sentenza contro - Giurisprudenza delle imprese

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Transcript sentenza contro - Giurisprudenza delle imprese

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE di MILANO
SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA
Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:
Elena Riva Crugnola
Marianna Galioto
Maria Antonietta Ricci
ha pronunciato la seguente
Presidente
Giudice estensore
Giudice
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 73824/2013 promossa da:
FALLIMENto LA QUIETE SRL IN LIQ., elettivamente domiciliato in VIA VISCONTI
DI MODRONE 36 20122 MILANO, rappresentato e difeso dall’avv. INZITARI BRUNO,
CONTRO
PARTE ATTRICE
ANTONIO ENRICO RIVA, elettivamente domiciliato in CORSO MONFORTE 30
21052 MILANO, rappresentato e difeso dall’avv. PORTATADINO CARLO e Simone
Bigi,
MICHELE RIVA, elettivamente domiciliato in CORSO MONFORTE, 30 20122
MILANO, rappresentato e difeso dall’avv. GALIANO FRANCO e Deborah Borghi,
SOFIA CRISTI RIVA, elettivamente domiciliato c/o la cancelleria del Tribunale
sede, rappresentato e difeso dall’avv. VIGNA LUISA e VALENZIANO ALBERTO
(VLNLRT53S23G479D) VIA SAN MARTINO 5 VARESE;
ANTONIO SCIARRETTA, contumace,
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DIEGO RUBINI, elettivamente domiciliato in VIA DON CARLO BOTTA, 11 24122
BERGAMO, rappresentato e difeso dall’avv. TESTA GIOVANNI,
PARTI CONVENUTE
CONCLUSIONI
Le parti hanno precisato le conclusioni all’udienza del 17 maggio 2016 che si
riportano di seguito:
CONCLUSIONI PER IL FALLIMENTO LA QUIETE SRL IN LIQUIDAZIONE
Voglia l’Ill.mo Tribunale adito,
- previa ogni opportuna pronuncia, istanza e declaratoria del caso;
- disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione
- accertare e dichiarare la responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale ex artt.
146 l. fall., 2476, e 2394 c.c. e/o 2043 c.c., in solido tra loro, dei convenuti Sig.ri
Antonio Enrico Riva, Michele Riva, Sofia Cristi Riva, Antonio Sciarretta e Diego
Rubini in relazione al mancato ovvero ritardato pagamento di imposte e oneri
previdenziali come specificamente indicati in atti, per tutti i motivi esposti, e,
conseguentemente, condannare i convenuti medesimi, in solido tra loro, sino a
concorrenza delle quote agli stessi singolarmente imputabili siccome dettagliate al
par. 3.3 dell’atto di citazione, al risarcimento del danno cagionato alla società fallita
La Quiete s.r.l. e ai creditori sociali di quest’ultima conseguente al predetto mancato
ovvero ritardato pagamento, quantificabile:
- quanto al Sig. Enrico Antonio Riva e al Sig. Diego Rubini, in misura pari,
quantomeno, ad Euro 842.751,66, oltre interessi legali, anche anatocistici,
rivalutazione monetaria e maggior danno ex art. 1224, comma 2, cod. civ.,
quest'ultimo da liquidarsi alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza (Cass.
S.U., 16.07.2008 n. 19499);
- quanto al Sig. Michele Riva, in misura pari, quantomeno, ad Euro 540.160,68,
ovvero nella maggiore misura che ci si riserva di quantificare in corso di causa, oltre
interessi legali, anche anatocistici, rivalutazione monetaria e maggior danno ex art.
1224, comma 2, cod. civ., quest'ultimo da liquidarsi alla luce dei principi affermati
dalla giurisprudenza (Cass. S.U., 16.07.2008 n. 19499);
- quanto alla Sig.ra Sofia Riva Cristi e al Sig. Antonio Sciarretta, in misura pari,
quantomeno, ad Euro 242.852,09, ovvero nella maggiore misura che ci si riserva di
quantificare in corso di causa, oltre interessi legali, anche anatocistici, rivalutazione
monetaria e maggior danno ex art. 1224, comma 2, cod. civ., quest'ultimo da
liquidarsi alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza (Cass. S.U.,
16.07.2008 n. 19499).
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In via istruttoria:
A) s’insiste per l’espletamento di C.T.U. volta ad indicare, con riguardo a ciascuno
dei periodi di imposta 2007, 2008 e 2009 e a ciascun tipo di onere fiscale e
previdenziale indicato nella tabella riportata alle pagg. 6 e 7 dell’atto di citazione1: i)
l’ammontare degli oneri tempo per tempo maturati in capo alla fallita e le rispettive
date di maturazione; ii) i rispettivi termini naturali di scadenza entro cui, a norma di
legge, la fallita avrebbe dovuto effettuare i relativi pagamenti; iii) l’ammontare delle
sanzioni, interessi e compensi maturato a carico della fallita in relazione ai diversi
periodi in cui ciascuno dei convenuti ha rivestito il ruolo di amministratore della
fallita, considerando a tal fine, quali date di cessazione dalle rispettive cariche,
quelle di iscrizione nel registro delle imprese.
1 La quale recepisce i dati rivenienti dalle domande di insinuazione al passivo del
Fallimento attore presentate da Equitalia Nord S.p.A. e dagli estratti di ruolo allegati
a tali domande (ns. docc. 5.1 e 5.2 allegati all’atto di citazione), che riportano
espressamente, inter alia, l’indicazione degli anni di competenza di ciascun tributo e
onere previdenziale oggetto di causa, nonché l’ammontare delle sanzioni, degli
interessi, dei compensi e delle altre voci comminati per ciascuno dei suddetti tributi
fiscali e previdenziali a fronte del mancato o ritardato pagamento dei medesimi.
Il tutto, tenendo conto della documentazione prodotta e della normativa di settore.
B) ci si oppone all’accoglimento delle istanze di esibizione formulate dai Sig.ri Enrico
Antonio, Michele e Sofia RIVA, come pure ci si oppone all’ammissione della prova
per testi richiesta dal convenuto Sig. Diego RUBINI, per tutti i motivi già esposti, e,
per la denegata ipotesi di ammissione, in tutto o in parte, dei capitoli di prova
avversari, s’insiste perché il FALLIMENTO venga ammesso a prova contraria sui
medesimi capitoli e coi medesimi testi
Con vittoria di spese e competenze di giudizio e con salvezza di ogni altro
pregiudizio, nonché con riserva della più ampia attività istruttoria.
CONCLUSIONI PER ENRICO ANTONIO RIVA
Voglia il Tribunale Ill.mo,
contrariis rejectis,
in via preliminare, nel rito
rilevato il precedente giudicato arbitrale, dichiarare inammissibile l’azione sociale di
responsabilità proposta dal Fallimento;
nel merito
respingere ogni domanda a carico del Signor Enrico Antonio Riva, perché infondata
in fatto e in diritto;
in via istruttoria
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1) ai sensi dell’artt. 210 c.p.c., ordinare al Fallimento e/o a Equitalia Esatri e/o a
Inps e/o a Agenzia delle Entrate di Varese l’esibizione dei seguenti documenti:
a) mod. F24 del 22.11.2007, comunicazione di irregolarità Agenzia delle Entrate
dell’8.6.2008, mod. F24 del relativo pagamento;
b) cartella Equitalia Esatri notificata in data 23.4.2009, istanza di rateizzazione del
16.6.2009, ricevuta versamento 2.9.2009, comunicazione Equitalia Esatri di
accoglimento istanza di rateizzazione in data 3.9.2009;
c) istanza di rateizzazione del 30.3.2006; comunicazione INPS di accoglimento
istanza di rateizzazione in data 11.5.2006, mod. F24 e cartelle dei relativi
pagamenti;
d) istanza di rateizzazione del 28.11.2008, comunicazione INPS di accoglimento
istanza di rateizzazione in data 23.2.2009, mod. F24 e cartelle dei relativi
pagamenti;
in subordine, ai sensi dell’art. 213 c.p.c., acquisire informazioni da Equitalia Esatri
e/o da Inps e/o da Agenzia delle Entrate di Varese sui medesimi documenti sopra
indicati alle lettere a)-d);
2) ammettere il Signor Enrico Antonio Riva a prova contraria sui capitoli di prova per
testimoni formulati dal convenuto Rubini nella memoria ex art. 183 co. 6 n. 2 c.p.c.
nella denegata ipotesi in cui fossero ammessi, a mezzo del teste Dott. Alfredo
Fraschini, Via Luini, 8, Varese;
con vittoria di spese e compensi.
CONCLUSIONI PER DIEGO RUBINI
In via pregiudiziale:
accertare e dichiarare il difetto di competenza del Giudice ordinario e, per l’effetto,
dichiarare l’inammissibilità del presente giudizio.
In via preliminare:
- accertare e dichiarare ai sensi e per gli effetti dell’art. 164 c.p.c. la nullità dell’atto
di citazione notificato al signor Diego Rubini per indeterminatezza dell’oggetto e della
domanda;
- nell’eventualità, non creduta, di reiezione delle conclusioni che precedono,
accertare e dichiarare l’intervenuta prescrizione dell’azione di cui all’art. 2934 c.c. e,
per l’effetto, dichiarare inammissibile la domanda attorea.
In via principale e di merito:
respingersi tutte le pretese ex adverso formulate poiché infondate in fatto e in diritto
e, conseguentemente, condannare l’attore al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c.,
liquidati in via equitativa dall’Ill.mo Giudice adito.
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In via istruttoria:
si insiste per l’accoglimento delle istanze istruttorie formulate in atti, più
precisamente nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c. depositata in data
10.04.2014, nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c. depositata in data
12.05.2014 e nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 3 c.p.c., depositata in data
03.06.2014, che qui si intendono integralmente richiamate e ritrascritte.
Con riserva di ulteriormente dedurre e produrre mezzi di prova nei termini di legge.
In ogni caso:
spese di causa interamente rifuse.
CONCLUSIONI PER MICHELE RIVA
Voglia il Tribunale Ill.mo,
contrariis rejectis,
in via preliminare, nel rito
rilevato il precedente giudicato arbitrale, dichiarare inammissibile l’azione sociale di
responsabilità proposta dal Fallimento;
nel merito
respingere ogni domanda a carico del Signor Michele Riva, perché infondata in fatto
e in diritto;
in via istruttoria
1) ai sensi dell’artt. 210 c.p.c., ordinare al Fallimento e/o a Equitalia Esatri e/o a
Inps e/o a Agenzia delle Entrate di Varese l’esibizione dei seguenti documenti:
a) mod. F24 del 22.11.2007, comunicazione di irregolarità Agenzia delle Entrate
dell’8.6.2008, mod. F24 del relativo pagamento;
b) cartella Equitalia Esatri notificata in data 23.4.2009, istanza di rateizzazione del
16.6.2009, ricevuta versamento 2.9.2009, comunicazione Equitalia Esatri di
accoglimento istanza di rateizzazione in data 3.9.2009;
c) istanza di rateizzazione del 30.3.2006; comunicazione INPS di accoglimento
istanza di rateizzazione in data 11.5.2006, mod. F24 e cartelle dei relativi
pagamenti;
d) istanza di rateizzazione del 28.11.2008, comunicazione INPS di accoglimento
istanza di rateizzazione in data 23.2.2009, mod. F24 e cartelle dei relativi
pagamenti;
in subordine, ai sensi dell’art. 213 c.p.c., acquisire informazioni da Equitalia Esatri
e/o da Inps e/o da Agenzia delle Entrate di Varese sui medesimi documenti sopra
indicati alle lettere a)-d);
2) ammettere il Signor Michele Riva a prova contraria sui capitoli di prova per
testimoni formulati dal convenuto Rubini nella memoria ex art. 183 co. 6 n. 2 c.p.c.
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nella denegata ipotesi in cui fossero ammessi, a mezzo del teste Dott. Alfredo
Fraschini, Via Luini, 8, Varese;
con vittoria di spese e compensi.
CONCLUSIONI PER SOFIA RIVA CRISTI
Piaccia a codesto Ill.mo Tribunale, respinta ogni contraria domanda,
istanza, eccezione e deduzione:
IN VIA PRELIMINARE:
- accertare e dichiarare che, all' interno dell' azione esperita ex art. 146 L.Fall., la
domanda svolta ex art. 2476 c.c. risulta inammissibile in quanto coperta da
giudicato in forza del lodo arbitrale pronunciato il 8/2/2012;
- accertare e dichiarare il difetto di legittimazione attiva del curatore per la domanda
svolta ex art. 2394 c.c., in quanto la società fallita è una s.r.l.;
NEL MERITO:
- respingere tutte le domande svolte da controparte contro Sofia Riva Cristi, in
quanto infondate in fatto ed in diritto.
- condannare il Fallimento La Quiete s.r.l. ex art. 96 c.p.c..
IN VIA ISTRUTTORIA:
- disporre l’ esibizione degli atti del giudizio di responsabilità intentato dal fallimento
La Quiete s.r.l. contro i signori Bruno Pozzi e Sandro e Antonello Polita.
Con vittoria di spese, diritti e onorari del giudizio.
RAGIONI IN FATTO E DIRITTO
Il curatore del FALLIMENTO LA QUIETE s.r.l.1 ha citato in giudizio
- il sig. Enrico Antonio RIVA, presidente del CdA dal 2005 al 2009
- il sig. Michele RIVA, consigliere delegato dal 23 marzo 2005 al 14 aprile 2009
- il sig. Diego RUBINI, consigliere delegato dal 20 maggio 2008 al 9 ottobre 2009
- il sig. Antonio SCIARRETTA, consigliere delegato dal 15 maggio 2007 al 18 giugno
2008
- la sig.ra Sofia RIVA CRISTI, consigliera delegata dal 23 marzo 2005 al 18 marzo
2008,
1
società dichiarata fallita dal Tribunale di Varese in data 17 giugno 2011.
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tutti ex amministratori della fallita, per sentirne accertare e dichiarare la
responsabilità contrattuale e extracontrattuale ai sensi degli artt. 146 l.f., 2476,
2394, c.c. e/o 2043 c.c., per avere gli ex amministratori
 omesso ovvero ritardato il pagamento delle imposte e degli oneri previdenziali
obbligatori nel periodo compreso tra il 2007 e il 20092;
 omesso di convocare l’assemblea per deliberare aumento di capitale per
reperire risorse, ovvero la messa in liquidazione, e ciò per il caso, comunque
negato, che si possa affermare la carenza di liquidità per provvedere ai regolari
versamenti all’erario3.
Il Fallimento ha dunque chiesto la condanna dei convenuti in solido tra loro, al
risarcimento del danno patito dalla società, pari ad euro 842.751,66,
corrispondente alla somma ammessa al passivo a titolo di interessi e sanzioni in
favore del concessionario alla riscossione Equitalia, con ripartizione del quantum
secondo il periodo di permanenza in carica.
I convenuti tutti, ad eccezione del sig. Antonio Sciarretta, dichiarato contumace
all’udienza dell’11 marzo 2014, si sono regolarmente costituiti in giudizio
contrastando la pretesa attorea.
Si esaminano di seguito le questioni sollevate dalle parti.
1. La clausola statutaria di devoluzione della controversia agli arbitri;
competenza e giudicato.
I convenuti costituiti hanno eccepito l’incompetenza del Tribunale a decidere della
controversia in ragione della clausola compromissoria inserita nello statuto, e
comunque il giudicato, poiché è intervenuto il lodo arbitrale, ormai definitivo, che ha
mandato esenti i convenuti da ogni responsabilità.
Il curatore, senza nulla contestare riguardo al perimetro applicativo della clausola in
parola4 ha eccepito l’inopponibilità della clausola al fallimento.
Le parti hanno fatto riferimento al lodo emesso in data 8 febbraio 2012 all’esito di
un’azione di responsabilità promossa dalle società La Quiete srl e La Quiete Casa di
Cura srl (quest’ultima quale controllante della prima) nei confronti degli
amministratori sig.ri Enrico Antonio Riva, Michela Riva e della sig.ra Sofia Riva
Cristi per atti di mala gestio, tra i quali il mancato ovvero ritardato pagamento delle
2
addebito descritto in citazione.
contestazione dedotta nella prima memoria, a seguito delle difese degli amministratori articolate in comparsa, secondo
cui gli omessi pagamenti all’erario derivavano da carenza di liquidità.
4
che indubbiamente contempla le controversie tra società e amministratori.
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imposte e degli oneri previdenziali obbligatori. La società La Quiete s.r.l. in bonis
domandava il risarcimento del danno pari alle imposte e ai contributi non versati a
tutto il 30 settembre 2009, con sanzioni e interessi.
In estrema sintesi, a detta dei convenuti vi sarebbe sostanziale identità di petitum e
di causa petendi tra le due azioni, dato che l’unico profilo di diversità consterebbe
nel fatto che l’azione esperita dal curatore è anche esercitata nell’interesse dei
creditori sociali, sicché la domanda attorea sarebbe inammissibile per violazione del
principio del “ne bis in idem”. I convenuti medesimi hanno ritenuto opponibile il lodo
alla Curatela fallimentare in virtù del combinato disposto di cui agli artt. 816 sexies
c.p.c. e 83 bis l.f.
Il Curatore ha contrastato sia l’asserita identità tra l’azione proposta in questa sede
e quella coltivata dinanzi agli arbitri, sia l’asserita opponibilità del lodo arbitrale alla
Curatela, evidenziando che la mancata partecipazione del Fallimento al
procedimento arbitrale è dipesa dal fatto che il procedimento stesso si trovava in
uno stato così avanzato, da impedire qualsivoglia ulteriore attività processuale da
parte del Curatore, sia sotto il profilo allegativo sia sotto quello probatorio, in quanto
le parti avevano già proceduto al deposito delle comparse conclusionali.
Le parti convenute hanno ancora obiettato come il Fallimento abbia riconosciuto il
credito dei fratelli Riva rappresentato dal pagamento della metà delle spese del
procedimento arbitrale. L’ammissione del credito al passivo da parte della Curatela,
anche delle spese inerenti l’attività svolta prima della dichiarazione di fallimento, è
interpretata dai convenuti quale implicito riconoscimento da parte del Fallimento
dell’opponibilità di tutta l’attività spiegata dagli arbitri nel corso del procedimento,
pertanto anche del lodo arbitrale.
=0=
Ciò premesso riguardo alle contrapposte difese sul punto, reputa il Tribunale che il
curatore fallimentare sia vincolato dalla clausola compromissoria statutaria.
Non va infatti dimenticato che, secondo giurisprudenza costante, il curatore
fallimentare che esercita l’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 146 l.f., propone
al contempo sia l’azione sociale ex art. 2393 cc, sia quella dei creditori sociali ex art.
2394 cc, e, nelle srl, qual è la società La Quiete, quella ex art. 2476 cc. Le due azioni
si cumulano inscindibilmente, e tuttavia restano ciascuna assoggettata al regime
che ad essa è proprio5.
5
v. per tutte, di recente, Cass. 24715 del 2015, che condivisibilmente afferma che “L'azione di responsabilità, esercitata
dal curatore ai sensi dell'art. 146, comma 2, l.fall., cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2392-2393 c.c. e
dall'art. 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, tant'è che il curatore può, anche
separatamente, formulare domande risarcitorie tanto con riferimento ai presupposti dell'azione sociale, che ha natura
contrattuale, quanto con riguardo a quelli della responsabilità verso i creditori, che ha natura extracontrattuale. Tali azioni,
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Da ciò discende che proponendo l’azione sociale di responsabilità, il Fallimento non
fa altro che esercitare un diritto rinvenuto nel patrimonio della società fallita: egli
subentra nella medesima posizione di questa, identici restando anche l’estensione e
i limiti che tale diritto aveva al tempo in cui la società si trovava in bonis.
Considerato dunque che laddove il curatore, come nel caso in esame, faccia valere
un diritto che già era presente nel patrimonio assoggettato al concorso, egli non
riveste la qualità di terzo e rimane assoggettato a ogni eventuale patto che vincolava
il fallito.
La clausola compromissoria è dunque opponibile al curatore del Fallimento La
Quiete srl, sia pure limitatamente all’azione sociale di responsabilità.
Si pone dunque la questione della competenza del tribunale ordinario, e del
giudicato derivante dal lodo.
Il Tribunale, in forza del principio della ragione più liquida, ritiene di dover
dichiarare la propria incompetenza. Non sembra infatti necessario delibare
l’estensione del lodo emesso, al fine di appurare se esso sia assolutamente
coincidente con i fatti addotti in questa sede a fondamento dell’azione sociale. Anche
ove fosse possibile accedere alla tesi del Fallimento secondo cui le due domande non
sono interamente sovrapponibili, i profili non coperti dal giudicato formerebbero
comunque oggetto di una controversia devoluta agli arbitri.
I fatti costitutivi posti a fondamento della domanda proposta dal curatore rilevano,
comunque, ai fini dell’esercizio dell’azione di responsabilità che fa capo alla massa,
ossia ai creditori.
2. La nullità dell’atto di citazione ex art. 164 cpc.
Il convenuto Diego Rubini ha eccepito la nullità della citazione per mancata
indicazione della sede legale del Fallimento e per l’impossibilità di comprendere quali
siano effettivamente i comportamenti omissivi contestati ai convenuti.
Il curatore ha obiettato che dal tenore complessivo dell’atto si ricava sia il soggetto
che ha agito in giudizio, sia l’addebito contestato ai singoli convenuti, ossia quello di
essersi resi inadempimenti in relazione al dovere di versare le imposte e i contributi
previdenziali con riferimento alle annualità 2007, 2008, 2009.
A parere del Collegio l’obiezione è pretestuosa.
Va condivisa la tesi del curatore secondo cui l’indicazione in citazione della ragione
sociale della fallita e dei nominativi di curatore e giudice delegato non abbia potuto
ingenerare equivoci di sorta sull’individuazione del soggetto che ha agito in giudizio.
peraltro, non perdono la loro originaria identità giuridica, rimanendo tra loro distinte sia nei presupposti di fatto, che nella
disciplina applicabile…”.
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Neppure risultano generiche le contestazioni mosse dal Fallimento agli
amministratori, chiaramente individuate, entro i limiti delle preclusioni assertive,
nell’omesso pagamento dei debiti erariali e nella violazione del dovere di convocare
l’assemblea per ottenere dai soci nuovi conferimento, o per deliberare la messa in
liquidazione.
In conclusione, i convenuti hanno mostrato di non avere dubbi di sorta sull’identità
del soggetto attore, e di avere compreso gli addebiti contestati, come dimostra la
dovizia di argomenti spesi per contrastare la domanda dell’attore.
La nullità non può dunque essere pronunciata in ragione dell’avvenuto
raggiungimento dello scopo (art. 156 cpc).
3. L’inammissibilità dell’azione dei creditori sociali esercitata dal curatore.
La convenuta Sofia Riva Cristi ha eccepito che il curatore non sarebbe legittimato
all’esercizio dell’azione dei creditori, perché tale legittimazione sarebbe prevista dalla
legge solo per le spa.
L’eccezione è infondata.
Il Tribunale ha infatti già da tempo orientato il proprio indirizzo nel senso di
ammettere la legittimazione del curatore all’esercizio dell’azione dei creditori sociali –
per le srl - sulla base dei seguenti rilievi:
“Anche alla luce della legislazione riformata, tuttavia, deve reputarsi che il curatore
sia legittimato all’esercizio dell’azione sociale e dell’azione dei creditori della s.r.l.
Certamente non vi sono ostacoli a ravvisare la legittimazione all’azione sociale, posto
che essa è espressamente prevista dall’art. 2476 c.c. e 146 l.f., restando irrilevante, ai
fini che qui interessano, stabilire se l’azione sociale – in caso di società in bonis –
preveda esclusivamente la legittimazione del socio, ovvero anche quella della società.
Con riferimento, poi, all’azione spettante ai creditori sociali, si osservi che la nuova
formulazione della norma dell’art. 146 l.f. va intesa come volta a ricostituire,
attraverso il richiamo a tutte “le azioni di responsabilità contro gli amministratori”
quella completezza che in passato attribuiva il richiamo contenuto nel vecchio testo
dell’art. 2487 cc, riportando il sistema a quella coerenza che aveva nella normativa
abrogata.
Questa interpretazione scongiurerebbe l’illegittimità costituzionale dell’omessa
previsione per i creditori delle s.r.l. di una previsione che - analogamente a quanto
avviene in forza dell’art. 2394 bis c.c. – consenta in caso di fallimento al curatore di
agire anche in nome dei creditori in via esclusiva contro gli amministratori. Se si
dovesse opinare diversamente si verificherebbe un’ingiustificata disparità di
trattamento tra i creditori di una s.r.l. e quelli di una s.p.a. Ciò deve viepiù indurre
l’interprete a ravvisare la legittimazione in capo al curatore anche per l’azione dei
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creditori sociali, in ragione dell’irragionevole sfasatura tra la disciplina della s.r.l. e
quella della s.p.a. La norma di cui all’art. 2394 c.c. deve dunque essere applicata in
via analogica alle s.r.l., sicché, in caso di fallimento, il curatore sarebbe legittimato ad
esperirla, ed in via esclusiva, ex art. 2394 bis cc.
In altre parole, l’applicazione analogica dell’art. 2394 c.c. alle s.r.l. discende dalla
constatazione di un vuoto normativo che pare ascrivibile più ad una svista di
coordinamento della normativa in tema di s.r.l., piuttosto che ad una specifica scelta
legislativa di cui – peraltro - non si trova traccia nella legge delega e nella relazione
alla legge. Un’eventuale precisa scelta in questo senso – ossia l’assenza di una
disciplina concernente la responsabilità degli amministratori di s.r.l. verso i creditori
per la violazione degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio
- sarebbe inconciliabile con il sistema di responsabilità degli organi gestori come
delineato dalla riforma, dal momento che la disciplina della s.r.l. non sarebbe
coordinata con quella di cui agli artt. 2485 e 2486 c.c., con quella dei gruppi, con la
regolamentazione della responsabilità dei sindaci. Si osservi a quest’ultimo proposito,
che
 il creditore potrebbe agire contro gli amministratori della s.r.l. in stato di
scioglimento ex art. 2486 c.c. ma non contro quelli della s.r.l. operativa
 il creditore potrebbe agire contro la controllante della debitrice s.r.l. e contro gli
amministratori di quest’ultima (art. 2497 cc), ma non contro gli amministratori
della s.r.l. qualora essa non fosse soggetta a direzione e coordinamento
 in caso di s.r.l. con collegio sindacale obbligatorio ex art.2477 c.c. dovrebbe
essere applicata la norma di cui all’art. 2407 2° c.c. che richiama l’art. 2394
c.c., sicché i creditori di una s.r.l. con collegio sindacale obbligatorio potrebbero
agire contro i sindaci per l’omesso controllo che avrebbe concorso a determinare
l’insufficienza del patrimonio sociale, ma non – paradossalmente - contro gli
amministratori che l’avrebbero direttamente provocata.
Deve quindi concludersi nel senso dell’affermazione della legittimazione del curatore
del fallimento di società a responsabilità limitata ad esperire l’azione sociale e l’azione
dei creditori sociali”6.
I fatti costitutivi della domanda risarcitoria proposta dal curatore, come indicati in
esordio, rilevano indubbiamente, va ribadito, anche ai fini dell’azione della massa.
4. La prescrizione dell’azione di cui all’art. 2394 c.c.
1.
6
Trib. Milano 18 gennaio 2011, in in Fallimento, 2011, fasc. 5, p. 588-607.
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Il convenuto Diego Rubini ha sostenuto che lo stato di decozione della società poi
fallita era già noto dal 2005. A suo dire, l’analisi dei bilanci dimostrerebbe che già
dal 2005 emergeva il deficit patrimoniale della società, da cui sarebbe derivata la
scelta degli amministratori di procrastinare il pagamento dei debiti tributari oggi
contestati.
Il Fallimento ha dedotto che il dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale del
diritto di cui all’art. 2394 c.c. deve farsi coincidere con la data della dichiarazione di
fallimento, essendo solo quest’ultimo il momento in cui effettivamente i creditori
possono venire a conoscenza dello stato di decozione della società. A detta della
Curatela, spetterebbe al convenuto Rubini fornire la prova contraria: le deduzioni da
quest’ultimo compiute sarebbero assolutamente generiche.
Il Tribunale condivide la tesi dell’attore, peraltro già affermata in un recente
precedente giurisprudenziale riguardante una controversia proposta contro i
convenuti in questo giudizio.
Nella sentenza ora richiamata si è rettamente affermato, alla luce di un consolidato
orientamento, che “L'azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli
amministratori di società ex art. 2394 cod. civ. promossa dal curatore fallimentare ex art. 146
legge fall. (nel testo vigente prima della riforma avvenuta con il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5,
applicabile "ratione temporis") è soggetta a prescrizione che decorre dal momento dell'oggettiva
percepibilità, da parte dei creditori, dell'insufficienza dell'attivo a soddisfare i debiti (e non
anche dall'effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo
dall'insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 cod. civ.), non corrisponde
allo stato d'insolvenza di cui all'art. 5 della legge fall., derivante, "in primis", dall'impossibilità
di ottenere ulteriore credito. In ragione della onerosità della prova gravante sul curatore,
sussiste una presunzione "iuris tantum" di coincidenza tra il "dies a quo" di decorrenza della
prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando pertanto all'amministratore la prova
contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale.
(Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito sul presupposto che l'ammissione
della società controllante all'amministrazione controllata non fosse sufficiente a vincere la
menzionata presunzione, in quanto, da un lato, la diversità soggettiva tra le due società
impediva di ritenere automaticamente estensibili alla controllata le difficoltà economiche della
controllante e, dall'altro, il presupposto oggettivo dell'amministrazione controllata, cioè la
temporanea difficoltà di adempiere le obbligazioni, è concetto diverso dallo stato di
insolvenza)7”
Applicando tali principi al caso di specie, il termine prescrizionale va considerato
decorrente dalla data del fallimento, dichiarato il 17 giugno 2011, con conseguente
tempestività della notifica dell’atto di citazione nell’ottobre 2013, non avendo il
7
così Cass. n.13378/2014; conf. Trib. Milano, 21 novembre 2012, n. 12879, r.g. 13520/2010, su
www.giurisprudenzadelleimprese.it.
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convenuto fornito alcuna specifica dimostrazione di un’anteriore “oggettiva
percepibilità, da parte dei creditori, dell'insufficienza dell'attivo a soddisfare i debiti”,
rilevante ai fini del decorso del termine prescrizionale.
Appare infatti assolutamente generica la deduzione secondo cui già dal 2005 era
percepibile lo stato di decozione dell’impresa, priva di ogni indicazione dei dati
specifici da cui desumere tale situazione. Il convenuto, addirittura, ha svolto difese
incompatibili con tale dimostrazione, in particolare avendo sostenuto che fino
all’ottobre 2009 gli immobili sociali costituivano per i creditori una garanzia più che
capiente.
Risulta poi irrilevante l’ulteriore difesa del convenuto Rubini in ordine a vicende
sociali evidenzianti una situazione di illiquidità negli esercizi in contestazione, difesa
palesemente non dirimente rispetto alla dimostrazione richiesta, riguardante, come
precisato dalla Corte di legittimità, la data di oggettiva conoscibilità della
insufficienza della garanzia patrimoniale generica e non già la diversa situazione di
illiquidità del debitore”8.
5. La dedotta mancanza di presupposti e fondamento dell’azione di cui all’art.
2394 c.c.
I convenuti costituiti hanno tutti contestato la sussistenza dei requisiti prescritti
dall’art. 2394, in particolare l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento
dei creditori, che a loro dire non si sarebbe mai verificata durante la loro
permanenza nella carica. Detta insufficienza sarebbe frutto di condotte distrattive
compiute dagli amministratori che sono a loro succeduti nella carica, e designati dai
nuovi componenti della compagine sociale. Le parti convenute hanno esposto che
fino a quando la gestione non è stata affidata ai sig.ri Polita, la società fallita era
titolare di un compendio immobiliare stimabile, fino all’autunno del 2009, in circa
diciotto milioni di euro. I convenuti hanno prodotto i bilanci 2007, 2008 da quali
emergerebbe la condizione di capienza del patrimonio sociale, e hanno contestato
l’opponibilità ad essi del bilancio di esercizio al 31 dicembre 2009 poiché predisposto
dopo la cessazione dei loro incarichi, e perché privo dei requisiti di veridicità e
correttezza.
Relativamente alla loro responsabilità, evidenziano, poi, che il mancato o ritardato
pagamento degli oneri tributari e contributivi è dipeso da una situazione di
momentanea illiquidità della società ed è stato frutto di una scelta di gestione
diligente, posta in essere per evitare un male peggiore, ossia quello di rinviare costi
8
Trib. Milano, 15 dicembre 2015, n. 14191 del 2015 (RG n. 9053/2014).
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essenziali alla continuità aziendale (dipendenti, fornitori, costi di adeguamento della
struttura).
Hanno ancora lamentato, i convenuti, che il curatore non avrebbe assolto all’onere
probatorio; mancherebbe dunque la dimostrazione dei presupposti dell’azione, e
segnatamente,
- dell’inadempimento degli amministratori, avendo parte attrice solamente
rimproverato la condotta dell’omesso o ritardato pagamento degli oneri tributari,
scelta che inerisce il merito gestorio,
- del danno, dai convenuti individuato nell’insufficienza patrimoniale al tempo delle
condotte contestate.
I convenuti affermano che il fallimento non ha mai contestato la circostanza per cui,
quando l’amministrazione è passata in capo al Gruppo Polita, la società La Quiete
era proprietaria di un ingente patrimonio immobiliare, poi disperso dai soggetti che
sono succeduti ai convenuti negli incarichi gestori; non vi sarebbe pertanto la
dimostrazione di alcun danno ai creditori sociali. In mancanza di prova di
inadempimento e di danno, non ricorrerebbe nemmeno il nesso eziologico tra l’uno e
l’altro.
La parte attrice ha in proposito osservato, come si diceva, che gli amministratori,
dinanzi ad una situazione di difficoltà e di temporanea illiquidità, avrebbero dovuto
convocare l’assemblea dei soci per un aumento di capitale, ovvero per la messa in
liquidazione della società e non, invece, procrastinare la dilazione dei pagamenti dei
debiti tributari e previdenziali obbligatori. Il curatore ha sostenuto che tale censura
non si risolve in una scelta di merito gestorio, bensì esclusivamente nella
contestazione di un dovere imposto dalla legge in capo agli amministratori diligenti.
Il fallimento ha ancora obiettato che il secondo comma dell’art. 2394 cc individua
l’insufficienza patrimoniale come una condizione dell’azione, che deve essere
presente al momento della proposizione della stessa azione; sarebbe invece
irrilevante che l’insufficienza patrimoniale sia diretta conseguenza delle condotte
negligenti degli amministratori quanto alla conservazione dell’integrità del
patrimonio sociale. Il danno è costituito dalla diminuzione della garanzia
patrimoniale generica, ma sarebbe azionabile solo nel momento in cui tale
diminuzione risulti in concreto rilevante per la posizione dei creditori che trovano
incapiente il patrimonio sociale per la soddisfazione dei loro crediti.
=0=
La tesi del Fallimento è assolutamente condivisibile.
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Essa infatti pare rispondente al dato letterale della norma e agli insegnamenti
ricavabili dalla giurisprudenza di legittimità invocata dall’attore9, e risulta al
contempo comunque la più convincente sul piano sistematico, in sostanza
ricostruendo una responsabilità degli amministratori per violazione degli obblighi di
conservazione del patrimonio sociale anche nei confronti dei creditori, a garanzia dei
quali tale patrimonio è preordinato nel sistema delle società di capitali. Tale
responsabilità è azionabile solo nel momento in cui la diminuzione della garanzia
generica conseguente alle condotte illecite dei gestori divenga rilevante per la
posizione dei creditori, in dipendenza della complessiva insufficienza del patrimonio
sociale a soddisfare le loro ragioni (v. secondo comma dell’art.2394 cc). In altre
parole, la capienza del patrimonio non rappresenta un fatto costitutivo della pretesa
risarcitoria, ma semplicemente un limite per l’esercizio dell’azione dei creditori, che
diventano legittimati - e in concreto anche interessati - ad agire solo nel momento in
cui le condotte illecite degli amministratori risultino effettivamente pregiudizievoli
per le loro ragioni.
Né a contrastare tale conclusione possono poi valere, ad avviso del Collegio, in
particolare le considerazioni in ordine al fatto che, così ragionando, si arriverebbe, in
sostanza, ad assoggettare gli amministratori a pretese risarcitorie senza limiti di
tempo, le cui condizioni potrebbero dipendere, come nel caso di specie, da fattori
causali estranei alla condotta degli stessi amministratori. Tali considerazioni non
paiono cogliere nel segno posto che, in ogni caso, come ha sottolineato la ricordata
decisione di legittimità, la responsabilità degli amministratori - lungi dall’essere
ingiustificatamente oggettiva - trova comunque “radici” nella loro condotta connotata
illecitamente. In altre parole, l’omissione delle doverose iniziative volte al riequilibrio
finanziario, tra cui quella, indicata dal Fallimento, di passaggio assembleare volto a
responsabilizzare i soci mettendoli di fronte all’alternativa:
- di porre rimedio allo squilibrio finanziario con nuova liquidità tramite aumento di
capitale (o altri eventuali provvedimenti)
- o, in mancanza, di mettere in liquidazione la società,
finisce per riconnettere (anche) alla condotta antidoverosa degli amministratori
l’insufficienza patrimoniale pure sopravvenuta alla cessazione della carica.
Non può certo qualificarsi come diligente l’operato del gestore che prosegue ad ogni
costo l’attività rischiosa a discapito del ceto creditorio, finanziando la continuazione
dell’impresa – in buona sostanza – con i denari dei creditori o di uno solo di essi
9
v. motivazione di Cass. n. 15487 del 2000, in cui si precisa che “presupposto dell'azione è, a norma dell'art. 2394 c.c., che
il patrimonio sociale sia insufficiente a soddisfare i creditori, mentre il danno si commisura alla corrispondente riduzione
della massa attiva disponibile in loro favore e tale affermazione, congrua sul piano logico - giuridico, perché testualmente
confermata dalla norma citata e dai principi generali in materia risarcitoria, si sottrae alle proposte censure.”
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(erario). L’avere lasciato l’incarico senza l’adozione delle descritte iniziative doverose,
ha comportato l’accettazione del rischio di rispondere nei confronti dei creditori della
propria condotta illecita, che comunque ha costituito un primo passo verso
un’insufficienza patrimoniale, ancorché maturata durante l’incarico dei successori10,
e ciò pur sempre nei limiti del danno cagionato da ciascuno al patrimonio sociale.
6. La quantificazione del danno.
Il curatore ha quantificato il danno alla luce del contenuto delle domande di
insinuazione al passivo di Equitalia e delle cartelle di pagamento ad esse allegate.
Il Fallimento ha infatti prodotto:
- le domande di ammissione al passivo di Equitalia11 a cui sono allegati gli estratti
dei ruoli recanti anno per anno il tributo dovuto, sanzioni e interessi;
- il decreto di esecutorietà dello stato passivo;
- i verbali dell’udienza di formazione dello stato passivo, con le relative “schede
creditori” recanti l’ammontare e il grado dell’eventuale privilegio dei crediti insinuati
da Equitalia e ammessi da Giudice delegato12;
- la copia delle dichiarazioni dei redditi della fallita relative ai periodi di imposta
2007, 2008 e 2009, contenenti fra l’altro le dichiarazioni i.v.a, recanti gli importi
delle liquidazioni iva mensili della società13;
- la copia dei modelli 770, contenenti le “Comunicazioni dati certificazioni lavoro
autonomo, provvigioni e redditi diversi”, le “Comunicazioni dati certificazioni lavoro
dipendente, assimilati, ed assistenza fiscale”, e i rispettivi “Prospetti ST – Ritenute
operate, trattenute per assistenza fiscale e imposte sostitutive” relativi ai periodi di
imposta 2008 e 200914.
A fronte di tale documentazione, che integra le allegazioni di parte attrice
sull’ammontare specifico di interessi e sanzioni fiscali, e del provvedimento di
ammissione al passivo che vale, almeno presuntivamente, a dare dimostrazione
dell’entità del danno patito dal patrimonio sociale, i convenuti si sono limitati a una
contestazione generica, benché essi, nella loro veste di ex amministratori, ed avendo
formato le dichiarazioni fiscali prodotte in causa, fossero certamente in grado di
10
La tesi secondo cui l’insufficienza patrimoniale sarebbe stata procurata dalla scorretta gestione dei soggetti che sono
succeduti ai convenuti nella carica di amministratori costituisce, va precisato, una mera prospettazione di parte sulla quale
il Tribunale non compie alcuna affermazione, stante l’estraneità al giudizio degli amministratori in carica dopo il 2009, che
non sono stati evocati in questa sede dal Fallimento.
11
doc. 5.
12
doc. 7
13
doc. 8
14
docc. 9 e 10
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contraddire puntualmente in ordine a ogni voce di danno formatasi nel tempo in cui
ciascuno ha ricoperto l’incarico gestorio.
=0=
In ragione della responsabilità dei convenuti per le ingiustificabili omissioni
accertate dall’Amministrazione finanziaria circa il versamento delle imposte
maturate con riferimento ai periodi d’imposta 2007, 2008 e 2009 non può esservi
dubbio del diritto del Fallimento a ottenere il ristoro del danno derivato
dall’inadempimento di cui gli amministratori si sono resi responsabili, danno, come
si anticipava, corrispondente all’ammontare delle sanzioni e degli interessi irrogati
dall’Amministrazione finanziaria all’esito dell’accertamento delle omissioni in parola,
e quantificabile in complessivi € 842.751,66, pari ai crediti insinuati a tale titolo da
Equitalia Nord S.p.A. al passivo del FALLIMENTO.
Reputa il Tribunale che il danno da attribuire a ciascun amminstatore debba
coincidere, come rettamente affermato dal Fallimento, nelle somme a titolo di
sanzioni e interessi maturate nel periodo in cui ciascuno dei convenuti ha ricoperto
l’incarico di amministratore, tenuto conto del dovere di ciascuno di accantonare le
somme necessarie per il pagamento dei debiti nel momento in cui si verificano i fatti
che li generano.
Enrico Riva amministratore per tutto il periodo in contestazione.
Conformemente alla richiesta del curatore, deve dunque rispondere dell’intero danno
(sanzioni e interessi per tutto il periodo) Enrico Riva perché ha rivestito la carica per
tutto il periodo in contestazione (€ 842.700,00).
Diego Rubini amministratore dal 20 maggio 2008 al 9 ottobre 2009.
A Diego Rubini non può invece attribuirsi tutto il danno sopra indicato. Il curatore
ha sostenuto che l’amministratore che subentra ad altri nell’incarico si assume la
responsabilità delle omissioni verificatesi nel periodo precedente.
La tesi in parola, ad avviso del Collegio, non può trovare accoglimento.
Il sig. Rubini dovrebbe rispondere delle sanzioni per omissioni tributarie e
contributive maturate nel periodo antecedente al suo incarico solo ove, previe le
doverose verifiche sulla situazione debitoria della società, egli avesse reperito le
risorse necessarie per provvedere al pagamento e le avesse distolte destinandole a
fini diversi da quelli sociali. In mancanza di tali risorse, e dell’impossibilità di
pagamento, la condotta doverosa dell’amministratore, va ancora ribadito, è
individuabile solo nella mancata adozione delle iniziative che la legge ad essi impone
di fronte a una situazione di illiquidità, quale – come più volte detto - la
convocazione dell’assemblea per l’aumento di capitale o la messa in liquidazione. Il
curatore ha eccepito che in detto periodo non vi sarebbe stata alcuna situazione di
illiquidità. La contestazione riveste tuttavia carattere generico, e non è suffragata da
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specifiche indicazioni sulle risorse tempo per tempo disponibili, che il curatore ben
avrebbe potuto indicare, poiché disponeva delle scritture contabili della società, e
non ha lamentato l’impossibilità di ricostruire il movimento degli affari.
Dovendosi ravvisare nell’omessa convocazione dell’assemblea dei soci la condotta
produttrice di danno, a ciascun amministratore va imputata la diretta conseguenza
pregiudizievole per il patrimonio sociale che da tale omissione deriva. Il pregiudizio
in parola può dunque in concreto prodursi limitatamente a sanzioni e interessi
relativi alle omissioni tributarie e contributive maturate nel limitato arco temporale
di permanenza nell’incarico.
Al sig. Rubini va dunque riferito il danno relativo a quanto maturato dal maggio
2008 all’ottobre 2009 che può determinarsi per differenza tra quello attribuito al
periodo di Enrico Riva, e quello attribuito al periodo di Sofia Riva Cristi, e– va
indicato dunque in € 600.000,00.
Michele Riva amministratore dal 23 marzo 2005 al 14 aprile 2009.
Per Michele Riva va attribuita responsabilità per la minor somma di € 540.000,00,
pari a sanzioni e interessi per oneri tributari maturati tra 2007 e 2008, anche se i
termini di pagamento sono scaduti in epoca successiva, perché – come si diceva l’amministratore ha l’onere di accantonare le risorse necessarie per il pagamento dei
tributi man mano che essi maturano.
Sofia Riva Cristi amministratore dal 23 marzo 2005 al 17 aprile 2008.
Per la convenuta la somma da attribuire in responsabilità corrisponde agli oneri
maturati fino alla cessazione della carica, pari a € 242.800,00.
La convenuta sostiene che il danno vada calcolato solo fino alla data delle dimissioni
avvenute in data 18 marzo 2008 e non fino alla data di iscrizione nel Registro delle
imprese della cessazione della carica.
L’eccezione non può essere accolta dato che la parte non ha spiegato quali specifiche
sanzioni e quota di interessi sarebbero maturare nel periodo 18 marzo/17 aprile
2008.
La sig. Riva Cristi ha ancora dedotto di dover andare esente da responsabilità per
non avere partecipato alla redazione del bilancio dopo le dimissioni, e che a quella
data erano ancora pendenti i termini per i ravvedimenti operosi.
Ebbene, la mancata partecipazione alla redazione del bilancio appare irrilevante,
tenuto conto che, come detto, la responsabilità risarcitoria va riferita al momento in
cui si generano i fatti da cui scaturisce il debito, poiché l’amministratore è tenuto via
via ad accantonare le somme dovute all’erario nel corso dell’esercizio in cui si
verifica il presupposto che fa scattare sanzioni e interessi.
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Appare poi del tutto generica la contestazione circa la pendenza dei termini per i
ravvedimenti operosi, perché priva dell’indicazione specifica delle voci di debito a cui
la parte fa riferimento.
Antonio Sciarretta amministratore dal 15 maggio 2007 al 18 giugno 2008.
Per Antonio Sciarretta, va attribuito lo stesso importo riguardante la convenuta, per
le ragioni dette.
7. Le istanze istruttorie dei convenuti.
La convenuta Sofia Riva Cristi ha chiesto l’esibizione ex art. 210 cpc nei confronti
del Fallimento La Quiete s.r.l., di:
- tutti gli atti del giudizio di responsabilità dallo stesso intentato contro i sig.ri B.
Pozzi e A. Polita
- tutti gli atti del giudizio di revocatoria dallo stesso intentato contro Ansafin S.p.A.
i convenuti Enrico Antonio Riva e Michele Riva hanno domandato l’ordine di
esibizione ex art. 210 cpc nei confronti del Fallimento La Quiete s.r.l., per i seguenti
documenti:
- modello F24 del 22/11/2007, comunicazione di irregolarità Agenzia delle Entrate
dell’8/6/2008, mod. F24 del relativo pagamento
- cartella Equitalia Esatri notificata in data 23/4/2009, istanza rateizzazione del
16/6/2009, ricevuta versamento 2/9/2009, comunicazione Equitalia Esatri di
accoglimento istanza rateizzazione in data 3/9/2009
- istanza rateizzazione del 30/3/2006; comunicazione INPS di accoglimento istanza
di rateizzazione in data 11/5/2006; mod. F24 e cartelle relativi pagamenti
- istanza rateizzazione del 28/11/2008; comunicazione INPS di accoglimento istanza
di rateizzazione in data 23/2/2009; mod. F24 e cartelli relativi pagamenti,
e ciò a riprova della loro condotta asseritamente diligente per avere provveduto ad
effettuare pagamenti all’erario sia pure in ritardo e con rateizzazione.
È assorbente rilevare che istanze ex art. 210 cpc sono inammissibili. La
giurisprudenza ha infatti spiegato che “non può essere ordinata, in relazione al
disposto dell'art. 210 cod. proc. civ., l'esibizione in giudizio di un documento di una
parte o di un terzo, allorquando l'interessato può di propria iniziativa acquisirne una
copia e produrla in causa” (Cass. n. 19475 del 2005.). La parte interessata ben
avrebbe potuto chiedere al curatore, ed eventualmente al giudice delegato in sede di
reclamo contro l’eventuale diniego, di consultare gli atti del fascicolo fallimentare per
esigenze di difesa nell’ambito dell’azione di responsabilità contro di essi proposta.
Considerato poi che risulta fondato l’addebito di omessa convocazione
dell’assemblea per l’adozione delle iniziative dirette a rimediare alla situazione di
illiquidità della società, diviene evidentemente superflua la prova riguardo alle
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richieste che gli amministratori hanno rivolto all’erario per ottenere la rateizzazione
del dovuto.
Il convenuto Diego Rubini ha chiesto l’ammissione di prova per testi sui vari capitoli
di prova che, ancorché implicanti valutazioni precluse ai testi, e dunque per ciò solo
inammissibili, risultano altresì irrilevanti e superflui in ragione dei motivi sopra
illustrati, perché riguardano essenzialmente:
- le circostanze dell’esistenza della capienza patrimoniale,
- e della situazione di illiquidità al tempo del suo incarico,
- nonché l’esistenza di pendenze tributarie prima dell’assunzione dell’incarico.
8. Le statuizioni conclusive.
I convenuti vanno dunque dichiarati responsabili del danno procurato alla società
fallita, di cui rispondono come segue:
Enrico Antonio Riva per € € 842.700,00.
Rispondono del danno in solido con questo gli altri convenuti, limitatamente ai
minori importi per ciascuno di seguito indicati:
Diego Rubini - € 600.000,00
Michele Riva – € 540.000,00
Sofia Riva Cristi e Antonio Sciarretta in solido anche tra loro - € 242.800,00.
Sul danno così determinato, trattandosi di debito di valore accertato alla data del
fallimento (17 giugno 2011), da tale data fino alla data del deposito della sentenza
odierna deve essere calcolata la rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT, e
devono essere computati gli interessi c.d. compensativi ex art. 1226 c.c. (richiamato
dall’art. 2056 c.c.) nella misura – ritenuta equa dal Tribunale - degli interessi legali.
Trattandosi infatti di una voce di danno separata sub specie di lucro cessante che
mira a ricomporre il patrimonio rimasto alterato per la privazione del bene con il suo
equivalente pecuniario dalla data dell’illecito, può essere accertata con metodi
presuntivi e liquidata con criteri equitativi riferiti alla misura dell’interesse legale.
Per evitare duplicazioni di risarcimento15 gli interessi andranno applicati sulla
somma rivalutata di anno in anno dalla data dell’illecito alla data della pronuncia.
Infine, sulla somma così definita spettano gli interessi di mora nella misura legale
dalla data della pronuncia al saldo effettivo.
9. La regolazione delle spese.
15
v. Cass. Sez. Un. n. 1712 del 1995.
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I convenuti vanno altresì condannati in solido al rimborso delle spese processuali
sostenute dal Fallimento, che si determinano come in dispositivo, avuto riguardo
all’attività svolta.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, respinta ogni contraria
eccezione, difesa ed istanza, così decide:
1. previa separazione del relativo giudizio, dichiara la propria incompetenza a
conoscere della domanda risarcitoria del FALLIMENTO nei confronti dei convenuti
ANTONIO ENRICO RIVA, MICHELE RIVA e DIEGO RUBINI e SOFIA CRISTI RIVA per
la parte in cui tale domanda riguarda l’accertamento della responsabilità di tali
convenuti nei confronti del patrimonio della srl fallita, trattandosi di controversia
devoluta alla cognizione degli arbitri ai sensi dello statuto della srl;
2. accerta la responsabilità di Enrico Antonio Riva, Diego Rubini, Michele Riva, Sofia
Riva Cristi, Antonio Sciarretta nei confronti del FALLIMENTO La Quiete s.r.l. in
liquidazione per i fatti e nei limiti di cui alla motivazione;
3. condanna Enrico Antonio Riva al pagamento, in favore del FALLIMENTO La
Quiete s.r.l. in liquidazione della complessiva somma di € 842.700,00, per i titoli
indicati in motivazione, in solido con
- Diego Rubini limitatamente alla somma di € 600.000,00
- Michele Riva limitatamente alla somma di € 540.000,00
- Sofia Riva Cristi limitatamente alla somma di € 242.800,00
- Antonio Sciarretta limitatamente alla somma di € 242.800,00, quest’ultimo in
solido anche con Sofia Riva Cristi,
oltre, per tutti, a rivalutazione monetaria ed interessi legali come indicato in
motivazione;
4. condanna altresì tutti i convenuti in solido tra loro a rifondere all’attore le spese
di lite che si determinano in € 20.000,00 per compenso d’avvocato e in € 2.947,75
per spese, oltre al 15% di rimborso per spese generali, IVA e CP.
Milano, 15 settembre 2016.
Il Presidente
- Elena Riva Crugnola -
Il Giudice estensore
- Marianna Galioto -
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