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venerdì 11 novembre 2016, 11:30
Calvi: archiviato! mistero italiano per Pazienza
Francesco Pazienza parla di Calvi: "tecnicamente bravo, fondamentalmente un cretino in una cosa troppo grande"
di Redazione
Si è chiusa ieri un pezzo di cronaca italiana lungo quasi 40 anni, è finita catalogata come uno dei tanti misteri irrisolti e
irrisolvibili. La Magistratura romana è vista costretta arrendersi nell'individuazione dei responsabili (morali e
materiali) della morte di Roberto Calvi, il Presidente del vecchio Banco Ambrosiano assassinato 'mediante
impiccagione' il 18 giugno del 1982 a Londra, sotto il Ponte dei Frati Neri. Il pm Luca Tescaroli aveva qualificato
quell'omicidio come 'premeditato', «ad onta della tesi per tanto tempo coltivata del suicidio», ma il gip Simonetta
D'Alessandro, in 40 pagine di provvedimento, ha dovuto certificare che il tempo decorso, le sentenze assolutorie, le
verità dei depistanti e la mancanza di collaborazione internazionale non hanno consentito di risolvere i misteri
della morte del banchiere. In base a queste considerazioni e alla richiesta di archiviazione presentata dallo stesso pm,
D'Alessandro ha concluso l'inchiesta. Il procedimento, che riguardava l'accusa di 'omicidio premeditato', tra il 2007 e
il 2011 vide l'assoluzione di Flavio Carboni, Giuseppe Calò, Ernesto Diotallevi -faccendiere legato agli ambienti
dell'estrema destra-, Manuela Kleinszig -ex fidanzata di Carboni- e Silvano Vittor -ex contrabbandiere già in buoni
rapporti con gli organi investigativi triestini-, collegati, secondo il pubblico ministero, a seconda della posizione processuale
con Cosa nostra, la P2, la banda della Magliana. Dopo questa assoluzione, il fascicolo processuale fu riaperto e, tra
il 2008 e il 2010, ci fu nell'inchiesta l'ingresso di varie persone come Licio Gelli, indicato come organizzatore del
delitto, nonché dell'uomo d'affari Francesco Pazienza, del banchiere Hans Albert Kunz, del segretario di Pazienza
Maurizio Mazzotta, di Flavio Carboni e anche di Paul Marcinkus, all'epoca al vertice dello Ior. Per questa presenza il gip
Simonetta D'Alessandro scrive nella motivazione del provvedimento che non è stato possibile ricostruire il ruolo del religioso
e soprattutto quali furono i flussi finanziari che legavano il Banco Ambrosiano allo Ior. Accogliendo la richiesta di
archiviazione il gip riconosce al pubblico ministero Tescaroli «d'aver compiuto uno sforzo indiscutibile per dare una
soluzione alla vicenda». Sempre con riferimento ai flussi finanziari tra Banco Ambrosiano e lo Ior il magistrato sottolinea che
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/calvi-archiviato-mistero-italiano-per-pazienza/
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le «rogatorie avviate verso lo Stato della Città del Vaticano hanno avuto esiti pressoché inutili» e «neppure i
numerosi pentiti che hanno fatto riferimento alla vicenda hanno riferito elementi di conoscenza diretta». Secondo il gip «la
morte di Calvi non è affatto solo italiana e anzi il Paese appare connotato da una sovranità limitata da un
potere investigativo e cognitivo che si infrange per lunghi anni di fronte all'entità degli interessi politici ed
economici in gioco». Una «vicenda dall'accentuata dimensione internazionale, involgente rapporti tra Stati;
rogatorie dall'esito infausto; snodi di interessi economici e politici mediati da ambiti massonici coperti o settori di
servizi segreti deviati in strutturale contatto con organizzazioni criminose e sistemi finanziari». E' la storia della fine di
Roberto Calvi. Il giudice aggiunge che il contributo offerto da numerosi pentiti, pur parlando espressamente di omicidio,
hanno riferito «elementi di conoscenza indiretta» del fatto, non è stato propizio. Calvi impiccato in Inghilterra, dopo il crac
del Banco Ambrosiano, è una «simulazione di suicidio»? Il gip ricorda dichiarazioni di collaboratori di giustizia e dati
acquisiti e sottolinea come nell'omicidio sia coinvolta «una parte del Vaticano, ma non tutto il Vaticano; una parte di
Cosa Nostra, ma non tutta Cosa Nostra; una parte della massoneria, ma non tutta la massoneria, e in una parola, la
contiguità tra i soli livelli apicali in una fase strategica di politica estera, che ha bruciato capitali, che secondo i
pentiti, erano di provenienza mafiosa». Lo scorso maggio in una lunga intervista rilasciata in esclusiva a ‘L’Indro’,
Francesco Pazienza parlò del Banco Ambrosiano e di Roberto Calvi. L’Ambrosiano, disse, “è una banca che non è
mai fallita. Nessuno sa che non c’è mai stato il fallimento, si sono sempre rifiutati di fare una valutazione degli asset. Lo
stato patrimoniale del Banco Ambrosiano non lo hanno mai fatto, perché in quel caso avrebbero visto che il Banco
Ambrosiano non era fallito, tanto è vero che il così detto fallimento del Banco Ambrosiano si è concluso ma sono stati tutti
pagati. Poi, scusi, il Banco Ambrosiano lo hanno fatto fallire il venerdì di ferragosto del 1982, il lunedì successivo era già
bello che riaperto con le scritte ‘Nuovo Banco Ambrosiano’”. Quindi vuole intendere che… Aspetti, aspetti… Il Signor
Agnelli aveva bisogno di un’assicurazione per la Fiat che era tecnicamente fallita. Ad Agnelli hanno regalato, proprio gratis,
la Toro Assicurazioni. Perché? Perché il giro era quello. Allora: Agnelli ha pagato la Toro Assicurazione 350 miliardi di lire. A
Milano tutti i palazzi intorno a Piazza San Babila erano della Toro, solo quei palazzi valevano più di 350 miliardi. Quando nel
1999 la Fiat non ce la faceva più, e in più non potevano avere i soldi ancora dallo Stato, vendendo la Toro si sono salvati le
chiappe. Questa è la storia d’Italia vera. Quando il 31 di agosto del 1981 ho accompagnato Roberto Calvi all’aeroporto di
Olbia - avevamo fatto le vacanze assieme in Sardegna, io mi sarei fermato una settimana in più, lui aveva il suo jet ad
attenderlo - è arrivato un altro jet, scende l’avvocato Agnelli con un cane di otto metri cubi che lo tirava. Si salutano e si
vanno incontro. Io avevo passato una settimana a dire a Calvi “Quello ci frega, quello sta manovrando per fregarci”. Quando
l’ho visto ho detto “Eccolo l’amico tuo”. Si avvicina Agnelli, Calvi mi dice “Tieni un momento il cane all’avvocato Agnelli“.
“Guarda“ gli dico “io il dogsitter non l’ho mai fatto, poi gratis” e Agnelli, con la ‘r’ moscia, fa: “E ma questo suo giovane
amico ha un bel caratterino” e io: “Avvoca’ lei s’è portato il cane e lei se lo tiene”. E allora? Dietro Agnelli ha lavorato molto
perché succedesse quello che è successo al Banco Ambrosiano, in maniera che poi si prendesse la Toro Assicurazione gratis,
visto che aveva disperatamente bisogno di una grande compagnia di assicurazioni e la sua, che era la SAI, era stata ceduta
da Mediobanca, ancora per salvargli le chiappe, a Ligresti. Allora è questo che lei all’epoca disse a Calvi “Quello ci
frega, quello sta manovrando per fregarci”? Esatto, lo sapevo. Ma della ‘Privata’ cosa mi dice? La Banca Privata,
quella di Sindona? Sì. Non lo so, io vivevo fuori Italia. No, non ne so niente. Parliamo di Calvi. Calvi tecnicamente era
anche bravo, però fondamentalmente era un cretino. Cioè è finito in una cosa più grande di lui? No, ci si è messo in una
cosa più grande di lui, perché quando fece l’accordo con De Benedetti a me non disse niente. Lei ne era all’oscuro?
Assolutamente. Mi chiama l’avvocato Calogero Calì di Milano, dello Studio Calì-Jaeger-Molinari, all’epoca era uno dei più
quotati. E mi dice: “Francesco, ma tu lo sai cosa sta succedendo tra Calvi e De Benedetti?”, “No, cosa sta succedendo?”,
“Abbiamo fatto un’operazione, abbiamo ceduto una società, De Benedetti non aveva un centesimo, hanno dovuto fare tutta
un’operazione semi-bidone in maniera che De Benedetti poi dava a Calvi”. Praticamente De Benedetti è entrato nel Banco
Ambrosiano con i soldi che gli ha prestato Calvi. Va bene? Allora io sono andato a Milano immediatamente e gli ho detto:
“ma cosa stai facendo”, e lui: “No, no, no”. Io gli ho detto “guarda so tutto”, e lui mi dice: “Sai, De Benedetti è molto vicino
al Partito Comunista”. Gli ho detto “Ti sei comprato la pistola con cui ti sparerai”. E invece è finito appeso… Si è
impiccato, ma anche quello lì è da vedere. Da vedere. Sono i famosi misteri d’Italia, che nessuno… Nemmeno Francesco
Pazienza? No, non lo so come sia finito veramente. Il Gip forse si, lui lo sa, ma non ha le prove, ha gli indizi, ma Calvi ‘si è
messo in una cosa più grande di lui’ e in un Paese a sovranità limitata finisce con l’archiviazione.
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