questa è
contraria al conseguimento, con gli altri, del bene
comune (il risultato aziendale).
La Persona e l’Umiltà - III
 L’umiltà[1] è anche fomite e origine della sobrietà,
poiché non vi può essere umiltà se non nella
consapevolezza che i mezzi materiali sono da
considerare sempre tali, e mai un fine o un modo
di autoaffermazione individuale.[2]
 L’umiltà è parola fuori moda, desueta, e può dare
anche fastidio, ma la sua essenza avvicina l’homo
all’humus dell’inizio della vita, all’origine del Tutto.
[1] Cfr. Il Tao Te Ching di Lao Tzu: l’umiltà vince
perché accoglie dal basso, o come la Madre terra.
 [2] Vedi gli status symbol.
La Persona e l’Umiltà - IV
 Esercitando la virtù di umiltà, vi deve essere
l’accettazione dei ruoli diversi, nell’ambito di una
gerarchia razionale, non confondendo la nozione
della pari dignità tra gli umani[1] con la nozione
dell’irriducibile differenziazione intersoggettiva.[2]
 [1] La Struttura di Persona che dà una risposta alla
pari dignità tra tutti gli umani.
 [2] La Struttura di Personalità che indica la
specifica differenziazione e il principio
d’individuazione tra gli umani.
Le Opzioni dell’Umiltà
Che cosa scegliere?

Voglio oppure mi piacerebbe?

Io oppure noi?

Non hai capito oppure forse non mi sono
spiegato bene?

Io non avrei fatto così oppure non so cosa
avrei fatto al posto suo?

Bisogna fare così oppure si potrebbe fare
così?

A me non la si fa oppure di solito mi
accorgo)
I Dodici Gradi dell’Umiltà - I
 1.
Fuggire la leggerezza e la dissipazione.
 2. Non seguire immediatamente i propri desideri.
 3. Sottomettersi al superiore in obbedienza.
 4.
Accettare la sofferenza in silenzio.
 5.
Ammettere i cattivi pensieri e le colpe.
 6.
Accontentarsi di quello che si ha senza
pretese.
I Dodici Gradi dell’Umiltà - II
Qualificarsi come l’ultimo.
 8. Osservare la Santa Regola senza deflettere.
 9. Tacere osservando il silenzio e rispondere se
interrogato.
 10. Non ridere alzando la voce, perché è da stolti.
 11. Esprimersi pacatamente e seriamente.
 12. Essere, non solo apparire umili.
 7.
La Persona e l’Obbedienza - I
 L’obbedienza è un grande bene perché muove
dall’ascolto attivo[1] dell’altro. Ob-audire è un
mettersi in stazione dignitosamente eretta di fronte
all’interlocutore, apprezzando la sua parola, e, se
del caso, seguendone le indicazioni.
 L’obbedienza è l’accettazione del limite e della
“verità del proprio essere”, ed è salutare come
prima manifestazione dell’umiltà.
 [1] L’”ascolto attivo” è l’espressione in grande auge
nella contemporaneità per significare
l’”obbedienza”.
La Persona e l’Obbedienza - II
 L’obbedienza è ancora una virtù, nonostante il suo
essere “uscita di moda”, così come l’umiltà.
 Bisogna
distinguere
tra
obbedienza
e
sottomissione, come negli esempi seguenti:
soldato/superiore,
bambino
indifeso/padre
violento, vittima/aguzzino,
 L’obbedienza autentica, invece, è un “atto di
libertà”. Vediamo in che senso: nel senso di un
cedere libero e responsabile all’autorevolezza
dell’altro.
La Persona e l’Obbedienza - III
 È anche una sospensione di giudizio sull’altro al
quale si obbedisce, in vista e nell’attesa di
conferme dell’autorevolezza.
 Chi rischia di più nella dinamica dell’obbedienza è
chi la chiede, non chi la pratica.
 L’esempio più alto e paradossalmente illuminante
è quello del richiesto sacrificio d’Isacco ad Abramo
da parte di Dio.[1] Abramo obbedisce senza
chiedersi il perché di tale intervento divino. E
viene fermato dalla mano dell’Angelo sull’orlo
[1] Cfr. Gen 22, 1 - 19.
La Persona e l’Obbedienza - IV
 L’obbedienza è dunque una virtù paradossale, rispetto
alla nozione corrente della crescita personale e
professionale individuale, oggi molto connotata da
esigenze urgenti di conseguimento del successo,
perché richiede come corollario fondamentale la virtù
di pazienza, [1] in altre parole la capacità di attendere
che maturi la situazione per poter richiedere, a propria
volta, l’obbedienza agli altri.

[1] Parte costitutiva della virtù di fortezza, o coraggio.
“Essere pazienti” significa essere capaci di patire (dal
verbo greco pàsko, πάσκω, da cui pàthos), cioè di
sopportare, e ancora, di supportare (dal verbo latino
sub-fero).
La Persona e l’Obbedienza - V
 L’obbedienza è la capacità di considerarsi con
realismo e onestà intellettuale, e di creare le
prospettive di un’abitudine[1] a richiederla, dopo
averla praticata.

[1] Abitudine nel senso classico di habitus, cioè virtù,
che un “essere abituati a fare …”.
La Persona e l’Obbedienza - VI
Il segno più evidente dell’umiltà è l’obbedienza.
 Senza dilazionare bisogna agire obbedendo.
 Si tratta di rinunciare alla propria volontà facendo
quella del superiore (noi diciamo “della struttura”
gerarchica).
 L’obbedienza deve fare mettere la sordina alla
proprie urgenze.
 La perfetta esecuzione del lavoro è simbolo
dell’accettazione dell’obbedienza.
 Occorre abolire la mormorazione, sia della bocca
sia del cuore.
La Persona e il Silenzio - I
 Il silenzio, si sa, può essere di molti tipi.
 Vi sono silenzi leggeri e silenzi pesanti, gradevoli e
sgradevoli; vi è il silenzio di assenso e il silenzio di
dissenso. Il silenzio alto della montagna ispira. Il
silenzio rotto dalla risacca marina fa compagnia.
 Ma il silenzio non è un “qualcosa che manca”,
esso è piuttosto uno spazio/tempo di attesa e
maturazione, di ricerca, di apertura e disponibilità
al nuovo.
La Persona e il Silenzio - II
 Pur essendo una “dimensione di assenza” il
silenzio è pieno e fecondo, se vissuto con
attenzione: essere attenti è un essere-presentisenza-ansia e dissipazione energetica.
 Il silenzio che c’interessa è quello che favorisce
l’introspezione, la meditazione e la riflessione. È la
pace della vita interiore, il riposo dei e nei valori
più intimi. È presenza, dedizione e premura a se
stessi.
La Persona e il Silenzio - III
 Il silenzio, perché sia utile, deve essere ricercato
liberando la psiche dai turbamenti. Deve così
diventare silenzio interiore, anche se vigilante.
 Esso deve liberare l’anima dalla molteplicità delle
impressioni, delle emozioni e degli eventi, che a
volte sono inezie e disturbo, riconducendola
all’unità di un sentire meditativo e integrato.
La Persona e il Silenzio - IV
 Il silenzio lavora in profondità, scendendo per volute successive,
dalla
superficie
dell’esistenza
alla
consapevolezza
dell’esistere.[1]
 Il silenzio interiore va preparato con la disposizione d’animo
all’accoglienza umile del proprio limite.[2] Esso rinvia alla
condizione primordiale di “prima della parola”.

[1] Cfr. La triade dulcius (più dolcemente), profundius (più
profondamente), suavius (più delicatamente) e la triade altius
(più in alto), fortius (con più forza), citius (più velocemente). La
scelta deve essere ponderata all’interno delle due triadi, ciascuna
delle quali, da sola, non basta. Ad esempio, talora, la violenza e
la superficialità espressiva possono esser scambiate per forza,
ma sono, in realtà, sintomo di debolezza.
 [2] Il che è anche un riconoscersi mortali (Reik), poiché si fa
silenzio anche quando si prende contatto con la morte degli altri.
La Persona e il Silenzio - V
 Il silenzio va considerato come la diastole del
cuore umano, così come la sistole è il rumore
operativo. Oppure come l’inspirazione e
l’espirazione dell’aria del sistema polmonare.
 Entrambi vita, entrambi indispensabili.[1]
 È preferibile frenare la spinta naturale all’eloquio,
analizzando bene ciò che si vuol dire.
 Le molte parole, infatti, fanno sbagliare.
 [1] Il silenzio è la precondizione della
comunicazione sana.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - I
 Caritas perfecta mittit timorem, cioè “la carità
perfetta scaccia il timore”.[1] Che cosa significa?
 Si può intendere in questo modo: se una persona
riesce a spogliarsi di tutti gli orpelli dell’egoismo e
dell’egocentrismo, concentrandosi sulla propria
finitezza e creaturalità, riesce a liberarsi dall’ansia
di dare immediate risposte a tutto e a tutti, dalla
smania di piacere a tutti costi, e così facendo può
liberarsi anche dalla paura.

[1] Cf. Santa Regola, VII, 67.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - II
 La
paura, come sappiamo, è una passione
dell’anima che appartiene all’umano, come
dimensione quotidiana, e come traiettoria, causa ed
effetto nel contempo, del sentimento di provvisorietà
esistenziale.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - III
 Coloro che sono inflati superbia,[1] cioè “gonfiati di
superbia”, e soprattutto se sono dei decani, (cioè
dei responsabili aziendali) devono essere ripresi
per tre volte e poi rimossi dall’incarico. Così anche
deve essere fatto per il priore (paragonabile a un
direttore generale). Così suggeriva San Benedetto
ai suoi abati. E noi che facciamo?

[1] Cf. Ibidem, XXI, 5.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - IV
 Ricordiamoci che la superbia, la quale, collegata alla
vanagloria[1] e all’orgoglio malsano,[2] è il primo e più
grave dei vizi capitali, anzi è caput vitiorum, origine di tutti i
vizi. Abbiamo innumerevoli esempi di superbia, in ogni
ambiente umano e in ogni momento e luogo della storia.[3]
 [1] Si tratta di un vizio poco simpatico, perché
caratterizzato da un eccessivo autocompiacimento, riferito
anche a proprie capacità o doti o talenti.
 [2] Da distinguere rigorosamente rispetto all’orgoglio
legittimo a tutela della dignità e della crescita individuali.
 [3] Anche l’estremismo e la violenza nascono da atti di
superbia intellettuale, o da progressivo raffreddamento
della capacità di provare sentimenti. Cf. i casi di Pietro
Maso, di Ferdinando Carretta, di Erika De Nardo.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - V
 I più grandi crimini nascono all’ombra della
superbia. In proporzione, si può dire che la
superbia crea le condizioni del crimine, o
perlomeno dell’imbroglio e dell’offesa agli altri e ai
loro beni. Il superbo, in definitiva, pensa che a lui
proprio sia tutto concesso, al di là del bene e del
male, che valgono normalmente come parametri
morali per tutti gli altri.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - VI
 Si quis frater frequenter correptus pro qualibet
culpa, si etiam excommunicatus non emendaverit,
acrior ei accedat correptio, id est ut verberum
vindicta in eum procedant,[1] cioè “Se un monaco,
già ripreso più volte per una qualsiasi colpa, non
si correggerà neppure dopo una scomunica, si
ricorra a una punizione ancora più severa e cioè al
castigo corporale”.
 [1] Cf. Santa Regola, XXVIII, 1.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - VII
 Quando una persona si ostina a sbagliare, insegna
la Regola, bisogna adottare un sistema che la porti
ad emendarsi, passando per varie fasi.
Analogamente, in azienda va ponderato con
equilibrio il rapporto che deve esserci fra
dimensione della relazione gestionale e
dimensione della relazione disciplinare. La
prima fase è rappresentata dalla correzione e dal
biasimo, mentre la seconda è regolamentata dalle
Leggi del lavoro (300/70) e dai Contratti Collettivi.
Fino al licenziamento disciplinare, che deve essere
attuato.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - VIII
 Omniaeque omnium sint communia, ut scriptum est,
ne quisquam suum aliquid dicat vel praesumat,[1]
cioè “Tutto sia comune a tutti, come dice la
Scrittura, e nessuno dica o consideri propria
qualsiasi cosa”.
 [1] Ibidem, XXXIII, 6.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - IX
 Non
si tratta certamente di una forma di
comunismo ideologico, che potrebbe essere
sfruttato per significare come si possa
immediatamente applicare un principio del genere
ovunque,[1] ma di uno stimolo a non porre mai se
stessi al centro, come se si vivesse un delirio di
onnipotenza e di insostituibilità. Quello che la
Regola sottolinea è l’attenzione e la cura del
necessario, l’individuazione del superfluo, il
rifiuto di ciò che risulterebbe dannoso per il buon
andamento dell’organizzazione.
 [1] La storia del secolo scorso ne ha
abbondantemente dimostrato l’impossibilità, sotto
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - X
 Ancora: (…) ubi qui minus indiget agat Deo gratias
et non contristetur,[1] cioè “(…) quindi chi ha meno
necessità, ringrazi Dio senza amareggiarsi”, e: qui
vero plus indiget humilietur pro infirmitate, non
extollatur pro misericordia,[2] cioè “mentre chi ha
maggiori bisogni, si umili per la propria debolezza,
invece di montarsi la testa per le attenzioni di cui è
fatto oggetto”. In questi casi si deve anche evitare
il grande male della mormorazione
[1] Cf. Santa Regola, XXXIV, 3.
 [2] Ibidem, 4.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XII
 Parlando dell’uso del vino la Santa regola espone
un’importante principio che concerne la virtù di
sobrietà.
 La misura proposta è di un quarto di litro al giorno,
ma le intenzioni di Benedetto legislatore sono più
profonde, e riguardano l’esigenza di sviluppare un
autocontrollo su tutti i beni di consumo, anche se
rispondenti ai bisogni primari (cf. Maslow), come il
cibo, i vestiti e la casa. L’autocontrollo che diventa
habitus, cioè virtù, porta la persona a farsi bastare
ciò che è necessario, e a non soffrire in assenza
del superfluo. Che lezione se ne può trarre?
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XIII
 Quod si quis in nocturnis vigiliis post gloriam
psalmi nonagesimi quarti, quem propter hoc
omnino subtrahendo et morose volumus dici,
occurrerit, non stet in ordine suo in coro,[1] cioè
“Se qualcuno arriva all’Ufficio notturno dopo il
Gloria del salmo 94, che proprio per questo motivo
vogliamo sia cantato lentamente e con pause, non
occupi il proprio posto nel coro”.
 [1] Ibidem, XLIII, 4.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XIV
 Sappiamo che è invalso in alcuni il vezzo di
arrivare in ritardo non curandosi nemmeno di
avvertire.
Ciò
denota
un
atteggiamento
quantomeno di sufficienza nei confronti di chi
aspetta. La punizione prevista dalla santa regola è
quella del ludibrio: uno che arriva in ritardo, perciò,
non dovrebbe trovare il suo solito posto, ma
dovrebbe essere collocato in fondo, fino alla fine
della riunione. (Sic!). Addirittura, la Santa Regola,
prevede, in caso di pervicace ritardo, il toglimento
del posto alla mensa comune.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XV
 Si animae vero peccati causa fuerit latens, tantum
abbati aut spiritalibus senioribus patefaciat, qui sciat
curare et sua et aliena vulnera, non detegere et
publicare, cioè ”Se, mentre è impegnato in un
qualsiasi lavoro in cucina, in dispensa, nel proprio
servizio, nel forno, nell’orto, in qualche attività o si
trova in un altro luogo qualunque, un monaco
commette uno sbaglio, rompe o perde un oggetto o
incorre comunque in una mancanza, e non si presenta
subito all’abate e alla comunità per riparare
spontaneamente e confessare la propria colpa, sarà
sottoposto a una punizione più severa, quando il fatto
verrà reso noto da altri.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XVI
 Ma se il movente segreto del peccato fosse
nascosto nell’intimo della coscienza, lo manifesti
solo all’abate o a qualche monaco anziano, che
sappia curare le miserie proprie e altrui senza
svelarle e renderle di pubblico dominio”.
 È straordinario l’equilibrio sotteso a questa linea
gestionale, perché insegna a valutare le vere
intenzioni dell’agente e a proporzionare la
sanzione, avendo anche attenzione per i casi
particolari.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XVII
 Il Rispetto è un comportamento virtuoso è da
intendersi bene. Non significa, infatti, una specie
di accondiscendenza succube, ma la capacità e
la disposizione a mettersi di fronte all’altro
nell’atto di ascoltarlo, tenendo conto del suo
valore strutturale di persona.
 Essa va applicata anche nei confronti dei Beni,
come un’Azienda.
 È una virtù spesso mal compresa, o disattesa, per
noncuranza, superficialità, sottovalutazione delle
situazioni, perdita di vista dei contenuti costitutivi
dei ruoli e delle posizioni impersonati dai soggetti.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XVIII
 Otiositas
inimica est animae, et ideo certis
temporibus occupari debent fratres in labore manuum,
certis iterum horis in lectione divina,[1] cioè “L’ozio è
nemico dell’anima, perciò i monaci devono dedicarsi al
lavoro in determinate ore e in altre, pure prestabilite,
allo studio della parola di Dio”.
 La lezione che si può trarre da questo versetto a livello
aziendale è la seguente: occorre un orario di lavoro, o
comunque una progettualità che comprenda termini,
tempi e responsabilità di un lavoro.

[1] Cf. Santa Regola, XLVII, 1.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XIX
 La
sapienza benedettina ci conferma come
l’umano abbia bisogno di essere conforme a
ciò che lo forma. Il lavoro è una delle dimensioni
più performanti ed efficaci.
 L’azienda è dunque un luogo dove si produce una
formidabile pedagogia della crescita e della
maturazione individuale.[1]
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XX
“studio della parola di Dio” può essere
metaforizzata,
a
livello
aziendale,
nella
formazione e nella riflessione organizzativa e
comportamentale: la formazione, da intendersi
come percorso di crescita professionale e
personale, la riflessione da intendersi come messa
in questione critica dei propri comportamenti.
[1] Particolarmente importante, di questi tempi, in
presenza di una crisi profonda della struttura
familiare e del sistema scolastico.
 Lo
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXI
 Frater qui pro quovis responsa dirigitur et ea die
speratur reverti ad monasterium, non praesumat foris
manducare, etiam si omnino rogetur a quovis, nisi
forte ei abbate suo praecipiatur,[1] cioè “Il monaco
che viene mandato fuori per qualche commissione
e conta di tornare in monastero nella stessa giornata,
non si permetta di mangiare fuori, anche se viene
pregato con insistenza da qualsiasi persona, a meno
che l’abate non gliene abbia dato il permesso”.

[1] Cf. Santa Regola, LI, 1 - 2.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXII
 La conferma che si può trarre è evidente, anche
sul piano aziendale. Bisogna stabilire regole certe
per la logistica delle trasferte, così come rimborsi
spese proporzionati.
 Non è corretto chiedere rimborsi per trasferte
brevi, che sono da considerare come facenti parte
della quotidianità, così come bisogna stabilire con
chiarezza ciò che si intenda per disagio da
trasferta.[1]
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXIII
 [1] Un professionista che si muove necessariamente
su un ampio territorio ha già introiettato che il suo
compenso omnicomprensivo si riferisce anche al
disagio. Diverso può essere il discorso riferito a un
addetto dipendente o a un manager o dirigente. Si
tratta di valutare caso per caso le varie situazioni
aziendali.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXIV
 Su
questo argomento la regola benedettina è
drastica: Quod si aliter fecerit, excommunicetur, cioè
“Se contravverrà a questa prescrizione, sarà
scomunicato”.
 In
linguaggio giuridico-legale corrisponde al
licenziamento.
 Drastico.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXV
 (…) Ergo qui simile opus non facit, non permittatur
explicito Opere Dei remorari in oratorio, sicut
dictum est, ne alius impedimentum patiatur,[1] cioè
“Perciò (come abbiamo detto), chi non intende
dedicarsi all’orazione (o a quel dato lavoro), si
guardi bene dal trattenersi in chiesa dopo la
celebrazione del divino Ufficio, per evitare che altri
siano disturbati dalla sua presenza”.

[1] Cf. Santa Regola, LII, 5.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXVI
 Quale
insegnamento! Basta solo che facciamo
mente locale su quante volte accade in azienda che
vi siano presenze o improprie (nel senso di non
adatte o conformi al tema trattato) o insufficienti (nel
senso di un’assenza di persone necessarie alla
trattazione dei temi all’ordine del giorno) per una
determinata riunione.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXVII
 Vi sono multinazionali che hanno redatto linee
guida, non solo su chi deve presenziare a quella
determinata riunione, ma anche come deve
configurarsi il suo abbigliamento, il quale deve
essere opportunamente adattato agli interlocutori
presenti, specialmente se si tratta di ospiti
esterni.[1]

Cf. Gruppo Industriale R. Bosch, Stuttgart,
Deutschland.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXVIII
 Nullatenus liceat monacho neque a parentibus
suis neque a quoquam hominum nec sibi invicem
litteras, eulogias vel quaelibet munuscula accipere
aut dare sine praecepto abbatis,[1] cioè “Senza il
consenso dell’abate nessun monaco può ricevere
dai suoi parenti o da qualunque altra persona
lettere, oggetti di devozione o altri piccoli regali e
neanche farne a sua volta o scambiarli con i
confratelli”.

[1] Cf. Santa Regola, LIV, 1.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXIX
 Apparentemente si tratta di una fattispecie non
paragonabile alle situazioni odierne, ma non è così.
L’insegnamento che se ne trae concerne l’esigenza
di avere molta cautela con regali e prebende che
potrebbero influire psicologicamente sul
comportamento gestionale dei responsabili, fino a
forme di corruzione.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXX
 In fatti, in un versetto successivo San Benedetto
afferma: “(…) iam quod supra fuerit superfluum
est, amputari debet,[1] cioè “(…) il di più è
superfluo e deve essere eliminato. Si tratta di una
lezione improntata all’esigenza di considerare
sempre come esercizio (ascesi) una certa
sobrietà nel possesso e nell’uso dei beni.

[1] Ibidem, LIV, 11.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXI
 (…) et si inventum fuerit
quod ab abbate non
accepit, gravissimae disciplinae subiaceat, cioè “(..)
e se si scoprisse qualcuno in possesso di un oggetto
che non ha ricevuto dall’abate, sia sottoposto a una
gravissima punizione”.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXII
 Qual è la morale che se trae? Che la proprietà, se
non è collocata nel giusto scenario interiore, può
diventare una condizione pericolosa, sia per chi
gestisce, sia per chi opera.
 Non
si tratta dunque di una sorta di
criminalizzazione della proprietà, ma di una
“messa in guardia” circa ciò che vi è connesso, in
termini di egolatria e di possibile fomite di
arroganza contro gli altri.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXIII
 La lezione di Benedetto lavora sempre su piani
psicologici molto sottili, mostrando i “lati oscuri”
dell’umano.
 Lati oscuri che spesso si nascondono dietro patine
di perbenismo e di correttezza o di fidelizzazione
solo apparenti.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXIV
 Artifices si sunt in monasterio cum omni humilitate
faciant ipsas artes, si permiserit abbas.
 Quod is aliquis ex eis extollitur pro scientia artis
suae, eo quo videatur aliquid conferre monasterio,
 hic talis erigatur ab ipsa arte et denuo per eam
non transeat, nisi forte humiliato ei iterum abbas
iubeat,[1]

[1] Ibidem, LVII, 1 - 3.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXV
 …cioè “Se in monastero ci sono fratelli esperti in
un’arte o in un mestiere, li esercitino con la
massima umiltà, purché l’abate lo permetta. Ma se
qualcuno di loro monta in superbia, perché gli
sembra di portare qualche utile al monastero, sia
tolto dal suo lavoro e non gli sia più concesso di
occuparsene, a meno che non rientri in se stesso,
umiliandosi, e l’abate non glielo permetta di
nuovo”.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXVI
 Questa è un’indicazione importantissima, perché
spiega come i “bravi”, a volte, mentre si mostrano
tali, si gonfiano di superbia ritenendosi
indispensabili, e cominciano a guardare dall’alto in
basso i colleghi, mentre invece dovrebbero
semplicemente mettere a disposizione i loro saperi
e competenze, in quanto si trovano lì per quello.
Un controllo attento di questa deriva permette di
far capire che nessuno è assolutamente
indispensabile.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXVII
 Noviter veniens quis ad conversationem, non ei
facilis tribuatur ingressus (…), cioè “Quando si
presenta un aspirante alla vita monastica, non
bisogna accettarlo con troppa facilità”.
 Eccoci al grande insegnamento sulla selezione
del personale.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXVIII
 Addirittura, la Santa Regola prevede che vi sia un
rigoroso percorso di inserimento, che permette di
valutare, non solo le doti intellettuali e morali della
persona, ma anche il grado di umiltà che questa
mostra, accettando di stare in condizioni di relativa
precarietà per un certo periodo.
 Si pone quindi il grande tema della precarietas,[1] che
va intesa bene, come situazione di insicurezza
educante, e di atteggiamento disponibile.

[1] È la posizione di chi “è in preghiera”.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXIX
 Si
quis monachus peregrinus de longiquis
provinciis supervenerit, si pro hospite voluerit
habitare in monasterio
 Et contentus est consuetudinem loci quam
invenerit, et non forte superfluitate sua perturbat
monasterium,
 sed simpliciter contentus est quod invenerit,
suscipiatur quanto tempore cupit,[1]
[1] Cf .Santa Regola, LXI, 1 - 3.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXX
 …cioè “Se un monaco forestiero, giunto di lontano,
vuole abitare nel monastero in qualità di ospite e si
dimostra soddisfatto delle consuetudini locali,
accontentandosi con semplicità di quello che trova,
senza disturbare la comunità con le sue pretese, sia
accolto per tutto il tempo che desidera”.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXXI
 Si potrebbe dire che la comunità di accoglienza
(l’Azienda) può misurare l’ospite sulla base di
questi criteri. Di che ospite può trattarsi? Ad
esempio: di un consulente, di un trasfertista della
Casa madre, di un inviato dal cliente.
 La qualità relazionale che questo ospite sarà
riuscito a stabilire suggerirà anche le decisioni
future in merito alla sua collaborazione.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXXII
 Ordines suos in monasterio ita conservent ut
conversationis tempus ut vitae meritum discernit
utque abbas constituerit,[1] cioè “Nella comunità
ognuno conservi il posto che gli spetta secondo la
data del suo ingresso o l’esemplarità della sua
condotta o la volontà dell’abate”.

[1] Ibidem, LXIII, 1.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXXIII
 Si tratta di uno straordinario esempio di sapienza
gestionale: sono previsti tutti e tre gli elementi,
anche se in “ordine sparso”, quello dell’anzianità di
entrata, quello delle qualità individuali e quello della
volontà dell’abate.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXXIV
 Anche in azienda non può che funzionare così:
ogniqualvolta si deve decidere di un passo di
carriera di una persona, occorre fare un
benchmark interno sull’anzianità, una riflessione
sul profilo professionale,e infine, a coronamento di
tutto, si deve verificare la volontà del decisore, il
quale deve, però, essere informato di tutto, in
modo corretto e completo.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXXV
 Successivamente, per chiarire il suo pensiero
Benedetto fa scrivere: (…) et in omnino locis aetas
non discernat ordines nec praeiudicet,[1] cioè “(…)
e in nessuna occasione l’età costituisca un criterio
distintivo e pregiudizievole per stabilire i posti”.
 Chiarissimo.
[1] Ibidem, 5.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXXVI
 Che cosa impariamo da questa indicazione del
Santo? Qualcosa di molto semplice, ma di non
banale: che bisogna anche avere cura delle forme
espressive dei rapporti interpersonali, sia tra pari
livello, sia tra persone di diverso livello.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXXVII
 Infatti, nella contemporaneità è invalso l’uso di forme
espressive (di saluto, di interlocuzione, di dialogo),
che non sempre riflettono il reale o l’opportuno grado
di confidenza.
 Qualcosa in merito bisognerebbe ripensare e
modificare.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXXVIII
 Vitae autem merito et sapientiae doctrina eligatur
qui ordinandus est, etiam si ultimus fuerit in ordine
congregationis,[1] cioè “Il futuro abate deve
essere scelto in base alla vita esemplare e alla
scienza soprannaturale, anche se fosse l’ultimo
della comunità”.
 La lezione è forte, fortissima: non devono,
dunque, in questi casi, pesare influenze e
raccomandazioni, ma solamente le qualità morali
e intellettuali del candidato.

[1] Ibidem, LXIV, 2.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XIL
 I complotti e le macchinazioni che possono
essere orditi per impedire l’elezione della persona
più meritevole, devono essere scoperti e
scongiurati.
 Il Capo, o, come dice la Regola, l’Abate, “non
deve spezzare la canna incrinata”, ma
rimuoverla con carità e pazienza, cercando di
essere più amato che temuto.[1]
[1] Ibidem, 15.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - L
lezione concerne i modi dell’esercizio del
potere, che deve essere sempre finalizzato al
maggior bene comune, sapendo chi è a capo, di
essere anch’egli fragile e cagionevole per la comune
condizione che lega tutti gli esseri umani.
 La
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LI
 Saepius
quidem contigit ut per ordinationem
praepositi scandala gravia in monasteriis oriantur,
 dum sint aliqui malignu spiritu superbiae inflati et
aestimantes se secundos esse abbates,
assumentes sibi tyrannidem, scandala nutriunt et
dissensiones in congregationes faciunt, (…),[1]

[1] Ibidem, LXV, 1 - 2.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LII
 cioè “Accade spesso che la nomina del priore dia
origine a gravi scandali, perché alcuni, gonfiati da un
maligno spirito di superbia e convinti di essere
altrettanti abati, si attribuiscono indebitamente un
potere assoluto, fomentando litigi, creando divisioni
nelle comunità, (…)”.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LIII
 Questo passo sottolinea l’importanza di definire
bene il ruolo dei dirigenti e dei vari responsabili
(quadri, capiufficio/reparto, etc.), per evitare che vi
siano invasioni di campo, interpretazioni soggettive
delle responsabilità e dei poteri attribuiti, creando
così anche gravi danni all’organizzazione.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LIV
 Nell’azienda contemporanea, a volte, si preferisce,
anche giustamente, una certa destrutturazione e
informalità, ma ciò deve essere sempre
accompagnato da una vigilanza assidua sui
comportamenti di coloro che assolvono, talora, a
deleghe di carattere superiore alla posizione
puntualmente ricoperta.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LV
 Più sotto la Regola afferma: Hinc suscitantur
invidiae,
rixae,
detractiones,
aemulationes,
dissensiones, exordinationes, (…),[1] cioè “Di qui
nascono invidie, liti, maldicenze, rivalità,
divisioni e disordini di ogni genere”.

[1] Ibidem, 7.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LVI
 Si qui fratri aliqua forte gravia aut impossibilia
iniunguntur, suscipiat quidem iubentis imperium
cum omni mansuetudine et oboedientia.
 Quod si omnino virium suarum mensuram viderit
pondus oneris excedere, impossibilitatis suae
causa ei qui sibi praeest patienter et opportune
suggerat.,
 non
superbiendo
aut
resistendo
aut
contradicendo,[1]

[1] Ibidem, LXVIII, 1 - 3.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LVII
 cioè “Anche se a un monaco viene imposta
un’obbedienza molto gravosa, o addirittura
impossibile a eseguirsi, il comando del
superiore deve essere accolto da lui con
assoluta sottomissione e soprannaturale
obbedienza. Ma se proprio si accorgesse che si
tratta di un carico, il cui peso è decisamente
superiore alle sue forze, esponga al superiore i
motivi della sua impossibilità con molta calma e
senso di opportunità, senza assumere un
atteggiamento
arrogante,
riluttante
o
contestatore”.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LVIII
 Traendo spunto da questi versetti, si rileva l’esigenza
di operare con pazienza nella formazione dei
collaboratori, puntando sulla crescita primaria
del sostrato morale e personale.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LIX
 La Santa Regola si conclude invitando ciascuno
a stare al proprio posto, evitando di assumersi
ruoli e responsabilità che non si hanno.
 In particolare invita a non “arrogarsi le difese dei
confratelli”, né “la riprensione dei confratelli”,
perché questo è compito dell’abate o di chi questi
deleghi a farlo, secondo la sua saggezza.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LX
 L’essenziale insegnamento che se ne trae è
significativo ancora oggi, poiché nulla è cambiato
(cf. Premessa) nell’umano, dai tempi di
Benedetto.
 Il suo valore è di recuperare le virtù
fondamentali che costituiscono il fondamento del
comportamento umano, cioè di ogni soggetto
razionale autocosciente, sia verso se stesso, sia
verso gli altri e l’ambiente in cui opera.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LXI
 E, riassumendo, rimette al centro le virtù cardinali
(cioè che costituiscono un cardine), corroborate
dall’Umiltà, dall’Obbedienza e dal Silenzio, quasi che
queste ultime tre costituiscano una specie di
ambientazione positiva dell’agire umano libero.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LXII
 La lezione grandiosa del Santo di Norcia, Subiaco
e Cassino, e di migliaia di altri monasteri è dunque
ancora uno dei capisaldi del sapere umano
dell’Occidente, e una continua fonte di gioiose
scoperte, conferme e incoraggiamenti ad agire
secondo il fine, che è l’Uomo stesso, nella sua
integrale grandezza.