Transcript sul crinale

SUL CRINALE
di Stelvio Bo
Da molti punti di vista si ha la sensazione di trovarsi su un crinale di passaggio dove un ciclo si
conclude mentre un altro comincia a delinearsi.
Le politiche di espansione monetaria con cui i regolatori hanno governato la crisi iniziata nel 2008
(originata in ultima istanza dalla manomissione politica dei consueti criteri di erogazione del
credito) sono servite ad acquietare i sintomi più allarmanti del nervosismo dei mercati, ma,
specialmente in Europa e in Giappone, non riescono ad innescare, tramite l'artificio dell'espansione
della base "monetaria" (detta “M zero”, cioè la quantità di fondi all'interno del sistema bancario
inclusa la Banca centrale), una crescita più rapida rispetto alla spesa totale dell'economia nel suo
complesso.
Infatti alla crescita enorme di "M0", iniettata nei sistemi economici dalle Banche centrali a prezzi
irrisori, non sono seguite la crescita di M2 e M3, che rappresentano la circolazione monetaria nel
sistema economico generale, del quale sono protagonisti le imprese e le famiglie o i singoli
individui (le varie misure della quantità di moneta in circolazione nell'economia reale sono
denominate M1, M2 e M3. Semplificando al massimo le spiegazioni tecniche, si può dire che M1
comprende le banconote e le monete, M2 comprende M1 e i conti correnti, M3 comprende M2, M1
e le obbligazioni bancarie fino a due anni).
Ebbene, nonostante la liquidità resa disponibile alle banche, ad esempio, per l'Europa dalla BCE,
l'aumento di queste grandezze, e di M2 in particolare, risulta fiacco, testimoniando una situazione di
stallo dell'attività economica, che corrisponde alla mancata o modesta crescita del PIL nei rispettivi
sistemi. Se ce ne fosse ancora bisogno, questo dimostra che i regolatori politici, quali sono le
autorità monetarie internazionali, non possono evocare dal nulla una vivacità economica sempre più
rarefatta, né sostituirsi ai mercati, cioè all'insieme delle persone che compiono scelte economiche.
Nonostante gli annunci propagandistici che tentano di accreditare il contrario, la realtà è che le
banche erogano troppo poco credito a imprese e famiglie. Da parte delle banche, che comunque si
trovano vincolate da indici molto più severi di prima, c'è una forte riluttanza ad aggravare un tasso
di sofferenze già alto; nel complesso le politiche del credito sono molto restrittive, e il credito,
quando non erogato in base a richieste politiche, viene di massima concesso, come è noto, a chi non
ne ha davvero bisogno. Noi Italiani, per giunta, stiamo assistendo al salvataggio forzato, ad opera di
altre banche più efficienti, di banche molto compromesse per cause politiche: strana solidarietà, che
finisce per allontanare ancora di più l'ottenimento di credito da parte di chi ne avrebbe necessità. Va
notato, in generale, il fenomeno della fuga delle banche dalla loro attività tipica, il credito, e la loro
ricerca di altri settori da cui trarre profitto.
Da parte delle imprese e delle famiglie, d'altro canto, continua a mancare slancio vitale: se per le
prime si tratta di piani d'investimento troppo spesso fermi al palo, sono soprattutto le famiglie a non
spingere: arroccate a difendere quanto possibile del benessere raggiunto in precedenza, si
contraggono su tutto il resto (non ci si sposa, non si mette su casa, non si hanno figli né li si cresce,
non si cercano con determinazione modi per incrementare i redditi....), tutto ciò evidentemente si
traduce in ulteriore contrazione delle possibilità di lavoro per i giovani e per i disoccupati in
generale.
Nel quadro complessivo delle economie sviluppate si prevedono in definitiva crescita e inflazione a
livelli modesti (magari con qualche puntatina all'insù, com'è recentemente accaduto per il PIL
americano, uscito con +2,9% mentre le aspettative erano di +2,4%).
Ecco quindi che ci apprestiamo ad assistere al subentro di politiche di espansione fiscale a quelle di
espansione monetaria: un po' ovunque un ceto di decisori professionali che in questi anni si è
riaccreditato tenta quest'altra carta, ancora più appetibile perché esalta ed espande la propria sfera di
influenza.
Dove lo "slancio vitale" non mancherebbe sono i Paesi emergenti, che infatti in diversi casi hanno
un buon andamento, come nel caso dell'India, o, pur se in leggero rallentamento, della Cina. In altri,
tuttavia, dobbiamo registrare una situazione di recessione, come in Brasile, anche per le
conseguenze dell'esplosione del sistema di corruttele che innervava tutta la vita economica, e come
in Russia, dove i costi per riprendere un ruolo nazionale di prima grandezza gravano su
un'economia asfittica e con davvero poca libertà economica.
Gli scambi mercantili globali sono, nel complesso, deboli e deprimono i prezzi delle materie prime:
in troppi paesi emergenti, mal governati da élites spudoratamente rapaci, i proventi delle materie
prime non hanno finanziato la formazione di economie vivaci e libere, di modo che la diminuzione
dei prezzi si ripercuote pesantemente su situazioni già molto fragili. Un'aspettativa positiva è però
che tale diminuzione potrà essere mitigata dalla ripresa degli USA.
Del resto, anche se le prospettive globali restano poco ottimistiche, occorre tuttavia osservare che i
consumatori americani hanno risparmi più elevati di prima, livelli di debito inferiori e salari reali
più forti (aumento del 3,3% in agosto). La media dell’aumento degli occupati da giugno ad agosto è
stata un ottimo + 232.000 posti di lavoro. Ciò dà conto dei costanti progressi degli USA in paragone
a Unione Europea e Giappone.
Nemmeno gli Stati Uniti però sono fuori dal cono d'ombra che immalinconisce le maggiori
economie mondiali: anche per loro, pur con ritardo e impatto minore, sta arrivando l'onda nefasta
della decrescita demografica con tutto quello che questa preannuncia di negativo. La supremazia
USA è stata determinata anche da un piano (risalente agli anni '60) di promuovere al proprio interno
un'importante crescita demografica mentre si propagandava all'esterno il contrario, ma ormai una
notevole denatalità di ritorno, anche se inferiore ad altre aree del mondo come la nostra, sta
affliggendo pure gli States, come è testimoniato, oltre che dai numeri, anche dalla spasmodica
attenzione alle statistiche concernenti le scelte dei "Millennials", che per la prima volta stanno
disertando le classiche tappe che scandivano la vita degli americani delle generazioni precedenti,
sottraendo in tal modo uno dei principali impulsi del gigantesco motore dell'economia.
Ecco quindi che torniamo al passaggio alle politiche fiscali espansive che sono nel programma di
entrambi i candidati presidenziali americani: cambiamento a cui si accompagnerà un netto cambio
di conduzione: il punto in cui si sta per manifestare più vistosamente quella successione da un ciclo
all'altro che indicavamo all'inizio. Ciò non vale solo per il caso che prevalga Trump, ma anche e
forse di più, per la Clinton, la cui presidenza, in caso, sarà molto diversa da quella del marito.
I segnali che potrebbe in ogni caso profilarsi una fase agitata sono molteplici: per cominciare,
l'osservazione che molte delle maggiori turbolenze finanziarie si sono verificate al termine di
periodi di doppio mandato presidenziale, in concomitanza con quel delicato momento che vede il
ricambio di squadre e di stili di governo spesso diversissimi e dopo lunghi cicli di successo
finanziario abbastanza spensierato. Poi la scarsa affidabilità dei due candidati: l'inguardabile Trump
che ha fatto di tutto per dare nuova consistenza al concetto di "trash", e che rappresenta un'incognita
assoluta, la Clinton al contrario talmente navigata che su di lei incombe una mole impressionante di
irregolarità (che si comincia a temere siano solo la punta dell'iceberg), e che pertanto potrebbe
facilmente aggiudicarsi il primato dell'impeachment più precoce. Il divisivo Trump, che si ritrova
contro una parte del suo stesso partito (da lui ridotto in macerie), la compromessa Clinton, che
eventualmente dovrà fronteggiare una crisi costituzionale serissima con un Congresso
probabilmente ostile…
L'aspettativa sulle reazioni dei mercati all'indomani dell'esito delle elezioni è comunque più
favorevole nel caso di elezione della Clinton, sia per l'elemento di auspicata continuità rispetto al
periodo che si sta chiudendo sia perché percepita come il candidato dell'establishment alla quale la
maggior parte dell'industria dell'informazione ha deciso di tirare la volata: elementi che portano gli
operatori a ritenere una scommessa su di lei più tranquilla e sicura.
Tuttavia, e proprio a causa della rilevata distorsione operata da stampa e sondaggi, non sarebbe
ragionevole escludere a priori che la parte sprezzantemente ritenuta più "uncool" dell'elettorato non
riesca a ribaltare questa aspettativa; quindi nel prendere decisioni occorre includere anche questa
eventualità.
CONCLUSIONI
Conviene avere una percentuale del portafoglio in liquidità, sottopesare tatticamente il dollaro USA
e accompagnare le tendenze che si affermeranno nel dopo elezioni.