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Beatrice Mazzanti
Sesto Fiorentino
e la sua Pieve nella seconda
metà dell’ottocento
apice libri
Grazie a: don Silvano Nistri, don Daniele Bani, e all’instancabile
archivista Giovanni Mereu; alla prof.ssa Emanuela Ferretti, a
Padre Sergio Sereni, al prof. Andrea Cecconi, al prof. Claudio
Paolini, all’arch. Andrea Cantile, alla dott.ssa Rita Panattoni, alla
dott.ssa Patrizia Urbani, al dott. Marco Grossi.
Nota dell’editore: le citazioni in corsivo derivano da documenti
manoscritti, mentre le citazioni in tondo da documenti a stampa.
© 2016 apice libri - Sesto Fiorentino (fi)
isbn 978-88-99176-35-8
www.apicelibri.it
Introduzione
Il 17 agosto del 1864 Ranieri Calcinai (1840-1882), sino
ad allora parroco di Santa Maria a Spicchio (Vinci), viene
investito dell’incarico di pievano di San Martino a Sesto.
Calcinai viene presentato personalmente dall’arcivescovo
della diocesi fiorentina Giovacchino Limberti (1821-1874),
durante gli anni in cui si susseguono le prime fasi dell’unità nazionale e in seguito il trasferimento della capitale del
Regno a Firenze (a partire dall’11 dicembre 1864). La fase
storica è delicata: dalle riforme leopoldine del Granducato
di Toscana all’anticlericalismo napoleonico, fino alle turbolenze diplomatiche che segnano i rapporti fra stato e
chiesa alla metà del XIX secolo, istanze politiche di grande
irrequietezza insidiano potere e consenso dell’istituzione
ecclesiastica, mentre il delinearsi dello stato nazionale italiano con capitale baricentrica a Roma preannuncia orizzonti
ancora più inquietanti per la Santa Sede, al punto da far
esprimere l’arcivescovo Limberti in modo assai pessimistico:
“è l’ora delle tenebre, e più o meno abbiamo da deplorare
in ogni parte d’Italia spogliamenti, desolazioni, molestie
contro la chiesa e contro i suoi ministri […]”.1 Il pievano
Calcinai si trova d’un tratto a capo di una pievania territo1
Archivio Arcivescovile Firenze, Fondo Limberti, B. n° 58, A. 1868,
lettera inviata all’Arcivescovo di Trani, citata in C.C. Calzolai, La pieve
di San Martino a Sesto Fiorentino, Firenze 1966, p. 106. Sull’arcivescovo si
veda, G. Gentile, Gino Capponi e la cultura toscana nel secolo XIX, Firenze
1967; La Chiesa Fiorentina, Firenze 1970, p. 31; sui rapporti tra Stato e
Chiesa durante gli anni dell’Unità d’Italia si veda in sintesi E. Ragionieri,
Lo Stato e la Chiesa, in Storia d’Italia, Dall’Unità a oggi, Edizione Milano
2005, vol. 11, pp. 1705-1713; L. Lenzi, Tra Liberalismo e Risorgimento, in
Storia della civiltà toscana, Firenze 1998, vol. V, pp. 121-140.
~5~
1. Istituto Geografico Militare, Rilievo di Firenze eseguito nel 1896-’97, Foglio 4, particolare. Sesto è l’appendice superiore sinistra di uno dei quattro
quadranti che compongono la cartografia fiorentina, ma solo perché di essa
viene rappresentato unicamente il nucleo urbano storico, posto sull’antico
tracciato viario a nord-ovest di Firenze.
rialmente sedimentata ma in pieno stato metamorfico: la
città dominante, Firenze, fra breve capitale d’Italia, innescherà sistematiche trasformazioni di carattere demografico,
territoriale e sociale, che inevitabilmente coinvolgeranno le
aree geografiche contermini.2 [foto 1 e 2]
2
G. Fanelli, Firenze, Firenze-Bari 1980, pp. 199 e segg. La popolazione
del comune di Sesto Fiorentino passa da 11.897 unità nel Dicembre del
1861 a 13.368 unità nel Dicembre del 1871, si veda, Archivio della Pieve di
San Martino, (d’ora in poi A.P.S.M.), fasc. Statistica del numero di abitanti
nel territorio parrocchiale dal 1769 al 1915; si veda inoltre, L. Bortolotti,
Storia di un territorio. Sesto Fiorentino (1860-1980), Firenze 2006, p. 47. Si
ricorda che l’entità territoriale sestese varia i suoi confini almeno in tre
occasioni dopo l’Unità d’Italia, in Idem, pp. 140-144.
~6~
2. Giuseppe Poggi, Progetto di massima per l’ingrandimento della città di
Firenze presentato al comune nell’anno 1865. La planimetria viene allegata
dall’architetto Poggi al suo volume, Sui lavori per l’ingrandimento di Firenze, Tipografia di G. Barbera, 1882; il progetto prevedeva un incremento di
50.000 abitanti.
La città e il suo centro
La città di Firenze accoglie il suo nuovo destino di capitale
del regno promuovendo iniziative destinate a cambiarne
l’immagine urbana: immobile e chiusa in una forma compiuta, quasi cristallizzata dalla fine del XVI secolo, avvia ora
un riordinamento cittadino che prevede l’apertura – fisica
e simbolica – all’esterno grazie all’abbattimento della cinta muraria trecentesca. Autore e interprete di una visione
urbana nuova – ed europea – è l’architetto Giuseppe Poggi
~7~
(1811-1901), che affermerà la sua idea di futuro attraverso
la creazione d’una città moderna, meccanizzata, aggiornata
ma riverente al proprio passato, consapevole della propria
ricchezza storica e bellezza culturale. Una nuova metropoli
dotata d’ampi “viali”, disposti in luogo della muraglia antica,
pensati per accogliere lo scorrimento lento o veloce, la sosta,
il passeggio, l’intrattenimento sociale e culturale; insomma,
ciò che si profila come un concetto sociologico del tutto
nuovo e prettamente borghese, l’uso del “tempo libero”.3 Dai
nuovi “viali” prenderanno avvio assi viari minori destinati
ad articolare nuovi quartieri, che, con quelli costruiti entro
le mura nella prima metà dell’Ottocento, accoglieranno
l’incremento residenziale dovuto all’elezione di Firenze
capitale: la città pre-capitale sino al 1865 contava 146.441
abitanti, che saliranno a 194.000 quando il titolo di capitale
verrà trasferito a Roma nel Luglio del 1871.4 Con la sistematica ri-destinazione dei grandi contenitori dello sviluppo
storico urbano vengono aperte ampie e prestigiose sedi per
le innumerevoli funzioni ministeriali e burocratiche, che
avranno in uso parti dei conventi di San Firenze, di Santa
Croce, o di Santa Maria Novella – disponibili all’indomani
della promulgazione della legge del 1866 sull’esproprio del
patrimonio ecclesiastico – o di importanti palazzi quali il
Casino Mediceo, della Crocetta, di parte degli Uffizi, di Palazzo Vecchio, e molto altro. L’“Uffizio d’Arte del Municipio”
guidato dall’architetto Luigi del Sarto (?-1882) risolve invece
il processo di razionalizzazione igienico-sanitaria della città
A. Restucci, Firenze, Siena e la Toscana nel secondo Ottocento, in Storia
dell’architettura italiana, L’Ottocento, a cura di A. Restucci, Milano 2005,
pp. 202-229; Fanelli 1980, pp. 199-211; S. Fei, Nascita e sviluppo di Firenze
città borghese, Firenze 1971; F. Borsi, La capitale a Firenze e l’opera di G. Poggi,
Roma 1970; R. Manetti, G. Morolli (a cura di), Giuseppe Poggi e Firenze.
Disegni di architetture e città, catalogo della mostra, Firenze 1989; L. Maccabruni, P. Marchi (a cura di), Una Capitale e il suo Architetto, catalogo
della mostra, Firenze 2015.
4
Fei 1971, p. 165.
3
~8~
entro le mura pubblicando il “Piano Regolatore Edilizio a
miglioramento dell’interno della medesima”, che rimuove
una cospicua parte del minuto tessuto edilizio antico posto
fra l’attuale piazza della Repubblica e palazzo Strozzi, per
formulare una “moderna” idea di centro storico nella versione oggi fruibile.5 [foto 3]
Le nuove istanze della città borghese rivelano inoltre
necessità di riconoscimento e autocelebrazione: sui colli
confinanti con il nucleo urbano si realizza il “quartiere di
collina” che ospita villini residenziali distinti per le qualità
architettoniche e paesistiche, collocati ai bordi del nuovo
“Viale dei Colli”, che risale il pendio e con andamento sinuoso raggiunge l’antica Basilica di San Miniato e le sue dipendenze. Poco oltre l’architetto Poggi identifica un’area a forte
vocazione paesistica e propone la realizzazione di un’ampia
terrazza affacciata sulla città: 6 dal “piazzale Michelangelo”,
come verrà intitolata, l’agglomerato urbano fiorentino attraversato dall’Arno appare immobile, sospeso, compiuto.
Oggetto di ammirazione e contemplazione, Firenze offre le
sue squisite proporzioni armoniche e gratifica lo sguardo di
chi ne promuove la bellezza.
Una città che nella fase febbrile dell’avvicendarsi delle
sedi destinate al ruolo di capitale mette a soqquadro la sua
forma cristallina, il tessuto connettivo delle relazioni fisiche
e immateriali, e infine, la protezione simbolica offerta dalle
antiche mura. È la città che cerca una dimensione “europea”,
garante della rimozione di un insidioso provincialismo, e
ancor più appagata nel rendere manifeste le nuove esigenze
della classe borghese; il piano d’ampliamento di Poggi darà
foggia a ciò che verrà identificato più avanti come periferia
C. Cresti, L. Zangheri, Architetti e Ingegneri nella Toscana dell’Ottocento,
Firenze 1978, pp. 82-83; R. Manetti, Le città del Poggi, in Manetti Morolli
1989, pp. 33-35.
6
Manetti 1989, pp. 49-51.
5
~9~
3. Firenze, 1900 circa; veduta della nuova piazza Cavour (attuale piazza
della Libertà), ampia ed utile al veloce scorrimento dei mezzi moderni. Ai
lati della piazza, l’una in fronte all’altro l’antica Porta a Sangallo e l’Arco di
Trionfo, eretto nel 1737 per celebrare l’avvio delle relazioni con la dinastia
degli Asburgo Lorena.
4. Sesto Fiorentino, inizio Novecento; veduta dell’incrocio posto nei pressi
di Piazza Ginori.
~ 10 ~
urbana, sorta per alleviare le pressanti esigenze residenziali
ma priva di identità e di qualsivoglia rapporto con la stratificazione territoriale.7
L’idea di centro, e per conseguenza quella di periferia, trovano spazio nel vivo delle scelte politiche della costruenda
amministrazione comunale di Sesto all’indomani dell’unificazione [foto 4].
Mentre Firenze diviene capitale, il “borgo agricolo subur­
bano”8 di Sesto trasforma il suo ordinamento allinean­dosi
con gli altri comuni d’Italia (legge 20 marzo 1865), e guarda
al suo territorio dal punto di vista morfologico per la prima
volta. La comunità di Sesto vantava uno snello “centro” con
carattere rurale, perché come località appartenente al contado fiorentino9 era il risultato del sorgere di borghi sparsi
a distanze variabili dalla strada maestra che conduce da Firenze
a Prato,10 l’attuale via Gramsci, come ad esempio Colonnata, Querceto, Padule, o Quinto, oltre all’edificato continuo
assestato sull’asse viario principale e in parte sulla direttrice
nord-sud, – le attuali vie Matteotti e Verdi – denominato
“Borgo” e sorto nei pressi della Pieve. È in questa fase che si
cerca una definizione “urbana” del centro sestese attuando
decisioni radicali: nell’ottobre del 1864 i documenti delle
adunanze di consiglio registrano la prima discussione relativa al “Progetto di formazione di un nuovo quartiere in Sesto
[…]”, oltre a quella per l’“Acquisto per parte del Comune
del terreno per una Piazza, e cessione al comune per parte
cfr. Fanelli 1980.
E. Ragionieri, Storia di un comune socialista Sesto Fiorentino, Ediz. Roma
1976, pp. 19-42; Bortolotti 2006, pp. 39-56; V. Parigi, Il comune di Sesto
negli anni dell’unificazione: 1859-1874, Firenze 2004, pp. 11-19.
9
Legge sopra il nuovo regolamento delle comunità del dì 23 maggio 1774,
citata in Bortolotti 2006, p. 21; Parigi 2004.
10
Così come definita sulla cartografia tardo cinquecentesca dei Capitani di Parte Guelfa, in M. Mannini, Valori storici artistici archeologici di
Sesto Fiorentino, Sesto Fiorentino 1965, pp. 17-19.
7
8
~ 11 ~
della Società del terreno per la strada”, che rappresentano
due delle numerose operazioni propedeutiche alla pubblicazione del Piano Regolatore del Paese di Sesto, approvato il 30
maggio 1868.11 [foto 5]
Nell’arco di tempo che intercorre fra i primi interventi
fattivi dell’ente comunale, come l’acquisto dei terreni, il
loro esproprio, oppure la copertura del fosso perenne che
attraversava il sito con la “costruzione del fognone sulla
nuova Piazza” (ottobre 1865), e la pubblicazione del nuovo Piano Regolatore, si assiste a un sistematico profilarsi di
scelte seguite dalla loro attuazione, tali da rendere il progetto di pianificazione del 1868 il rilievo di ciò che è già in
parte eseguito a quella data.12 Nel Piano Regolatore del Paese
di Sesto con allargamento della Via di comunicazione fra l’importante Villaggio di Colonnata ed il Capoluogo, costituito da un
unico foglio redatto dall’ingegnere comunale Cintolesi,
si rende conto della volontà di centralizzare le funzioni
civico-amministrative del borgo corrispondente al “centro
principale”13, attraverso la nuova nozione di capoluogo, dando
avvio a un’interpretazione dei caratteri formali del paese di
tipo gerarchico; Colonnata, definita importante soprattutto
in virtù della presenza storica della Manifattura Ginori, è
soltanto uno dei “villaggi” che andranno in seguito a costituire l’unitarietà di un entità amministrativa sorta su nuclei
sparsi, ognuno dotato di specifica identità. La Sesto oggetto
di pianificazione è quella racchiusa dentro le due direttrici
11
Cfr. Ragionieri 1953; Bortolotti 2006, pp. 67-74; l’immagine cartografica del Piano Regolatore, in S. Pollastri (a cura di), Il municipio di
Sesto Fiorentino ’fra ‘800 e ’900 nei documenti dell’archivio storico comunale,
catalogo della mostra, Firenze 2001, p.n.n.; con intenti interpretativi in
Parigi 2004, pp. 54-58.
12
Ne sono esempio l’apertura della strada nuova già nel marzo 1865,
oppure l’identificazione del terreno adeguato alla realizzazione del
nuovo palazzo comunale nel progetto di massima datato agosto 1866;
per questo si veda avanti, nel testo. Ancora in Parigi 2004, pp. 58-60.
13
Così definito in occasione del Censimento del 1861, si veda Parigi
2004, p. 16.
~ 12 ~
5. Comunità di Sesto, Piano Regolatore del paese di Sesto…, su disegno dell’Ingegnere Comunale Domenico Cintolesi, approvato il 30 maggio 1868. Il piano
urbanistico riguarda soltanto il borgo storico collocato nei pressi della pieve
di San Martino, quello racchiuso dentro le due robuste direttrici parallele, una
a nord e l’altra a sud: rispettivamente il tracciato storico della strada maestra,
dall’ottobre del 1863 denominato Strada Provinciale Vittorio Emanuele, e la
nuova Strada Ferrata, già aperta nel 1851 fino a Pistoia. Nell’area oggetto di
pianificazione si prevedono la centralizzazione delle funzioni civico-amministrative con la costruzione del Palazzo Comunale, un ampliamento ordinato
e cospicuo della residenza, la viabilità e le principali piazze.
~ 13 ~
parallele poste una a nord e l’altra a sud, rispettivamente
il tracciato storico della strada maestra, che dall’ottobre del
1863 viene denominato Strada Provinciale Vittorio Emanuele,14
e la nuova Strada Ferrata,15 già aperta nel 1851 fino a Pistoia,
e dal 1859 fino a Lucca. I confini est e ovest sono rappresentati rispettivamente dal torrente Rimaggio e dalla strada
del Fosso e di Cafaggio, oggi superstite nel breve tratto di via
di Cafaggio. Il piano del 1868 utilizza uno schema a griglia
ortogonale regolare ispirato a principi di memoria ippodamea, una progettazione urbanistica classica, utile a rendere
chiara la nuova forma urbana e a integrare l’esistente senza
causare disordini materiali o sociali.
Nei nove anni che vanno dal 1861 al 1870 la popolazione
residente nell’ambito della sola pieve di San Martino a Sesto
passa da n° 4193 a n° 5022 abitanti, con un incremento imparagonabile ai decenni precedenti, ma anche al decennio
successivo, che vedrà profilarsi un opposto andamento demografico.16 È evidente la necessità di aumentare la ricettività residenziale attraverso la previsione di un Piano, e, sulla
scorta degli eventi fiorentini, la Giunta Municipale opta per
la pianificazione del nuovo quartiere centrale, al cui limite
ovest si trova un ampio nuovo piazzale (oggi piazza Vittorio
Veneto). Il nuovo assetto si esprime attraverso la maglia
geometrica sopraccennata destinata ad “area residenziale”,
spartita da assi viari est-ovest che rinviano all’andamento
della via maestra (via Gramsci), e incrociano a ritmi regolari gli assi principali disposti nord-sud, fra i quali ciò che i
sestesi chiameranno per buona parte del Novecento la strada
nuova, ovvero via Cavallotti, ufficialmente denominata via
del Municipio perché destinata a collegare agevolmente la via
maestra con il nuovo palazzo comunale; viene inoltre preParigi 2004, p. 54.
Bortolotti 2006, pp. 31-32.
16
A.P.S.M., fasc. Stati d’Anime; inoltre in P. Bandettini, La popolazione
della Toscana dal 1810 al 1859, Firenze 1961, p. 127.
14
15
~ 14 ~
vista un’altra piazza di forma rettangolare per un’area corrispondente a circa metà dell’attuale piazza IV Novembre,
che sappiamo essere destinata dal 1872 a piazza del mercato.17
In un nuovo quartiere centrale delle dimensioni presunte,
la previsione di due aree libere e destinate all’uso pubblico
come il nuovo piazzale e la piazza del mercato a nord-ovest,
rappresentano la via locale per partecipare alle nuove esigenze di vita collettiva, poiché tali spazi verranno destinati
a usi utilitari, come mercati o fiere, ma nella dimensione del
quotidiano saranno i luoghi del passeggio, dell’intrattenimento, delle diverse forme di socialità all’aperto. Funzioni
peraltro conservate ancora nell’odierna Sesto.
Al gennaio del 1869 appartengono le operazioni burocratiche necessarie a bandire un concorso pubblico per il
progetto e la realizzazione del palazzo municipale, che, dopo
opportune modifiche richieste espressamente dall’amministrazione, sarà assegnato all’ingegner Adolfo Moriani (attivo
a Firenze negli anni ’70-’80 dell’Ottocento), in seguito coautore con l’ingegnere Cintolesi del progetto per la realizzazione della piazza antistante il palazzo.18 [foto 6]
Nel 1871 i lavori per la costruzione del palazzo sono conclusi, e nel 1873 lo è anche la sistemazione della piazza; il
nuovo palazzo comunale presenta una forma parallelepipeda semplice, lievemente animata da un avanzamento
centrale, che ospita al piano terreno un profondo loggiato
d’ingresso, e presenta nell’insieme una facies neorinascimentale che testimonia il grande successo che la rilettura
ottocentesca degli stilemi rinascimentali aveva avuto a livello
nazionale.19 Il palazzo è fuori-scala rispetto a un’area scarsamente edificata e in corso di urbanizzazione, ed è un trionfo
di ricercatezza e qualificazione estetico-formale a confronto
Pollastri 2001, p.n.n.
Parigi 2004, pp. 66-70; Pollastri 2001, p.n.n.
19
Sul Neorinascimento in Italia ed Europa si veda più avanti, nel
testo.
17
18
~ 15 ~
6. Archivio Comune Sesto Fiorentino, Progetto per un Palazzo Municipale per il
Comune di Sesto, Ingegnere Adolfo Moriani. Elaborato presentato al concorso
per la nuova sede del comune di Sesto, che doveva ospitare anche la Guardia
Nazionale, quella municipale e la sede della scuola comunale.
7. Veduta del Palazzo Comunale progettato dall’Ingegner Moriani, all’indomani della realizzazione. Imponente nelle dimensioni, presenta una facies
neorinascimentale largamente diffusa nelle nuove costruzioni pubbliche e
private della seconda metà del XIX secolo.
~ 16 ~
della semplicità dei prospetti degli edifici circostanti, sia
quelli storici che quelli in costruzione; del resto un volume
così ampio non solo viene destinato a ospitare numerose
funzioni, fra le quali la sede della guardia nazionale e delle
scuole, oltre alle previste funzioni amministrative, ma assume
soprattutto il compito simbolico di mostrare ai cittadini il
nuovo corso della storia, avviato con l’unificazione dello stato
e la volontà d’autonomia del comune sestese.20 [foto 7]
La sua mole è impressionante, a tal punto da suscitare
l’allegra ironia d’uno speciale testimone, il priore di Padule
Don Luigi Chini (?-1901), che nelle note Sestine Bernesche
dedicate al Progresso nel 1883 lo faranno recitare:
A tanti e sì stupendi ritrovati –
Risvegliossi anche Sesto-Fiorentino: – E
la mercè di esperti rinomati – Ingegneri,
si vide qui vicino – Sorger municipal
nuovo palazzo – Che sembra la Badia
di Bonsollazzo.
Esigenze edificatorie del tutto identiche toccano i numerosi comuni circostanti Firenze, sino ad allora privi di
specifiche sedi comunali; ad esempio a Calenzano, che fra
il 1855-56 ne costruisce una ex-novo in località Carpugnana, su progetto dell’architetto fiorentino Enrico Guidotti
(1821-1903),21 o a Scandicci, dove si conclude la costruzione
della sede della Comunità di Casellina e Torri nel 1870, su
progetto dell’architetto Francesco Martelli;22 in alcuni casi
le nuove sedi comunali verranno realizzate più tardi, come
a Borgo San Lorenzo, in Piazza Dante, nel 1925, 23 oppure
Cfr. Parigi 2004, p. 67.
D. Lamberini, Calenzano e la Val di Marina, Prato 1987, vol. I, pp.
181-184; Cresti Zangheri 1978, pp. 123-124.
22
D. Lamberini (a cura di), Scandicci. Itinerari storico-artistici nei dintorni
di Firenze, Firenze 1990, p. 26.
23
G.C. Romby (a cura di), Borgo San Lorenzo Guida alla visita del Borgo
e alla scoperta del territorio, Firenze 2008, pp. 60-61.
20
21
~ 17 ~
ne verranno costruite di supplementari, in posizione meno
decentrata, di nuovo a Calenzano, fra il 1934 e il 1936.24 Talvolta l’edificio comunale viene allestito riordinando edifici
storici preesistenti, come a Campi Bisenzio,25 Vaglia,26 o San
Casciano.27 Il fenomeno assume tuttavia un carattere nazionale, poiché lo stato si trova ora ad avviare il nuovo “sistema
amministrativo italiano” e predisporre una rinnovata classe
impiegatizia e un altrettanto nuovo regime burocratico.
Il progetto dell’ingegner Moriani, ordinato a un classicismo neocinquecentesco che a Firenze aveva trovato il suo
maggior esponente nell’architetto della capitale, Giuseppe
Poggi, presenta una pianta severamente simmetrica posta
all’estremità occidentale di un lotto nel quale viene previsto
anche un giardino sul retro. Ai fianchi del palazzo, in facciata, vengono previsti – e realizzati – due cancelli d’accesso
al lotto, altrettanto simmetrici, oggi scomparsi per lasciare
posto a soluzioni d’uso diverse, sino all’odierna costruzione
della nuova sala consiliare. Nelle immagini scattate all’indomani della costruzione del palazzo e del piazzale l’apparenza
del municipio mostra le sue straripanti dimensioni rispetto
agli edifici circostanti, che presentano prospetti decorosi
ma semplici; solo a partire dal settembre del 1907, con la
costruzione della nuova sede della “Società Cooperativa di
Sesto Fiorentino” – inaugurata con la denominazione di
“Casa del Popolo” –, il palazzo comunale potrà stabilire un
“dialogo architettonico” vero e confrontarsi con un volume sufficientemente ampio e caratteri stilistici improntati
al classicismo sopra ricordato: lesene corinzie in doppio
ordine, architravi e fasce marcapiani, finestre riccamente
decorate e specchiature. [foto 8 e 9] Il rapporto avrà un terD. Lamberini 1987, pp. 186-187.
M. Biagioni, Campi Bisenzio, Firenze 1994, pp. 23-25.
26
M. Bianca, P. Nello, G.C. Romby, Vaglia Le vicende, i luoghi, i personaggi, Firenze 2002, p. 151.
27
I. Moretti, A. Favini, V. Favini, San Casciano, Firenze 1994.
24
25
~ 18 ~
8. Veduta del Palazzo Comunale nel contesto della nuova piazza: il grande
edificio è protagonista della vasta area destinata ad accoglierlo, e con essa
trova il suo equilibrio.
9. Veduta della nuova sede della “Società Cooperativa di Sesto Fiorentino”,
inaugurata con la denominazione di “Casa del Popolo” nel 1907. L’architettura
presentava una facciata neorinascimentale allineata alle scelte condotte qualche decennio prima al palazzo comunale, garantendo così l’affinità per similitudine fra le apparenze esteriori dei due complessi simbolo della piazza.
~ 19 ~
mine, poiché la Casa del Popolo verrà abbattuta per lasciar
posto all’ampio intervento architettonico “Coop” condotto
dall’architetto fiorentino Edoardo Detti (1913-1984) e inaugurato nel 1972.28 Il complesso dei tardi anni Sessanta, che
doveva apparire desiderabilmente audace allo sguardo dei
cittadini sestesi, ha istituito con il palazzo del municipio un
rapporto dimensionale autentico ma soprattutto un dialogo sereno, ordito a partire da elementi comuni, quali la
geometria volumetrica e superficiale, ed elementi opposti,
quale l’assoluta simmetria del palazzo comunale e l’ostinata
asimmetria dell’edificio Coop. Il tempo, inesorabile, riveste
di patina e consuma ugualmente le loro consistenze.
Fino ai primi anni Settanta dell’Ottocento Sesto si caratterizza per l’assenza quasi totale di piazze, se si esclude la
forma allargata della via posta in fronte alla pieve di San
Martino, denominata appunto “piazza della Chiesa”; in breve tempo si succede la realizzazione di ben tre nuove piazze,
due delle quali sopradescritte, le future piazza Vittorio Veneto e IV Novembre. La terza piazza sorgerà con un procedimento opposto rispetto alle altre, ovvero per “svuotamento”:
nel 1882 si decreta che l’incrocio tra le vie Vittorio Emanuele
e la via di Colonnata (via Verdi e poi via Matteotti), venga
allargato e regolarizzato tramite demolizioni, al fine di facilitare l’ormai intenso volume di traffico presente.29 Sfiorando,
ma non toccando, il vetusto e nobile palazzo Pretorio, del
quale evidentemente si riconoscono sia il valore civile che
architettonico, si provvede alla demolizione di una porzione
del palazzo a esso prospiciente di proprietà Ginori, oltre
allo scantonamento di altri due immobili affacciati sull’in28
S.G. Cerreti (a cura di), La Cooperativa di Consumo “Casa del popolo” di
Sesto Fiorentino dal 1944 al 1972, Firenze 2011; G. Gobbi, Itinerari di Firenze
moderna, Firenze 1987, p.139.
29
Parigi 2004, p. 54; vengono qui riassunti i termini burocratici e
operativi per la creazione di Piazza Ginori, che possono essere seguiti in
V. Tarli, Piazza Ginori (1880-1998), in S. Follesa (a cura di), Piazza Ginori,
La storia, il progetto, Firenze 1999, pp. 13-16; Bortolotti 2006, p. 92.
~ 20 ~
10. Veduta di parte di via Vittorio Emanuele (Gramsci) prima di piazza Ginori,
1901: a destra, a piano terra, i tre portali d’accesso al Teatro Niccolini, inaugurato nel 1868 e demolito nel 1964. Il teatro, seppur dotato di luoghi di ristoro,
trovava nella piazza adiacente tutti i comfort tipici di una hall all’aperto.
crocio. A quella data Sesto possiede un teatro pubblico da
circa vent’anni, intitolato al drammaturgo Giovan Battista
Niccolini e collocato sulla via Vittorio Emanuele al limite
della nuovissima piazza Ginori:30 la piazza assolverà anche la
funzione di luogo d’incontro e d’accesso al teatro, in termini
di hall scoperta e dotata di servizi. [foto 10]
Il “borgo agricolo” per secoli definito essenzialmente
come contado della città di Firenze, nella seconda metà
dell’Ottocento promuove la sua definizione urbana e ri30
Nel 1881 l’amministrazione delibera all’unanimità l’intitolazione
della nuova piazza alla “Nobile Benemerita Famiglia Ginori”; in Tarli,
p. 16.
~ 21 ~
cerca espressamente la sua identità: solo trovandola potrà
aggiungere al nome di Sesto l’aggettivo “Fiorentino”, nel
maggio del 1869.31
Un pievano e il suo restauro
Nel clima cittadino degli anni Sessanta dell’Ottocento, di
fronte ad assetti urbani in piena e quotidiana trasformazione, il nuovo pievano Ranieri Calcinai matura la volontà di
recuperare bellezza e decoro all’antica pieve a lui affidata,
sino a proporne il completo restauro. Restaurare un edificio
di tale importanza per la comunità – fra i più antichi manufatti del comune di Sesto Fiorentino – depositario di istanze
simboliche, civiche e funzionali, rappresenta un’impresa
assai impegnativa, sia economicamente che logisticamente.
Serve un approccio ferreo, che produca un circuito virtuoso
di altrettante volontà, e un risultato ricco in termini fattivi:
contatti adeguati, operai e artigiani esperti, intenditori di
cose d’arte e d’antichità, e un cospicuo quantitativo di denaro. L’operazione si prefigura lunga, tortuosa, solo in parte
prevedibile, ma non impossibile.
Quel che appare agli occhi del pievano Calcinai deve
essere letto direttamente dalle sue parole, uniche a rendere
l’immagine viva di quanto sconsolante dovesse apparire lo
stato dell’edificio, e quanto economicamente dispendioso
il provvederne:
Nell’Evangelio di S. Luca al cap. 14 v. 28 e 30 sta scritto:
“Qual di voi volendo edificare una torre, non siede prima a calcolare
la spesa, se ne ha per finire? Non forse mosso chi Egli ha del fondamento,
e non potendo finire tutti i riguardanti comincino a farsene gioco dicendo:
“quest’uomo cominciò a edificare e non ha potuto finire”.
Questa parola mi compare tosto alla mente fino dal primo istante che
si cominciò a discorrere del restauro di questa mia chiesa.
31
Si vedano le interessanti argomentazioni circa l’aggiunta in Parigi
2004, pp. 121-122.
~ 22 ~
Queste parole evangeliche chiaramente ne ammancipano che a ogni
cosa che l’uomo fa deve l’intelligenza precedere.
Perciò a quelle sollecitudini e questi rimproveri che dieci anni fa si facevano al parroco protempore di Sesto dicendogli perché non pulisse la sua
chiesa, che è una vergogna a vedersi, rispondeva: “prima di mettere mano
all’opera bisogna bene pensarci si per procacciare i mezzi, si per condurla
convenientemente a termine. Ma egli fin dal primo istante nel quale fu di
questa chiesa investito (17 ottobre 1864, il parroco narra gli eventi in
terza persona) che ell’era, sia per l’ingiuria del tempo, sia per la incuria
degli uomini, al tutto rovinata e guasta. Marmi infranti, altari corrosi,
mura e pitture graffiate, o per appoggiare di scale, o per innalzamento di
parati, o per conficcare di spille e di chiodi, o per distendere di parati e di
manti, o per accendere di ceri, orrendamente graffiati e anneriti.
Eh si, rispondeva il parroco: mi piange l’anima di veder la mia chiesa si
mal condotta, e più che voi desidero e bramo toglierla dal suo squallore. Ma
io penso che quello che voi proponete, manchi del necessario accorgimento
e sia cosa di poco rilievo. Qui c’è bisogno di un restauro molto più radicale
e più ampio: conviene dar luce alla chiesa, raddrizzare le mura, metterla
in grado che non torni squallida dopo poco tempo, e che né per circostanza
di feste solenni, né per uffici pietosi si rinnovino quelle digradazioni che
la portano ne i casi detti effettivi.
Nel settembre del 1869 il pievano Calcinai dà avvio a un
resoconto manoscritto nel quale trascrive materiali diversi
relativi al tema in questione, il restauro della chiesa, che
intende affrontare: il testo si compone di considerazioni
personali, relazioni dovute a consulti con esperti, del diario
quotidiano degli eventi, di riflessioni sulla ricerca di soluzioni, e infine, dei verbali delle sedute della “Deputazione
Promotrice del restauro della Chiesa”. 32 La deputazione
32
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 3, Atti preparatori al restauro della chiesa
di Sesto dall’8 settembre 1869 al 20 gennaio 1880; la citazione precedente si
trova alle carte iniziali, 1r-1v, 2r. I verbali di mano del pievano Calcinai,
rilevati all’interno di alcuni fascicoli rilegati, costituiscono la versione
“in bozza” destinata a essere trascritta in seguito, perché parte delle
trascrizioni “ufficiali” sono raccolte separatamente negli stessi fascicoli,
ma non rilegate. La documentazione, sebbene frammentaria, consente
una ricostruzione coerente degli atti compiuti in occasione dei restauri
eseguiti nel biennio 1880-1881.
~ 23 ~
promotrice costituisce l’organismo decisionale incaricato
di rendere operativa ogni questione inerente l’andamento
dell’impresa, dall’esame dei progetti alla loro approvazione,
a quello dei preventivi, delle maestranze, delle offerte, alla
minuta ricerca di donazioni necessarie alla realizzazione
del progetto. Si tratta di un piccolo nucleo di persone che
si costituisce in Deputazione alfine di rendere collegiale ogni
decisione, affinché attraverso di essa la comunità venga
garantita nella conduzione più consona delle scelte, delle
opere e degli investimenti. Ne sono componenti il pievano
Calcinai, in qualità di presidente, i signori Banchelli Paolo,
cassiere, Del Panta Antonio, Parenti Michele e Paoletti Giuseppe, in qualità di consiglieri.33 La deputazione s’incontra
con cadenza mensile durante l’esecuzione dei lavori, ma le
sedute iniziano più di dieci anni avanti l’avvio delle opere di
restauro, ovvero il giorno 8 Settembre 1869, per continuare,
con alcune interruzioni, sino alla conclusione delle opere
edilizie, nel febbraio del 1882. Nell’aprile del 1875 viene a
mancare il consigliere sig. Antonio del Panta, e nello stesso
periodo si allontana dalla deputazione il sig. Giuseppe Paoletti; a partire dal febbraio del 1880 alla deputazione vengono affiancati altri due componenti, il Cav. Alessandro Borgheri e il Prof. Ulderigo Medici, in qualità di rappresentati
della Compagnia dell’Opera di Santa Maria delle Candele.34 Da
33
L’idea di una commissione autorevole che sovrintenda e coordini
i passaggi relativi all’esecuzione dell’opera viene mutuata dai vicini accadimenti inerenti la cattedrale fiorentina, dove dal gennaio del 1859
si costituisce una “Associazione volontaria per raccogliere il capitale
necessario a erigere la facciata del Duomo”, in vista della realizzazione
di una facciata assente ormai da cinque secoli. Sul «Monitore Toscano»
verranno pubblicati gli atti ufficiali di tale organo, compreso il bando
per il primo concorso internazionale; cfr. M. Cozzi, Dal progetto Silvestri
alla posa della prima pietra (1822-1860), in C. Cresti, M. Cozzi, G. Carapelli,
Il Duomo di Firenze 1822-1887 L’avventura delle facciata, Firenze 1987, pp.
45-47, 49, 52.
34
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 4, Atti e documenti relativi alla preparazione ed esecuzione del restauro, c.n.n.
~ 24 ~
secoli l’Opera costituisce l’organo di promozione e provvista
delle necessità materiali dell’edificio “pieve”, in qualità di
ente laico che provvede ai bisogni pratici di gestione degli
ambienti maggiori e minori, restauri compresi; nei volumi
che sono ancora oggi a nostra disposizione possono essere
rintracciate le indicazioni, molto sommarie, dei principali
provvedimenti presi dalla compagnia per conservare in
adeguate condizioni il manufatto.35 Al tempo dei restauri
promossi dal pievano Calcinai l’amministrazione della Compagnia è già stata trasferita alla compagine comunitativa,
quindi principale rappresentante ne è il sindaco; nell’occasione dei restauri l’ente manifesta un approccio ambiguo,
altalenante, in costante bilico fra disponibilità e incapacità
materiale ad affrontare le necessità in corso, anche e soprattutto per via del suo status incerto, autonomo ma inglobato
nelle politiche amministrative del comune.
In una primissima fase viene interpellato per la redazione
di una perizia di massima dei lavori da condurre l’ingegner
Cintolesi, noto per aver redatto il Piano Regolatore del Paese
di Sesto; siamo nel giugno del 1873, e l’ingegnere, affezionato
amico del pievano,36 viene invitato a una collaborazione del
tutto informale, allo scopo di iniziare un percorso di recupero della pieve. Il pievano riceve notizie dall’amico insieme
una prima perizia delle opere, ma rimane insoddisfatto della
proposta, e a questa preoccupazione non può fare a meno
d’aggiungerne un’altra, di carattere più generale:
[…] Da questa lettera chiaramente si ricava che il parroco di Sesto
aveva grandemente a cuore di restaurare la sua chiesa, e che non era
contento della nota di que lavori che dall’amico Cintolesi era stata redatta,
imperroché volgeva nell’animo e vagheggiava l’idea di farsi redigere egli
stesso per contegno una perizia da qualche abile architetto, desiderando
che in essa fossegli fatto conoscere a qual somma ascenderebbe la spesa per
35
I volumi si conservano oggi nell’Archivio Storico del Comune di
Sesto Fiorentino.
36
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 3, Atti preparatori, c. 3r.
~ 25 ~
rendere la sua chiesa più sana, più lucida, più bella, più ampia. E l’amico
ingegnere Cintolesi cercava per mezzo dell’egregio suo figlio Ugo aiutarlo
in questo concetto che chiamava più non tanto per la natura sua, ma
principalmente perché lo reputava di difficile riuscita, conoscendo egli i
tempi e le persone non troppo anco allora alle cose di chiesa favorevoli.37
La devozione del popolo è indiscutibile, ma i tempi non
sono così favorevoli; i processi di profonda trasformazione
sociale in corso determinano il diffondersi di potenziali
disaffezioni, anche in seno a una spiritualità non intaccata
nei secoli. Ma la fiducia del pievano è inalterabile, e proprio
sul popolo egli conterà per trarre una cospicua parte dei
proventi necessari all’esecuzione dell’impresa:
Sostenuto dall’autorità di questi rispettabilissimi uomini (i rappresentanti della deputazione promotrice) il parroco raddoppiò di
zelo nell’infervorare il popolo a corrispondere generosamente colla sua
elemosina, e per la tristezza dei tempi dovette più volte sospendere l’accatto
in chiesa, non si lasciava sfuggire circostanza nuova che gli si porgeva
favorevole a rinnovarlo. Così nel 1879, pubblicatosi dal Pontefice Pio IX
il grande, il Giubileo per tutta l’arte cattolica, il parroco si die’ cura di
compiere le opere prescritte con processioni di penitenza pregando il popolo
fedele a fare l’elemosina in quello ordinata a pro del restauro della sua
chiesa; la qualcosa riuscì profittevole e di universal gradimento e meglio
allora si conobbe come il danaro andandosi con ammirabile antiveggenza
preparando al compimento del suo e del comune desiderio.38
Il finanziamento dell’impresa
Come visto sopra, le operazioni preparatorie al restauro
avviano ben dieci anni prima dell’esecuzione dei lavori; fra
di esse, l’attività di maggior impegno per il pievano Calcinai – e non solo – è certamente l’ammontare necessario al
finanziamento delle opere. Nel 1875 il pievano commissiona
37
38
Ivi, c. 3r.
Ivi, c. 4r.
~ 26 ~
all’architetto fiorentino Leopoldo Pasqui39 la redazione di
un progetto complessivo, da potersi però eseguire in più
tranche, suddividendo così gli oneri in più tempi, per offrire
l’opportunità alla committenza di prolungare la ricerca e
raccolta dei fondi. Nel Gennaio del 1876 l’architetto consegna la stima dei lavori da condurre, che assommano a lire
13.108,29, passibili di ulteriori incrementi, poiché trattandosi
di lavorare sul vecchio bisognava temere che potessero servire tanti
bisogni.40
La notizia ha un effetto propulsivo sulla deputazione promotrice, che organizza un incontro in canonica alla presenza dei suoi componenti e di molti capi di famiglie del popolo,41
allo scopo di dare avvio a una grande colletta pubblica
indetta per sostenere il futuro restauro. Durante l’incontro,
che si svolge il 2 aprile 1876, vengono elette otto commissioni guidate ognuna da un “collettore”, incaricate di recarsi
presso il popolo di ogni borgo o casale componente Sesto,
per raccogliere ciò che ognuno sarà in grado di versare.42
Ogni collettore viene dotato di un messaggio programmatico a stampa, da leggere ai contribuenti volontari, e di un
libro mastro per l’annotazione delle offerte. Vale leggere il
contenuto del messaggio:
Religione e civiltà riguardano i sestesi a togliere dallo squallore la loro
chiesa. La pubblica igiene e la frequenza popolare esigono che sia data
maggior luce, aria ed ampiezza. Il 2 aprile 1876 speciali commissioni
assunsero di aprire una pubblica sottoscrizione di offerte spontanee fatte
in una o più rate entro lo spazio di due anni. Queste offerte, messe via via
Sull’architetto Pasqui si veda più avanti nel testo.
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 3, Atti preparatori, c. 8v.
41
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 3, Atti preparatori, c. 9r.
42
Ivi, c. 9v-r. La suddivisione in zone dei popoli afferenti la pieve di
San Martino segue quasi sempre un criterio topografico storico: Salimbosco, Canto, Gora di Sotto, Prato San Lorenzo, Perellino, Baldracca,
Val di Rose, Balestri, Zambra, Casato, Piazza, Tonietta, Fornaci, Strada
Nuova, via Maestra, Cafaggio, e infine i “coloni”, intendendo i residenti
in case sparse e spesso isolate.
39
40
~ 27 ~
alla cassa di risparmio in libretto condizionato al restauro, raggiunto che
abbiano la somma richiesta, si daranno poi a chi avrà la legittima rappresentanza dell’esecuzione dei lavori a forma della perizia dell’ingegnere
architetto, il fu Sig. Leopoldo Pasqui, portante la spesa di £ 13108,29, con
provabilissimo aumento di oltre un terzo di più, ed eseguirà questi lavori,
o compiutamente, o a sezioni, quando la somma del danaro raccolto.
S. Martino a Sesto
Li 21 maggio 1876 –
Deputazione Promotrice
O.M. Calcinai Pievano Presidente
Sig. Paolo Banchelli Cassiere
Michele Parenti Consigliere 43
Il grande impegno di raccolta rende i suoi frutti, e nell’ottobre del 1876 Ranieri Calcinai è in grado di affermare
che la raccolta ha raggiunto la ragguardevole cifra di Lire
5979,85, grazie a L. 3483,95 ricavate dalla grande colletta,
a L. 1295,90 già presenti in cassa e raccolte in precedenza, e infine a L. 1200 faticosamente stanziate dall’Opera
di Santa Maria delle Candele.44 Molti denari, se visti dalla
parte di chi si è impegnato per raccoglierli, ma ancora pochi rispetto all’ammontare necessario. Il pievano prosegue
sistematicamente la ricerca di fondi in direzione del Governo nazionale e del municipio locale; il primo risponde con
diniego perché trattasi di chiesa di Patronato particolare, e il
municipio rifiuta anch’esso in virtù della non disponibilità
ad avviare pratiche che in seguito lo avrebbero costretto ad
assolvere a ogni richiesta proveniente dalle altre parrocchie
del territorio.45
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 3, Atti preparatori, c. 12r.
Intenso il carteggio intercorso fra il pievano e i sindaci Vincenzo
Carlesi prima, Luigi Catanzaro poi – nella loro veste di amministratori
della Compagnia dell’Opera – a proposito delle disposizioni legislative
italiane inerenti la responsabilità del provvedimento in caso di simili
opere di restauro, ovvero non ordinarie; si veda in A.P.S.M., Restauro
Pieve, fasc. 3, Atti preparatori, c. 14-22 v-r. Per l’elenco delle somme raccolte, idem, c.n.n.
45
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 3, Atti preparatori, c.n.n.
43
44
~ 28 ~
Il pievano non desiste, e prosegue con richieste specifiche
a cittadini possidenti che da sempre hanno un importante
ruolo socio-economico nel territorio, come i Corsi Salviati
e i Venturi Ginori Lisci. Quest’ultimi sono sin dal XV secolo i patroni della pieve,46 incaricati per dovere di provvedere alle necessità materiali del manufatto oltreché alla sua
buona conservazione, e per diritto direttamente coinvolti
nell’elezione del nuovo pievano; sin dal 1876 Calcinai avvia
un contatto con il Cav. Paolo Lorenzini, amministratore del
patrimonio Venturi Ginori Lisci, e riceve rassicurazione a
proposito della quota di concorso che la nobile famiglia
avrebbe versato. Trascorso qualche tempo, e dopo aver chiesto l’intercessione del marchese Ippolito Venturi Ginori
Lisci, la sua richiesta si dirige verso la giusta persona, il
cav. Mario Covoni, nuovo amministratore del patrimonio,
destinato a sostituire Lorenzini.47 Nell’ottobre del 1879 il
pievano riceve un’ulteriore garanzia sulla benevolenza del
patrono, che attese speciali circostanze non potrebbe concorrere con
somma maggiore di L. 3000;48 la cifra è confermata con missiva
firmata cav. Covoni datata 14 gennaio 1880.49 Alla fine dello
stesso anno il marchese Bardo Corsi Salviati conferma la
sua disponibilità a contribuire all’opera versando un offerta
di L. 1000,50 che, infine, renderà possibile il sogno a lungo
coltivato di Ranieri Calcinai, il restauro della pieve.
Calzolai 1966, p. 43.
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 3, Atti preparatori, cc. 23v., 24r-v.
48
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 3, Atti preparatori, c. 25r.
49
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 3, Atti preparatori, c.n.n.
50
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 4, Atti e documenti, carta sciolta. Un
fascicolo contenente “Entrate e Uscite” che inizia con un’annotazione
di entrata del 10 gennaio 1870 e prosegue sino al 19 giugno 1882 rende
conto degli ulteriori versamenti volontari a sostegno del restauro; in
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 8, Documenti relativi al restauro.
46
47
~ 29 ~
Il pievano Calcinai, l’architettura e l’architetto
L’approccio costruttivo del pievano Calcinai procede per
passi conseguenti: adesso necessitano al pievano un progettista, cui rendere conto delle esigenze e aspirazioni della
comunità, e un progetto, che permetta il perseguimento
dello scopo. Le relazioni di vicinanza del pievano con l’architettura sono testimoniate dalla sua capacità di raccontare
i costrutti architettonici: nella sua opera dedicata alla storia
della pieve, Cenni storici della chiesa plebana di San Martino a
Sesto,51 i riferimenti alle parti che compongono il complesso
sono puntuali. Quando si tratta di descrivere la forma, la
consistenza o la finitura di porzioni architettoniche i termini
sono corretti e specifici, come rilevabile nell’uso della parola
bozze per indicare i pietrami antichi, o la gran macchina di prospetto dell’organo, alludendo alla veduta frontale dell’organo,
oppure basamento, fusto e cimasa del piedistallo quando si tratta
di indicare porzioni di architettura qualificate: un vocabolario riconducibile al linguaggio classico dell’architettura. Il
pievano riconosce all’architettura della pieve una capacità
evocativa che il fedele ha il diritto di ricercare e trovare
nella casa del Signore, quindi dar luce alla chiesa, raddrizzare le
mura, metterla in grado che non torni squallida dopo poco tempo
appaiono ormai necessità improcrastinabili.
Per questo vale la pena riflettere brevemente sul testo che
Calcinai compone e dedica interamente alla storia dell’edificio. I Cenni storici sono infatti improntati primariamente
alla dimensione architettonica della chiesa: dopo una breve
introduzione nella quale vengono presi in esame i caratteri
topografici e morfologici del territorio afferente la pieve,
51
L’opera che Ranieri Calcinai dedica alla storia della pieve è conservata manoscritta presso l’archivio della Pieve di San Martino, ed è stata
trascritta per le cure dell’archivista Giovanni Mereu. La redazione della
storia risale agli anni 1880-1882, desumibili dalle notizie ivi trascritte dal
pievano. L’opera verrà citata d’ora in poi come Calcinai 1880-’81.
~ 30 ~
l’autore passa a discutere dell’antica origine della chiesa plebana
di San Martino a Sesto congetturata dalla sua costruttura e dello
stesso nome di pieve, con un testo ricco di argomentazioni,
sostenute dalla bibliografia e dal buonsenso. L’uso funzionale dei dati e il loro intreccio consentono al pievano di
collocare l’impiego della denominazione “Sesto” a un tempo
non anteriore all’anno Mille, e l’opera prosegue citando sistematicamente i documenti più antichi che gli consentono
di giungere a traguardi conoscitivi. Passa avanti esaminando l’elenco del piviere di Sesto, utile a chiarire datazioni
e relazioni delle suffraganee con la chiesa primaria, per
poi narrare la cronologia dei pievani sino al suo tempo; a
questo punto il pievano elabora un testo dedicato esclusivamente allo Stato primitivo e delle trasformazioni della fabbrica
della pieve di San Martino a Sesto dall’origine al 1880. Poiché
Calcinai redige i Cenni storici durante l’esecuzione del grande restauro condotto nel biennio 1880-1881, è in grado di
raccontare l’edificio nello stato in cui si trovava fino al 1880,
quindi quella facies precedente il riordino ormai perduta per
sempre, e descrivere con cognizione tutto ciò che durante
i lavori si è reso momentaneamente visibile, come antiche
lapidi, frammenti di affreschi, pietrami di recupero o altri
caratteri architettonici ordinariamente celati allo sguardo.
Insomma, un’esperienza unica, che il pievano riconosce
tale e meritevole di essere riferita al futuro attraverso la sua
storia della pieve.
D’altra parte l’intero testo ribadisce l’interesse di Calcinai per una valorizzazione generale dell’edificio, al fine di
ricondurre l’immagine e la fisicità della pieve a quello stato
di bellezza e armonia che appaiono ormai deturpate. A tale
scopo il pievano continua costantemente le operazioni di
recupero della cifra prescelta per dare avvio alle opere di
riordino – un’attività che lo caratterizzerà (e tormenterà)
lungo tutta la fase esecutiva delle opere – e dichiara le sue
intenzioni:
~ 31 ~
Credendo egli di avere ormai un piccolo capitale, quasi fondamento
della santa impresa, credè giunto il tempo di dovere per mezzo di un abile
e coscienzioso architetto procacciarsi un’idea esatta per quanto era possibile
della spesa di tutti quei lavori di restauro e di ampliamento che credeva alla
sua chiesa necessari. (…) Di ciò egli rese insieme col suo popolo gloria a Dio;
e credette che fosse ormai giunto il momento di farcapo all’abile architetto
il quale gli facesse una coscienziosa perizia attorno a quei lavori che nella
sua chiesa credeva necessari e più consoni a’ comuni desideri.52
La ricerca è proficua e l’architetto viene identificato nel
fiorentino Leopoldo Pasqui (1801-1876), che è così introdotto dal pievano:
Aveva più volte inteso parlare con molto fervore del cav. Architetto
Sig. Leopoldo Pasqui, lui aver dato il disegno per la restaurazione ed
ampliamento del venerabile Seminario Arcivescovile di Firenzuola. Lui
aver concepiti ed eseguiti con molta lodevole e mirabile economia i lavori di
restauro alla chiesa di S. Michelino in Firenze; lui avere più che il guadagno a cuore la gloria del Signore e il decoro del suo tempio. Lui adunque
appariva tale che meglio d’ogni altro nell’arte sua pareva soddisfare i
desideri del Parroco di Sesto. Il quale non tardò molto, che fu a trovarlo,
e apertogli l’animo suo, tosto sentì rispondergli: “verrò, vedrò, e guarderò
contentarla; trattandosi di chiesa io son pronto ad ogni sacrificio”.
Eccome disse, fece: nel gennaio 1876 il chiarissimo architetto consegnò
al parroco che la richiese perizia dei lavori da farsi nella chiesa a sezioni
affinché non fosse sempre interrotto l’esercizio del culto e desse agio di
provvedere al danaro occorrente a ciascuna sezione.
La spesa da fare era prevista nella somma di £ 13108,29. E con avvertenza al parroco che trattandosi di lavorare sul vecchio bisognava temere
che potessero servire tanti bisogni che portassero una spesa almeno di un
terzo maggiore della prevista.53
L’architetto Leopoldo Pasqui è persona nota per aver
collaborato con più enti religiosi, ma soprattutto con il Seminario Arcivescovile di Firenzuola, dove Ranieri Calcinai
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 3, Atti preparatori, cc. 7v, 8r.
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 3, Atti preparatori, cc. 7v, 8r, 8v. La
biografia dell’architetto al paragrafo seguente.
52
53
~ 32 ~
aveva insegnato per un decennio, dal 1848 al 1858, in qualità di Maestro di Retorica e Greco.54 L’architetto appare sulla
scena nel 1875 e dopo i rilievi necessari fornisce al pievano
una perizia divisa in sezioni, ovvero una previsione di spesa
che possa attuarsi in più tranche. Calcinai afferma trattarsi
di un tecnico che meglio d’altri pareva soddisfare i desideri del
Parroco di Sesto, e, pago d’aver trovato la persona giusta ne
viene privato dopo breve tempo perché il settantacinquenne
Leopoldo Pasqui muore per colpo apoplettico il 24 marzo
del 1876, pur facendo in tempo a redigere i progetti che
verranno presentati al comune per ottenere il consenso ai
lavori. Le opere saranno condotte seguendo il progetto originario dell’architetto a cura del chiaro Prof. Ing. Carlo Mariani, titolare in anni coevi della cattedra di disegno presso la
nuovissima Scuola di Disegno Industriale del comune di Sesto
Fiorentino.55 A oggi nessuna tavola appartenente al progetto
54
A.P.S.M., Cronologia dei Pievani, c.n.n. Potrebbe trattarsi dei lavori
condotti sotto il rettorato del canonico Farfalli di Firenze (1842-1847)
oppure di quelli eseguiti durante il rettorato di Don Francesco Lorenzi
di Camaggiore (1869-1878), si veda in S. Casini, Dizionario biografico,
geografico, storico del comune di Firenzuola, Firenze 1914, pp. 171-172, 178179; sul Seminario in generale, G.C. Romby, P.C. Tagliaferri, Firenzuola
fra cronaca e storia, Firenze 1994, pp. 115-122.
55
A partire dal gennaio del 1874 l’ingegner Carlo Mariani risulta
uno dei due professori assunti dal comune di Sesto Fiorentino, – l’altro
è il Prof. Ottone Trombetti – e incaricati di insegnare rispettivamente
“disegno geometrico, scientifico, decorativo e disegno elementare d’ornato” e “disegno ornativo applicato all’arte decorativa, compresa l’arte
del modellare e del formare in gesso”; in Archivio Comunale di Sesto
Fiorentino (d’ora in poi A.C.S.F.), Postunitario, Istruzione, VII, 402,
cc.nn.nn. La figura di Carlo Mariani rimane a oggi scarsamente indagata: l’ingegnere (che non viene mai appellato con il titolo di architetto),
non risulta iscritto all’albo degli accademici di Firenze e altre indagini
non lo vedono attivo su altri cantieri. Si dubita fosse un collaboratore
di studio dell’architetto Pasqui, che motiverebbe la sua presenza al
cantiere di Sesto, presso il quale si crede invece poter essere giunto
tramite l’ingegnere comunale Cintolesi, e la sua amicizia con il pievano
Calcinai. Tracce in La Scuola di Disegno Industriale a Sesto-Fiorentino, in
«Arte e Storia», a. I, n° 7, 16 luglio 1882, pp. 53-54; G. Carocci, I dintorni
di Firenze. Nuova guida-illustrazione storico artistica, Firenze 1881, p. 155; C.
~ 33 ~
originario di Pasqui è stata recuperata, e in attesa di futuri
rinvenimenti archivistici possiamo discutere il progetto sulla
base delle preesistenze che il pievano riferisce nella sua opera, i Cenni storici, – che appaiono quindi una fonte ancora più
preziosa – e d’alcune immagini fotografiche d’epoca.
L’architetto Leopoldo Pasqui: cenni biografici, culturali e professionali 56
L’architetto Pasqui nasce a Firenze da Filippo Maria Luigi e
Angelica Baldoriotti Cartoni nel 1801, presso una dinastia le
cui distinte origini sono definite antichissime, poiché la nobile
Famiglia Pasqui […] figura fino dal 1200 tra i ruoli del quartiere
di Santo Spirito di Firenze ove tenne stabile dimora fino al 1300.57
Ciampi, L’archivio della Società per la Biblioteca Circolante di Sesto Fiorentino,
in «Milleottocentosessantanove», n° 39, aprile 2009, p. 12; erroneamente citato con il nome “Carlo Marinai”, oltreché nell’errata qualità
di “progettista” del restauro in I. Moretti, L’architettura della pieve di San
Martino a Sesto Fiorentino, in La Pieve di San Martino a Sesto, Firenze 1990,
p. 11; stesso errore in S. Rinaldi, A. Favini, A. Naldi (a cura di), Firenze
Romanica. Le più antiche chiese della città, di Fiesole e del contado circostante
l’Arno, Empoli 2005, p. 135. Sulla scuola di disegno industriale si può
vedere, A. Villoresi, Sesto Fiorentino notizie di storia, geografia, arte, Sesto
Fiorentino 1988, p. 58; G. Corsi, La Regia scuola d’arte ceramica “RichardGinori” di Sesto Fiorentino, Firenze 1941.
56
Il presente paragrafo nasce dalla necessità di fare chiarezza su
uno dei tanti operatori fiorentini del XIX secolo che non hanno ancora
ricevuto un’adeguata collocazione storica a seguito di opportuni scavi
documentari. Non s’intende qui affrontare l’argomento in modo esaustivo, ma solo dare avvio a un’indagine che potrà essere accuratamente
approfondita; nel paragrafo vengono riordinati i principali incarichi
professionali dell’architetto attraverso l’intreccio di dati provenienti da
più fonti. Si mantiene lo sguardo sull’opera del progettista e del pubblicista, ma si limitano i commenti critici a pochi essenziali interventi, quelli
certi, autonomi e leggibili, nel tentativo di costruire un ritratto parziale
ma orientativo di una personalità ancora in corso di studio.
57
I principali tratti biografici dell’architetto Pasqui si trovano in
F. Galvani et al. (a cura di), Storia delle famiglie illustri italiane, a spese
dell’editore Ulisse Diligenti, Firenze 1872, ad vocem. Per una biografia
professionale sintetica si veda, Cresti Zangheri 1978, p. 179.
~ 34 ~
Leopoldo avrà altri tre fratelli
maschi, fra i quali Zanobi (17991884), avvocato e dal 1 Dicembre
1870 Senatore del Regno d’Italia
[foto 11].
Leopoldo si forma presso le
scuole degli Scolopi di Firenze
dove “apprese belle lettere, filosofia, fisica, idraulica, matematica sublime e astronomia; e nella
Università pisana si dedicò agli
studi forensi, non trascurando i
fisici e gli astronomici traendone immenso profitto e in particolar modo quelli che sono in 11. Stemma della famiglia Pasqui,
maggiori relazioni colla nobile ramo di Firenze.
professione di Architetto e Ingegnere, alla quale volle finalmente consacrarsi appieno.”58 In
seguito studia presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, 59
dove coglie l’occasione di curare la pubblicazione di un
volume che raccoglie i primi dieci progetti di Architettura premiati dall’Accademia a partire dall’istituzione del
premio triennale nel 1794: l’opera si intitola “Collezione
dei Progetti d’Architettura premiati nei grandi concorsi
triennali dalla Illustre Regia Accademia delle Belle Arti in
Firenze”, ed è il risultato dell’impegno curatoriale del nostro insieme agli architetti Camillo Lapi (attivo fra i tardi
anni ’20 e ’60 dell’Ottocento) e Pietro Passeri (?-1849), con
incisioni eseguite dall’architetto Angelo Cappiardi (attivo
fra i tardi anni ’20 e ’50 dell’Ottocento).60 Nell’introduzione
gli autori dispiegano il racconto storico degli stili archiGalvani 1872, p.n.n.
Cresti Zangheri 1978, p. 179.
60
Su gli architetti Lapi, Passeri e Cappiardi si veda Cresti Zangheri
1978, p. 49, 127, 180.
58
59
~ 35 ~
tettonici a partire da Michelangelo e sino al loro tempo;
l’età d’oro dell’architettura è rappresentata da “la felice
epoca del Cinquecento”, cui segue una fase di persistente alterazione dell’espressione architettonica, che giunge
incontrollata almeno fino alla “metà del secolo decimo
ottavo, nella quale infelice epoca più si stimava sapere e
più esercitava l’Arte chi più stranamente fantasticava”. A
rigenerare qualitativamente prassi e teoria dell’architettura
sullo scorcio del XVIII secolo convergono, secondo Pasqui,
Lapi e Passeri, la scoperta di Pompei, cui va riconosciuto
il merito d’aver diffuso il gusto per le “cose antiche”, ma
soprattutto l’avvento di un sovrano illuminato, Pietro Leopoldo Granduca di Toscana (1765-1790), capace di sostenere
“un genio che dotato dalla natura di una mente sagace e di
un gusto squisito, potè quanto si insegnava coi libri recare
coll’opere a effetto. Fu questi il nostro concittadino Niccolò
Gaspero Paoletti, che debbano i Toscani riconoscere come
della buona Architettura riformatore e maestro.”61 L’architetto Niccolò Gaspero Paoletti (1727-1813) ebbe l’incarico
di “maestro d’architettura” presso l’accademia riformata
a partire dal 1784, ma già dal 1766 svolgeva l’incarico di
lettore delle matematiche (ossia titolare degli insegnamenti
scientifici di geometria, meccanica e idrometria),62 e lungo il corso della sua carriera professionale e accademica
ebbe l’opportunità di affermare un personale e rinnovato
“classicismo di marca cinquecentesca”63 che lo colloca fra
gli anticipatori del movimento neoclassico. Alla sua scuola
si educarono i principali architetti della generazione professionale formatasi fra Sette e Ottocento, quali Giuseppe
L. Pasqui, C. Lapi, P. Passeri, Collezione dei Progetti d’Architettura premiati nei grandi concorsi triennali dall’Illustre Reale Accademia delle Belle Arti
in Firenze, Firenze 1828, introduzione.
62
Cresti Zangheri 1978, p. XII.
63
Cfr. L. Zangheri, Paoletti, Niccolò Maria Gaspero, in Dizionario Biografico degli Italiani (d’ora in poi D.B.I.), volume 81, consultazione online.
61
~ 36 ~
12. Galleria degli Uffizi, Firenze, Sala della Niobe, progetto di Niccolò Gaspero
Paoletti (1727-1813); un esempio di classicismo toscano della seconda metà
del XVIII secolo.
Manetti, Giuseppe Martelli, Giuseppe Valentini, Cosimo
Rossi Melocchi, Giuseppe Cacialli e Pasquale Poccianti, le
opere dei quali sono generalmente accomunate dal rigore
monumentale impostato con la didattica del loro comune
maestro.64 [foto 12]
Quando Pasqui, Lapi e Passeri danno alle stampe la Collezione nel 1828 il ruolo di Maestro d’Architettura presso la
Reale Accademia è occupato da Giuseppe del Rosso sino
al 1825, e da Giuseppe Vannini fino al 1849.65 Nella Collezione i progetti pubblicati appartengono in gran parte agli
architetti sopraricordati, ma anche ad altri, e riproducono i
Ivi; in generale sul tema si veda D. Matteoni, La Toscana prima
dell’Unità d’Italia, in A. Restucci (a cura di), Storia dell’architettura italiana,
L’Ottocento, Milano 2005, vol. I, pp. 166-201; M. Cozzi, F. Nuti, L. Zangheri (a cura di), Edilizia in Toscana. Dal granducato allo Stato Unitario,
Firenze 1992.
65
Cresti Zangheri 1978, p. XIII.
64
~ 37 ~
saggi d’allievi capaci che mettono in mostra le loro idee per
grandiose soluzioni architettoniche, risolte a scala urbana e
univocamente improntate a un neoclassicismo scrupoloso
congiunto alla trattatistica, antica e moderna, e generosamente all’opera di Palladio.
Pasqui esercita la pratica di architetto presso lo studio di
Pasquale Poccianti (1774-1858)66 e negli stessi anni collabora
con il Padre Scolopio Giovanni Inghirami, del quale sembra
rimanere fedele amico per tutta la vita; i tratti biografici
redatti dal Conte Galvani sono suggestivi in merito: “Fu
compagno all’Inghirami in vari lavori astronomici di molta
entità e lo seguitò per 4 anni nei suoi viaggi scientifici: né
meno lo venne coadiuvando nella triangolazione della Toscana per divenire alla formazione della pianta geografica
della medesima, che esso pure giovò della Valente opera
sua nella parte riguardante il disegno e il calcolo delle varie
longitudini e latitudini dei diversi paesi: pel che venne in
tanta esitazione dell’Inghirami da averlo per tutta la vita in
moltissimo pregio e affezione.”67
La relazione di Pasqui con i Padri Scolopi procurerà all’architetto l’incarico del progetto di ampliamento del Collegio
di San Giovannino di Firenze, sede principale dell’istituzione scolastica, all’indomani della donazione di beni e sostanze da parte del sovrano Leopoldo II, a sostegno e beneficio
dell’opera dei Padri nella loro attività fiorentina. [foto 13]
Fra il 1836 e il 1838 Pasqui segue le opere occorrenti alla
trasformazione di palazzo Martelli, parte della donazione
sopradetta, destinato ad ampliare il collegio; l’approccio
dell’architetto è propeso senza incertezze al mantenimento
dell’immagine architettonica del palazzo originario, progetCresti Zangheri 1978, p. 179.
Galvani 1872, p.n.n.; si veda inoltre, A. Cantile (a cura di), Toscana
geometrica. La prima corografia geodetica regionale e il contributo dell’Osservatorio Ximeniano, Firenze 2008, in particolare i saggi del curatore. Ringrazio
l’architetto Andrea Cantile per la disponibilità accordata alla presente
ricerca.
66
67
~ 38 ~
13. Firenze, Collegio di San Giovannino di Firenze dei Padri Scolopi, veduta
della facciata su piazza San Lorenzo.
tato negli anni Ottanta del XVI secolo da Bartolomeo Ammannati (1511-1592) e rielaborato nel corso del XVII secolo
dagli architetti Giulio Parigi (1571-1635) e Alfonso Parigi Il
Giovane (1606-1656). L’ampliamento del collegio ingloba il
palazzo dei Martelli, funzionalizzandone gli interni al servizio scolastico, e trasformandone radicalmente gli esterni,
per ricondurre la sua immagine verso quella tardocinquecentesca dell’originario collegio ammannatiano. L’occasione
offre a Pasqui – di nuovo – lo spunto per affermare la sua
predilezione verso l’architettura cinquecentesca, anche nelle scelte professionali compiute nella prima metà del XIX
secolo. All’interno del collegio l’architetto dà invece prova
della propria capacità e libertà compositiva con l’elaborazione di due nuovi ambienti che si distinguono per dimensioni e caratteri formali, aulici e ricercati: i due vani, oggi
scomparsi, erano costituiti dalla “Scuola di Matematiche e
Filosofie”, a pianta ottagonale, e la “Sala delle Accademie
e dei pubblici esperimenti”. In quest’ultima in particolare
~ 39 ~
14. Archivio della Provincia Italiana dei P.P. Scolopi, Firenze; progetto per la
Sala delle Accademie e dei pubblici esperimenti, architetto Leopoldo Pasqui,
1836-’38, sezione longitudinale.
[foto 14], l’architetto predispone una pianta ad aula unica
con tribuna sopraelevata, coperta con volta a botte sostenuta da un ordine architettonico ionico di lesene intercalate
da grandi specchiature, a loro volta sovrastate da lunette
dipinte, un apparato profusamente decorato comprendente
opere ad affresco e stucco. Un tale progetto d’interni consente di evidenziare con chiarezza la cultura architettonica
classicista del progettista, e insieme il suo debito progettuale
verso un’altra rara e importante opera fiorentina dell’età
della Restaurazione,68 a essa coeva, la Tribuna di Galileo alla
68
Sul tema dell’architettura fiorentina (e italiana) della prima metà
dell’Ottocento si vedano, G. Morolli, Panorama cronologico dell’architettura
italiana dalla prima metà dell’Ottocento e della contemporanea arte toscana, in
F. Borsi, G. Morolli, L. Zangheri (a cura di), Firenze e Livorno e l’opera di
Pasquale Poccianti nell’età granducale, Roma 1974, pp. 77-200; D. Matteoni
2005, pp. 166-201; Cozzi Nuti Zangheri 1992; L. Zangheri, Alla scoperta
della Toscana Lorenese. L’architettura di Giuseppe e Alessandro Manetti e Carlo
Reishammer, catalogo della mostra, Firenze 1984.
~ 40 ~
15. Museo di Storia Naturale di Firenze, Tribuna di Galileo, progetto dell’architetto Giuseppe Martelli inaugurato nel 1841. La sezione longitudinale è stata
eseguita dall’architetto Riccardo Semplici, 1990 circa.
Specola, inaugurata nel 1841 in occasione del 3° Congresso
degli Scienziati Italiani e commissionata da Leopoldo II
all’architetto Giuseppe Martelli (1792- 1876). [foto 15]
La Sala delle Accademie di Pasqui prende le mosse dal
primo progetto planimetrico redatto da Martelli, databile
al 1829-’30, dal quale differisce unicamente nella soluzione
adottata per unire sala e tribuna, mentre presenta la stessa
scelta nell’uso dell’ordine ionico e un approccio decorativo
sovrapponibile negl’intenti artistici ed espressivi.69
69
Per l’intervento di Pasqui al collegio dei Padri Scolopi si veda,
Galvani 1872, p.n.n.; F. Fantozzi, Pianta geometrica della Città di Firenze
alla proporzione di 1 a 4500 levata, Firenze 1843, pp. 125-126; Idem,
Nuova Guida, ovvero Descrizione storico-artistico-critica della città e contorni
di Firenze, Firenze 1843, p. 457; G.E. Saltini, Le arti belle in Toscana, Firenze 1862, p. 21; Cresti Zangheri 1978, p. 179; F. Bigazzi, Istruzioni e
memorie della città di Firenze, Firenze 1866, pp. 32-33; C. Carmagnini, P.
~ 41 ~
Ancora nel 1841 Padre Inghirami promuove nuovi lavori al
collegio volti alla buona conclusione di quelli avviati qualche
anno prima, specialmente nel cortile; nel 1843 l’architetto
è incaricato del restauro della facciata di San Giovannino70
[foto 16]. Infine una serie di aggiustamenti e modifiche avviano nel 1858 quando i Padri decidono la soppressione di
due dei quattro oratori interni al collegio, ai cui apparati
decorativi sembra che lo stesso Pasqui avesse già lavorato
nel 1844; l’architetto è chiamato ora a modificare l’antico
oratorio della Madonna della Neve, che alla conclusione
dei lavori verrà descritto come “riuscito così felicemente”,
e parte della Sala delle Accademie, affinché questa ricca e
ampia risorsa possa essere utilizzata anche come oratorio,
un’opportunità prevista in realtà sin dall’inizio.71
La fiducia accordata all’architetto Pasqui dai Padri Scolopi
è una storia di lunga durata e di reciproca soddisfazione. Con
l’architetto collaborerà anche il fratello di Padre Inghirami,
Matracchi, Il Collegio di San Giovannino in Firenze: rilievo architettonico e
interpretazione delle vicende costruttive dal progetto di Bartolomeo Ammannati
ad oggi, in «Ricerche. Bollettino quadrimestrale degli Scolopi Italiani»,
a. VI, n° 3, Firenze 1986, pp. 295-347, in particolare le pp. 336-338;
M. Khiene, Bartolomeo Ammannati, Milano 1995, pp. 138-145. Per la
decorazione della Sala delle Accademie, N.P. Tanzini, La sapienza ispirata
dalla religione: pitture nella sala degli esperimenti nel collegio delle Scuole
pie fiorentine, Firenze 1838. Il progetto autografo di Leopoldo Pasqui
è conservato presso l’Archivio dei Padri Scolopi di Firenze (Archivio
della Provincia Italiana dei P.P. Scolopi, Firenze), che ringrazio per
l’accoglienza riservatami come studiosa; in particolare Padre Sergio
Sereni e il Prof. Andrea Cecconi.
Per l’architetto Giuseppe Martelli e la realizzazione della Tribuna di
Galileo si vedano, N. Wolfers, P. Mazzoni (a cura di), La Firenze di Giuseppe
Martelli (1792-1876) L’architettura della città fra ragione e storia, catalogo della
mostra, Firenze 29 marzo-25 maggio 1980, Firenze 1980, pp. 57-68; A.
Gambuti, La Tribuna di Galileo, Firenze 1990.
70
La circostanza è ricordata sulla stessa facciata della chiesa, nella
lapide marmorea che occupa la nicchia di destra. Per l’intervento, Carmagnini Matracchi 1986, p. 338 e Khiene 1995, p. 144.
71
Carmagnini Matracchi 1986, p. 338.
~ 42 ~
16. Veduta della lapide posta in memoria dei lavori di restauro (datati
1843) condotti dall’architetto Pasqui alla facciata della chiesa di San
Giovannino, Firenze, qui di seguito
trascritta: Anno MDCCCXLIII | Ecclesiae Frontem | Temporum iniuriis
post duo saecula | Sordescentem et
pene interituram | Patres Scholarum
Piarum | Commodis et ornamentis
| Interius ad perfectionem auctis |
Viri spectatissim superius aeneis
literis | Ex eorum voluntate merito
scripti | Beneficentia et liberalitate
| Leopoldo Pasquio Architecto FL |
Reficiundam Curarunt.
Traduzione: «Nell’anno 1843 i Padri
delle Scuole Pie provvidero a restaurare la facciata della chiesa dopo
due secoli in misere condizioni per
l’ingiuria delle stagioni e quasi destinata alla rovina, aumentati gli agi
e gli ornamenti all’interno fino alla
perfezione, grazie alla benefica generosità dell’uomo ragguardevolissimo
sopra citato giustamente con lettere di bronzo secondo la loro volontà per
mano di Leopoldo Pasqui, architetto fiorentino». Sono grata al Dott. Marco
Grossi per la traduzione.
Francesco (1772-1846),72 colto etruscologo del suo tempo,
con cui Pasqui redigerà un piccolo volume biografico dedicato all’architetto Giuseppe del Rosso, “maestro d’architettura” all’Accademia dopo Paoletti, come sopra ricordato.73
A Firenze l’architetto Pasqui segue cantieri di nuova costruzione e restauro per diversi committenti; la lista redatta
dal Conte Galvani aiuta a percorrere un veloce excursus su
di essi ed è utile a queste note: “[…] Né a queste si limitano
soltanto le opere del suo meraviglioso ingegno, che vi appartengono pur anco la fabbrica del Capitolo della Piazza
72
Inghirami, Francesco, in “D.B.I.”, volume 62, 2004, consultazione
online.
73
F. Inghirami, L. Pasqui, Notizie biografiche del Prof. Giuseppe del Rosso,
s.d.
~ 43 ~
17. Veduta del Palazzetto Giorgi, oggi
Hotel Executive, Via
Curtatone, Firenze;
progetto dell’architetto Leopoldo Pasqui, 1829.
18. Veduta dell’antico Palazzo Del Palagio, posto
fra via Bufalini e via de’
Servi, proprietà della famiglia dell’architetto Leopoldo Pasqui; restauro ed
ampliamento a cura dello
stesso eseguiti tra il 1838
ed il 1843.
~ 44 ~
19. Archivio Storico del Comune di Firenze, “Archidis”, foto d’epoca del Villino
Cecchi, Firenze. Il villino si trova in via Palestro angolo via Solferino, ed è oggi
denominato Palazzo Dalgas di Frassineto. Viene progettato e costruito ex-novo
dall’architetto Pasqui per la famiglia Cecchi presso l’area di nuova urbanizzazione delle Cascine, avviata a partire dai tardi anni Quaranta dell’Ottocento.
di San Lorenzo, il Palazzetto Giorgi, [foto 17]74 la Cappella
Alighieri, la Sacrestia di San Remigio,75 la parte del Palazzo Chierici prospiciente il Canto alla Paglia,76 la facciata
del proprio palazzo in via de’ Servi, [foto 18]77 la facciata
dell’altro Palazzo Pasqui di proprietà del fratello Zanobi in
74
Il “Palazzetto Giorgi” è oggi l’Hotel Executive posto in Via Curtatone, 5-7 a Firenze; si vedano, Fantozzi 1843, p. 23, che data l’intervento
al 1829; “Scheda” nella banca dati online Repertorio delle Architetture Civili
di Claudio Paolini. Un ringraziamento sincero va al Prof. Paolini, cui
debbo orientamenti e consigli.
75
Fantozzi 1843, p. 140; Cresti Zangheri 1978, p. 179, che datano le
opere al 1846.
76
“Scheda” sul “Casamento della Scuola dei Chierici”, posto nel Capitolo della Basilica di San Lorenzo, nella banca dati online Repertorio delle
Architetture Civili di Claudio Paolini, e relativa bibliografia.
77
Si tratta dell’antico “Palazzo del Palagio” posto fra via Bufalini e via
de’ Servi di proprietà della famiglia dell’architetto: […] Di questa l’archi-
~ 45 ~
Via dè Cresci,78 quella del Palazzetto Pagni in Via Rondinelli, quella del palazzo appartenente al di lui figlio Filippo in
Borgo Pinti,79 la costruzione dalle fondamenta in via Palestro
delle fabbriche Cecchi [foto 19], e di quelle del Falcini in via
Garibaldi,80 il palazzetto Zappi in Piazza dell’Indipendenza,81
tetto Leopoldo (al quale serve di abitazione e studio) ne ha eseguita la riduzione
in moderna forma dall’anno 1838-’43, aggregandovi diverse continue casupole,
ma con saggio consiglio ha conservato quanto potevasi della sua antica forma
e struttura, e fra altre cose la scala, gli archi, e i sodi che occupavano il piano
terreno., in Fantozzi 1843, pp. 150-151; E. Bacciotti, Firenze illustrata nella
sua storia, famiglie, monumenti, arti e scienze, Firenze 1886, pp. 512-513;
Cresti Zangheri 1978, p. 179; Firenze Studi e Ricerche sul centro storico, Pisa
1974, p. 84; “Scheda” nella banca dati online Repertorio delle Architetture
Civili di Claudio Paolini.
78
Si tratta del palazzo che ospita la sede storica della Cassa di Risparmio di Firenze in via Bufalini, appartenuto al fratello dell’architetto
Leopoldo, il senatore Zanobi Pasqui; si veda la “Scheda” nella banca dati
online Repertorio delle Architetture Civili di Claudio Paolini.
79
Si tratta di “Palazzo Caccini”, detto anche dei Riccardi Vernaccia
o dei Del Corona, in Borgo Pinti 31-33 a Firenze, dove risiedeva il figlio
dell’architetto Pasqui, Filippo; si vedano, Fantozzi 1843, p. 172, che data
l’intervento al 1843; Bacciotti 1886, pp. 443; Cresti Zangheri 1978, p.
179; “Scheda” nella banca dati online Repertorio delle Architetture Civili di
Claudio Paolini.
80
Con “Fabbriche Cecchi” e “Falcini in via Garibaldi” sono da identificare rispettivamente il cosiddetto “villino Cecchi” oggi denominato
Palazzo Dalgas di Frassineto posto in via Palestro 3, e Palazzo Falcini
posto in via Garibaldi 8-10 a Firenze. I due palazzi vengono progettati e
costruiti ex-novo dall’architetto Pasqui presso l’area di nuova urbanizzazione delle Cascine avviata partire dai tardi anni Quaranta dell’Ottocento; sul tema si vedano, G. Corsani, Il nuovo quartiere di Città delle
Cascine dell’Isola a Firenze (1847-1859), in G. Fanelli (a cura di), Firenze
nel periodo della Restaurazione (1814-1859): allargamenti stradali e nuovi
quartieri, in Storia dell’Urbanistica/Toscana I, Roma 1987, pp. 19-65; G.
Orefice, L’Arno a Firenze nella prima metà dell’Ottocento fra cronaca e storia,
in Firenze nel periodo della Restaurazione (1814-1864): la definizione di una
nuova immagine urbana, in Storia dell’Urbanistica/Toscana III, Roma 1995,
pp. 52-64. Su Pasqui e i palazzi in questione, Cresti Zangheri 1978, p.
179, solo per Palazzo Falcini, datato al 1846; “Schede” inerenti Palazzo
Dalgas di Frassineto e Palazzo Falcini nella banca dati online Repertorio
delle Architetture Civili di Claudio Paolini.
81
Sulla creazione di piazza Indipendenza e in generale sui progetti
per il nuovo quartiere fiorentino detto di “Barbano” si veda, G. Corsani,
~ 46 ~
il nuovo taglio dalla via S. Gallo a quella di Santa Reparata,82
la restaurazione della porta di Michelangelo della Chiesa di
Santa Apollonia, che era in pieno stato di deperimento,83 i
restauri operati al Palazzo Digerini Nuti,84 e quelli alla facciata del Palazzo Bardi in prossimità del Ponte alle Grazie,
di Brunellesco,85 la facciata del Palazzo Bargigli,86 e il compimento di quella degli Innocenti.”87
Fra le opere non ricordate dal Conte Galvani e sicuramente da assegnare al catalogo dell’architetto ci sono i restauri
della facciata del collegio dei Padri Scolopi in via Sant’Agostino a Firenze,88 i lavori alla cappella della Madonna delle
Il nuovo quartiere di Barbano, in Firenze nel periodo della Restaurazione (18141864): la definizione di una nuova immagine urbana, in Storia dell’Urbanistica/
Toscana III, Roma 1995, pp. 7-30.
82
L’intervento di apertura del tratto di strada fra via San Gallo e via
Santa Reparata viene trattato dalla storiografia nel complesso della
realizzazione del nuovo quartiere fiorentino detto di “Barbano”; si
veda, Corsani 1995, pp. 7-30. Per il tratto oggi compreso nell’intera
lunghezza via XXVII Aprile se ne veda la descrizione in G. Francois,
Nuova guida della città di Firenze ossia descrizione di tutte le cose che vi si
trovano degne d’osservazione, con piante e vedute, Firenze, presso l’Editore
Antonio Giuntini, 1857, p. 257; inoltre la “Scheda” dedicata al Cenacolo
di Santa Apollonia nella banca dati online Repertorio delle Architetture
Civili di Claudio Paolini.
83
Fantozzi 1843, p. 86, che la ricorda per i risultati negativi: “La porta
della chiesa disegnata dal Buonarroti è stata assai male restaurata”.
84
L’intervento da parte di Pasqui attende di essere riconosciuto dalla
storiografia; sul palazzo si veda la “Scheda” nella banca dati online Repertorio delle Architetture Civili di Claudio Paolini, e relativa bibliografia.
85
L’intervento da parte di Pasqui attende di essere riconosciuto dalla
storiografia; sul palazzo, detto “Bardi alle Grazie”, si veda la “Scheda”
nella banca dati online Repertorio delle Architetture Civili di Claudio Paolini, e relativa bibliografia.
86
L’intervento da parte di Pasqui attende di essere riconosciuto dalla
storiografia; sul palazzo, detto oggi “Bastogi”, sede dell’Archivio Storico
Comunale di Firenze, si veda la “Scheda” nella banca dati online Repertorio delle Architetture Civili di Claudio Paolini, e relativa bibliografia.
87
Cresti Zangheri 1978, p. 179, che datano l’intervento al 1846; si veda
inoltre la “Scheda” nella banca dati online Repertorio delle Architetture Civili
di Claudio Paolini, e relativa bibliografia. La citazione completa è tratta
da Galvani 1872, p.n.n.
88
Fantozzi 1843, p. 260; Cresti Zangheri 1978, p. 179, che datano
l’intervento al 1843; Bacciotti 1886, pp. 31.
~ 47 ~
Grazie posta sul Lungarno omonimo a Firenze,89 i
restauri alla chiesa di San
Michele Visdomini a Firenze, [foto 20]90 i restauri al
complesso delle Murate e
a quello di San Silvestro,91
e le opere condotte presso
la prima sede della clinica
della maternità di Firenze,
in via degli Alfani angolo
via de’ Fibbiai.92 [foto 21]
Sono quindi da sommare
al catalogo professionale
di Pasqui i lavori ricordati
dal pievano Calcinai pres20. Firenze, facciata della Chiesa di San so il Seminario di FirenMichele Visdomini. La chiesa San Michele si zuola, e infine quelli ogtrova di fronte a palazzo Pasqui, dove la via
de’ Servi incrocia via Maurizio Bufalini e via getto del presente saggio,
de’ Pucci. Leopoldo Pasqui dirige le opere alla pieve di San Martino
di riordino eseguite nella chiesa nel 1872.
a Sesto, come sopradetto
progettati e non eseguiti direttamente dall’architetto.
89
G. Trotta, L’oratorio tra Settecento e prima metà dell’Ottocento, in Santa
Maria delle Grazie un oratorio fiorentino dal ’300 a oggi, Firenze 2011, pp.
83-93; Cresti Zangheri 1978, p. 179.
90
R. Tarchi, C. Turrini, San Michele Visdomini in Firenze, Firenze 1997,
pp. 9-11; C.C. Calzolai, San Michele Visdomini, Firenze 1977, p. 170.
91
Cresti Zangheri 1978, p. 179; U. Tramonti, Istituto San Silvestro, in
F. Carrara, L. Sebregondi, U. Tramonti (a cura di), Gli istituti di beneficienza a Firenze, Storia e architettura, catalogo della mostra, Firenze 1999,
pp. 153-157; “Scheda” sul monastero di San Silvestro nella banca dati
online Repertorio delle Architetture Civili di Claudio Paolini, e relativa bibliografia.
92
L’intervento alla prima sede della clinica della maternità dovrebbe
costituire l’ultima opera di Pasqui, forse non conclusa per la sopraggiunta scomparsa; l’occasione viene ricordata da una lapide marmorea posta
all’interno del cortile dell’edificio, oggi sede di istituzioni scolastiche
ed universitarie.
~ 48 ~
21. Lapide commemorativa dell’opera
offerta dall’architetto Pasqui presso la
prima sede della clinica della maternità
di Firenze.
Nel corso degli anni ’40 dell’Ottocento Pasqui risulta
attivamente impegnato presso la Comunità di Firenze dove
ricopre la carica di “Priore della seconda borsa” o “Priore
nobile”, a partire dal mese di febbraio del 1843 e sino al
1848, non continuativamente; essere Priore significava
rivestire un ruolo pubblico, a beneficio della comunità,
presso la Magistratura Civica, ovvero l’organo di governo
della città eletto dal Consiglio Comunale, presieduta dal
Gonfaloniere e in carica per un anno. In questo ruolo
l’architetto ha occasione di divenire membro di numerose
commissioni istituite per sovrintendere a lavori d’interesse
pubblico per la città di Firenze, come ad esempio l’allargamento di via Calzaiuoli, o ai provvedimenti necessari in
caso di piene o inondazioni dell’Arno, o di sorveglianza
diretta dell’amministrazione della cava pubblica di Monteripaldi; talvolta si occupa del reperimento di locali adeguati all’istruzione alle armi dei giovani che formeranno
la nuova “Guardia Civica”, altre di decidere la “variazione
della posizione dei lampioni in via de’ Ginori per migliorare l’illuminazione di quella strada”, e più in generale
esaminare le procedure di rinnovo dell’appalto per l’illu~ 49 ~
minazione della città.93 L’attività politico-amministrativa lo
porterà anche a collaborare presso la Comunità del Galluzzo, dove verrà eletto “Priore” per quattro volte.94
Con l’apertura della “Esposizione Italiana” di Firenze del
1861 l’architetto coglie l’opportunità di partecipare in prima
persona alla nuova grande kermesse allestita oltre i margini della città murata, nei pressi di Porta al Prato. Pasqui è
incaricato quale “Ispettore della Classe XII” dedicata alla
“costruzione di edifici”, che ospita “Materiali da costruzioni
e ornamenti naturali e artificiali – Loro estrazione e preparazione – Cementi – Oggetti, disegni e modelli attinenti
alle costruzioni”.95
Un professionista presente al suo tempo, in ambiti sia
professionali che istituzionali, che nutre interessi per i temi
specifici della progettazione architettonica, nella teoria e
nella prassi, come dimostrato sia dalle pubblicazioni giovanili, sia dalle ripercussioni che la sua opera riceve dai
coevi progetti redatti per il Granduca. È la sua una pratica
letterata, per esprimere la quale si serve di approfondite
conoscenze tecniche, storiografiche e di lettura degli impaginati architettonici, supportata da una chiara visione del
percorso storico-architettonico in divenire. A confermarlo
sono alcune pubblicazioni nelle quali l’architetto mostra il
suo diretto coinvolgimento in un tema fiorentino di accesa
discussione come il completamento della facciata di Santa
Maria del Fiore. Nel 1856 Pasqui entra nel vivo del dibattito
sostenendo pubblicamente uno dei tanti progetti allora di93
Per il ruolo politico e amministrativo di Pasqui alla Comunità di
Firenze si veda il patrimonio documentario conservato presso l’Archivio
Storico del Comune di Firenze nelle banche dati online delle Deliberazioni
magistrali e consiliari: http://wwwext.comune.fi.it/archiviostorico/index.
html?pa=bancadati/bancadati.html.
94
Cresti Zangheri 1978, p. 179.
95
Cresti Zangheri 1978, p. 179; Esposizione Italiana tenuta a Firenze nel
1861, Relazione Generale, presentata da Francesco Protonotari, Firenze,
Tip. G. Barbera 1867, vol. I, pp. CCIII, XC, LXI-LXII.
~ 50 ~
vulgati, quello dell’architetto Perseo Pompeo Faltoni (attivo
negli anni ’50 dell’Ottocento),96 che nel ’55 redige un progetto “dioramico” associandolo un’opera di carattere storico
intitolata La razionalità geometrica della pianta e dell’alzato di
Santa Maria del Fiore secondo il concetto d’Arnolfo. L’opera ha un
certo successo, incrementato dalla novità della visione prospettico-tridimensionale, e il carattere “orientale” del progetto suscita insieme interesse e perplessità. Il suo maggiore
detrattore sarà l’architetto Mariano Falcini (1804-1885),97
che troverà nell’insieme dell’idea Faltoni valutazioni errate e
vere e proprie “sviste”; a sua volta Pasqui si sentirà chiamato
in causa e interverrà di nuovo nel dibattito nel 1856, con
una pubblicazione composta da un breve testo corredato
da disegni tecnici, in cui discute in toni sereni ma minuziosi – quando non pignoli – le critiche condotte al Faltoni,
difendendolo. L’architetto Pasqui conduce la disamina delle
critiche asserite da Falcini utilizzando il suo patrimonio di
conoscenza storica e la sua usuale fluida eloquenza, di cui
di seguito vale riportare un esempio:
Fabbriche siffatte non possono che trattarsi da chi tendendo con mente
superna a cogliere l’effetto dell’insieme passa sopra ai dettagli, i quali o
trascuransi come fu in molti punti praticato da Arnolfo nella decorazione
del Tempio, o si curano con più dettaglio e maggiore accuratezza nella
pratica esecuzione quando siansi fermate ed assicurate con independenza le linee dell’insieme, il che molto bene potrebbe ottenersi anche per il
disegno Faltoni.98
Cresti Zangheri 1978, p. 91.
Cresti Zangheri 1978, pp. 88-89.
98
L. Pasqui, Esame delle osservazioni pubblicate sul disegno prospettico di
un progetto per la cattedrale fiorentina esposto al pubblico dall’arch. P. Pompeo
Faltoni, Firenze 1856, p. 15; gli articoli di approvazione del progetto
Faltoni da parte di Pasqui erano usciti sullo «Spettatore Italiano», a. II
(1856), n. 8, e sul «Monitore Toscano», 1856, n. 66. La questione è interamente riassunta in M. Cozzi, Dal progetto Silvestri alla posa della prima
pietra (1822-1860), in C. Cresti, M. Cozzi, G. Carapelli, Il Duomo di Firenze
1822-1887 L’avventura della facciata, Firenze 1987, pp. 43-45.
96
97
~ 51 ~
L’architetto tornerà sull’argomento all’indomani dell’avvio delle opere di completamento della facciata, nel corso
del 1871, quando la pulitura delle murature renderà visibile
un palinsesto celato in precedenza dagli intonaci; poiché
considerato uno spartito autografo di Arnolfo, Pasqui e
altri specialisti si appassionano alla partitura e la difendono
ritenendola “principio guida” per il costruendo progetto di
completamento.99
Infine, un saggio delle qualità di studioso e ricercatore
viene offerto dall’architetto con la pubblicazione nel 1849
di un fascicolo intitolato Brevi memorie del Santuario di Maria
SS. all’Impruneta compilato in occasione della solenne esposizione
di detta Santa Immagine avvenuta nei dì 5 6 7 8 9 settembre 1849
per ringraziamento del ritorno dell’ordine e della pace in Toscana
e del fausto ritorno dell’amato principe Leopoldo Secondo, con cui
dimostra che la datazione della Pieve di Santa Maria può
essere spinta indietro di oltre due secoli e mezzo, su base
documentaria. La tensione verso l’investigazione storica si
avvale di supporti documentari colti, poiché le sue asserzioni
sono condotte sotto l’egida dell’opera muratoriana delle
Antiquitates italicae medii aevi.100
Nell’arco della sua carriera l’architetto è testimone del
mutevole contesto fiorentino delle grandi trasformazioni
urbane precedenti e posteriori l’avvento di Firenze capitale,
che vedono la città storica aprirsi a radicali mutamenti e a
99
Sullo spartito della facciata dopo la demolizione degli intonaci E.
De Fabris, Intorno allo stato di consistenza della vecchia facciata del Duomo e
delle sue fondazioni, Rapporto, Firenze 1871; sulla questione Cozzi 1987, pp.
100, 129, 165-165, 186. Sull’intervento di Pasqui, L. Pasqui, La facciata
del Duomo di Firenze, Firenze s.d.; Necrologia di Leopoldo Pasqui architetto,
Firenze 1876.
100
L. Pasqui, Brevi memorie del Santuario di Maria SS. All’Impruneta compilato in occasione della solenne esposizione di detta Santa Immagine avvenuta nei
dì 5 6 7 8 9 settembre 1849 per ringraziamento del ritorno dell’ordine e della pace
in Toscana e del fausto ritorno dell’amato principe Leopoldo Secondo, Firenze,
Tipografia del Giglio, 1849, p. 9.
~ 52 ~
un ambiente cosmopolita.101 Alcune delle occasioni professionali di Pasqui si collocano proprio nell’ambito di dette
trasformazioni, altre nel restauro di importanti monumenti
storici; l’architetto partecipa attivamente alla vita cittadina
rendendosi disponibile al dibattito su temi di grande attualità. Ogni opera o posizione intellettuale del tecnico-studioso
appaiono guidate dal filo conduttore della “storia”, che è
eletta a condizione sine qua non delle ricerche teoriche e del
progetto di architettura. Nel secolo che vede l’affermazione
degli “stili” come espressione di un’estetica urbana che cerca
nel classicismo, nel medioevo, o nel rinascimento il proprio
tratto peculiare, Pasqui, che si forma all’ombra del terso neoclassicismo di maestri quali Paoletti e Poccianti, sceglie di
seguire la poetica classicista adottando un linguaggio neorinascimentale che gli consente di produrre manufatti ispirati
ai più importanti palazzi fiorentini del rinascimento, quelli
di Ammannati, Dosio e Buontalenti; è sugli esempi suddetti
che l’architetto ispira le sue opere costruite ex-novo, come i
villini Cecchi e Falcini. Opere equilibrate, dignitosamente
eleganti, dotate di una moderata forza espressiva e connotate da una cifra linguistica di grande prestigio. Si tratta dello
stesso neocinquecentismo che solo qualche anno più avanti potrà essere rilevato nelle opere del noto architetto fiorentino
Giuseppe Poggi, autore degli ampi progetti pubblici riguardanti l’abbattimento delle mura a favore dell’apertura verso
l’espansione urbana di Firenze e la costruzione del viale
di collina culminante nel piazzale panoramico intitolato a
“Michelangelo”, e numerosi progetti urbani ed extraurbani
101
Sul cosmopolitismo fiorentino, M. Fantoni, D. Lamberini, J. Pfordresher (a cura di), Gli anglo-americani a Firenze. Idea e costruzione del
Rinascimento, atti del convegno, Roma 2000; Restucci 2005, vol. I, p. 214;
G. Gobbi Sica, Nell’occhio anglo-americano: Firenze fra Ottocento e Novecento, e
Cultura e mondanità internazionale nella seconda metà del secolo XIX. Il console
Colnaghi e la sua cerchia, in M. Ciacci, G. Gobbi Sica (a cura di), I giardini
delle Regine, catalogo della mostra, Firenze 2004, pp. 40-69, 76-79.
~ 53 ~
per privati cittadini, talvolta di conservazione e restauro,
talvolta di nuova edificazione.102
Un’architettura, quella neorinascimentale, a cui ci si rivolge in ossequio ad un passato glorioso che motivi la spinta
verso un avvenire virtuoso, nella quale l’Italia unita non fatica a riconoscersi, come ricorda chiaramente Francesco De
Cesare nella sua opera Dello stile architettonico proprio italiano:
questo stile è precisamente storico nazionale, collegato a un’architettura italiana del passato, non nuovo di pianta e d’indole
compiutamente regionale […] serve benissimo ai costumi attuali,
tanto che gli italiani ne studiano le reliquie lasciateci dagli antichi.
Conservando lo stile, possono ammettersi particolari modifiche
richieste dalla diversità dei luoghi, de’ costumi, de’ materiali delle
varie province italiane”.104
Ed è a questo stile che si uniforma la nuova patria, che assiste alle vorticose espansioni urbane delle tre città capitali, Torino, Firenze e Roma, ma anche di Napoli, Palermo, Milano o
Genova, che, nella complessità della loro immagine urbana,
adotteranno diffusamente un volto urbanistico globalmente
standardizzato al linguaggio neorinascimentale.105
102
Sul neocinquecentismo dell’opera di Giuseppe Poggi si veda, Manetti
Morolli 1989; inoltre, G. Morolli, La città giardino di Giuseppe Poggi. Dal
“Quartiere di Collina” al Viale dei Colli, in Il Disegno della città. L’urbanistica
a Firenze nell’Ottocento e nel Novecento, Firenze 1986, pp. 67-100; F. Borsi,
La Firenze del Poggi, in Ibidem, pp. 39-42; Borsi 1970.
103
Si ricorda che nella seconda metà dell’Ottocento l’interesse per
il Rinascimento italiano produce una storiografia cardine per la storia
del movimento, attraverso opere come il Der Cicerone di Jacob Burckard,
edito a Basilea nel 1855, il Die Kultur der Renaissance in Italien, pubblicato
a Lipsia nel 1859 (la traduzione italiana di Burckard sarà edita a Firenze
nel 1876), e l’opera di Heinrich Wolfflin, Renaissance und Barock, apparsa
a Monaco nel 1888; cfr., R. De Fusco, L’architettura dell’Ottocento, Milano
1992, p. 137; un contributo in questo senso in A. Buck, C. Vasoli (a cura
di), Il rinascimento nell’Ottocento in Italia e Germania, Bologna 1989, pp.
9-21 e 157-169.
104
F. De Cesare, Dello stile architettonico proprio italiano, Napoli 1883, p.
19. Sul tema, M. Cozzi, Verso uno stile per la Toscana unita, in M. Cozzi, F.
Nuti, L. Zangheri (a cura di), Edilizia in Toscana. Dal granducato allo Stato
Unitario, Firenze 1992, pp. 135-161.
105
Sul fenomeno dello sviluppo urbano nel corso del XIX secolo, A.
Caracciolo (a cura di), Dalla città preindustriale alla città del capitalismo,
~ 54 ~
La pieve prima del restauro
Calcinai dedica un paragrafo nella propria opera, i Cenni
storici, al racconto della chiesa prima dei restauri, che inizia
con la descrizione dello stato della facciata. Il pievano ricorda che sulla parte superiore si trovava un grande finestrone
di forma rettangolare, oggi scomparso a favore di un rosone
in pietra e vetro piombato di forma circolare; quel finestrone, secondo Calcinai, sarebbe stato utile e sufficiente a illuminare tutta la navata principale, non fosse per i sostanziosi
cambiamenti introdotti dal pievano Brogialdi, che, nel 1860
fece occludere quella apertura con l’allestimento del nuovo
organo in affiancamento alla controfacciata106 [foto 22].
Ai lati del finestrone rettangolare si trovavano gli stemmi
angolari dei patroni Venturi, come oggi, probabilmente
in condizioni migliori di quelle odierne.107 Con le parole
L’aspetto della facciata è basilicale, e assai pregevole, se il porticato
e l’alzato terreno non la rendesse sì bassa e come avvallata nel suolo,
il pievano intende sottolineare che il bel fronte antico della
pieve è abbrutito dalla presenza del portico costruito nel
primo Seicento; prosegue poi, Entrati in chiesa per la porta
maggiore d’un’occhiata si vede che è a tre navi, con sette archi a sesto
sostenuti da pilastri quadrilateri a specchio, con lo zoccolo e cogli
Bologna 1978; C. De Seta (a cura di), Le città capitali, Roma-Bari 1985;
sull’architettura dello sviluppo urbano italiano del XIX secolo, Restucci
2005. Per il neorinascimento come linguaggio autonomo nella seconda
metà del XIX secolo, De Fusco 1992, pp. 136-151; L. Patetta, L’architettura
dell’Eclettismo, fonti, teorie, modelli, 1750-1900, edizione Milano 2008, pp.
311-373; R. Pavoni (a cura di), Reviving the Reinassance. The use and abuse
of the past in nineteenth-century italian art and decoration, Cambridge University Press 1997. Per il neorinascimento europeo si veda, R. Middleton,
D. Watkin, Architettura Ottocento, Milano 2009, pp. 203-311.
106
“Nel 1860 il Pievano canonico Bartolommeo Brogialdi fece costruire da Odoardo e figli di Viareggio l’organo che posto in fondo di
chiesa la rese oscura chiudendo il finestrone della facciata”, in Calcinai
1880-’81, c. 78.
107
Il finestrone rettangolare è documentato da una delle rare iconografie riguardanti la pieve; si veda qui, foto n° 22.
~ 55 ~
22. Archivio Pieve San Martino, Cantica Sacra, manoscritto, 1799; particolare
di un capolettera con L. Si noti la rappresentazione della facciata di San Martino così come rilevata alla fine del XVIII secolo, con il finestrone rettangolare
al posto dell’attuale rosone.
spigoli e con i capitelli di pietra serena.108 Con queste parole il
pievano ricorda che la struttura della pieve è di forma basilicale e i pilastri che sostengono gli archi sono intonacati e
dotati di fasce lapidee che ne definiscono la base, gli spigoli
e gli scarni capitelli; del resto sappiamo che tutta la chiesa
era intonacata, e che L’alto della navata era a volta in stoia
senza alcun ornamento, anzi così mal fatto che proprio disconveni108
Calcinai 1880-‘81, cc. 79-80.
~ 56 ~
vasi a chiesa.109 Inoltre Calcinai ricorda che i muri portanti
della navata principale presentano disallineamenti visibili
– come ancora oggi – che il pievano suppone essere dovuto
al decadimento delle conoscenze operative del costruttore
medioevale, insieme all’aver probabilmente riutilizzato murature già presenti in situ, e averle inglobate in quelle ancora
oggi visibili.110 Calcinai prosegue raccontando che volgendo
lo sguardo verso la controfacciata si vede il grande organo
che è stato sistemato al di sopra della porta principale, in
appoggio a una nuova galleria appositamente eseguita per
il suo alloggiamento; volgendo invece lo sguardo verso la
tribuna si vedono l’arco di trionfo, così come riordinato nel
primo Seicento dal pievano Olmi, e oltre di esso l’abside
semicircolare con copertura a calotta, dalle sue parole, conforme alle chiese antiche.111 L’abside è descritta come illuminata
da due grandi finestre, oltre a una di forma ovale posta al
centro; Calcinai ricorda che fra esse [vi erano] quattro figure
dipinte a chiaro scuro, di grandezza naturale rappresentanti le tre
virtù [Fede, Speranza e Carità] e sotto la finestra di centro un
piccolo quadro a olio con l’immagine di S. Martino. Inoltre tutta
la calotta dell’abside era dipinta di color verde stellato.112
Passa poi a descrivere nel dettaglio il grande altare di
marmi colorati eseguito alla fine del Settecento, su commissione del pievano Meucci, e la sua collocazione nella tribuna.
Nel raccontare gli affreschi che decorano i quattro pilastri
vicini all’altare maggiore ricorda che, a parte l’affresco d’età
medievale raffigurante la Madonna del Latte, l’immagine di
Santa Rosalia, di Santa Bartolomea Bagnesi e di un Santo
descritto come “non identificato” vengono riscoperti proprio in occasione dei lavori di restauro da lui intrapresi.113
Ivi, c. 81.
Ivi.
111
Ivi.
112
Ivi, c. 83.
113
Ivi, c. 84. Il santo “non identificato” da Calcinai è “San Giuseppe
con il Bambino” ancora oggi visibile sul pilastro a destra dell’altare
maggiore.
109
110
~ 57 ~
È probabile che nell’occasione alcuni saggi vengano eseguiti su gli altri pilastri, alla ricerca di tracce d’affreschi;
tuttavia il pievano non menziona altro. Più avanti, alla metà
del Novecento, altre tracce di materiali pittorici verranno
recuperate sui pilastri, in occasione dello stacco completo
degli intonaci.
Uscendo dalla tribuna e percorrendo di nuovo la navata
centrale il pievano descrive la presenza in chiave dell’arco
trionfale di un gran baldacchino in legno con qualche intaglio
dorato e barocco, a documentare la presenza di decorazioni
di tale gusto, e inoltre, Poco al di sopra de’ capitelli de’ pilastri
ricorreva per tutta la chiesa un cornicione in legno che rendeva più
pesante la per se stessa grave architettura della chiesa medesima.114
Si deve tener conto che la grande navata centrale doveva essere più bassa rispetto alla visione slanciata che ne abbiamo
oggi, perché le capriate in legno erano coperte dalla stuoia;
inoltre era interamente intonacata, forse colorata in bianco
o forse verde acquamarina, un colore diffuso con il gusto
tardobarocco che come abbiamo visto, è documentato per
quanto riguarda l’abside. Un cornicione in legno posto al
di sopra degli archi – quanto sopra non lo sappiamo – appesantiva l’immagine della navata già intozzata dall’altezza
ridotta. Inoltre, in prossimità del terzo arco di sinistra a
partire dalla tribuna, si trovava il pulpito di forma ottagona di
bel disegno e con intagli, opera pregevole del 1620. Si accede ad esso
per una scaletta di legno chiusa, a fianco del pilastro; ha sopra un
baldacchino in legno della medesima forma e con ricorso di cornice
pure intagliata.115
Le due cappelle barocche poste in fondo alle navate laterali vengono descritte a lungo per le loro qualità pittoriche;
tuttavia la parete laterale esterna della cappella dedicata al
Santo Nome di Gesù mostra chiari segni di sofferenza dovuta
114
115
Ivi, cc. 84-85.
Ivi, c. 80.
~ 58 ~
all’umidità, che ha ormai compromesso le decorazioni originali; l’affresco raffigurante le Nozze di Cana risulta tanto
deturpato e guasto che non vale la pena di restaurarlo.116 Oltre le
cappelle barocche, lungo le navate laterali, si trovavano da
entrambi i lati due altari che oggi sono stati alloggiati in
vani costruiti appositamente, eseguiti proprio in occasione
del restauro Calcinai. I due altari erano intitolati quello
di sinistra alla Santissima Annunziata, (oggi dedicato a San
Giuseppe), mentre quello di destra apparteneva alla “Compagnia della Beata Vergine delle Candele” (oggi dedicato a
“Maria Regina della Pace”), un tempo decorato ad affresco
con le figure dei Santi a cui la confraternita era devota – San
Antonio Abate e San Mattia Apostolo – . I loro ingombri
rendevano il passaggio nelle navate laterali decisamente scomodo; ad aumentare tale inconveniente, oltre la porta che
oggi immette verso il campanile e il chiostro, era il Battistero,
che pur esso occupava buona parte della corsia.117 In prossimità
del fonte battesimale si trovava un altro altare a parete, la cui
dedicazione è ignota ma presumibile a San Giovanni Battista, che dopo i restauri voluti da Calcinai servirà d’ingresso
al piccolo nuovo ambiente destinato a ospitare il Battistero;
a destra, in posizione simmetrica, un altro altare a parete
era dedicato al Santissimo Crocifisso.
Infine il pievano ricorda che la sacrestia era collocata in
un vano di forma pressoché quadrata posto sulla destra della
tribuna, accessibile da una bella porta aperta in prossimità
della cappella barocca del Nome di Gesù, ma anche da una
piccola apertura di servizio affacciata sull’area dell’abside.
Nel detto vano si trovava già allora murato il ciborio trecentesco in pietra commissionato dal cittadino sestese Francesco
Pasquini del Maza, della cui collocazione originaria non è
dato sapere altro.
116
117
Ivi, cc. 97-98.
Ivi, c. 91.
~ 59 ~
Dobbiamo quindi immaginare nel complesso un aspetto
interno intonacato ma polveroso, ombreggiato a larghi tratti
per via delle tracce di nerofumo sulle pareti; complessivamente dimesso, talvolta scortecciato, spesso odorante di
umidità, con decori tardobarocchi ricchi di dorature ormai
svaporate, quel che basta per ricordare passati splendori;
con le navate laterali altrettanto polverose, scomode e piene d’ingombri. Inoltre: le cappelle barocche in fondo ai
percorsi delle navate ormai coperte dai segni del tempo,
illeggibili nelle lunette affrescate e con pareti lacere. Infine
un pesante cornicione a decorare le alte pareti della navata
di mezzo, appeso a qualche altezza, allo scopo di rendere
meno monotone le superfici prive di decorazione che correvano su fino alle finestre; posto con l’intento di creare una
cornice di gusto classico, ci chiediamo se originariamente
fosse sostenuto visivamente da lesene realizzate anch’esse in
legno, o forse solo dipinte, allestite sui prospetti dei pilastri.
Una serie di lesene disposte sui pilastri, complete di base
e capitello, più o meno fittizie, avrebbero motivato la presenza di una cornice al di sopra degli archi, e tale apparato
avrebbe contribuito nel complesso alla qualificazione della
navata centrale, visto che le laterali avevano ricevuto sotto
il plebanato di Pietro Martini (1620-1648) un’importante
valorizzazione attraverso la costruzione di volte in muratura
sostenute su peducci lapidei, l’esecuzione di tre nuovi altari
a parete in pietra con le relative tele, e infine la realizzazione delle acquasantiere in marmo e del fonte battesimale
in pietra e marmo.118
Se così fosse il cornicione sotto gli occhi del pievano Calcinai avrebbe avuto una motivazione nella forma e nella
collocazione, e, ormai privo del sostegno visivo delle lesene –
scomparse perché dipinte? – avrebbe avuto un aspetto assai
trascurato e solo pesante per la sua consistenza. Al tempo
118
B. Mazzanti, La pieve di San Martino a Sesto Fiorentino. Guida, Sesto
Fiorentino 2015, pp. 25-27.
~ 60 ~
stesso vale sottolineare come la presenza del cornicione, che
documenta un brano di classicismo sulle pareti della navata,
troverà nell’architetto Pasqui un osservatore pronto a ricomporre il carattere classico che la pieve doveva possedere fra
il XVII e la prima metà del XIX secolo.
Il progetto di restauro dell’architetto Leopoldo Pasqui
Nelle malconce condizioni suddette la pieve viene affidata,
plausibilmente nell’autunno del 1874, allo sguardo dell’architetto Pasqui, settantatreenne, progettista ormai esperto di restauro. Le richieste del pievano all’architetto sono
orientate verso la ricerca di un decoroso riordino generale
insieme alla necessità d’incrementare lo spazio a disposizione dei fedeli, senza tuttavia ampliare il volume della
chiesa, perché la popolazione di Sesto è cresciuta, insieme
ai suoi bisogni spirituali.119 Pasqui si reca a Sesto, e dopo aver
studiato e calcolato ciò che occorre consegna a Calcinai il
progetto, che si compone di quattro tavole e una relazione
tecnica. Il progetto viene poi affinato e infine consegnato
dal pievano Calcinai al comune di Sesto alla fine di maggio
del 1875; dopo esser stato vagliato dall’ingegnere comunale
Cintolesi e aver riportato una generale approvazione, viene
acconsentito con delibera comunale il 23 febbraio 1876. Nel
mese di ottobre dello stesso anno riceve il visto d’approvazione della Prefettura di Firenze.120
Il progetto Pasqui, poiché non reperibile negli archivi,
può essere ricostruito attraverso le parole degli addetti ai
lavori, ovvero dalle pratiche burocratiche prodotte per la
gestione dei lavori e dalle descrizioni del pievano Calcinai.
A soccorrere lo sguardo ci sono inoltre alcune immagini
V. supra, note n° 2, 16.
A.C.S.F., Postunitario, Culto 1866-1883, VII, 132, fasc. “Progetto
del restauro della chiesa di Sesto”, cc.nn.nn.
119
120
~ 61 ~
d’epoca, scattate fra la fine dell’Ottocento e la prima metà
del Novecento.
È tuttavia lecito chiedersi se, con la sopraggiunta morte
dell’architetto nel marzo del 1876, il progetto eseguito possa
essere quello originario, e non l’unione del progetto Pasqui
con il lavoro del suo esecutore, il prof. Ingegnere Carlo
Mariani, che, tempestivamente, avrà provveduto alle opportune o necessarie variazioni in corso d’opera. Dall’esame
dei carteggi conservati nei diversi archivi il progetto viene
costantemente associato all’architetto Pasqui, per il cui lavoro la stessa amministrazione comunale si compiace, con le
seguenti parole, […] di un lavoro fatto da si distinto architetto,
la Giunta stessa non ebbe nulla da osservare in contrario al progetto di restauri che fu sottoposto al suo esame,121 mentre il nome
dell’ingegner Mariani è ribadito quale figura destinata ad
assumere il ruolo di “direttore delle opere di restauro”, e dal
tono generale dei documenti come una figura stabilmente gregaria, diligente, nient’affatto interessata a oscurare
la luce prodotta dalla presenza di un progetto prestigioso
come quello di Leopoldo Pasqui. Quando il pievano Calcinai racconta la vicenda ricorda distintamente il lavoro
del nobile architetto e quello del volenteroso ingegnere, in
questi termini:
E più volte fu a sesto quel devoto uomo [l’architetto Pasqui], e interrogò, e considerò, e conobbe quali i bisogni e le aspirazioni del parroco e del
suo popolo, e quindi negli ultimi del 1874 fu in grado di far conoscere la
descrizione di tutti quei lavori che giudicava più convenienti e adattarli
a rendere la chiesa più arieggiata, più lucida, più ampia, più varia, e
più degna di essere detta casa di Dio, prevedendo una spesa da la sua
perizia di lire 13108,29 […]. La perizia viene qui riportata non tanto a
testimonianza di gratitudine verso il cav. Sig. Leopoldo Pasqui, ma perché
si veda fino a qual punto corrisponda di base all’eseguito restauro, e quali
121
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 3, Atti preparatori, c. 5v, copia della
lettera che il pievano riceve dall’amministrazione comunale, datata 28
ottobre 1875.
~ 62 ~
modificazione e miglioramenti vi abbia recato il chiaro Prof. Ing. Carlo
Mariani che in luogo dell’estinto architetto con mirabile intelligenza la
interpretò la modificò e diresse tutto il lavoro assistendo con assiduità e
sacrificio all’esecuzione di tutti i lavori.122
La perizia di cui parla il pievano non si è conservata, nemmeno in versione trascritta; dal momento in cui l’ingegner
Mariani entra a far parte delle operazioni di restauro dovrà
quindi sovrintendere alla corretta esecuzione delle opere,
anche interpretando e modificando in corso d’opera.
Il progetto Pasqui consiste in opere di ampliamento per
eliminazione di porzioni interne – la chiesa viene descritta
come angusta per il numero sempre crescente degli abitanti, deficiente di luce e di facile aereazione 123 – , ovvero la demolizione
delle mense degli altari laterali; la creazione di vere e proprie nuove cappelle laterali, come volumi architettonici
autonomi, in sostituzione degli altari a parete dedicati alla
Santissima Annunziata a destra, e a Sant’Antonio Abate e
Mattia Apostolo a sinistra, e una terza piccola cappella destinata a ospitare il fonte battesimale, allo scopo di liberare
da ingombri le navate laterali. Ancora ad ampliamento deve
essere interpretata la scelta di demolire la galleria su cui si
trovava l’organo e il suo spostamento nella nuova area absidale – alfine di far tornare l’ingresso della pieve alla sua
forma originale – e riaprire la finestra di facciata; quindi,
ampliare l’area dietro l’altare maggiore allo scopo di creare
la nuova orchestra per l’organo, sostituendo la vecchia abside circolare con un ampio vano di forma rettangolare.
A lavori ritenuti necessari perché imperiosamente richiesti
dalla igiene,124 vanno aggiunte quelle opere che rendono
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 3, Atti preparatori, cc. 4v, 5r.
A.C.S.F., Postunitario, Culto 1884-1902, VII, 133, fasc. II, “Ricorso
della Deputazione per il Restauro alla Deputazione Provinciale di Firenze”, 30 giugno 1882, c.n.n.
124
Ivi, c.n.n.
122
123
~ 63 ~
la pieve pulita, ordinata e aggiornata al gusto del tempo,
ovvero il progetto di restauro della decorazione già in situ
e l’approntamento – dove necessario – di nuovi ornamenti
che restituiscano all’architettura quel ruolo evocativo in
grado di far tornare la pieve a essere detta casa di Dio. È l’immagine complessiva che la chiesa dona di sé a essere rie­
sa­minata, e rivista in termini di grazia e bellezza, affinché,
solo varcando la soglia d’ingresso, la devozione individuale
possa incontrare di nuovo un mondo armonioso, fonte di
equilibrio visivo e ordine, in accordo con la propria ricerca
spirituale. L’arrivo di Pasqui e delle sue qualità professionali,
che Calcinai riconosce anche nella misura del gusto, – lui
aveva altre opere eseguite, nelle quali si dimostrò pieno d’ingegno, si
avanti per condurre a termine l’opera sua stando sempre alle regole
dell’arte e di una foggia architettonica di chiara creanza 125 – porta
la dimensione equilibrata che il pievano andava ricercando.
La chiara creanza di cui Pasqui dà prova di sé a San Martino
consiste nel ricomporre un’immagine della navata principale
in equilibrio con le due minori, poiché l’architetto progetta
l’esecuzione di un doppio ordine di lesene da sovrapporre
alle ampie superfici della navata, e accordare con i massicci
pilastri esistenti. Lo spartito delle alte pareti si ritma così di
un ordine dorico inferiore che si conclude in appoggio a una
alta cornice di rigiro, perfettamente coordinata ai capitelli
dorici dell’arco trionfale, e un ordine superiore semplificato, che di nuovo si appoggia sulla cornice superiore di
rigiro, dalla quale avvia la copertura a stuoia. La visione è
coordinata con la nuova abside, che appare luminosa dietro
l’altare maggiore: si tratta del nuovo vano quadrangolare
che presenta un prospetto diviso in due parti quasi uguali,
delle quali la superiore destinata a ospitare gli apparati per
il nuovo organo (foto 23).
Pilastri e archi della navata maggiore sono profilati in
stucco a leggero rilievo, e con le nuove membrature archi125
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 3, Atti preparatori, c. 4v.
~ 64 ~
23. Pieve di San Martino, interno della pieve all’indomani delle opere di restauro, veduta della navata principale con la nuova decorazione e della stuoia
affrescata sul soffitto.
~ 65 ~
tettoniche – lesene, capitelli, cornici – vengono dipinti di
un colore ben distinto dal resto dell’intonaco: l’immagine
fotografica in bianco e nero restituisce un tono generale di
controllata misura, che evoca passati e inequivocabili splendori connessi con il rinascimento fiorentino.
Le scelte compositive di Pasqui vengono elaborate alla
ricerca di coerenza nell’immagine complessiva dell’interno
della pieve e sulla base delle preesistenze. La chiesa è già
completamente intonacata e le navate laterali sono coperte
con volte in muratura. I pilastri risultano già fasciati con
listelli che ne proteggono e sottolineano i profili, la base e i
capitelli; possiamo facilmente ipotizzare che anche gli archi
fossero ugualmente già evidenziati nei profili. Al di sopra
degli archi correva un cornicione, di cui abbiamo detto
sopra; l’apparato appariva pesante e senza motivo, perché
privo di coordinamento con il resto. La copertura era già
stoiata, ma doveva apparire desolante nella sua uniformità.
Pasqui legge l’insieme di forme presenti come una sintassi
scoordinata, e con una rilegatura architettonica nuova, che
utilizza solo elementi tratti dal linguaggio classico, crea una
nuova consonanza.
Il risultato generale è ordinato ed equilibrato. L’altezza della grande navata è ridotta grazie alla presenza della
stuoia, affinché l’ordine superiore risulti alto circa la metà
dell’ordine inferiore; sul cleristorio vengono aperte finestre
di forma circolare, a campate alternate, che introducono
un’altra forma d’ascendenza rinascimentale in un contesto
ambizioso. L’abside è resa luminosa dalla presenza di due
grandi finestre aperte sulle pareti laterali, che illuminano
diffusamente l’elegante edicola corinzia che ospita l’organo.
La visione frontale prospettica mostra la felice coordinazione visiva creata fra l’arco trionfale ristrutturato e la nuova
abside, perfettamente ideate nelle loro misure e proporzioni; un’unica perplessità viene suggerita dalla scelta di
sovrapporre la volta stoiata immediatamente al di sopra
dell’arco trionfale, che rende l’immagine della copertura
~ 66 ~
voltata vagamente incombente. La stuoia affrescata appare
a sua volta coordinata all’assetto sottostante, perché divisa
in più comparti che seguono il telaio architettonico: in corrispondenza dei tre archi centrali viene dipinto il soggetto
raffigurante San Martino che dona il mantello al povero da Olimpio Bandinelli, apprezzato autore del tempo già impegnato
in numerose e prestigiose commissioni fiorentine.126
L’ordine architettonico decorativo introdotto dall’architetto Pasqui ed eseguito dall’ingegner Mariani presenta
tuttavia singolarità costruttive. Anzitutto una premessa:
l’ordine scelto per la parte inferiore dell’intelaiatura, il
dorico, risulta coordinato con quello presente nel portico
d’ingresso alla pieve. Nell’orditura architettonica si rinuncia
espressamente a sovrapporre alle lesene, sia superiori che
inferiori, la trabeazione canonica, così come prevista dalla
partitura classica degli ordini: un’osservazione ravvicinata
dei mezzi a disposizione consente di individuare il capitello
dorico delle lesene, e di seguire la sua metamorfosi nelle
singole parti che compongono la cornice. Anziché costituire
la sommità della colonna cui sovrapporre la trabeazione, il
capitello viene letteralmente integrato nell’alta cornice. La
stessa cosa accade nell’ordine superiore, dove la chiarezza
del capitello va sfuocandosi in un tutt’uno con la cornice,
in maniera ancora più decisa.
126
Olimpio Bandinelli pittore, allievo di Giuseppe Bezzuoli, è attivo
a Firenze nella seconda metà del XIX secolo e opera in commissioni di
grande prestigio: presso l’aula del Senato del Regno (ex-teatro mediceo agli Uffizi), al Palazzo Almaforte sul Lungarno Vespucci, a Palazzo
Bastogi in via Cavour, a Villa Favard in via Curtatone, a Palazzo Gerini
in via Ricasoli, Palazzo Niccolini in via de’ Servi e Palazzo Nonfinito in
via del Proconsolo. Notizie in «Il Giornale Illustrato», A. III, n° 1, 6-13
gennaio 1866; L. Ginori Lisci, I Palazzi di Firenze, Firenze 1985, vol. I,
pp. 391-398, 415-420, 443-450; L. Zingoni, L’aula del Senato del Regno e
N. Nasi, Piano terreno del Palazzo Nonfinito, sede del Consiglio di Stato, Schede in Maccabruni Marchi 2015, pp. 85, 90-91; G. Trotta, Ville fiorentine
dell’Ottocento, Firenze 1994, pp. 9-10.
~ 67 ~
Nell’educazione accademica degli architetti-ingegneri del
XIX secolo gli ordini architettonici, parte della più generale
area della composizione classica dell’architettura e quindi
della trattatistica architettonica, costituiscono ambiti di conoscenza teorico-pratica fondamentali per la formazione
professionale, e impongono una conoscenza inequivocabile
degli stessi.127 Quindi l’assenza di una chiara soluzione del
rapporto fra colonna e trabeazione, o la rinuncia a un capitello leggibile, non possono che essere il risultato di una
volontà dettata da argomenti diversi: problemi di cantiere e
di preesistenza che hanno costretto a rivedere rapporti proporzionali di progetto, mutati in corso d’opera, e rivisti per
necessità. Può darsi che l’architetto Pasqui avesse previsto
l’impiego di lesene con capitelli sovrapposte da trabeazioni
complete, in seguito rivelatesi impossibili da eseguire per
motivi dimensionali, rielaborate in forma solo decorativa
per via delle numerose difficoltà affrontate dall’ingegner
Mariani in sede di cantiere.
I lavori hanno inizio a partire dalla costruzione del nuovo
arco trionfale, che nella ricostruzione viene impostato su
nuovi pilastri più alti conclusi da capitelli dorici; quest’ultimi
costituiscono i cardini guida dai quali si diparte il cornicione di rigiro, quindi la loro posizione coordina quella della
cornice tutt’attorno, e per conseguenza quella dei capitelli
127
Sulla formazione dell’architetto-ingegnere in Toscana, L. Zangheri,
Alcune considerazioni sull’architettura e l’urbanistica toscana nella prima metà
dell’Ottocento, in Cresti Zangheri 1978, pp. VII-XXXII, in particolare
pp. XII-XVII; N. Wolfers, Giuseppe Martelli e la formazione dell’architetto,
in N. Wolfers, P P. Mazzoni 1980, pp. 121-131; L. Rombai, La formazione
del cartografo nella Toscana moderna e i linguaggi della carta, e L’ingegnere
architetto della tradizione scientifica-umanistica toscana e il nuovo ingegnere di
Alessandro Manetti, in L. Rombai, M. Azzari (a cura di), Imago e Descriptio
Tusciae, Venezia 1993, pp. 37-81, 65-69; inoltre, G. Mazzi, L’Università di
Padova e la formazione professionale, in G. Mazzi, G. D’Amia (a cura di), La
cultura architettonica dell’età della restaurazione, atti del convegno, Milano
2002, pp. 169-180.
~ 68 ~
dell’ordine inferiore. Al termine della costruzione dei nuovi
pilastri dell’arco trionfale la quota d’imposta delle cornici
di rigiro è determinata, e forse viene ritenuta già troppo
alta per approntare un compiuto costrutto colonna-trabeazione. Inoltre: la scelta d’approntare una cornice anziché
una trabeazione potrebbe essere stata dettata dalla presenza
sulle pareti della navata centrale di un pesante cornicione,
testimoniato da Calcinai, quindi sarebbe stata determinata
da una preesistenza e scelta quale memoria ossequiosa da
sottolineare o esaltare, anziché dimenticare.
Nel vasto campionario di membrature ispirate al classicismo utilizzato nel corso del XIX secolo le soluzioni approntate dagli architetti per gli edifici di culto costituiscono un
catalogo ampio, che non comprende una soluzione come
quella adottata a Sesto; che non è rilevabile né sulla trattatistica coeva, né presso gli interventi eseguiti dallo stesso
architetto Pasqui per interni di chiese, poiché si tratta di
interventi oggi in gran parte scomparsi.
Qualunque sia il motivo della défaillance, problemi di
cantiere, questioni di preesistenza, intenti riverenti, non
si può fare a meno di pensare a quanto la sovrapposizione
primaria fra colonna e trabeazione risulti imprescindibile
per una composizione classicista, e immaginare lo sguardo
attonito di Leopoldo Pasqui di fronte alla soluzione scelta,
che probabilmente non avrebbe approvato, in virtù del suo
essere priva di un limpido connotato classico.
Il restauro della pieve di Sesto è da collocarsi nell’ambito
di opere simili condotte in numerose altre chiese, a Firenze
e provincia, come altrove; d’altra parte si tratta spesso di
edifici millenari, che più volte nei secoli vengono rivisti o
riordinati. Quasi sempre la facies raggiunta con detti interventi è stata in seguito rimossa, proprio come a Sesto.
Restauri di riordino in senso classicista vengono compiuti
già alla fine del XVIII secolo presso le pievi di San Giovanni
~ 69 ~
Battista a Remole,128 San Pietro in Bossolo a Tavarnelle V.P.129
e San Donato a Calenzano;130 nella prima metà del XIX secolo il nuovo approccio neoclassico trasforma le chiese di
Santo Stefano a Campi Bisenzio (1813)131, di Sant’Andrea
(1828) e San Michele (1840) a Rovezzano,132 di San Cristofano a Novoli,133 di Santa Lucia sul Prato a Firenze,134 di Santa
Maria a Soffiano135 e San Pietro a Varlungo a Firenze,136 di
Santa Maria in Castello a Signa,137 San Lorenzo al Prato
a Sesto Fiorentino,138 Sant’Ippolito a Piazzanese di Prato
(1801),139 San Romolo alle Case di Villamagna a Bagno a
Ripoli (1877),140 solo a titolo di esempio. Un po’ più avanti
nel tempo, e con gusto neorinascimentale, riordini vengono
predisposti in Santa Maria Assunta a Peretola (1888)141 e San
S. Rinaldi, A. Favini, A. Naldi (a cura di), Firenze Romanica. Le più
antiche chiese della città, di Fiesole e del contado circostante l’Arno, Empoli 2005,
pp. 129-130, e bibliografia.
129
M. Frati, Chiese romaniche della campagna fiorentina, Empoli 1997, pp.
104-106, con bibliografia.
130
Lamberini 1987, pp. 59-64.
131
A. Mazzanti, La pieve di Santo Stefano a Campi, Firenze 1987, pp.
73-77.
132
Carocci, I dintorni di Firenze, 2 voll., Firenze 1906-’07, vol. I, p. 15;
Rinaldi Favini Naldi 2005, pp. 161-162; D. Parenti, La chiesa di San Michele
Arcangelo a Rovezzano, Firenze 1998, pp. 22-29.
133
Carocci 1906-’07, vol. I, p. 340; Rinaldi Favini Naldi 2005, pp. 171172, e bibliografia.
134
Rinaldi Favini Naldi 2005, p. 200; M.P. Arzani (a cura di), Il Crocifisso ritrovato. Arte, storia e devozione nella chiesa di Santa Lucia sul Prato,
Firenze 2015.
135
Carocci 1906-’07, vol. I, p. 354; Rinaldi Favini Naldi 2005, pp. 168169; G. Trotta, Legnaia, Cintoia e Soffiano. Tre aspetti dell’antico “suburbio
occidentale” fiorentino, Firenze 1989, p. 86, 271-274.
136
Rinaldi Favini Naldi 2005, p. 203.
137
Rinaldi Favini Naldi 2005, p. 206.
138
Carocci 1906-’07, vol. I, p. 315; Villoresi 1988, p. 48; Rinaldi Favini
Naldi 2005, pp. 179-180.
139
C. Cerretelli (a cura di), Prato e la sua provincia, Firenze 1999, pp.
98-99.
140
Carocci 1906-’07, vol. II, pp. 29-30; Frati 1997, pp. 151-152.
141
Carocci 1906-’07, vol. I, p. 346; Rinaldi Favini Naldi 2005, pp.
157-158.
128
~ 70 ~
Quirico a Legnaia (inizi del XX secolo).142 Il restauro di Sesto
è quindi da annoverare cronologicamente fra i tardi, ed è
inoltre posto sul bilico incerto delle teorie del restauro mentre
stava maturando una nuova etica-estetica del recupero, quella
che verrà definita “neomedioevalismo”: negli stessi anni in cui
l’ingegner Mariani segue il riassetto classicista di San Martino, l’architetto Michelangelo Maiorfi (1823-1906) è autore del
cospicuo restauro del Duomo di Fiesole (dal 1878 al 1883),
che tenta di restituire alla cattedrale il “suo medioevo”.143 Sono
inoltre gli anni dell’esecuzione della facciata “in stile gotico”
di Santa Maria del Fiore, dopo circa sessant’anni di polemiche sull’argomento.144 Probabilmente un decennio più tardi
il progetto di restauro per San Martino avrebbe contemplate
ed eseguite le stesse idee; fin dal 1875, anno di presentazione
del progetto Pasqui al pievano Calcinai, un professionista
attivo e aggiornato come Giuseppe Poggi si era espresso
pubblicamente a favore della ricerca della verità più intima di
un edificio, teorizzando la necessità “che ogni edificio debba
essere restaurato nello stile che gli appartiene, non solo in
ciò che apparisce, ma anco nella interna struttura”.145 Sono i
primordi del “restauro stilistico”, con prese di posizione che
talvolta mediano in favore delle preesistenze, talvolta no; più
avanti, alla metà del Novecento, l’orientamento al restauro
in stile sarà talmente radicato e praticato da proporre disinvoltamente ripristini d’immagini architettoniche talora
mai attestate, e l’obliterazione materiale di ogni relazione
storica dell’edificio a favore della sua immagine unitaria.146
Rinaldi Favini Naldi 2005, p. 202.
Carocci 1906-’07, vol. I, p. 131; Rinaldi Favini Naldi 2005, pp. 123124; L’Italia. Firenze e Provincia, Touring Club Italiano, Milano 2005, p.
561-562; sull’architetto Maiorfi Cresti Zangheri 1978, pp. 134-135.
144
Cfr. Cozzi 1987, p. 184.
145
G. Poggi, Sulla conservazione dei monumenti d’arte e d’archeologia, memoria letta al “Secondo Congresso degl’Ingegneri e Architetti”, in Firenze nel 1875, in Ricordi di vita e documenti d’arte, Firenze 1909, p. 195.
146
Sul “neomedioevo” come linguaggio architettonico del restauro
nella seconda metà del XIX secolo, R. Martines, La “Patria” restaura,
142
143
~ 71 ~
Cronaca del restauro, non privo di sorprese
Il consiglio comunale insieme all’amministrazione del­
l’Opera di Santa Maria delle Candele, come visto l’ente laico
che da secoli provvede ai bisogni materiali dell’edificio, nel
corso dell’adunanza del 23 febbraio 1876 deliberano che il
comune non parteciperà alla spesa per i restauri, mentre
l’Opera di Santa Maria delle Candele sarà in grado, nel
corso di cinque anni, di garantire un buon finanziamento
previa soppressione temporanea della distribuzione delle
doti annuali alle ragazze povere. Lo sborso del finanziamento viene garantito entro la conclusione dell’anno 1880.147
Effettivamente la Deputazione Promotrice del restauro della
chiesa non considererà possibile iniziare il restauro prima di
quella data; il comune autorizza inoltre la stessa Deputazione a farsi garante della buona esecuzione delle opere, per
le quali occorre nominare un tecnico in luogo del defunto
architetto Pasqui.
Il pievano Calcinai indirizza una missiva al Sig. Prof. Carlo
Mariani in data 11 febbraio 1880, con cui chiede all’ingegnere di offrire le sue competenze per la conduzione degli
imminenti lavori. Calcinai lo descrive come “fornito della
scienza e della pratica necessarie” per condurre “il restauro
con la massima economia e con tutte le regole dell’arte”. E
poi, “fu deliberato d’invitarla a compiacersi di assumere il
sopra indicato ufficio in qualità di commissario popolare
direttore”, e prosegue ricordando, “Certo, la S.V. è chiamata
in Restucci (a cura di) 2005, vol. II, pp. 520-535. Sul tema del restauro
nel dibattito fiorentino coevo, M. Vannini, «Arte e Storia», Cultura e
restauro a Firenze tra Ottocento e Novecento, Firenze 2011. Sul fenomeno
del neomedioevo in Italia, Patetta 2008, pp. 260-310; come “neoromanico” in De Fusco 1992, pp. 115-123; in Europa, Middleton Watkin
2009, pp. 312-354.
147
A.C.S.F., Postunitario, Culto 1884-1902, VII, 133, copia della
Deliberazione del 23 febbraio 1876 redatta in data 31 gennaio 1882,
cc.nn.nn.
~ 72 ~
a opera di sacrificio; ma la generosità del nobile suo animo
saprà sopportarlo, contento di averne ricambio eterno nella
benedizione di Dio e nella grata memoria del popolo. Molti
hanno concorso con l’obolo materiale, e l’illustre patrono
con la cospicua somma di lire tremila, così abbiamo ottomila
lire spendibili, senza contare quello che potrà dare l’opera.
[…]” Dopo tre giorni Mariani risponde con le seguenti parole: “[…] e mentre mi faccio in pregio di significarle la mia
accettazione, debbo ringraziare le S.V. e gli onorati commissari per avermi prescelto in questa esecuzione, dichiarandole
che nella mia pochezza mi adopererò a lungo perché i detti
lavori abbiano quell’ordinamento che si conviene”.148
Il 15 febbraio 1880 si svolge la prima adunanza delle deputazione “esecutiva” per i restauri della pieve; nel corso
della seduta il presidente pievano Calcinai informa che la
cifra raggiunta e destinata alle spese di restauro assomma
a Lire 8000, quindi passa a chiedere,
[…] che nelle tristi condizioni in cui versa il paese, ed all’oggetto che
molti opranti potessero trovare di che sostentare le loro famiglie, vorrebbe
che oggi la deputazione deliberasse d’incominciare una prima sezione dei
lavori, nella quale ci sarebbe compresa la demolizione della vecchia cantoria, e la costruzione del nuovo coro e cantoria, con trasporto dell’organo,
ed a tale oggetto dice di avere invitati i maestri muratori a presentare le
loro offerte per il lavoro stesso. Aperta la discussione sopra tale argomento, i presenti si trovano tutti concordi di ritenere tale proposta non solo
attuabilissima, ma pur anco richiesta dalla mancanza quasi assoluta di
lavoro per la classe operaia.149
Alla stessa data, 15 febbraio 1880, corrisponde una perizia firmata dall’ingegner Mariani per la prima tranche di
opere edilizie; esse comprendono la demolizione dell’antico
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 4a, Atti preparatori e Verbali delle adunanze della Deputazione fino a quella del 16 febbraio 1881, lettera del pievano
Calcinai all’ingegner Mariani dell’11 febbraio 1880 e lettera dell’ingegner Mariani al pievano Calcinai del 14 febbraio 1880, cc.nn.nn.
149
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Rapporti dell’Adunanze, verbale datato
15 febbraio 1880.
148
~ 73 ~
24. Pieve di San Martino, veduta del prospetto laterale nord della pieve quando l’intorno era ancora adibito ad usi agricoli, sino ai primi anni Cinquanta
del Novecento. Alla conclusione dell’edificio si noti il nuovo coro costruito
su commissione del pievano Calcinai durante i restauri del 1880-’81. Oltre il
coro è assente l’abside attuale, che verrà edificata con i restauri eseguiti fra
il 1950 ed il 1952.
emiciclo del coro e la costruzione del nuovo coro di forma
quadrangolare, le demolizione della galleria che ospitava
l’organo all’ingresso della pieve, la riapertura della finestra in facciata, per un costo complessivo di Lire 2234,55;
la deputazione invita i maestri muratori a presentare le
proprie offerte all’incanto per l’accollo dei lavori, ma la
prima convocazione rimane deserta. Quindi la deputazione
riapre l’incanto con “un aumento di Lire cento”, al quale
partecipano in forma associata i maestri muratori Antonio
Giachetti, Baldassarre Targioni, Lodovico Fantechi, Enrico
Fontani e Luigi Zoppi, che assumono, in data 14 marzo 1880,
il lavoro in solidum per un prezzo a forfait di Lire 2334,55.
Fra le precisazioni stipulate dal contratto, in una voce di
capitolato si fa riferimento al sopra discusso cornicione, per
cui viene ricordato che “il ricorso del cornicione nel [nuovo]
coro non deve aver lo stesso aggetto di quello esistente nella
~ 74 ~
navata, ma sivvero uno minore e più adattato da indicarsi
dall’ingegnere direttore dei lavori”, una precisazione che
coglie l’importanza attribuita al cornicione esistente e l’esigenza della sua conservazione, oltre alla sua conferma negli
apparati decorativi del nuovo coro.150
Il giorno seguente, 15 marzo 1880, i lavori vengono avviati
con la demolizione dell’emiciclo e lo scavo dei fondamenti
del nuovo coro. Si stabilisce che il nuovo coro sarà costruito
solidamente ed esternamente presenterà un aspetto simile
alla muratura d’età romanica, grazie a un rivestimento di
“bozze di sasso squadrato, a filaretto”, mentre all’interno
sarà intonacato. L’operazione serve a mimetizzare l’impatto
del volume del coro [foto 24] nel complesso della preesistenza; in parte detto volume è ancora visibile [foto 25]. Per il
nuovo coro viene prevista una copertura piana, in luogo di
altre proposte per coperture a volta.151
Nel corso delle operazioni di demolizione dell’emiciclo
si scopre che l’arco trionfale esistente, oggetto di ristrutturazione negli anni Venti del Seicento,152 presenta una consistenza precaria:
[…] l’arco sopra al maggiore altare non era un vero e proprio arco
costruito indipendentemente dalla volta [dell’emiciclo] ma era invece
quasi come una prosecuzione della medesima volta, e si riscontrò che il
muro soprastante all’arco è talmente scollegato, e l’arco si mal costruito,
da far temere qualche inconveniente che potrebbe nascere nello scalpellare
le pietre che sono state troncate onde demolire la volta, e che aggettano al
di fuori del vivo del muro […]153
150
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Perizie e note di prezzi, perizia n° 1; fasc.
Rapporti dell’Adunanze, verbale datato 6 marzo 1880. Un lecito dubbio
sorge spontaneo: il cornicione che s’intende da conservare era dunque
di legno o d’un materiale meno deperibile, quale stucco o pietra?
151
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 4a, Atti preparatori e Verbali delle adunanze della Deputazione fino a quella del 16 febbraio 1881, cc.nn.nn.
152
Calzolai 1966, p. 69; Mazzanti 2015, p. 14.
153
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Rapporti dell’Adunanze, verbale datato
2 maggio 1880.
~ 75 ~
25. Pieve di San Martino, coro ottocentesco in pietra con sovrapposta la nuova
abside intonacata, costruita con le grandi opere di restauro condotte fra il
1950 ed il 1952.
La solidità dell’arco è a tal punto cedevole da far proporre
all’ingegner Mariani la sua demolizione e il ripristino con
un nuovo arco, “più alto dell’attuale, che verrebbe a dar pur
anco maggior luce alla chiesa”.154 La deputazione si reca per
un sopralluogo presso la tribuna della pieve e solo dopo aver
appurato l’“imperfetta costruzione” dell’arco decide per la
sua ricostruzione, “al di sopra del vecchio”. Nell’occasione
l’ingegnere redige un progetto di costruzione del nuovo
arco con perizia di cui ci è giunta la tavola esecutiva, firmata
154
Ivi.
~ 76 ~
26. Archivio Pieve San Martino, Progetto di costruzione del nuovo arco trionfale,
firmato dall’Ingegner Carlo Mariani. Durante i lavori di restauro si rileva la consistenza precaria dell’antico arco di trionfo, del quale si prevede la demolizione
e il ripristino con un nuovo arco, più alto dell’attuale, che verrebbe a dar pur
anco maggior luce alla chiesa (dal Rapporto dell’Adunanza del 2 maggio 1880).
~ 77 ~
in originale, un fatto quasi unico vista l’assenza complessiva di ogni documento iconografico riguardante la storia
materiale della pieve di Sesto [foto 26]. La tavola presenta
un carattere prevalentemente tecnico, scevro da orpelli
decorativi; è composta da una pianta parziale dell’area interessata all’intervento e da un prospetto disegnato a penna
colore nero, con la distinzione in colore rosso per la nuova
costruzione, e in colore giallo per le demolizioni da eseguire. Il prospetto presenta un diverso trattamento delle
parti: in quella destra l’ingegnere delinea l’apparenza futura
dei pilastri, con decorazioni a riquadri sul fusto e capitello
modanato, mentre nella sinistra il piedritto è restituito in
forma di sezione, campito da acquerellature color rosso rosato; l’arco vero e proprio da costruire è invece tratteggiato
a mattoni, singoli, disegnati a uno a uno. Il fornice ospita
il disegno delle carpenterie necessarie all’esecuzione dei
lavori. Nell’insieme il disegno esprime la sua cogente utilità
di cantiere, e tuttavia occorre riconoscere all’ingegner Mariani la qualità di disegnatore tecnico abile nella chiarezza
comunicativa che tale tipo di tavola richiede.
Il rialzo previsto dal nuovo arco rispetto al vecchio è di 75
centimetri, e il costo dell’esecuzione di Lire 324, da aggiungere come spesa imprevista di cantiere. Ma i veri imprevisti
sono altri: durante le opere di disfacimento del vecchio
arco, sugli antichi intonaci compaiono due affreschi raffiguranti “Adamo ed Eva fra gli alberi del giardino, avviticchiati a’ quali c’è il serpente, terminato di volto umano. Si
credono già fatte nel principio di quella scuola del ’300, più
tardi restaurati a olio”, [foto 27] come descritti dal pievano
Calcinai, che provvede sollecito a informare dell’avvenuto
ritrovamento l’ingegner Mariani, tramite lettera datata 14
giugno, e le istituzioni di tutela, ovvero la prefettura della
provincia di Firenze.155 Nel descrivere la posizione del prezio155
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 4a, Atti preparatori e Verbali delle adunanze della Deputazione fino a quella del 16 febbraio 1881, cc.nn.nn.
~ 78 ~
27. Scuola Fiorentina, Adamo ed Eva con il serpente, tardo XIV secolo, canonica
della pieve di San Martino. I progenitori si trovavano affrescati sulla mostra
dell’arco trionfale verso l’aula, a destra e sinistra; rinvenuti durante le opere
di restauro, vennero staccati per le cure di Gaetano Bianchi.
so ritrovamento all’ingegner Mariani il pievano documenta
altre preesistenze:
[…] Ho fatto smettere il disfacimento dell’arco, perché sopra la pietra
serena che lo sostiene c’è un soprammattone, o parete, e dietro essa parete
apparisce l’antico muro di testata della chiesa sopra l’antico arco a bozze,
in una delle quali [vi è] un’iscrizione romana, con intonaco, coll’arme
del paese e una greca che forse ricorre per tutta la chiesa.156
156
Ivi.
~ 79 ~
Quindi al di sopra dell’arco trionfale originario si trovavano dipinti i progenitori (oggi conservati presso il salone
della canonica), insieme all’arme di Sesto e altre decorazioni; inoltre una delle bozze dell’arco antico appare incisa da
un’iscrizione “romana”.
Il prefetto risponde in data 22 giugno informando il pievano che il giorno seguente verrà a Sesto per un sopralluogo il “Sig. Cav. Profes. Antonio Ciseri, che fa parte della
provinciale Commissione Conservatrice dei Monumenti”,
incaricato dal prefetto.157 Dopo aver esaminati i ritrovamenti
il professor Ciseri (1821-1891) afferma essere le pitture “le
più antiche che si abbia fra di noi, non di pregio artistico
ma importanti per la storia dell’arte”, secondo il resoconto
di Calcinai; Ciseri avverte inoltre che per quanto riguarda
l’antica iscrizione romana “era necessario venisse tutta la
Commissione, essendovi bisogno di un archeologo e di
un architetto”. Quindi il 7 luglio giungono a Sesto per sopralluogo l’architetto Giuseppe Poggi e lo storico Gaetano
Milanesi (1813-1895), accompagnati dal segretario della
Commissione; Poggi esprime un giudizio a favore del completo rifacimento dell’arco, per via della sua pericolosità, e
nota che la pietra con l’iscrizione presenta similitudini con
altre recuperate nel corso della “demolizione delle antiche
mura di Firenze”, come ad esempio quelle rinvenute nel
cimitero pagano scoperto presso la porta a San Gallo.158
157
Ivi, c.n.n. La “Commissione Conservatrice dei Monumenti” per
il triennio 1878-1881 è composta da: il Prefetto Presidente; Giovanni
Duprè scultore; Antonio Ciseri pittore; Stefano Ussi pittore; Emilio de
Fabris Architetto; Emilio Santarelli scultore; Gaetano Milanesi storico;
Giuseppe Poggi architetto. Sull’opera delle commissioni e sul dibattito
sul restauro in età postunitaria, S. Pesenti, La tutela dei monumenti a
Firenze. Le “Commissioni Conservatrici” (1860-1891), Milano 1996, pp. 191226. Su Ciseri si veda E. Spalletti, Ciseri, Antonio, in “D.B.I.”, volume 26,
1982, consultazione online.
158
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 4a, Atti preparatori e Verbali delle
adunanze della Deputazione fino a quella del 16 febbraio 1881, cc.nn.nn. Su
Milanesi si veda M.G. Sarti, Milanesi, Gaetano, in “D.B.I.”, volume 74,
2010, consultazione online.
~ 80 ~
Diversi saranno gli esperti – oltre allo stesso professor Milanesi – a cui il pievano sottoporrà la lettura dell’iscrizione,
che susciterà interesse e differenti interpretazioni.159 Ma il
pellegrinaggio presso le scoperte sestesi non sembra ancora
finito; è ora opportuno lasciar parlare il pievano:
[…] Il 4 Luglio dopo l’ultima messa vennero per visitare le pitture,
l’iscrizione e l’arco i Sigg. Professori Ciseri, Bianchi, Cassioli, Marini, Sanesi, Collignon, accompagnati dal Commendator Fabbroni e dai Professori
Trombetti e Mariani. Stimarono la pittura del 300, non pregevole che per la
storia, l’arco romano, e la pietra dell’iscrizione tolta da monumenti romani.
Venivano dalla scuola di disegno, e quelli salivano sopra i ponti e con tanta
avidità stavano affermando [sic] che era una meraviglia il vederli.160
Sembra che lo stupore mostrato dagli studiosi superi le
aspettative del pievano, che coglie nell’immediato le loro
impressioni; il senso di scoperta e di rinnovato, e insperato,
contatto diretto con l’antichità emoziona pittori, restauratori
ed esperti.
Finalmente dalla Prefettura giunge l’autorizzazione allo
stacco degli affreschi dall’arco: il 16 agosto il restauratore
159
Sull’argomento, e gli interventi degli studiosi, si veda Calzolai 1966,
pp. 112-113; L. Chini, D’un’iscrizione romana trovata a Sesto Fiorentino, in
«Arte e Storia», a. V, n° 37, 24 novembre 1886, pp. 268-269. La lapide si
trova ancora oggi murata sul fianco meridionale della pieve, ed è visibile
dal cortile.
160
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 4a, Atti preparatori e Verbali delle adunanze della Deputazione fino a quella del 16 febbraio 1881, c.n.n. L’elenco delle
personalità comprende Gaetano Bianchi (1819-1892) pittore e restauratore, Amos Cassioli (1832-1891) pittore, Nicola Sanesi (1818-1889) pittore;
con “Collignon” il pievano potrebbe indicare l’ingegnere idraulico, fisico
e matematico fiorentino Niccolò Collignon (1820-1891); Trombetti e
Mariani sono i docenti della locale Scuola di Disegno Industriale, come
visto sopra, mentre non risulta possibile identificare “Marini”, visto che
non può essere trattarsi del pittore Antonio Marini, ormai scomparso.
Notizie biografiche in S. Meloni Trkulja, Bianchi, Gaetano, in “D.B.I.”,
volume 10, 1968, consultazione online; F. Petrucci (a cura di), Asciano.
Museo Cassioli. Pittura senese dell’Ottocento, Cinisello Balsamo 2007; R.
Carapelli, Pittori toscani dell’Ottocento. Nicola Sanesi pittore di storia tra patria
e accademia, in «Le Antiche Dogane», a. XIII, n. 148, ottobre 2011, pp.
4-5; Niccolò Collignon in Cresti Zangheri 1978, p. 65.
~ 81 ~
Gaetano Bianchi avvia l’operazione, che, grazie alla tenacia
scrittoria di Calcinai, possiamo seguire passo dopo passo:
[…] il Professor Gaetano Bianchi cerca di un legnaiolo, che faccia
un regoletto due metri lungo e 4 [cm] per alto, abbia bullette e sega, e
distende sopra le pitture due strisce di pannolino spalmate di un liquido
resinoso, e raccomandate con un piccolo regolo, fissato al muro con due
chiodi, poco più alto e largo delle pitture, e il 18 [agosto] lavora e taglia
la calcina agli estremi del panno, quindi tenta staccarlo dal muro colla
cazzuola, e dove quella non arriva mediante uno spadone ottuso: operazione sollecita, ma penosa. L’affresco così staccato è portato sopra appositi
telai, i quali reca seco per riattarli con lima dai nodi calcinosi, e sistemarli
come in due grandi quadri, che or sono nella galleria di Canonica – fin
dal maggio 1881.
Un testo prezioso che documenta lo strappo degli affreschi medievali e a grandi linee la stessa tecnica, in uso ormai dal XVIII secolo, ed eseguita da un noto professionista
del suo tempo come Gaetano Bianchi. L’emozione causata
dall’evento colpisce il pievano, teso a osservare e fremere
nel vedere un’opera così fragile sottoposta a un simile scombussolamento, da provarne pena. A lavoro compiuto però le
opere vengono allestite in Canonica, un’opportunità che ha
permesso la loro conservazione in situ, come non sempre è
stata garantita in passato.161
I lavori riprendono con il programma previsto. Le opere
al coro vanno concludendosi e durante l’adunanza della deputazione del mese di settembre 1880 si decide di dare il via
al restauro della stuoia che decora la navata centrale con “
lasciare la vecchia stuoia come esiste attualmente vale a dire
con i ricaschi esistenti”. Evidentemente la stuoia presenta
condizioni buone che occorre solo consolidare. Secondo
161
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 4a, Atti preparatori e Verbali delle adunanze della Deputazione fino a quella del 16 febbraio 1881, c.n.n. Sulle origini
della tecnica dello strappo e stacco d’affreschi, A. Conti, Storia del restauro
e della conservazione delle opere d’arte, Milano 2009, pp. 118-129.
~ 82 ~
i verbali il coro è già stato imbiancato ma mancano sia le
due finestre laterali che le porte, i capitelli e la decorazione
a rosoni dell’arco trionfale, e ancora non sono iniziate le
opere di impianto per l’occhio da fare sulla facciata principale; vengono inoltre previsti il rifacimento del “cornicione
lungo la navata centrale” e la realizzazione di “6 occhi da
costruirsi 3 per parte nella navata centrale”.162 In una nota
di pagamento rimessa da Gaetano Olmi falegname e datata dal
18 settembre al 26 ottobre 1880 si richiedono compensi per
“aver fatto due modini per la cornice dell’archo dell’altare,
[…] il modine per il capitello dell’archo, […] n° 4 sagome
per il cornicione sopra gli archi della chiesa, […] n° 6 sagome per il cornicione che rigira sotto il soffitto”.163 È chiaro
che la concisione con cui viene descritto il lavoro d’ornato
alle pareti, il doppio ordine di lesene, semplificato nella
frase sintetica del “cornicione lungo la navata centrale”, non
rende l’idea del progetto unitario di qualificazione della
navata maggiore, che plausibilmente costituiva una parte
essenziale nell’originario progetto Pasqui. La sua esecuzione
avviene solo quando la commissione decreta le condizioni
per far fronte alla spesa, così come tutte le altre: da adesso
in poi ogni lavoro verrà deciso e avviato sulla base delle
finanze rimanenti in cassa, con preoccupazioni ripetute da
parte dal pievano Calcinai.
Il 21 novembre l’ingegner Mariani presenta “un disegno per la parte decorativa che potrebbe esser eseguito
nella volta della navata centrale, nel cui mezzo vi sarebbe
dipinto il San Martino a cavallo”, per cui viene interpellato l’artigiano Paolo Faggi, imbianchino e decoratore, già
presente in cantiere; Faggi chiede 700 Lire per eseguire la
decorazione della stuoia, “quello che si riferisce alla parte
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Rapporti dell’Adunanze, verbali datati
8 settembre e 3 ottobre 1880.
163
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Conti di lavori eseguiti alla chiesa di
Sesto e collaudati il giorno 3 Marzo 1881, cc.nn.nn.
162
~ 83 ~
ornamentale”, altre Lire 200 per le pareti della navata centrale e s’impegna a far eseguire la figura del San Martino
“all’affrescante Bellandi” per Lire 300”.164 Nel gennaio del
1881 il pievano informa la deputazione del corso d’opera
dei lavori alla stuoia e inoltre ricorda “avere il Faggi quasi
ultimato la parte ornamentale del soffitto, e il Prof. Bandinelli, proposto dal Sig. Bellandi andato a Catania, avere pur
anco incominciato il gruppo che va nello scompartimento
centrale”. Quindi l’esecuzione dell’affresco viene proposta in un primo tempo al pittore e decoratore fiorentino
Ernesto Bellandi (1842-1916), che non potendo eseguire
la commissione poiché in partenza per Catania, dove eseguirà alcuni lavori presso il Teatro Massimo, propone di
essere sostituito dal pittore Olimpio Bandinelli, sul quale
la deputazione concorda.165
Nella stessa occasione vengono esaminate dalla commissione “il disegno e la perizia per la costruzione del nuovo
Battistero”, per cui l’ingegner Mariani prevede una spesa di
Lire 804,30; si delibera di costruire il nuovo piccolo vano
e il nuovo fonte in marmo, ancora visibili in pieve. Uno dei
commissari rappresentanti la compagnia di Santa Maria
delle Candele, il cavalier Alessandro Borgheri, nel ricordare
i lavori in previsione al Battistero descrive brevemente lo
stato precedente: “il cav. Borgheri dice che una volta tolto il
fonte dove trovasi attualmente, e demolito per conseguenza
la scalinata [del fonte], troverebbe conveniente sopprimere
lo altare che è nella opposta parete, lasciando al suo posto
la tavola dell’altare”. L’altare simmetrico posto nella navata
164
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Rapporti dell’Adunanze, verbale datato
21 novembre 1880.
165
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Rapporti dell’Adunanze, verbale datato 16 gennaio 1881; fasc. 4a, Atti preparatori e Verbali delle adunanze
della Deputazione fino a quella del 16 febbraio 1881, cc.nn.nn. Per il pittore
Olimpio Bandinelli si veda sopra, nota n° 126; Ernesto Bellandi pittore
fiorentino in A. De Gubernatis, U. Matini, Dizionario degli artisti italiani
viventi, pittori, scultori e architetti, Firenze 1923, pp. 45-47.
~ 84 ~
laterale destra verrà infatti eliminato a favore dell’ancor oggi
visibile soluzione a parete.
A detto incontro di gennaio viene invitato infine ad assistere
il sig. Enrico Giorgi De Pons, patrono della cappella barocca
posta a conclusione della navata laterale sinistra, al quale si
chiede di provvedere al restauro della stessa vista l’occasione
generale dei lavori, e il sig. Giorgi ne conviene, accettando e
proponendo di “recingere con una cancellata la cappella”,
una proposta che viene accolta dalla deputazione [foto 28].166
A febbraio il vano destinato al fonte battesimale è pronto
e poiché viene ritenuto “abbastanza comodo” si delibera di
collocare il nuovo fonte al centro geometrico dello spazio.
Il prof. Medici propone di chiedere un preventivo al prof.
Bandinelli per eseguire “di fronte all’ingresso di detto Battistero un San Giovanni a chiaro scuro, […] e qualora questo
fosse trovato conveniente viene incaricato il Presidente di
farlo definitivamente eseguire.” Il San Giovanni richiesto a
Bandinelli verrà infine eseguito e pagato 80 Lire; la parete
che lo avrebbe ospitato si trova oggi coperta con una decorazione più tarda su cui sono apposti manufatti in maiolica,
oltre allo stesso fonte battesimale, che nel frattempo è stato
appoggiato alla stessa parete; l’affresco in questione potrebbe quindi essere ancora presente, forse in lacerti, sotto strati
successivi. La commissione pensa inoltre di chiedere alla
“nobile casa Ginori” uno “Spirito Santo di maiolica bianca su
fondo blu per collocarlo al centro del soffitto del Battistero”,
ma non abbiamo notizie a proposito della sua collocazione,
mentre attualmente lo Spirito Santo è presente in forma di
affresco nella posizione prevista dai commissari.167
166
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Rapporti dell’Adunanze, verbale datato
16 gennaio 1881.
167
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Rapporti dell’Adunanze, verbale datato
16 febbraio 1881. Il pagamento del San Giovanni Battista a Bandinelli si
trova in A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Perizie e note di prezzi, fasc. Riepilogo
generale adunanza 16 ottobre 1881, compilato dall’ing. Mariani, cc.nn.nn.
La pila del fonte battesimale viene commissionata ai fratelli Betti scalpel-
~ 85 ~
28. Pieve di San Martino, veduta frontale della cappella Giorgi dopo le opere
di restauro condotte nel 1880-’81. Sull’altare, ancora collocato in posizione
originale, si trova il dipinto di Gaspero Martellini raffigurante la Madonna del
Rosario, San Francesco e San Domenico, eseguito alla metà del XIX secolo.
~ 86 ~
Alla fine di febbraio Paolo Faggi decoratore presenta
una richiesta di pagamento per diversi lavori fra cui quelli
eseguiti al coro, “imbiancatura e riquadratura delle pareti
e soffitto del nuovo coro eseguite a forma dell’annesso disegno con cantonali a fondo dorato”, “decorazione delle formelle eseguite con i rosoni”, “dell’arco maggiore con cartelle
e candelabre a chiaro scuro”, la doratura dei capitelli, basi e
scudo sul prospetto dell’organo, e quelli eseguiti alla navata
maggiore, ovvero le “iscrizioni delle cartelle del soffitto n°
5”, la “pittura della prima cartella sopra gli archi”, e la coloritura “per 14 capitelli”, senza specificare se fossero dorati
anch’essi. A eseguire gli stucchi vengono chiamati i “Fratelli
Nicola e Luigi Ramelli Ornatisti”, che richiedono pagamenti
per “n° 5 rosoni intagliati a foglia d’acanto per le formelle
dell’arco maggiore, […] capitelli con volvolo intagliato, e
cimasa, nonché il fregio ornato con borchie, con modelli
eseguiti espressamente, […] n° 2 capitelli Bramanteschi pei
pilastri sull’orchestra, […] una cartella grande per il motto
latino collocata alla grande arcata, […] mensole intagliate
per i serragli delle porte, del Battistero ed altra di fronte”,
oltre alle opere necessarie per la collocazione del grande
frontone in stucco posto sopra l’organo, su cui si trovava
“l’Emblema dell’Arme” [foto 29].168
Appare chiaro che in corso d’opera vengono prese le decisioni occorrenti ai passi successivi, quindi non possiamo
fare a meno di chiederci quale sia la relazione fra le scelte
condotte in itinere e il progetto originario di Pasqui: si sta
seguendo una trama chiara, definita in modo indubbio, o
si sceglie cautelativamente di volta in volta solo in base al
lini e marmisti di Firenze e realizzata a Carrara; nel mese di novembre
1881 non è ancora arrivata alla pieve, in A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc.
Sig. Prof. Carlo Mariani, Lettere, dopo che assunse la direzione del restauro della
chiesa, lettera dell’ing. Mariani al pievano datata 9 novembre 1881.
168
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Conti di lavori eseguiti alla chiesa di
Sesto e collaudati il giorno 3 Marzo 1881, cc.nn.nn.
~ 87 ~
29. Pieve di San Martino, veduta frontale della nuova abside all’indomani
delle opere di restauro; si noti il coretto con la grande edicola che ospita
l’organo.
~ 88 ~
sostegno finanziario e alle necessità? Impossibile da affermare allo stato attuale delle conoscenze documentarie, ma
potrebbe essere plausibile la soluzione intermedia, ovvero
scegliere di seguire un tracciato definito a priori e attuarlo
compatibilmente con i fondi disponibili e gli imprevisti di
cantiere.
Quando il 5 marzo 1881 l’ingegner Mariani redige il collaudo tecnico amministrativo dei lavori svolti al cantiere si
apprende che l’appalto iniziale bandito per un ammontare di Lire 2334,55 è stato eseguito così come previsto, e a
esso si sono aggiunte le seguenti opere: costruzione di una
“stanzetta” [foto 30] posta sul fianco destro del nuovo coro,
restauro o ampliamento della sacrestia posta sul lato destro
dello stesso, messa in opera del ricco prospetto decorativo
dell’organo, realizzazione del nuovo arco di trionfo (come
visto per l’assenza di solidità di quello esistente), restauro e
dipintura della stuoia, dei cornicioni e di tutta la decorazione della navata maggiore, esecuzione “dell’addirizzamento
delle mura” e altri riassetti, e infine la costruzione del Battistero, per un totale di Lire 10658.86.169 Un totale di spesa
quadruplicato rispetto alla previsione d’inizio lavori, come
la quantità delle opere eseguite in corso d’opera.
Il giorno seguente si svolge l’incontro della deputazione
esecutrice, che approva il collaudo presentato dall’ingegnere.
Nel corso della seduta si discute della possibilità di costruire
due nuove cappelle laterali in luogo degli altari a parete
esistenti su entrambe i lati, quello dedicato alla Madonna e
quello della Compagnia della Beata Vergine delle Candele.
L’assemblea decide di fare una previsione di spesa dell’opera
ed eventualmente di farla eseguire, a condizione che non
si superi la cifra di Lire 1500, ultima rimanenza di cassa.170
169
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Conti di lavori eseguiti alla chiesa di
Sesto e collaudati il giorno 3 Marzo 1881, cc.nn.nn.
170
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. 4b, Atti preparatori e Verbali delle adunanze pel restauro della Chiesa dal 16 febbraio 1881, cc.nn.nn.
~ 89 ~
30. Archivio Pieve San Martino, Progetto di costruzione di un piccolo vano a
fianco dell’abside della chiesa, Ingegner Carlo Mariani. Il progetto prevede la
costruzione di una piccola stanza affiancata al nuovo coro, utile per ospitare
la scaletta per salire al coretto e quindi raggiungere l’organo.
~ 90 ~
Nel corso della seduta di aprile l’ingegnere informa che la
previsione di spesa per la costruzione delle cappelle non è
stata superata ma i due vani risultato profondi solo tre metri, mentre per le necessità d’uso delle stesse si prevede una
profondità a destra di mt. 4.50 e a sinistra di mt. 5; inoltre
si progetta una copertura a volta, in luogo di una piana, che
sarebbe stata meno dispendiosa. L’esame dei fondi di cassa
appena aggiornato consente l’esecuzione dei nuovi vani con
le nuove caratteristiche – più ampi e coperti a volta – , che
viene approvata dalla deputazione. Si prevede per le stesse
una decorazione da affidare al “Pratesi riquadratore”, visto
che tutto il resto era stato eseguito dal decoratore Paolo
Faggi. Con l’occasione si decide anche per un restauro completo delle navate laterali, probabilmente una sostanziosa
tinteggiatura, e per la soppressione di due confessionali che
si trovavano al di sotto di quelli ancora oggi in uso, verso le
porte laterali.171
Sono in corso gli accordi con la vetreria artistica Francini di Firenze per la realizzazione dell’occhio della navata
principale, su cui si prevede un disegno “a mezza figura”
raffigurante San Martino, da eseguirsi con vetri colorati;
l’ingegnere chiarisce che i costi previsti dall’artigiano ammonteranno a non meno di Lire 500. L’assemblea cerca una
soluzione per abbassare i costi; il cavalier Borgheri s’incarica
di tentare l’ottenimento di un buon prezzo con il direttore
della vetreria, ma non ottiene risultati; anzi, il direttore confermerà il prezzo previsto, e nell’occasione si viene informati
del progetto concordato in origine dallo stesso pievano con
la vetreria, ovvero un occhio che avrebbe dovuto raffigurare
“la Madonna di San Miniato”, al posto della successiva svolta
sul San Martino. Alla conclusione la figura che verrà realiz171
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Rapporti dell’Adunanze, verbale datato
10 aprile 1881. “Pratesi Antonio decoratore” viene pagato per la decorazione delle due nuove cappelle 135 Lire, in A.P.S.M., Restauro Pieve,
fasc. Perizie e note di prezzi, fasc. Riepilogo generale adunanza 16 ottobre 1881,
compilato dall’ing. Mariani, c.n.n.
~ 91 ~
zata sarà quella della Madonna, “eseguita a pittura a smalto
con vetri tutti impiombati sistema degli antichi artefici”.172
Alla fine di giugno il pievano riceve un finanziamento di
Lire 1.000 dalla Marchesa Ottavia Strozzi coniugata Ginori,
destinato, fra l’altro, al restauro della cappella barocca posta alla conclusione della navata destra, la cappella Martini
dedicata al “Santo Nome di Gesù”, simmetrica alla cappella
Giorgi. L’ingegner Mariani propone il pittore Bandinelli,
poiché già presente in cantiere, quale potenziale autore
del restauro degli affreschi della volta della cappella sopradetta; il commissario Medici non concorda, e afferma che
nonostante la sua
[…] moltissima stima del Bandinelli ritenendolo uno dei più valenti
affrescanti di Firenze, come restauratore di antiche pitture non se ne conosce il valore, e vorrebbe prima interpellare qualche specialista, per esser
più sinceri dell’esito, e perciò interpellerebbe prima il Prof. Bianchi, per
assumere tale ufficio, e non potendo egli si rivolgerebbe al Pezzati, pratico
anch’esso di tali restauri.173
Il professor Bianchi, interpellato per la commissione,
comunica tramite l’ingegner Mariani
[…] la sua assoluta renunzia per il restauro della cappella e di farle
sentire il suo consiglio unito a quello del sig. Brunetti di Prefettura di
non confondersi col giudizio della commissione governativa intorno alle
pitture, che non hanno più merito di conservazione specialmente sulla
parete rimasta quasi invisibile.174
172
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Rapporti dell’Adunanze, verbali datati
10 aprile 1881, 29 maggio 1881; fasc. Conti di lavori eseguiti alla chiesa di
Sesto e collaudati il giorno 3 Marzo 1881, conto dello “stabilimento Francini”
datato 25 settembre 1881, cc.nn.nn.
173
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Rapporti dell’Adunanze, verbale datato
29 giugno 1881. Pietro Pezzati (1828-1890), pittore e restauratore livornese, ha collaborato in più occasioni di restauro con il più noto Gaetano
Bianchi, in A. De Gubernatis, U. Matini, Dizionario degli artisti italiani
viventi: pittori, scultori e Architetti, Firenze 1889, p. 372.
174
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Sig. Prof. Carlo Mariani, Lettere, dopo
che assunse la direzione del restauro della chiesa, lettera al pievano datata 2
agosto 1881.
~ 92 ~
Il riferimento alle pitture che non vale la pena recuperare è
principalmente rivolto alle Nozze di Cana, l’affresco seicentesco
che copriva la parete laterale destra della cappella Martini,
descritto più volte come illeggibile e destinato a scomparire
proprio nel corso di questo restauro.175 Con la fine di agosto la
commissione si concentra quindi sulle operazioni di restauro
generale alla cappella Martini: per il restauro della volta affrescata il pittore Pietro Pezzati chiede un compenso di lire 450
ma la controfferta della deputazione è di Lire 300. Il pittore
declina l’incarico perché pagato con una cifra troppo inferiore a quella richiesta, e ricorda che “venne a mia cognizione
che qualche trattativa era corsa col distinto artista Olimpio
Bandinelli”, sottolineando evidentemente che una sua sollecita sostituzione non dovrebbe essere difficile.176 La cappella
verrà restaurata dal pittore Enrico Andreotti (1824-1884),
per un compenso di Lire 400. Le due cappelle barocche sono
state riconosciute in passato come restauri autografi compiuti da Gaetano Bianchi, in questo torno di lavori; mentre la
cappella Giorgi sfugge al controllo documentario perché il
suo riordino viene eseguito a cura della famiglia stessa, per
quanto riguarda la cappella Martini siamo a questo punto
certi non essere stata oggetto delle cure del prof. Bianchi.177
175
Nell’adunanza del 29 giugno la deputazione stabilisce di chiedere
alla Commissione Conservatrice dei Monumenti il permesso per demolire l’affresco deteriorato della parete destra della cappella Martini,
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Rapporti dell’Adunanze, verbale datato 29
giugno 1881. Il 29 agosto l’ingegner Mariani scrive al pievano “[…] mi
determinerò circa i lavori da farsi in quella della Sig.ra M.a Ginori, ora
che sento essere pervenuto il debito permesso per la demolizione della
pittura sottostante alla finestra”, ovvero dell’affresco de Le Nozze di Cana,
in A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Sig. Prof. Carlo Mariani, Lettere, dopo che
assunse la direzione del restauro della chiesa, lettera al pievano datata 29 agosto 1881; il permesso si trova in A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Documenti
relativi al restauro della pieve di Sesto, lettera dalla Prefettura della Provincia
di Firenze al pievano Calcinai datata 26 agosto 1881.
176
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Documenti relativi al restauro della pieve
di Sesto, lettera di Pietro Pezzati al pievano datata 18 agosto 1881.
177
Il pagamento del restauro della volta cappella Martini al pittore
Enrico Andreotti si trova in A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Perizie e note di
~ 93 ~
Olimpio Bandinelli risulta infine nuovamente coinvolto
nelle decorazioni nel precedente mese di maggio, poiché
pagato direttamente da Calcinai per “l’esecuzione di un
dipinto a buon fresco rappresentante San Ranieri”, ancora
oggi visibile sull’ultimo pilastro di destra, in prossimità della
cappella Martini. È lo stesso pievano a raccontare la commissione nel suo Cenni storici della chiesa plebana di San Martino,
dove ricorda che sul detto pilastro si trovava in precedenza
raffigurata Santa Bartolomea Bagnesi, in luogo della quale
“il Pievano Calcinai nel Maggio 1881, restaurandosi la chiesa, fece dipingere a buon fresco un S. Ranieri protettore dei
Pisani e suo avvocato”.178
La cappella Giorgi invece sembra subire attardamenti,
poiché il pievano afferma “aver scritto al sig. Giorgi onde
sollecitarlo a far ultimare il più sollecitamente possibile il
restauro della di lui cappella, ma non avere ancora veduto
ritornare pel lavoro i manifattori”. Si discute del riordino
delle tre porte d’ingresso e della bussola, di “rattoppare”
l’impiantito del loggiato frontale, oltre a formulare proposte
per la realizzazione di un modello di panca nuova, che serva
per realizzarne altre in seguito, e ad approvare la perizia
dell’ing. Mariani relativa al restauro del tetto della chiesa.
Ma il tema più importante in discussione è la riapertura della
chiesa restaurata, per cui il presidente informa l’adunanza
Aver concertato con Monsignore Arcivescovo di riaprire la Chiesa la
mattina del 9 ottobre, procedendo ancora alla funzione della Consacraprezzi, fasc. Riepilogo generale adunanza 16 ottobre 1881, compilato dall’ing.
Mariani, c.n.n. Su Enrico Andreotti, pittore d’ornati e d’affreschi, in
M.K. Guida, Presenze fiorentine in Calabria. Enrico e Federico Andreotti, Soveria Mannelli 1995, pp. 35-44. Sull’attribuzione dei restauri ottocenteschi
alle cappelle barocche a Gaetano Bianchi si veda, M. M. Simari, Note
sul patrimonio artistico della pieve, in La Pieve di San Martino a Sesto 1990,
pp. 13-18.
178
Il pagamento al Bandinelli si trova in A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc.
Ricevute pel restauro della chiesa, pagamento datato 4 giugno 1881, c.n.n.;
il testo citato in Calcinai 1880-’81, c. 49.
~ 94 ~
zione, per conseguenza occorre in tutti i modi che almeno 15 giorni avanti
la chiesa stessa rimanga sgombra da ogni e qualunque manifattore, per
aver tempo di prepararla il più degnamente per la funzione stessa […].
Il presidente da lettura di alcune poesie da esso composte che devono ricordare il fatto del restauro della Chiesa Pievania di Sesto, quali poesie
riportano la generale approvazione degli adunati, e viene stabilito pubblicarle per mezzo della stampa, onde distribuirle il giorno dell’apertura
della chiesa […].179
Con l’inaugurazione ufficiale del grande restauro i lavori
non sono del tutto terminati, quindi nei mesi seguenti la deputazione esecutrice continuerà a incontrarsi per le decisioni
ordinarie relative ai pagamenti degli artigiani, all’ultimazione di arredi e loro sollecitazione, o altre rifiniture. Dal verbale di novembre del 1881 si apprende ciò che più aveva temuto
il pievano Calcinai: il valore del grande deficit accumulato
complessivamente, che assomma infine a L. 6500 circa.180 Fin
dal maggio precedente il pievano aveva esposto all’assemblea
le sue perplessità circa l’assenza totale di finanziamenti da
parte del municipio di Sesto, dopo che enti pubblici come lo
stesso stato, o i numerosi privati, avevano più o meno generosamente provveduto alla concessione di contributi per la
realizzazione delle opere; il 31 maggio 1881 la deputazione
aveva inviato al sindaco una “istanza di concorso alla spese
di restauro”, cui il comune aveva risposto il 4 agosto seguente
con un diniego. Secondo il consiglio comunale “il comune
non può e non vuole pagare, per non creare un precedente;
inoltre non è obbligato dalla legge, che prevede invece forme
di tutela relativa alla sola conservazione, […] perché non si
trattava di semplice conservazione, ma di ingrandimento e
di abbellimento della chiesa.”181 Dopo sei mesi dal diniego
179
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Rapporti dell’Adunanze, verbale datato
21 agosto 1881.
180
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Rapporti dell’Adunanze, verbale datato
30 novembre 1881.
181
A.C.S.F., Postunitario, Culto 1866-1883, VII, 132, fasc. “Progetto
del restauro della chiesa di Sesto”, Adunanza del Consiglio Comunale
del 4.8.1881.
~ 95 ~
il pievano non ha affatto mutato opinione, e a novembre
propone ancora di rendere partecipe il municipio dell’importanza assoluta del suo coinvolgimento finanziario. Il 2
dicembre 1881 la deputazione reindirizza al municipio una
richiesta del tutto simile alla precedente, ottenendo lo stesso
risultato da parte dell’istituzione pubblica.182
Nell’adunanza della deputazione esecutrice di novembre
il commissario Medici invita la deputazione a considerare la
possibilità di incaricare un tecnico specializzato ingegnere a
esaminare le opere eseguite e pronunciarsi circa la loro “indispensabilità”, redigendo così un rapporto prodotto da una
terza parte, per dimostrare al municipio che poiché nessun
spreco è stato permesso le opere condotte sono state essenziali, e soprattutto volte alla “conservazione”, quindi economicamente sostenibili anche dalla municipalità.183 Ovvero,
almeno per la parte riguardante il pagamento del deficit.
L’assemblea propende per incaricare un “perito di riconosciuta fama” e la scelta ricade sull’architetto Vincenzo
Micheli (1833-1905), allievo e collaboratore dell’architetto
Emilio De Fabris e autore di note opere fiorentine, come gli
edifici della nuova piazza della Repubblica, l’ampliamento
dell’ospedale di Santa Maria Nuova, villa Fabbricotti o la
costruzione della Sinagoga in collaborazione con gli architetti Falcini e Treves.184 La “Relazione di Collaudo” di
Micheli è consegnata alla deputazione il 15 febbraio 1882,185
182
A.C.S.F., Postunitario, Culto 1884-1902, VII, 133, fasc. “Progetto
del restauro della chiesa di Sesto”, Adunanza del Consiglio Comunale
del 11.12.1881.
183
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Rapporti dell’Adunanze, verbale datato
30 novembre 1881.
184
L’architetto Vincenzo Micheli in Cresti Zangheri 1978, pp. 157158.
185
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Rapporti dell’Adunanze, lettera di
consegna del parere da parte dell’architetto Micheli datata 15 febbraio
1882; A.C.S.F., Postunitario, Culto 1884-1902, VII, 133, fasc. “Progetto
del restauro della chiesa di Sesto”, Parere dell’Architetto Micheli datato
15 Febbraio 1882.
~ 96 ~
che provvede a inoltrarla al Prefetto di Firenze come allegato a un lungo documento a stampa intitolato Ricorso
della Commissione incaricata del restauro della chiesa plebana di
Sesto Fiorentino alla Deputazione Provinciale di Firenze contro la
deliberazione del Consiglio Comunale di Sesto Fiorentino del dì 21
dicembre 1881, con cui la deputazione esecutrice si appella
all’ente di ordine superiore rispetto al municipio, per ottenere un diverso parere sulla vicenda.186 Con questo atto si
apre una controversia fra la commissione rappresentante
gli interessi della pieve e la municipalità di Sesto fatto di
richieste di documenti supplementari, di copie conformi
e informazioni di rito che sembra non avere termine: un
termine che invece sopraggiunge nel frattempo per la vita
del pievano Calcinai, che il 17 novembre 1882 scompare
all’età di 62 anni, lasciando il grande restauro compiuto e
un passivo da ricomporre.
Una lunga fase di passaggio che attende la nomina di un
nuovo pievano vede il servizio pastorale affidato provvisoriamente al cappellano di Ranieri Calcinai, e finalmente nel
1884 il prete Giuseppe Giannessi (1824-1889) viene eletto
pievano di Sesto. Il 5 febbraio 1884 il nuovo pievano scrive
una lettera al sindaco di Sesto, in relazione alla vicenda
ancora aperta; vale la pena leggerla:
Una delle cose che più mi stanno a cuore è certamente il debito per il restauro di questa Chiesa Plebana, il quale a mio credere, è un debito d’onore
di tutto questo nobile paese. E perché ho fede vivissima che un tal debito
potrà in gran parte estinguersi per mezzo di qualche fiera di beneficenza
e anco di qualche tombola, da tenersi fra breve, mi fo l’onore di pregare la
S.V. Illustrissima e tutta codesta Illustrissima Rappresentanza Municipale
a volersi per ora astenere da qualunque definitiva risoluzione intorno al
modo di pagamento del debito di cui sopra è parola.187
186
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. Perizie e note di prezzi, Ricorso a stampa
datato 30 giugno 1882.
187
A.C.S.F., Postunitario, Culto 1884-1902, VII, 133, fasc. “Progetto del
restauro della chiesa di Sesto”, lettera del pievano Giannessi al Sindaco
datata 5 febbraio 1884.
~ 97 ~
Il pievano Giannessi mostra dunque un atteggiamento
radicalmente diverso rispetto al suo predecessore di fronte
alla municipalità, alla base del quale sta un’evidente volontà
di cercare un accordo pacifico e conveniente per tutti. Il
comune sospende momentaneamente ogni decisione e con
il tempo risolverà la questione: il 12 maggio 1886 il consiglio
municipale delibera che, dopo aver esaminato il rapporto
redatto dalla Commissione speciale per la vertenza circa il restauro
della chiesa di Sesto – una commissione legale composta dagli
avvocati Adolfo Daddi, Carlo Scappucci e Claudio Comotto – il debito dovrà essere risarcito esclusivamente da parte
dell’amministrazione dell’Opera di Santa Maria delle Candele, con pagamenti a rate, l’unico e originario ente laico
storicamente incaricato della conservazione materiale della
pieve di San Martino.188
Un ultimo passo indietro ancora, per tornare al giorno 9
Ottobre 1881, quando sotto l’egida di Monsignor Eugenio
Cecconi (1834-1888), arcivescovo di Firenze, la pieve di San
Martino viene inaugurata con una cerimonia solenne che
ne sancisce la consacrazione dopo il grande restauro.
Come detto sopra il pievano crea alcuni componimenti
poetici e compila un testo di ringraziamenti ufficiali che
andranno a comporre un opuscolo, da distribuire ai fedeli
nella giornata di festa [foto 31].
Nella prima composizione, un sonetto che s’intitola “La
Chiesa”, Calcinai celebra la bellezza ritrovata della pieve;
nella seconda, un altro sonetto, il pievano racconta la vicenda del soldato Martino e della donazione del mantello al
povero, per ricordare il nuovo grande affresco raffigurante
lo stesso tema eseguito sulla volta della navata centrale.189
188
A.C.S.F., Postunitario, Culto 1884-1902, VII, 133, fasc. “Progetto
del restauro della chiesa di Sesto”, Delibera del Consiglio Comunale
datata 12 maggio 1886.
189
A.P.S.M., Restauro Pieve, fasc. n°69, Consacrazione della restaurata ed
ampliata chiesa plebana di San Martino.
~ 98 ~
31. Archivio Pieve San Martino, opuscolo redatto dal
pievano Calcinai in occasione dell’inaugurazione
del grande restauro, il 9
ottobre 1881; nella pagina
il testo del sonetto che il
pievano dedica alla vicenda del soldato Martino ed
al povero, per celebrare
il nuovo grande affresco
eseguito sulla volta della
navata centrale dal pittore
Olimpio Bandinelli.
Quando nel 1881 Guido Carocci pubblica la sua prima versione della guida al territorio extraurbano fiorentino, I Dintorni di Firenze, visita San Martino appena conclusi i restauri
e li commenta positivamente, ricordando che “ultimamente
però, vi sono stati fatti vari restauri per ridarle l’antico carattere e in questa circostanza s’è scoperto che tutta la chiesa
era dipinta a fresco e di buona scuola”.190 Oggi non possiamo
dimostrare che tutta la chiesa fosse dipinta come ipotizzava
lo studioso, ma se così fosse con le demolizioni degli intonaci
della navata principale condotte alla metà del Novecento la
presenza d’affreschi fra gli strati delle incrostature sarebbe
stata probabilmente rilevata, e valorizzata.
190
Carocci 1881, p. 155.
~ 99 ~
Poco più avanti, il 25 novembre dello stesso anno, la pieve
restaurata viene visitata in occasione della consueta e ciclica
visita pastorale; ammirata per la sua limpida condizione,
viene infine così descritta:
La chiesa di San Martino a Sesto è stata ingrandita col concorso del
popolo dal pievano attuale, che fece di nuovo il coro, le due cappelle del
Sacramento e della Divina Pastora, il Battistero, e la ripulì in modo che
attualmente è un vero gioiello.191
Insieme alla relazione di visita viene redatta una pianta
della pieve [foto 32] in forma di schizzo, condotto con rapidità, corredata di legenda, che permette di conoscere la
nuova disposizione ampliata con cappelle laterali, battistero,
sacrestia e coro; è l’unico documento disegnato giunto sino
a noi e redatto all’indomani della conclusione del grande
restauro.
Una vasta operazione di restauro, oggi storicizzata e contestualizzata nel suo tempo; ambita, sostenuta e compiuta
per volontà del pievano Ranieri Calcinai, che compie un
immenso sforzo affinché la pieve continui a rappresentare
il cuore pulsante della comunità sestese, in un tempo nel
quale ormai le nuove istituzioni civiche competono quali
poli altrettanto rappresentativi.
191
Archivio Arcivescovile di Firenze, Visite Pastorali, 81, 25 novembre
1881, c. 2448.
~ 100 ~
32. Archivio Arcivescovile Firenze, pianta della chiesa di San Martino delineata
a penna, allegata alla Visita Pastorale del 25 novembre 1881. Nella semplice
pianta redatta come un piccolo schizzo a margine del testo, l’autore rileva la
situazione più aggiornata della pieve di San Martino dopo il grande restauro.
In particolare si veda per la prima volta la presenza delle cappelle laterali,
del battistero, della sacrestia e del nuovo coro, compreso il corridoio per
andare nel chiostro.
~ 101 ~
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Archivio Storico del Comune di Firenze, Fondo Disegni.
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Indice
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5
Un pievano e il suo restauro . . . . . . . . . . . . . . . . » 22
Il finanziamento dell’impresa . . . . . . . . . . . . . . . » 26
Il pievano Calcinai, l’architettura e l’architetto . » 30
L’architetto Leopoldo Pasqui: cenni biografici,
culturali e professionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 34
La pieve prima del restauro . . . . . . . . . . . . . . . . . » 55
Il progetto di restauro dell’architetto Leopoldo
Pasqui . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 61
Cronaca del restauro, non privo di sorprese . . . » 72
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Realizzazione editoriale
apice libri
Caratteri
- ITC New Baskerville di Linotype® per copertina e testo
- Lucida Sans di Bigelow & Holmes Inc.® per le didascalie
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Nel mese di novembre 2016 per conto di apice libri