USA 2016: Stein-Johnson, gli outsider non sfondano

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mercoledì 09 novembre 2016, 14:30
Elezioni americane
USA 2016: Stein-Johnson, gli outsider non sfondano
Per la Verde solo lo 0,3%, mentre per il Libertario il 4,8%: troppo poco per essere decisivi
di Redazione
Dovevano essere i candidati che avrebbero messo in crisi Hillary Clinton e Donald Trump. Gli outsider che per un
momento sono sembrati la rivelazione di Usa2016 alla fine si sono risolti in una bolla di sapone o quasi: Gary Johnson,
candidato del Libertarian Party, si è fermato al 4,8%; Jill Stein, candidata del Green Party, al 0,3%. Evidentemente c'è
stato un problema con i sondaggi (ma c'è stato anche per quanto riguarda i due candidati principali) ma, per comprendere al
meglio la dinamica di questi risultati, sarà necessario andare ad analizzare le ragioni di un entusiasmo che, nei primi
momenti, aveva caricato di aspettative questi outsider. Il distacco dalle istituzioni tipico di questa epoca (almeno per
quanto riguarda il mondo occidentale) ha naturalmente provocato uno scollamento tra i cittadini ed i partiti
tradizionali. Con queste premesse si pensava che, nonostante il sistema elettorale statunitense favorisca
fortemente un sistema bipartitico escludendo di fatto candidati terzi dalla possibilità di una eventuale
elezione, i candidati dei partiti minori potessero ambire a risultati maggiori: in tal modo avrebbero potuto
rosicchiare voti preziosi all'uno o all'altro dei candidati principali risultando, di fatto, l'ago della bilancia. Gary Johnson,
fautore di un programma fortemente liberista e di poderosi tagli alla spesa pubblica, di un abbassamento delle
tesse e di un certo protezionismo in politica estera, avrebbe di certo potuto attrarre una parte dell'elettorato repubblicano
(quantomeno quella più legata all'esperienza reganiana). I risultati gli hanno dato torto: a settembre era stato quotato
addirittura attorno al 10% ma, salvo qualche relativo successo in North Dakota (suo stato di origine: 7,5% circa), Nebraska
(6,8% circa) e Minnesota (attorno al 6%), si è fermata a poco meno della metà. Jill Stein, medico ed ambientalista, era
quotata oltre il 3% ed avrebbe potuto erodere consensi ad una Hilary Clinton già provata dallo scandalo delle mail. Le sue
posizioni sulla politica ambientale e le sue ricette sociali spostate a sinistra avrebbero dovuto, nelle previsioni degli
analisti, attrarre quanti, dopo aver sostenuto la candidatura di Bernie Sanders alle primarie democratiche, non se la fossero
sentita di sostenere una candidata strettamente legata alla vecchia classe politica in cui molti cittadini statunitensi non si
riconoscono più. Il suo risultato reale, come spesso accade ai candidati verdi negli USA, non ha nemmeno toccato l'1%.
Eppure i presupposti, per entrambi questi candidati, erano buoni: il distacco dei cittadini della politica tradizionale era
effettivo. Quale è stata, dunque, la ragione di questi insuccessi? È facile intuire come in un Paese come gli USA
posizioni politiche come quelle della Stein, improntate su interventi sociali e difesa delle minoranze, possano difficilmente
trovare larghi consensi: le ricette politiche dei verdi non sono state in gradi di attrarre l'elettorato democratico
insoddisfatto. Un discorso a parte merita invece il caso di Gary Johnson. Come mai questo candidato, che pure aveva
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/usa-2016-stein-johnson-gli-outsider-non-sfondano/
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molte carte in regola per attrarre l'elettorato repubblicano, ha ottenuto risultati così modesti? La risposta potrebbe essere
questa: l'elettorato repubblicano, anch'esso scontento e deluso dai propri tradizionali referenti politici, ha già
trovato un rappresentante al di fuori della vecchia politica. Si tratta di Donald Trump. La sua straordinaria,
inarrestabile vittoria alle primarie del partito ha colto tutti di sorpresa, primi tra tutti i leader dello stesso Partito
Repubblicano che, in più momenti, sono stati tentati di ritirare il loro sostegno al candidato. Posizioni demagogiche e
facili da memorizzare, presenza scenica nel modo di interfacciarsi con il pubblico, con gli alleati e con gli
avversari, un modo di parlare che punta direttamente alla pancia dell'elettorato: tutto ciò si è rilevato
certamente vincente, ma non bisogna dimenticare un elemento fondamentale, ovvero l'estraneità di Trump al gruppo
dirigente del partito. Una dinamica che non è certo nuova e che si ripropone ogni volta che in un paese viene meno la fiducia
dei cittadini nelle istituzioni.
di Redazione
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