Brexit, Londra a rischio paralisi

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Transcript Brexit, Londra a rischio paralisi

VENERDI 4 NOVEMBRE 2016 • CORRIERE CANADESE
4
PRIMO PIANO
LA VIGNETTA di Ynot
L'ALTA CORTE BRITANNICA
Brexit, il governo dovrà
avere l’ok del Parlamento
La premier britannica Theresa May
LONDRA - Il parlamento dovrà approvare se il Regno Unito
può iniziare il processo di uscita
dall’Unione europea. È quanto ha
stabilito ieri l’Alta Corte britannica con una sentenza che signiica
che il governo non potrà attivare
l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che sancisce l’avvio dei negoziati per l’uscita, senza avere l’ok
del parlamento.
Il governo britannico ricorrerà
in appello contro la sentenza: “Il
governo è deluso dal giudizio della Corte - si legge in una dichiarazione dell’esecutivo di Theresa
May - il Paese ha votato per uscire dall’Unione Europea in un referendum approvato da un atto
del parlamento. E il governo è determinato a rispettare il risultato
del referendum”.
La Corte Suprema dovrebbe esaminare l’appello ai primi di dicembre.
Nella sentenza dell’Alta Corte,
letta dal presidente dell’Alta Corte, Lord Thomas of Cwmgiedd, si
aferma che “la norma fondamentale della Costituzione del Regno
Unito è che il Parlamento è sovrano”.
“La Corte non accetta l’argo-
mento presentato dal governo si legge nella sentenza - e non c’è
nulla nell’European Communities del 1972 che lo sostenga”.
“Il governo non ha il potere, in
base alla prerogativa della Corona, di annunciare l’avvio dell’articolo 50 per il ritiro del Regno Unito dalla Ue”, ha concluso il lord
chief justice. Il giudizio è quindi una dura sconitta per la premier May e, se non verrà ribaltata
in appello, minaccia di far saltare
i piani del governo di avviare i negoziati, come annunciato, il prossimo marzo, dando al parlamento il pieno controllo del processo.
Intanto, nuova gafe per il ministro degli Esteri della Gran Bretagna Boris Johnson che mercoledì sera, nel corso dello “Spectator Parliamentarian of the Year”,
ha afermato che la Brexit sarà un
«successo titanico».
Già famoso per i suoi eccessi, le sue dichiarazioni pesanti e i
suoi capelli biondo platino arruffati, l’ex sindaco di Londra, accettando il premio “Comeback of the
Year” e parlando della sua speranza di durare più a lungo di Michael Heseltine, ha parlato di come vede l’uscita della Gran Breta-
Lord Thomas of Cwmgiedd,
presidente dell’Alta Corte
gna dall’Unione europea.
«Brexit signiica Brexit, e il governo ne farà un successo titanico», ha detto Johnson.
Una dichiarazione che ha sollevato l’ilarità del pubblico presente che, pensando allo sfortunato
viaggio inaugurale del Titanic nel
1912, ha urlato: «È afondato!».
Anche il primo ministro Theresa May, riferiscono i giornali inglesi, si sarebbe messa “letteralmente la testa tra le mani” ascoltando la frase. Dopo che gli è stato fatto notare di aver usato un
termine poco opportuno, Johnson ha cercato immediatamente
di correggersi, ricordando che «la
mostra sul Titanic in Irlanda del
Nord è stata l’attrazione turistica
più popolare della provincia. Noi
ci accingiamo a fare della Brexit
un “colossale” successo».
IL FONDO
Brexit, Londra a rischio paralisi
FRANCESCO
VERONESI
TORONTO - Via di corsa dall’Europa, anzi
no. La sentenza di ieri dell’Alta Corte britannica è l’ultimo capitolo della saga iniziata la
scorsa estate con il referendum sulla Brexit
vinto a sorpresa dal fronte antieuropeista inglese. La vittoria del “Leave” era giunta come
un fulmine a ciel sereno e aveva provocato
un vero e proprio terremoto politico in Gran
Bretagna e nell’Unione europea. Poi, passata
la sbornia, nel Regno Unito ci si è risvegliati con un pesante mal di testa: il mondo della
grande finanza nella City londinese ha iniziato a tremare, le grandi banche straniere hanno iniziato i preparativi per un possibile trasloco in altri centri finanziari europei, i governi locali - Scozia e Irlanda del Nord in primis - hanno minacciato l’indizione di un loro referendum per rimanere attaccati al treno europeo.
Allo stesso tempo è partito l’inevitabile tira e molla a livello comunitario. Germania,
Francia e Italia hanno chiesto a più riprese
tempi certi - e veloci - per l’uscita britannica
dall’Ue, lasciando aperta la porta a una possibile permanenza di Londra almeno nel mercato unico.
Ora la sentenza dell’Alta Corte - che però
potrebbe essere ribaltata tra un mese dalla
Corte Suprema, che dovrà decidere sull’istanza d’appello presentata dalla premier Theresa May - non fa altro che alimentare un clima
d’incertezza in un periodo che invece ha bisogno di tempi certi e decisioni sicure.
Se anche la sentenza di dicembre darà ragione all’imprenditrice Gina Miller - la cui
denuncia ha scatenato la querelle legale sfociata nella decisione di ieri - allora potremmo
davvero aspettarci di tutto.
La grande maggioranza dei parlamentari britannici, infatti, durante la scorsa campagna referendaria, si è schierata contro la
Brexit. Ma nei singoli collegi elettorali, la
maggioranza degli elettori ha votato per l’addio all’Unione Europea. Cosa faranno i componenti della Camera dei Comuni qualora
dovessero votare sulla clausola prevista dal
trattato di Lisbona per uscire dall’Ue? Rimarranno coerenti con la posizione presa appena qualche mese fa, o cambieranno idea? E di
fronte a un possibile dietrofront parlamentare sulla Brexit, cosa ne sarebbe della volontà
popolare - del popolo sovrano - che invece si
è espressa per lasciare l’Europa?
Tutti interrogativi che per ora non trovano risposta, ma che delineano uno scenario
incerto e destabilizzante che di certo non fa
bene né alla Gran Bretagna né all’Ue che, dopo il referendum di giugno, sta faticosamente
cercando di rimettere in piedi i già precari equilibri interni.
LA SCHEDA
Cosa prevede la clausola
I
l trattato di Lisbona ha introdotto una clausola di recesso
per gli Stati membri che intendono uscire dall’Unione Europea. A dettare tempi e modi è l’articolo 50 del trattato sull’Unione europea: uno Stato membro
può notificare al Consiglio europeo la sua intenzione di separarsi dall’Unione e un accordo di ritiro sarà negoziato tra l’Unione
europea e lo Stato. I trattati cessano di essere applicabili a tale
Stato a partire dalla data del contratto o, in mancanza, entro due
anni dalla notifica, a meno che lo
Stato e il Consiglio europeo siano d’accordo nel prorogare tale
termine.
L’accordo deve essere approvato dal Consiglio, che lo delibera a maggioranza qualificata,
previa approvazione del Parlamento europeo.
Se un ex Stato membro cercasse di ricongiungersi con l’Unione europea sarebbe soggetto alle
stesse condizioni di qualsiasi altro Paese candidato. E in questo
logicamente ci sarebbe un sostanziale allungamento dei tempi.