Olio di palma: ecco perchè boicottarlo

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venerdì 04 novembre 2016, 12:30
Esclusiva
Olio di palma: ecco perchè boicottarlo
Johan Reboul racconta in questa intervista la guerra ambientalista contro il prodotto che devasta le foreste
di Eloisa Gilardoni
Prendete un giovane, anzi, no, un nativo digitale, con la passione per l’ambiente, dategli un PC e un sito di petizioni on line,
aggiungeteci una foresta che sta scomparendo a vantaggio di una piantagione di palme da olio, prodotto diretto
all’Occidente consumistico. Et voilà le jeux sont fait. Il risultato sarà una delle più poderose guerre contro un
condimento: l’olio di palma. Una guerra -per altro non conclusa- che lascerà sul terreno una quantità di ricette, farà
modificare cicli di produzione di multinazionali alimentari che mai si sarebbero manco degnate di dare udienza a politici o
istituzioni, e una serie di organizzazione deputate a tutelare la salute pubblica impegnate a emanare quintalate di report nel
tentativo di fissare la salubrità o meno del prodotto sotto tiro. Possibile che un ragazzo di 17 anni abbia fatto tutto
questo e tutto questo da solo? Glielo abbiamo chiesto e lui ci ha liquidati con un battito di ciglia: “Poco importa l'età:
dobbiamo andare in fondo alle nostre convinzioni, ed è precisamente ciò che ho deciso di fare”. Lui è Johan
Reboul, nel 2014, quando, dal suo pc di casa, si è fatto promotore della richiesta di non utilizzare l'olio di palma nei
prodotti alimentari, perché considerato causa del disboscamento massiccio e dell'estinzione di diverse specie animali dei
Paesi del sud est asiatico, aveva, appunto, 17 anni, e la petizione dalla quale tutto 'l'affaire olio di palma' è partito
ha raccolto più di 200mila firme ed è diventata virale, tanto da far pressione subito, tanto per cominciare, su Mondelez
produttrice dei biscotti LU. Johan, dunque tu sei colui che ha fatto scoppiare il ‘caso olio di palma’. Ci racconti il
come e il perché hai deciso di mobilitarti? Da ormai tre anni sono diventato particolarmente sensibile alle questioni
ambientali e relative alla protezione degli animali. Ho trascorso gran parte dell'infanzia in Canada con mia madre. In questo
Paese, che trovo più aperto e sensibile ai temi ambientali, ho avuto modo di sviluppare una coscienza su diversi argomenti.
Nel corso dei suoi studi, mia sorella ha viaggiato molto collaborando a progetti umanitari e, con i suoi racconti, mi ha spinto
a interessarmi all'attualità e ai maggiori problemi del pianeta. A 15 anni, sono tornato in Francia per proseguire negli studi
liceali; per me è stato un anno di grande cambiamento. Grazie alla visione di documentari e agli approfondimenti su
internet, ho iniziato a interessarmi alle grandi sfide ambientali. Sono diventato vegetariano, perché le modalità di
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/olio-di-palma-ecco-perche-boicottarlo/
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abbattimento degli animali e le risorse sprecate dall'industria della carne sono deleterie per l'ambiente. A 16 anni, mi ha
fortemente colpito la vicenda di una foresta che sta scomparendo a vantaggio di una piantagione di palme da olio, una
risorsa privilegiata dai Paesi occidentali. A questo punto, era impossibile per me stare a guardare e partecipare a quel
massacro continuando a consumare alimenti come avevo sempre fatto. Perciò decisi, in un primo tempo, di boicottare l'olio
di palma. Non potevo continuare ad alimentarmi con prodotti che concorrevano all'estinzione di diverse specie (ad esempio,
l'orango-tango). Una volta rese più consapevoli le persone che avevo intorno, ho voluto estendere il messaggio a un pubblico
più ampio possibile. Nella nostra società contemporanea, diffondere un messaggio è un'operazione semplicissima; ma
dovevo approfondire il soggetto, evitando di basarmi su pregiudizi e opinioni correnti. Così, ho contattato delle associazioni
francesi e indonesiane che cercano di contrastare il monopolio legato all'olio di palma. Dopo varie ricerche, ho deciso di
stilare una petizione contro l'impresa Ferrero: la Nutella mi sembrava emblematica rispetto alla questione dell'olio di palma.
Ho raccolto 30.000 firme: tutte persone convinte, come me, che l'olio di palma fosse un pericolo. Qualche mese dopo, ho
voluto diffondere il messaggio in Francia, attaccando l'impresa LU. Credo che prendere di mira questi soggetti, sempre così
attenti alla propria immagine, sia una buona strategia per cambiare le cose. La petizione ha avuto successo e, ad oggi, è
stata sottoscritta da oltre 200 000 persone. Inoltre, recentemente, una nuova campagna lanciata su 'i-boycott.org' ha
aumentato le pressioni su quella società e ho compreso la forza effettiva dei consumatori nel momento in cui, unendosi, si
costituiscono come soggetto attivo a garanzia dei propri diritti. Sembrerebbe che tu non avessi altri strumenti che un
PC, internet e tanta voglia di fare, il tutto a 17 anni. E’ così? oppure qualcuno di ha aiutato? Spesso diverse
persone osservavano che ero molto giovane per affrontare sfide simili. Dal canto mio, appena ho compreso cosa stava
succedendo, soprattutto in Indonesia, non ho pensato un solo istante a questioni di età. All'inizio, mi chiedevo se sarei
riuscito a essere convincente su un soggetto delicato come quello dell'olio di palma, ma non ci sono stati problemi; ora
conosco bene l'argomento, pur restando aperto ai cambiamenti. Se, con la mia età, non posso influenzare direttamente il
Governo a prendere decisioni in merito, potrò farlo attraverso l'impegno dell'unione dei consumatori. Mi sono trovato solo ad
avviare questa lotta, ma grazie al sostegno della mia famiglia e alle reti di internauti, presenti un po' ovunque su scala
globale, ho potuto tenere alta la guardia su una problematica che, in passato, avrei avvertito come una battaglia persa. La
gente si chiede come è possibile che un ragazzo di 17 anni, armato solo degli strumenti che offre internet,
abbia potuto far scoppiare un simile bailamme e far cambiare le politiche di produzione alle multinazionali.
Penso che oggi, grazie a internet, chiunque possa diffondere un messaggio in cui crede fermamente, da portare avanti con
tenacia. Internet è uno strumento prezioso per riunire le persone nel mondo. Pur di fronte alla necessità di azioni concrete,
internet resta un mezzo indispensabile alla diffusione di un messaggio. Poco importa l'età: dobbiamo andare in fondo alle
nostre convinzioni, ed è precisamente ciò che ho deciso di fare. Ti senti autore di un fenomeno mediatico? No, non mi
vedo come l'autore di un processo mediatico: semplicemente, ho portato alla luce una questione a mio avviso fondamentale.
L'impatto che possiamo vedere oggi è conseguenza dell'azione congiunta delle migliaia di consumatori che hanno diffuso il
messaggio. Non vado in cerca di riconoscimenti per quel che ho fatto; vorrei solo che gli equilibri cambiassero perché Paesi
come l'Indonesia e la Malesia possano conservare la propria biodiversità. Ho voluto fare da cassa di risonanza per coloro che
non possono parlare, ma che sono direttamente affetti dallo sfruttamento espansionistico legato al mercato dell'olio di
palma. La tua era una battaglia ambientalista, poi si è trasformata in una battaglia di salute pubblica. Come è
avvenuto questo passaggio? Per me, la questione ambientale è la più importante, dato che la produzione di olio di palma
causa la progressiva distruzione della foresta. Facendo ricerca, ho scoperto che l'olio di palma non solo rappresenta un
cancro per l'ecologia del pianeta, ma può avere anche gravi ripercussioni sulla nostra salute. Dalla lettura di un rapporto
dell'EFSA (European Food Safety Authority), che mostra come l'olio di palma trasformato chimicamente contenga, rispetto
ad altri olii, la più elevata saturazione in acidi grassi, risultando potenzialmente cancerogeno, ho deciso di allargare la
protesta alle conseguenze in ambito sanitario. Entrambe le implicazioni sono essenziali al nostro proposito, poiché riflettono
direttamente l'eccessivo consumo generalizzato di olio di palma. Ti sei mai sentito strumentalizzato? No, questa lotta
non mira a valorizzare un'impresa a danno di un'altra, ma a porre in primo piano la catastrofe ecologica provocata
dall'industria dell'olio di palma. Non si tratterà mai di una lotta di parte, affiliata a un gruppo o associazione particolari, il che
comprometterebbe il senso del nostro messaggio: denunciare l'espansione di quella monocultura è il mio unico scopo e
andrò avanti in questa direzione. Sei consapevole del fatto che attorno all’olio di palma si muovono fortissime
lobby? Ti hanno mai contattato? La lobby dell'olio di palma è molto potente, come ho potuto constatare in varie
occasioni. Al momento di lanciare la mia petizione, ho ricevuto diversi messaggi ostili e, talvolta, minacciosi, nella speranza
di farmi desistere. Difficile dire chi fossero quelle persone, ma un legame con il mondo dell'industria è più che probabile. In
seguito, soprattutto su twitter, diversi soggetti mi contattavano avanzando le virtù dell'olio di palma e della sua evoluzione
in campo alimentare... Allora ho capito che iniziavo a essere un elemento di disturbo. L'importanza della lobby è
comprensibile, basti pensare al numero di lavoratori coinvolti nel processo di lavorazione. Per questa ragione, io non mi
oppongo all'olio di palma, ma al suo monopolio e alla sua pericolosa espansione a danno delle foreste vergini. La lobby mi
ha impressionato altre volte: ad esempio, ho trovato dei volantini propagandistici nello studio del mio medico di famiglia;
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oppure quando ha mostrato le unghie con lo Stato francese, facendo arretrare l'Assemblea sull'imposizione di una
sovrattassa sull'olio di palma. A maggior ragione, è importante che il consumatore si senta direttamente implicato, dato che
è il solo attore capace di cambiare le cose attraverso scelte individuali responsabili. I pronunciamenti scientifici
sull’olio di palma non dicono che è nocivo, dicono che in dose eccessive è nocivo. Dunque non credi che la tua
battaglia sia stata travisata e strumentalizzata dal marketing e dai poteri forti, di fatto tradendoti? No, sono
sempre stato chiaro sullo scopo della mia petizione: combattere la pericolosa espansione dell'olio di palma. Quando andiamo
a fare la spesa, un prodotto su due lo contiene. Rilevare questo eccesso non significa voler sopprimere l'olio di palma, che ha
indubbie qualità di resa e di cottura, bensì combattere l'utilizzo in maniera oculata. Esistono varie alternative che
dovrebbero essere presenti in misura maggiore sul mercato. L'attuale boicottaggio dell'olio di palma è finalizzato a fare
pressione su tutti gli attori coinvolti nella sua produzione. L'urgenza di ridurne il consumo, da parte nostra, risulta soprattutto
dalla domanda crescente di Paesi come la Cina e l'India. Il green-washing di molti marchi è una soluzione valida
secondo te? Il green-washing non è una valida soluzione: si tratta di una strategia delle imprese, che antepongono
propositi ecologisti per nascondere la parte scomoda della loro attività. Prendiamo l'esempio della polemica sulle orche
tenute in cattività dalla compagnia Seaworld. Per tutelare la propria immagine, l'azienda ha avviato programmi di
salvataggio in mare destinati a diverse specie, fatto che non cambia in nulla lo stato di cattività in cui vivono le orche. Lo
stesso avviene con l'olio di palma sostenibile, che nasconde enormi vuoti di protezione per le foreste. E la certificazione
Cspo (Certified Sustainable Palm Oil) dell'Rspo (Roundtable on Sustainable Palm Oil)? Il CSPO, certificato secondo
gli standard RSPO, potrebbe essere una soluzione se fossero rispettati diversi criteri. Per prima cosa, l'olio di palma
sostenibile potrebbe essere una realtà concreta solo nel caso di un calo della nostra domanda. In effetti, anche ottenendo un
numero crescente di certificazioni di sostenibilità, le foreste non verranno risparmiate se la domanda continuerà ad
aumentare pericolosamente. Il CSPO è un buon passo avanti, ma dovrà essere assistito da normative più rigorose. Inoltre, i
governi malese e indonesiano dovranno porre un freno decisivo alla corruzione, che permette -tra l'altro- di cancellare le
tracce di provenienza dell'olio di palma. Il progetto del Poig (Palm Oil Innovation Group) secondo te, potrà
garantire maggior sicurezza e maggior controllo? Anche il POIG [Palm Oil Innovation Group] è un attore essenziale
nell'evoluzione dell'olio di palma. Tuttavia, esso non ha, al momento, molta efficacia poiché le soluzioni avanzate sono poco
numerose. Associazioni come WWF o Greenpeace perdono credibilità nel dibattito quando appaiono manipolate dalle grandi
imprese. La RSPO deve essere davvero preparata per poter proporre cambiamenti realistici e assicurare la tutela del
patrimonio forestale mondiale. Il POIG può giocare un ruolo chiave in questo processo. L'obiettivo del Rspo (Roundtable
on Sustainable Palm Oil) di un olio di palma sostenibile è una realtà possibile? La RSPO resta un organismo molto
contestato da un buon numero di associazioni, e a ragione: la creazione di questa 'tavola rotonda' è avvenuta su iniziativa di
grandi società e del WWF. Ciò dà adito, inevitabilmente, a dubbi sulla sua neutralità. In questo sistema, quando un'impresa
viola un regolamento sarà ammonita, ma non subirà alcuna sanzione. Del resto, solo il 10 % delle foreste sono ufficialmente
protette, e questo contribuisce all'inefficacia operativa della RSPO, che necessita di un'evoluzione interna per diventare, a
sua volta, motore di cambiamento. Il supporto del Poig (Palm Oil Innovation Group) può essere un valore
aggiunto? Come dicevo, questi gruppi possono avere un'influenza importante sulla produzione di olio di palma.
Semplicemente, è necessario mantenere un progetto comune: salvaguardare le foreste, senza cedere alle manipolazioni
delle grandi multinazionali. L’adesione alla tua campagna, secondo te, è stata effettivamente consapevole,
oppure è stata consumata come una moda? E quanti, secondo te, oggi conoscono effettivamente la questione
olio di palma e non ne hanno invece una conoscenza superficiale, per sentito dire? Non credo che la mia petizione
sia fondata su un argomento alla moda: certo, ultimamente l'olio di palma è un tema di attualità, ma sono convinto che i
firmatari esprimano un impegno sincero e consapevole contro gli effetti della sua produzione industriale. Anche se il
prodotto non è stato boicottato da 200.000 persone, le loro scelte future saranno assistite da una reale presa di coscienza.
Ricevo molti messaggi di ringraziamento per aver fatto luce sul problema, quindi ritengo che questa petizione abbia giocato
un ruolo nella lotta collettiva. Non pensi che la tua campagna si sia, alla fine, risolta in una criminalizzazione
dell’olio di palma e basta? Non è stata la mia petizione a criminalizzare l'olio di palma, ma le imprese che ne sfruttano la
produzione senza curarsi del suo impatto ambientale e sociale. Se l'olio di palma non comportasse alcun impatto, la mia
petizione non avrebbe ragione di esistere. L'olio di palma conoscerà un'evoluzione, ed è in quel senso che si muove la mia
petizione. Sei consapevole del fatto che il ‘non contiene olio di palma’ è diventato una campagna pubblicitaria
sfruttata dalle stesse aziende che prima producevano con olio di palma? La formula «senza olio di palma» si è
sempre più diffusa nei nostri supermercati. E' un fatto negativo? Non penso. Se le industrie hanno bisogno di evidenziare la
sostituzione dell'olio di palma con altro olio più sano, che lo facciano. La nostra società è basata sul consumo e sulla ricerca
del massimo profitto da parte delle imprese: è chiaro che quelle che optano per la formula citata vorranno anche
pubblicizzarla, per attrarre più consumatori. Questa strategia di marketing può incitare altre imprese a fare lo stesso. Credi
davvero che i prodotti che hanno sostituito l’olio di palma siano migliori per la salute e per la tutela
ambientale? Nessun olio è perfetto, è comprensibile. Il problema è il monopolio di un tipo di produzione rispetto a un'altra.
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Anche se l'olio di palma ha una resa elevata, e quindi richiede meno superficie coltivata rispetto ad altri oli, la sua
produzione è concentrata per il 90% in Indonesia e Malesia, con un impatto devastante sulla biodiversità. Se gli oli di colza,
di girasole o di soia fossero prodotti in maggiore quantità nei Paesi ricchi, avremmo una riduzione dei problemi ambientali, in
quanto la produzione sarebbe ripartita in modo da non intaccare gli ecosistemi rari. E' questione di misura. Dal punto di vista
della salute, gli oli alternativi sono potenzialmente meno dannosi dell'olio di palma. Cosa farai ‘da grande’? I miei progetti
futuri? Continuare a battermi per le cause che mi stanno a cuore e non lasciarle mai cadere. Ho in programma di integrare
gli studi in Scienze Politiche e contribuire a costruire il mondo di domani, orientandomi verso le relazioni internazionali o il
giornalismo, soprattutto investigativo. Il caso dell'olio di palma rimane per me una questione essenziale, che porterò sempre
avanti.
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