Domenica XXXII T.O.

Download Report

Transcript Domenica XXXII T.O.

Riflessioni (n.248) sulle Letture della XXXII Domenica del T.O. (c)
06 novembre 2016
A tutti gli Amici in Gesù Nostro Signore e Salvatore
A te che leggi, ti benedica il Signore e ti custodisca nella pace e nella perenne visione del Suo Volto
Perdona Signore e anche voi amici tutti gli errori e le imprecisioni, che involontariamente avrò scritto: queste righe vogliono essere solo una preghiera a Te Padre Misericordioso, a Te Verbo Redentore, a Te Spirito Consolatore. Non avanzo pretese di scienza che non posseggo, esse sono solo bisogno
dell’anima, la preghiera è consolazione e insegnamento.
Le cose che conosco della Verità sono poche, ma voglio parlarne con umiltà e devozione massima per conoscerle meglio. Lo Spirito Santo mi aiuti.
Signore so che Tu non hai bisogno di quello che diciamo di Te, ma queste mie parole saranno utili e benefiche sicuramente a me e forse a qualcuno
che le legge se Tu le arricchirai del Tuo Spirito Santificatore che invoco.
-Nihil amori Christi praeponere-
SIGNORE FACCI DONO DEL TUO SPIRITO SANTO COSÌ CHE IL TUO AMORE E IL TUO VOLERE SI RIVELINO A NOI
Prima Lettura - Dal secondo libro dei Maccabei - 2 Mac 7, 1-2. 9-14 - Il re
dell'universo ci risusciterà a vita nuova ed eterna.
In quei giorni, ci fu il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni suine proibite.
Uno di loro, facendosi interprete di tutti, disse: «Che cosa cerchi o vuoi sapere da
noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri».
[E il secondo,] giunto all’ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna».
Dopo costui fu torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la
lingua e stese con coraggio le mani, dicendo dignitosamente: «Dal Cielo ho queste membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo». Lo stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza di questo giovane,
che non teneva in nessun conto le torture.
Fatto morire anche questo, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti.
Ridotto in fin di vita, egli diceva: «È preferibile morire per mano degli uomini,
quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te
non ci sarà davvero risurrezione per la vita».
Morire per la fede non è così raro neppure ai giorni nostri: quanti in Medio Oriente
infatti perdono la vita a causa dei diabolici
piani distruttivi degli appartenenti all’ISIS?
La speranza-certezza della vita dopo la
morte infonde un coraggio che mai nessuno
immagina di possedere.
Preghiamo il Signore che ciò non avvenga
più per nessuno, ma stiamo pronti perché
anche noi potremmo essere chiamati a una
prova terribile cui potremmo rispondere meravigliando noi stessi: con l’aiuto del Signore
anche il più pavido fra noi potrebbe divenire
un Eroe della Fede e ascendere direttamente
fra i Santi Martiri al Cospetto di Dio Onnipotente.
Ma, al solito, cerchiamo di estendere il
concetto oltre il fatto narrato dai Maccabei.
La costrizione ad adorare un dio pagano o
a venire meno in modo grave alle leggi divine ci induce ad operare una scelta non mediabile da compromessi di comodo. Se non
abbiamo un dittatore o un assassino che ci
chiede di abiurare la nostra fede a prezzo
della vita c’è però il male o la nostra propensione a cedere alla carne che possono essere altrettanto violenti e dispotici, certamente
più subdoli e implacabili perché presenti solo
nella nostra coscienza. Il loro lavorio nella nostra interiorità è veramente stremante e spessissimo diviene invincibile e inarrestabile. Il male dentro di noi non cessa mai di perseguitarci
ed è abilissimo a camuffarsi sotto forme insospettabili che possono passare per innocenti
debolezze veniali mentre invece sono il minamento dell’anima, difficilissimo da rimuove
una volta insediatosi dentro di noi. Il costo alla
non-sottomissione non è lo sgozzamento che
usano fare gli islamici posseduti da Satana,
ma la sofferenza per la rinuncia alle solleticanti e false felicità della vita carnale cui si rinuncia seguendo gli insegnamenti di Cristo.
A quale sforzo ci si deve sottomettere per
liberarsi dal peccato? Non piccolo certamente, ma una volta spezzate le catene che avvinghiano le nostre anime al Maligno, allora
tutto diviene più facile e già fin d’ora, in questa vita terrena, si ottengono i primi straordi-
Pag. 1 di 7
nari compensi fatti di felicità dell’anima e di
acquisizione di quella Speranza-Certezza che
ci consente di minimizzare e rifuggire le vanità
dell’esistenza presente.
La libertà di seguire Cristo sulla croce e
quindi nel Regno del Padre Suo diviene allora
l’unico motivo di vita, non del corpo, ma
dell’anima.
Cristo Signore, mio Salvatore e mia
ragione di esistere sii sempre al mio fianco affinché la mia fragilità non mi faccia
mai preferire la via in discesa che nasconde l’abisso delle tenebre eterne dalla
strada che porta alla Porta Stretta che
mi aprirà l’ingresso al Regno dell’Amore,
della Pace e della Giustizia eterni.
Salmo Responsoriale - Dal Salmo 16 - Ci sazieremo, Signore, contemplando il
tuo volto.
Ascolta, Signore, la mia giusta causa,
sii attento al mio grido.
Porgi l’orecchio alla mia preghiera:
sulle mie labbra non c’è inganno.
Tieni saldi i miei passi sulle tue vie
e i miei piedi non vacilleranno.
Io t’invoco poiché tu mi rispondi, o Dio;
tendi a me l’orecchio, ascolta le mie parole.
Custodiscimi come pupilla degli occhi,
all’ombra delle tue ali nascondimi,
io nella giustizia contemplerò il tuo volto,
al risveglio mi sazierò della tua immagine.
InvocarTi o Signore non è come ritengono gli atei e i miscredenti una perdita di tempo e un’illusione infantile; è invece dare significato all’esistenza per l’esistenza d’una vita
fatta oltre che dalla materia anche e soprattutto da una parte immateriale, spirituale e
della quale tutti -anche stessi gli atei- sentono
la presenza.
Le parole e il tempo che impiego e riservo a
Te, o Unica Fonte di Vero Amore, non sono
forse strumenti che portano dentro di sé i pensieri e i sentimenti necessari a cercarTi e a
comunicare con Te che sei sempre in ascolto di
chi Ti cerca e T’invoca anche se misero peccatore?
A quale parte del nostro essere rinunciamo
pensando che oltre la materia non vi sia
nient’altro che il nulla, l’oblio di se stessi e di
ciò che è fuori di noi, la morte della coscienza
stessa? Certamente così pensando e agendo rinunciamo alla parte migliore di noi che è la
capacità di rivolgerci a Te e di ascoltare le
Tue Risposte che arrivano prima o poi ma
sempre puntuali.
L’auto-negazione dello spirito immortale
che non dovrebbe mai perire, a meno che non
lo uccidiamo noi stessi negandolo, è ciò che ci
fa scendere dal gradino più alto dei Figli di
Dio al livello degli animali.
Chi ci ha fatti, pensati e voluti ci ha strutturati per vivere in eterno con Lui nella Bellezza della nostra mente, della nostra anima,
del nostro spirito che al Suo Cospetto e per Sua
Pietà ingigantiranno oltre ogni fantasia.
Pag. 2 di 7
Seconda Lettura - Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi 2 Ts 2, 16 - 3, 5 - Il Signore vi confermi in ogni opera e parola di bene.
Fratelli, lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, che ci ha
amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona
speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene.
Per il resto, fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore corra e
sia glorificata, come lo è anche tra voi, e veniamo liberati dagli uomini corrotti e malvagi. La fede infatti non è di tutti. Ma il Signore è fedele: egli vi
confermerà e vi custodirà dal Maligno.
Riguardo a voi, abbiamo questa fiducia nel Signore: che quanto noi vi ordiniamo già lo facciate e continuerete a farlo. Il Signore guidi i vostri cuori
all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo.
Il brano della Lettera inizia con un amorevole augurio di intercessione perché Gesù
Cristo conforti i fratelli della Chiesa di Tessalonica e li sostenga nelle opere e nelle parole
di bene rivolte al prossimo.
Il Signore Gesù, asserisce l’Apostolo Paolo,
ci ha già dato
“una consolazione eterna e una buona
speranza”;
si riferisce ovviamente al Sacrificio Salvifico
della Croce che certamente non può essersi
consumato invano come ci tramanda
l’Evangelista Giovanni (Gv 12, 46-47).
“Io sono venuto nel mondo come luce, perché
chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se
qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non
lo condanno; perché non sono venuto per condannare il
mondo, ma per salvare il mondo.”
Fare opere di bene, aiutare anche con sole parole e discorsi consolatori chi soffre è il
massimo che ci chiede il nostro Dio, non atti
eroici o cose impossibili. Tutti possiamo diventare santi se realizziamo questi predicati che
teoricamente sono semplicissimi e facilissimi
da attuare e invece nella pratica di vita giornaliera ci riescono così ardui da realizzare.
La preghiera di cui ci parla l’Apostolo è la
nostra grande ancora di salvezza: essa fa sì
che noi possiamo divenire veramente figli di
Dio e fratelli del Signore nostro Gesù Cristo,
stabilendo quel «dialogo» che il nostro e uni-
co Dio cerca nelle Sue Creature amate; possiamo aspirare a divenire anelli di quella catena odorosa e lucente che è l’Amore del
Padre verso il Figlio-Verbo e che si «realizza»
nella Persona dello Spirito Santo: la Molla Santa del creato, l’origine e il mantenimento della Vita.
Non esiste onore più grande per noi di poter assurgere dalla mota del peccato alla
partecipazione dell’onore immenso della
Santa Trinità.
Il pregare insieme è la realizzazione di
quella solidarietà umana che fa sorridere il Signore e Lo fa sedere fra di noi nella nostra
Mensa della Parola, immagine della nostra
condizione devota nella ricerca della Santità.
Così saremo al sicuro dalle continue minacce
di attacco e di morte spirituale che ci muove
il Maligno.
L’Amore di Dio e la Pazienza di Gesù
Cristo siano sempre gli esempi da imitare
e da non dimenticare mai. Il calore stupendo del loro Amore ci riempia la vita e
ci faccia sazi dei Beni che ogni giorno ci
troviamo nelle nostre mani senza averne
nessun altro merito se non quello di aver
rivolto i nostri pensieri e il nostro cuore a
Lui.
Canto al Vangelo - Ap 1, 5.6
Alleluia, alleluia!
Gesù Cristo è il primogenito dei morti:
a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli.
Alleluia.
Dal vangelo secondo Luca - Lc 20, 27-38 - Dio non è dei morti,
ma dei viventi.
Pag. 3 di 7
[In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei – i quali dicono
che non c’è risurrezione ] – e gli posero questa domanda: «Maestro,
Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie,
ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza
al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver
preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e
così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la
donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché
tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: [ «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti
non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono
figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha
indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è
il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti,
ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».]
“…
Quelli che sono giudicati degni
della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito …”
La vita oltre la morte, ci dice Gesù, non
sarà sul modello dell’attuale esistenza sensibile: anche quando saremo risorti a immagine del Cristo il nostro corpo carnale non
sarà com’è adesso: infatti non avremo più
né mali né deformità né imperfezioni di sorta né esigenze biologiche/fisiologiche e non
saremo legati alle attuali ferree leggi della
natura1.
Come Cristo Risorto passava attraverso i
muri o le porte chiuse dopo la Resurrezione,
così potremo anche noi.
Dunque il senso della parabola è quello
di non valutare o prefigurare la vita dopo la
morte sul modella della vita sensibile: tutto
sarà diverso; resterà uguale l’Amore di Dio
verso di noi e il nostro verso di Lui, anzi sarà
immensamente più grande di quanto noi
oggi siamo in grado di fare.
La conclusione della parabola è tutta
imperniata sull’asseverazione della Vita -la
Vera Vita- oltre l’esistenza terrena: vivremo
in eterno
“… perché tutti vivono per lui …”.
O Cristo, nostro grande e unico Dio,
come sei rassicurante nelle Tue dolci ma
ferme Parole che ci svelano a ogni rilettura del Tuo Vangelo la Verità che per
millenni abbiamo cercato invano e che
ancora andiamo cercando là dove non
la troveremo mai, mentre è scritta per
tutti e incisa indelebilmente dentro le
nostre anime e nelle nostre coscienze!
1
Consideriamone solo una: quella dei terremoti che
tanto funesta i nostri giorni e priva tanti poveretti della
vita e dei beni primari di cui non possiamo fare a meno.
Pag. 4 di 7
di Fra Bartolomeo
(Bartolomeo di Paolo di Jacopo, Firenze 1472 – 1517)
Figura 1 - Apparizione della Vergine a San Bernardo con San Giovanni Evangelista e San Benedetto; 1504-1507; Fra Bartolomeo; olio su tavola, m 2,15 x 2,31; Uffizi.
Pag. 5 di 7
Fu un pittore fiorentino amico del Savonarola al punto che affascinato dalla sua
predicazione lo seguì con fervore tanto che
una volta scampò a stento ad un linciaggio
da parte di una folla inferocita. A seguito di
tale episodio -per ringraziamento- entrò nello stesso monastero di San Marco a Firenze
ove aveva vissuto Beato Angelico e lo stesso
Savonarola, facendosi frate domenicano.
Di umili origini entrò nella bottega del Rosselli e nell’ambito d’influenza del Ghirlandaio.
Ma a Firenze conobbe il giovane Raffaello
col quale pare che abbia stretto anche rapporti di amicizia e sicuramente ne fu influenzato per la sua straordinaria carica innovativa. Ma la sua personale formazione artistica si
allargò, continuò e si sviluppò attraverso il
viaggio che compì a Venezia (1508) ove ebbe modo di venire a contatto col colorismo
veneto di Giovanni Bellini, di Giorgione e di Tiziano e di quelle atmosfere dipinte calde e
dorate cui non si poteva rimanere indifferenti.
Ma neppure rimase indifferente, una volta
tornato alla sua Firenze, al clima del nascente
Manierismo che non avversò e semmai ne
trasse e suggerì qualcosa. Fra Bartolomeo lasciò certamente un segno permanente per la
potente vena religiosa che le sue opere posseggono.
La forte critica del Savonarola contro i costumi immorali dell’epoca lo portarono addirittura a distruggere alcune sue opere ritenute
troppo «scandalose». Passato il periodo di crisi
che gli fece sospendere del tutto l’attività artistica, nel 1504 riprese i pennelli incentivato
dal priore stesso del convento.
È di quell’anno la commissione da parte di
Bernardo Bianco dell’opera che esaminiamo
che l’avrebbe voluta per la sua Cappella privata, ma oggi è conservata agli Uffizi.
Nella sua volontà, capacità e ricerca di
apprendere sicuramente dette qualcosa
dall’amico Raffaello: dunque avvenne uno
scambio fra artisti di altissimo livello: al poderoso classicismo di Raffaello egli non restò
certamente estraneo ma anche l’Urbinate
non restò indifferente alla rinnovata monumentalità delle figure del monaco.
Nel 1513 Bartolomeo era a Roma ove fece
i dipinti dei due Apostoli Pietro e Paolo con-
servati nella Pinacoteca Vaticana. Qui conobbe direttamente le spettacolari opere di
Michelangelo e di Raffaello che lo sconvolsero per le loro straordinarie novità di cui continuavano ad arricchire il mondo dell’arte. Fra
Bartolomeo -in una scala più ridotta- tentò la
felice conciliazione che Raffaello aveva operato tra le due posizioni antitetiche dei due
giganti che lo avevano preceduto, Leonardo
e Michelangelo, aggiungendo ad essi lo stesso Raffaello.
Come detto sopra, egli annesse all’arte
una funzione prettamente religiosa ma (G. C.
Argan): “non rinuncia al linguaggio pittorico
corrente, che sa familiare e grato al pubblico
colto; ma non può, dal pulpito della sua pittura, non prendere posizione nei confronti dei
grandi fatti del giorno. È, il suo, un tipico caso
di «modernismo», mirante a rinnovare le forme pur conservando la sostanza della tradizione.”
L’interesse verso la natura e l’anima umana, d’altra parte affrontati laicamente dalla
maggioranza degli artisti fiorentini dell’epoca,
non poteva non assumere una connotazione
prettamente religiosa in un monaco-pittore.
La tavola che esaminiamo mostra la visione avuta dal Santo, pilastro dell’Ordine Cistercense: all’aperto, in uno sfondo naturalistico e di una città biancheggiante nella pianura; le montagne all’orizzonte sfumano nella
bruma aerea del cielo similmente alla stravolgente novità introdotta da Leonardo con
la sua prospettiva aerea; subito dietro San
Bernardo i due Santi accompagnatori, in posizione verticale, si intravvede una collinetta
coperta da alberi diversi che ci rimandano
anch’essi alla natura raffaellesca e prima ancora leonardesca.
Il Santo Bernardo, in abito talare bianco, si
inginocchia a fianco di un piccolo leggioinginocchiatoio di legno scuro su cui è aperto
un libro di preghiere. Dietro Bernardo San
Giovanni con tre dita aperte poggiate sul
petto e poco dietro San Benedetto -il capostipite degli ordini monastici- con le braccia
incrociate, assistono all’evento. La Vergine
Maria appare con il Bambino fra le braccia e
la sua folta schiera di Angeli al seguito come
se venisse dal basso in un moto ascensionale
obliquo. Si stacca dalla realtà terrena spinta
Pag. 6 di 7
dalla Santità Sua e di Gesù Bambino verso la
Dimora Celeste, sfiorando il gruppo dei tre
santi che assistono in tutta serenità e tranquillità all’evento miracoloso, quasi fosse un fatto
della quotidianità.
La figura della Vergine, avvolta nel consueto mantello blu sulla veste rossa, così come i tre Santi, posseggono tutte una forte
consistenza monumentale che ci riporta al
Raffaello formatosi sull’ammirazione e imitazione delle figure michelangiolesche.
La plasticità delle forme, dei colori e del
chiaroscuro (michelangioleschi) insieme al
realismo del contesto -si vedano in particolare i tre gradini in marmo bianco oltre il gruppo
delle figure- conferiscono all’insieme, sul contrasto dello sfondo chiaro del paesaggio
(leonardesco), una realtà materiale che rende quanto mai convincente la Verità Trascendente della vita che esiste oltre la materia: sembra volerci dire che Maria e Gesù,
prima di essere i Soggetti dell’apparizione,
sono stati Persone reali e storiche del nostro
stesso mondo.
Certamente felice l’invenzione della folla
degli Angeli che sostengono e sospingono la
Vergine col Bambino in un delicato e gremitissimo affollarsi di espressioni dolcissime pur
nell’assenza di pronunciate ricerche idealizzanti, così come propone anche nei volti di
Maria e di Gesù. Pare proprio una prima manifestazione -più formale che sostanziale- della nuova concezione artistica del Manierismo
dei giovani Pontormo e Rosso Fiorentino, prossima ormai ad esplodere.
Se il suo intento è, come quello della pittura medievale, di sospingere il fedele alla devozione, Fra Bartolomeo v’è riuscito in pieno
anche se, così facendo, rinuncia ad inserirsi
nel dibattito culturale dell’epoca, ma lo sfiora
soltanto, insistendo nella ricerca di suscitare
una commozione che talvolta però sconfina
nella retorica.
Giorgio Obl OSB
-Nihil amori Christi praeponere05 nov. 2016 - Questo e altri
scritti sono pubblicati sul sito
www.giorgiopapale.it
Pag. 7 di 7