scarica pdf - laquilanoi.com

Download Report

Transcript scarica pdf - laquilanoi.com

Numerocinque2016
Buono
€ 50,00
per occhiale
da sole
Buono
€ 70,00
per occhiale
da vista
con lenti
trattate
antiriflesso
Bucci Claudio
349 3924650
Buono
€ 120,00
per occhiale
da vista
con lenti
multifocali
Bucci Giacomo
349 2820660
Soccorso stradale 24 ore su 24
Prodotti di tecnologia all’avanguardia - Auto sostitutive
Tel. e Fax 0862 719331 - Via Roma, 186 - Madonna della Strada
Scoppito (AQ) - [email protected]
PERIODICO DI CULTURA E LETTERATURA
All’interno:
Omaggio a Dario FO
alfonso pesce
Antifurto - antincendio
Videosorveglianza - automatismi
Tel/Fa x 0862 313735 - Via del Mulino di Pile, 31/B
( Adiacente l a Rotonda )
Assistenza 24 ore su 24
347 5008974
[email protected]
L’uomo del “mistero buffo”
Sibilla Aleramo e Dino Campana
Un viaggio chiamato amore
Nuovi
racconti
di
Paulo Varo
CUCCHIELLA ANTONIO
Amministratore unico
Via Nuova, Pozza di Preturo, 67100 L’Aquila
Tel. 0862 207149 e Fax 0862 760688 - Cell. 340 6608851
e-mail: [email protected]
vendita e assistenza pneumatici
tel. 0862 21096
fax 0862 028081
[email protected]
Loc. Gignano, Via Vasche del Vento - L’Aquila
Pag 2
numero CINQUE - 2016
alfonso pesce
Antifurto - antincendio
Videosorveglianza - automatismi
Tel/Fa x 0862 313735 - Via del Mulino di Pile, 31/B
( Adiacente l a Rotonda )
Assistenza 24 ore su 24
347 5008974
[email protected]
cell. 393 0819115
cell. 349 8773314
S. Benedetto di Bagno
(L’Aquila)
Via Macindole, 10 - Arischia - L’Aquila - Tel. 0862 028163 fax 0862 607312
Costruzioni edili - ristrutturazioni
restauri edifici di interesse storico e artistico
impianti termici ed elettrici
R ed A Z I O N A L E numero CINQUE - 2016 - Pag 3
Te luna canemus
Te
canemus, luna strepitosa,
quando ti affacci ancora sul
mattino, all’aria tersa e pura
della nottte ombrosa, fatta insonne,
di tutto quel lucore che spaura.
Ed io mi chiedo, forse ingenuamente,
se anche le lune amano gli umani,
perché s’è ver che tutto stilla
Amore all’universo mondo delle
cose create, quell’energia di luna,
dico, Soma, Selene e Cynzia, anche
la luce lacrima di te, fanciulla
amata, luna adorata. Non un
granello o raggio esiste nell’
immenso andare che non abbia
il sentire di un respiro immane.
In ogni cosa si presenta Amore,
(e tu non indagare!) Sol tu lo
ammiri, goccia di un’acqua
dentro equoreo
mare.
Direttore Responsabile: Annamaria Di Sibio
Editore: L’AquilaNOI di Annamaria Di Sibio
Grafica
Enrico Cristofaro
***
Tel. 0862 361084 - [email protected]
Schiuma
Periodico di Cultura e Letteratura
Anno 1, numero 5 - Ottobre 2016
Distribuzione 3000 copie
Registrato presso il Tribunale dell’Aquila
449/09 - n. 5/09 reg. stampa cron. 14
Alta
sul mare, ti
solleva il vento,
schiuma ricca di spume,
bianche e salse, man
pigliano te, inafferrabile,
inquieta meraviglia.
E l’uomo sogna d’esser
lui, fanciullo, tra le braccia
tue, dove fu vita,
a perdersi nel tempo,
tra diverse forme,
per cui gli umani
dissero “infinita”.
Tel. 333 5673535 - www.laquilanoi.com - [email protected]
Paulo Varo
matrimoni ed eventi
Musica e animazione per
Pag 4 - numero quattro - 2016
Sibilla Aleramo
Una vita intensa, errabonda e
spietata quella di Rina Faccio, questo
il vero nome di Sibilla Aleramo, che
ha vissuto lo scorcio tra due secoli.
Nata nel 1876 ad Alessandria da padre Ingegnere e madre casalinga, e maggiore di quattro figli, Rina visse gli anni di infanzia
nella spensieratezza tipica di una fanciulla curiosa ed arguta.
Quando la famiglia per volere paterno si trasferì da Milano a
Civitanova Marche, la futura scrittrice era appena adolescente
e fu nel periodo immediatamente successivo a questo trasferimento che la sua esistenza spensierata terminò bruscamente. Il
male interiore della madre che la portò ad un tentato suicidio
e poi al manicomio, la relazione extraconiugale del padre ma
soprattutto lo stupro che subì, quindicenne, da un impiegato
della fabbrica di cui lo stesso padre era direttore sono per molti
critici dell’opera della Aleramo, le chiavi interpretative di quelle
esperienze eccessive e sui-generis che sperimenterà nel corso
del primo mezzo secolo del “900. Nel suo primo libro “Una Donna”, pubblicato nel 1906 e fortemente suggerito da Giovanni
Cena ,all’epoca suo mentore e compagno, la Aleramo analizzò,
sottoforma di racconto, la sua vita ripercorrendola con scrittura
lieve ma talentuosa narrandone le vicende sino alla drammatica
decisione di abbandonare tutto, di spezzare la “mostruosa catena della immolazione materna”. Così si scopre come la giovane
Rina in seguito allo stupro venga costretta dalla famiglia a sposare l’uomo che atrocemente le fece scoprire la sessualità; un
matrimonio riparatore come si conveniva all’epoca e dal quale
anni dopo nacque il primo figlio, Walter, che per la giovane rappresenta forse l’unico scampo ad una relazione priva di amore
e rispetto con un uomo padrone, rozzo ed incolto che mostra
ostilità alle inclinazioni della moglie per la lettura nonché alla
sua esaltazione dei primi, timidi diritti delle donne. C’è poi il dolore, intenso, vorticoso ma quasi catartico nell’abbandono del
suo bambino “Se io partivo , egli sarebbe stato orfano, poiché
certo mi sarebbe strappato. Se restavo? un esempio avvilente per tutta la vita: sarebbe cresciuto anche lui tra il delitto e
la pazzia”(Una donna, cit.). Una Donna fu metaforicamente lo
spartiacque della visione femminile sino ad allora concepita. Le
donne erano di proprietà dell’uomo e ad essi soltanto ed ai figli dovevano essere proclivi. Per questo motivo la drammatica
vicenda della Aleramo, raccontata non senza ingoiare molte lacrime, diventò un manifesto ed un appiglio per coloro che non
volevano più celare le proprie capacità e desideri.
Con l’avvento del decadentismo e del futurismo le istanze culturali italiane ed europee interagirono vivacemente e la Aleramo
non si sottrasse al prendervi parte. Lasciate le Marche e dopo un
soggiorno milanese presso i suoi familiari, “la sua seconda vita”
iniziò collaborando e dirigendo riviste come L’Italia femminile e
poi a Roma la Nuova Antologia, e l’iscrizione alla Unione Femminile internazionale. Il legame con Giovanni Cena fece emergere
il suo talento letterario ma in seguito alla rottura sperimentò
una serie di esperienze incarnando appieno il motto dannunziano di rendere la sua stessa vita un’opera d’arte.Proprio ad una
versione femminile del poeta vate è stata spesso paragonata
per i suoi molteplici legami sentimentali, invero fugaci passioni, con artisti di grande fama come Giovanni Papini, Vincenzo
Cardarelli, una passione non ricambiata per Umberto Boccioni e
lettera T U R A A L F E M M I N I L E
l’esperienza omosessuale con Eleonora Duse.
L’amore, una costante della sua vita, è qualcosa di cui Rina non
poté fare a meno e viene cantato nei suoi romanzi come nelle
poesie. Queste furono raccolte con il titolo di “Momenti” e “Frammenti” comprendenti liriche scritte rispettivamente tra il 1912
ed il 1921 sino al 1935. Endimione è invece il poemetto in tre atti
attraverso il quale si cimentò nella letteratura teatrale, dedicato
con ammirazione a Gabriele D’Annunzio. Scrisse freneticamente
fin quasi agli anni “60 ed in ciascuna opera riecheggiano le avventure amorose ma anche il suo impegno politico e sociale nei
confronti della lotta femminista. Tra le sue opere si ricordano i
romanzi “Il passaggio” (1919), “Andando e stando” (1920),”Amo
dunque sono” (1927),”Aiutatemi a dire” (1951), “Luci della mia
sera” (1956).Particolare e fondamentale per il suo percorso umano ed artistico fu l’incontro con Dino Campana, un altro mostro
sacro della letteratura italiana. A lei Campana dedicò versi e momenti di accesa e contrastante passione che non furono tuttavia
capaci di colmare quel male dell’anima e della mente che, insidioso, interruppe la relazione con Sibilla che, mai paga di affetto, non rinunciò alla ricerca dell’amore della sua vita. Scrisse di
lei un caro amico: “E’ rimasta sola perché nessuno s’è sentito mai
la forza di arrivare sino in
fondo alla sua anima e di
sostenerla intera, quella sua anima così ricca e
veggente” (Carlo Sforza,
Ministro degli Esteri dal
1947 al 1952). Così negli
anni della Seconda Guerra mondiale Rina conobbe il giovane Franco
Matacotta e fu un nuovo
scandalo. Lei era una poetessa e scrittrice affermata di 60 anni mentre
lui uno studente di 20.
Nemmeno in Franco trovò l’amore che aspettava
ma grazie a lui, più figlio che amante, poté in
qualche modo sublimare
quell’amore materno a
cui dovette rinunciare.
Negli ultimi anni della
sua vita, Rina scrisse articoli e saggi sulla questione femminile,
riordinò le numerose lettere scritte e ricevute dai suoi amanti
e compose altre poesie dedicate alle donne. Voglio ricordare
“Donne del domani e del mondo” del 1956, quasi un testamento: “..Ora non il seme d’un uomo in me non un embrione dal mio
sangue nutrito,ma nel mio spirito l’ansiosa proiezione, donna,
di te,di quella che tu sarai,che lentamente si plasma s’accresce
batte alle porte vuoi vivere,compiuta forma finalmente in aura
di libertà e purità,donna nel domani del mondo.”
Negli ultimi anni della sua vita revisionò tutti i suoi scritti ed
ebbe a cuore una sola cosa: rivedere il suo Walter. Attese invano
il suo perdono ed un ripensamento sul suo conto ma quando lo
rivide l’ultima volta fu una vera riconciliazione.
Raggiunta dal figlio nella sua camera d’ospedale, spirò nel suo
abbraccio.
Era il 13 Gennaio del 1960 e Rina-Sibilla sarebbe stata consegnata alla storia.
“Una donna” sembra un titolo semplice, la trama del romanzo
autobiografico di Sibilla Aleramo; al contrario, nasconde una
complessità difficile da definirsi. Il piano letterale è quello che
lettera T T U R A A L F E M M I N I L E racconta la vita della donna educata dal padre nel culto del lavoro e sposata a un uomo gretto dalla cui mediocre influenza è
arduo affrancarsi.
Il “valore aggiunto” dell’opera, invece, risiede nella “questione
sociale” dei primi movimenti peroranti l’emancipazione femminile.
In questo contesto si collocano sezioni meditative caratterizzate
da una prosa tanto più raffinata quanto più amaro ne è il contenuto:
“Tutti si accontentavano: mio marito, il dottore, mio padre, i socialisti come i preti, le vergini come le meretrici: ognuno portava
la sua menzogna, rassegnatamente. Le rivolte individuali erano
sterili o dannose: quelle collettive troppo deboli ancora, ridicole
[…] e incominciai a pensare se alla donna non vada attribuita
una parte non lieve del male sociale.”
Nonostante la dichiarata sfiducia nelle rivolte personali, la protagonista porta a compimento la propria. Ciò che “ferisce” il lettore è che questa si adempia proprio nello scioglimento di quel
vincolo che la rese pienamente donna ovvero nel sacrificio della
maternità. Tanto più commovente, a mio avviso, è il fatto che
a condurla verso una tale risoluzione sia la riconciliazione con
la memoria della madre a
coronamento di una rapporto controverso.
Parallelamente a questa
relazione, l’atteggiamento d’adorazione della giovane protagonista verso
il padre costituisce un
secondo punto focale e,
più precisamente, il nodo
su cui si apre il romanzo.
Mi sembra dunque significativo che il rapporto
col primo uomo in grado
di plasmare il suo essere
“donna” subisca un’evoluzione, deteriorandosi
progressivamente man
mano che il punto di vista della narratrice va
maturando configurandosi sotto prospettive
femministe.
Il padre, imprenditore, rappresenta anche la mentalità borghese
e capitalista, il fidanzato della figlia minore, l’ingegnere preoccupato della questione sociale, invece, il formarsi della coscienza proletaria. Altri uomini come un medico e un professore, altrimenti detto “il profeta”, spiccano per intelligenza e unicità ma
anche come personaggi solitari e malinconici in cerca di riscatto, quindi affini all’eroina.
Si tratta comunque di personaggi abbozzatiche emergono solo
sullo sfondo di un’umanità complessa, declinata al femminile.
La direttrice del periodico con cui collabora la protagonista, la
vignettista norvegese, l’anziana e compassionevole domestica
ma anche la cognata maligna fanno da controparte all’editore,
all’affascinante fisiologo e ad altri uomini a volte meschini pronti a considerare la donna come oggetto più che come “persona
umana” secondo la rivendicazione dell’autrice. Davanti alla lenta
reificazione del suo essere inizia la ribellione della protagonista,
una rivolta che parrebbe una fuga e che si risolve in un’opera di
servizio presso un ospedale pediatrico. La maternità non viene
negata. Essa viene solo trasformata da biologica in spirituale.
Paradossale, ossimorico e, forse per questo, poetico che in mez-
numero quattro - 2016 - Pag 5
zo a tanta disperazione, la protagonista ritrovi una ragione di
vita:
“e credetti di non poter sopportare la sofferenza fisica di un tale
spettacolo ripetentesi all’infinito … fu da allora che ho ripreso
risolutamente a vivere; dopo aver sentito di nuovo gli altri vivere
e soffrire. E da allora ho anche avuto il bisogno di sperare di nuovo: per tutti, se non per me”. La vicenda si chiude circolarmente
e, se un tentativo di suicidio era seguito alla nascita del figlio
naturale, davanti al “martirio” di tanti “figli dell’anima” l’attaccamento alla vita diventa più tenace: “guardando in faccia la vita e
la morte, non le temo, forse le amo entrambe”.
Rose calpestava
Rose calpestava nel suo delirio
e il corpo bianco che amava.
Ad ogni lividura più mi prostravo,
oh singhiozzo invano di creatura.
Rose calpestava,
s’abbatteva il pugno
e folle lo sputo
sulla fronte che adorava.
Feroce il suo male
più di tutto il mio martirio.
Ma, or che son fuggita,
ch’io muoia,
muoia del suo male.
Son tanto brava
Son tanto brava lungo il giorno.
Comprendo, accetto, non piango.
Quasi imparo ad aver orgoglio
quasi fossi un uomo.
Ma, al primo brivido di viola in cielo
ogni diurno sostegno dispare.
Tu mi sospiri lontano:
<Sera, sera dolce e mia!>
Sembrami d’aver fra le dita la
stanchezza di tutta la terra.
Non son più che sguardo,
sguardo sperduto, e vene.
Pag 6 - numero CINQUe - 2016
lettera T U R A contem p oranea
Dino Campana
La follia: un viaggio chiamato amore
Impossibile accostarsi all’opera di Dino Campana senza concentrarsi in via preliminare su chi fosse analizzandone vita e personalità; ma, prima di far questo, si può forse tentare uno sguardo
d’insieme domandandosi: che storia è quella di Campana?
Un modo per rispondere a questa domanda è affermare che si
tratta della storia di un uomo che ha subito una tremenda ingiustizia. Un altro modo è rispondere affermando che si tratta di
un individuo che, per varie ragioni, fra cui quella di aver ricevuto una tremenda ingiustizia, si è rovinato la vita ed è diventato
pazzo.
Campana nacque a Marradi, un paesino in Toscana, nel 1885. Nel
1913, a circa ventotto anni, consegnò un manoscritto ad Ardengo Soffici e a Giovanni Papini direttori entrambi della rivista “Lacerba”. Forse è utile richiamare, brevemente, chi fossero Soffici e
Papini. Nel 1923 Giovanni Papini compilò Il dizionario dell’omo
salvatico in cui l’autore si scaglia contro ebrei, protestanti, donne, laicismo e democrazia. Aderì al fascismo e considerò sempre
il Duce “amico dei poeti e della poesia”. Ardengo Soffici, d’altro
canto, nel 1925 firmò Il Manifesto degli intellettuali fascisti e
aderì al regime fascista a cui rimase sempre fedele.
Nel 1914, l’anno successivo alla consegna da parte di Campana della sua raccolta di poesie ai personaggi appena descritti,
il poeta iniziò a riscrivere il manoscritto, essendo quest’ultimo
andato smarrito. Dino aveva infatti ingenuamente consegnato
a Soffici e a Papini l’unica copia esistente del testo. Il manoscritto fu ritrovato in una casa di Ardengo Soffici solo cinquant’anni
dopo, nel 1971. Nel 1918, a trentatré anni circa, Dino Campana
fu ricoverato nel manicomio di Castel Pulci dove rimase fino alla
morte.
Messa così, la nuda sequenza degli eventi conduce inevitabilmente a pensare che questa sia la storia di un uomo che ha sofferto di una tremenda ingiustizia e ne è stato travolto. Tuttavia,
bisogna considerare che l’arco di tempo che va dal 1885 al 1918
è costellato di episodi che, per così dire, contribuirono a far finire Campana in manicomio.
Dino Campana soffriva di una forma di schizofrenia chiamata
ebefrenia. Era soggetto a terribili sbalzi d’umore. Spesso veniva
colto da attacchi d’ira furibonda. Aveva momenti di lucidità a cui
alternava fasi nelle quali si esprimeva in modo sconnesso. Nel
1906, all’età di ventun
anni, venne ricoverato
per la prima volta al
manicomio di Imola.
Secondo alcune fonti
qualche volta Campana finì anche in carcere. Ebbe un rapporto
tormentato con la madre, la quale gli preferì
sempre il fratello Manlio – di pochi anni più
giovane.
Anche la sua storia
d’amore con Rina
Faccio in arte Sibilla
Aleramo, avvenuta tra
il 1916 e il 1917, un
anno prima di finire
nel manicomio di Ca-
stel Pulci, fu tumultuosa, impetuosa, violenta e insomma dominata dai tratti delle esperienze più tipiche a cui una personalità
simile a quella di Campana è in grado di dar vita. Tra l’altro gli
uomini di Sibilla Aleramo furono anche Giovanni Papini e Ardengo Soffici.
Il poeta di Marradi morì nel 1932. Nel 1914 (data d’inizio, ricordiamolo, della Grande Guerra) uscì per Ravagli la prima edizione
dei Canti Orfici nata sulle ceneri del precedente manoscritto, andato smarrito, dal titolo Il più lungo giorno. Era un’edizione zeppa di errori e benché Dino tentasse di vendere personalmente le
copie nei caffè e per strada, fu un fiasco. Solo nel 1928 – quattro
anni prima della morte dell’autore – la casa editrice Vallecchi
fece uscire una seconda edizione.
Non chiese alcun permesso a Campana, del resto ricoverato in
manicomio e ritenuto ormai incapace di intendere e di volere.
Delirava qualcosa a proposito della forza curativa dell’elettricità: del fatto che gli elettroshock gli facessero propagare onde
benefiche e di trovarsi benissimo nella casa di cura senza darsi
più pena per tutto il resto. Anche questa edizione del ’28 risultò
densa di refusi, storpiature, lacune. Nel 1941 uscirono altre edizioni dei Canti Orfici. Solo in seguito, soprattutto grazie a Montale e a Luzi, si procedette alla riabilitazione della figura di Dino
Campana come poeta.
Se questi sono i tratti essenziali della vita del “folle di Marradi”,
appare quasi inevitabile leggere la sua opera andando alla ricerca delle tracce del suo stato di salute mentale. Holderlin. Strindberg. Nietszche. Van Gogh. Esistono autori – come ci ha insegnato il filosofo Karl Jaspers in uno dei suoi scritti più rilevanti e
suggestivi dal titolo Genio e follia – nei quali mente e opera si saldano in uno stretto rapporto di circolarità. L’opera è innanzitutto
una descrizione dei processi mentali dell’autore: una fotografia,
un frammento di modalità di rappresentazione inafferrabili e
del tutto singolari. E
l’opera di Campana,
in questo senso, non
delude.
Anastrofi. Tmesi anacolutiche e chiasmiche.Adnominationes.
Catacresi. Anastrofi
con aprosdoketon.
Queste le piovre
presenti nella mente
di Campana che ne
hanno risucchiato a
poco a poco la salute
mentale. Tutte cosiddette figure retoriche
di rottura degli schemi di comunicazione
più elementari.
lettera T T U R A contem p oranea numero CINQUE
Similitudini. Metafore. Metonimie.
Anafore. Allitterazioni.
Di queste figure retoriche tutti, più o meno, facciamo uso.
Quando a tavola diciamo “Passami il sale” stiamo usando una
sineddoche. Quando alla nostra fidanzata diciamo: “Sei bella
come il sole” abbiamo appena fatto una similitudine. Quando
diciamo a un amico: “Sei una vecchia lenza” abbiamo usato
una metafora. Certo, non usiamo le figure retoriche in modo
consapevole, gustoso e profondo come può fare un poeta;
ma a un livello assai più basico e strutturale ne facciamo uso,
e di solito queste figure retoriche ci servono per comunicare,
- 2016 - Pag 7
spiegarci meglio, chiarire.
Altre figure retoriche, invece, le evitiamo: specialmente se vogliamo arrivare a chi ci ascolta. Ai nostri amici non diciamo:
“Le discoteche, è bello andarci ogni week-end” parlando per
anacoluti. Ai nostri genitori non diciamo: “Prestavo attenzione sedendo” o “Mi comporto un vigliacco come” parlando per
anastrofi e iperbati. Evitiamo persino le catacresi (“La gamba
del tavolo”; “Il collo della bottiglia”), se vogliamo costruire un
discorso seguendo regole logiche. Ci vuole maestria assoluta per usare quest’altra strumentazione oratoria riuscendo
a ottenere perspicuità di senso e addirittura a creare in chi
ascolta emozione.
In un momento
La Chimera
In un momento
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose, erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo
le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose
E così dimenticammo le rose
Non so se tra roccie il tuo pallido
Viso m’apparve, o sorriso
Di lontananze ignote
Fosti, la china eburnea
a Sibilla Aleramo
Fronte fulgente o giovine
Suora de la Gioconda:
O delle primavere
Spente, per i tuoi mitici pallori
O Regina o Regina adolescente:
Ma per il tuo ignoto poema
Di voluttà e di dolore
Musica fanciulla esangue,
Segnato di linea di sangue
Nel cerchio delle labbra sinuose,
Regina de la Melodia:
Ma per il vergine capo
Reclino, io poeta notturno
Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,
Io per il tuo dolce mistero
Io per il tuo divenir taciturno.
Non so se la fiamma pallida
Fu dei capelli il vivente
Segno del suo pallore,
Non so se fu un dolce vapore,
Dolce sul mio dolore,
Sorriso di un volto notturno:
Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti
E l’immobilità dei firmamenti
E i gonfii rivi che vanno piangenti
E l’ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti
E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti
E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera.
lettera T U R A contem p oranea
Pag 8 - numero CINQUe - 2016
Omaggio a Dario Fo
Una mescolanza di suoni e toni, idiomi reali e inventati. È il
grammelot, una giullarata fatta di improvvisazioni e intenti parodici, portato in scena da Dario Fo per le prima volta nel 1969
in “Mistero Buffo”, la sua opera più celebre.
Fo, attore, drammaturgo, regista e scrittore, si è spento all’età
di 90 anni. Ha vinto il Nobel per la letteratura nel 1997 “perché,
seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere
restituendo la dignità agli oppressi”.
La tecnica del grammelot, Fo l’aveva imparata da Beolco Ruzante, drammaturgo padovano del ‘500. “Da lui, dal Beolco Ruzante
ho imparato a liberarmi della scrittura letteraria convenzionale
e ad esprimermi con parole da masticare, con suoni inconsueti,
ritmiche e respiri diversi, fino agli sproloqui folli del grammelot”.
“Sono ateo, ma la Franca la incontro
tutte le notti”. A pronunciare questa
frase è stato Dario Fo durante un’intervista rilasciata a CorriereTV. Una
frase in cui è racchiuso tutto l’amore per una donna con la quale l’attore, scrittore e premio Nobel ha
condiviso vita e palcoscenico.
Il loro è stato un amore incredibile, travolgente, magico: un amore
capace anche di superare anche
le barriere della morte. Oggi, infatti è impossibile pronunciare
il nome di Franca Rame senza
ricordare contemporaneamente
anche Dario Fo e viceversa. Perché il loro, sul palco e nella vita, è
stato un sodalizio artistico straordinario: da semplice coppia sono
diventati una persona sola. Due
spiriti affini, due anime inscindibili l’una dall’altra, due persone che
hanno avuto la forza e la passione per travolgere il mondo della cultura dando vita a un nuovo
modo di fare teatro: grazie a loro arte del palcoscenico, impegno politico e sociale diventavano una cosa sola.
Franca Rame e Dario Fo li abbiamo visti sempre insieme: e forse, allora, è arrivato il momento di raccontare la storia di questa
bellissima favola piena d’amore.
Dove potevano incontrarsi i due se non dietro le quinte di un
palcoscenico? Siamo nel 1951 e ci troviamo nel pieno delle prove della compagnia Sorelle Nava e Franco Parenti. Franca Rame
ha solo 22 anni ma è già molto determinata: e, oltre a sapere
cosa vuole e dove vuole arrivare è anche bellissima. La sua è
una bellezza classica, il suo è un fascino innato e il portamento
è quello di una donna che vive sul palcoscenico da quando ha
solamente 8 giorni. E infatti sono tanti i suoi corteggiatori, tanti
gli uomini che le girano intorno. E dov’è Dario Fo in tutto questo? Strano a dirsi, ma Dario Fo rimane in disparte. Anche lui è
attratto da questa incredibile bellezza piena di grazia, eppure
è convinto di non avere nessuna speranza con lei. Forse non si
era accorto che Franca gli aveva già messo gli occhi addosso
e, semplicemente, era in attesa di uno sviluppo, di un segnale,
di un semplice invito a bere un caffè. I giorni passano e Dario
Fo continua a ignorarla. «Ma perché non mi invita a prendere
un caffè, a cenare insieme dopo lo spettacolo?”. Allora, una sera,
lo buttai contro il muro dietro le quinte, come di solito fanno
gli uomini con le donne, e gli diedi un gran bacio. “Meno male”,
ridevo dentro di me, “che non mi ha detto: signorina come si
permette? Si tolga dalla mia bocca!”. Poi ci siamo innamorati»
ha raccontato poi Franca Rame ricordando quei giorni. E un bacio rubato sarà l’inizio di amore eterno, un bacio capace di unirli
nella vita e nel lavoro.
I due si sposano nel 1954 nella chiesa di Sant’Ambrogio a Milano: è l’inizio della loro vita insieme, di una vita in cui ognuno
influenza indelebilmente l’esistenza privata, artistica e pubblica
dell’altro.
Lei, figlia d’arte e sul palcoscenico da sempre, sconvolge l’idea
che Dario Fo aveva del teatro. Franca Rame, oltre ad essere la
compagna di vita di Fo, diventa anche censore di tutto quello
che scrive il marito. E infatti, durante un corso di teatro, Dario
Fo dichiara scherzosamente «Il mio esame fondamentale, ogni
volta che scrivo qualcosa, è lei, a tal punto che io la notte prima
non dormo». Non dobbiamo pensare, tuttavia, che sia solo Franca Rame a influenzare il mondo di
Dario Fo, anzi. E’ anche il mondo di
lui a entrare in piena collisione con
quello di lei: la visione stralunata e
attenta che Dario Fo ha dell’universo la porterà a concepire il teatro
in modo completamente diverso: perché Dario Fo, lo sappiamo
bene, non vuole solo intrattenere
il pubblico, ma anche informarlo.
E questo è un modo di fare teatro
totalmente inedito negli anni ‘50.
Dario Fo è un attore che legge,
che si informa, che sa cosa succede nel mondo: il suo teatro diventa militanza politica e scrittura
impegnata.
Franca Rame e Dario Fo li abbiamo conosciuti attraverso il teatro, il palcoscenico e la politica.
Ma quanto sappiamo, in realtà,
di questa coppia così pubblica?
Qual è stato il segreto del loro
amore privato? In che modo due persone riescono a diventare
una sola, incredibile entità? «Io e Franca siamo stati fortunati.
Di crisi ce ne sono state, ne abbiamo avute di continuo. Molte
però sono liti che prevedono solo quattro risate», ha dichiarato
Fo in un’intervista nel 2010. Tra loro, in effetti, le crisi non sono
mancate. Nell 1989, per esempio, Franca Rame, ospite in diretta TV di Raffaella Carrà, dichiara di voler lasciare il marito. Però,
lo sappiamo bene, i due non si sono mai lasciati. Il loro amore
è cominciato con un abbraccio e bacio rubato e, purtroppo, è
finito nello stesso modo. Perché Franca Rame, la mattina del 29
maggio 2016, muore proprio tra le braccia di un Dario Fo che
grida «Respira! Respira forte!».
L’attore e scrittore, durante i funerali Franca, affida a un racconto
il saluto alla sua eterna compagna di vita.«Il Padreterno è deluso
e irato quindi si rivolge ad Adamo e gli chiede con durezza: “E
tu? ...che decisione avresti preso? Parlo con te, Adamo sveglia!
Preferisci l’eterno o l’amore col principio e la fine?” E Adamo
quasi sottovoce risponde: “Ho qualche dubbio ma sono molto
curioso di scoprire questo mistero dell’amore anche se poi c’è
la fine».
Franca Rame e Dario Fo oggi non ci sono più: e non ci rimangono solo gli scritti, gli spettacoli e le tante parole pronunciate da
due personalità immortali della cultura. A rimanere indelebile,
oggi, è anche il loro amore senza tempo.
L’uomo del
“mistero buffo”
M E R AV I G L I E D ’A U T O R E Dal libro “Le meraviglie della Ninfa Aveja” di Paulo Varo
Viaggio al lago
sotterraneo
Come una delegazione di paesani si recò dentro le grotte dello
Stiffe per visitare un enorme lago sotterraneo dove furono
ricevuti da un dio delle acque che spiegò loro il meccanismo
dei terremoti e il movimento delle zolle terrestri.
C
i sapeva, da tempo immemorabile perché veniva tramandato di padre in figlio, che sotto
la pianura di Aveja, a grandissima profondità, c’era un vastissimo lago sotterraneo, che
veniva chiamato: il lago dei Tritoni. Nessuno lo aveva mai
visto, né vi era mai sceso in alcun modo.
Avevano tutti conoscenza di grotte di diverse dimensioni, come per esempio le grotte dette dello Stiffe. Un giorno,
dopo averne parlato in un’assemblea pubblica, si misero insieme cinque cittadini: dovevano passare per certi sentieri
nascosti, fino ad arrivare a quel famigerato lago. Si diceva
che qui dimorasse il dio dei Tritoni, di nome Stiffanio e che
era deputato al movimento della terra, per il cui assestamento si avevano terremoti anche disastrosi. Cosicché la
Comunità mandava in ambasceria cinque dei suoi componenti per avere spiegazioni sullo spostamento delle rocce,
interrogando direttamente il dio per sapere da lui come ci si
doveva comportare in caso di terremoto.
Fu così che una notte, a mezzanotte in punto, come
aveva consigliato l’oracolo della Comunità, i cinque cittadini, che si chiamavano: Rosaletta della Fonte, Pacuvio del
Mulino, Vincente del Carro, Annaluna delle Cime, Gaudente del Cerro, si portarono all’inizio delle grotte di Stiffe e
qui cominciarono ad entrare nel cuore della montagna. La
strada era molto lunga ed accidentata per via dei massi che
rotolavano incessantemente sul loro cammino. Ma quello
che più sorprendeva era che più ci si inoltrava nelle viscere
del monte, dove incominciava la discesa, più c’era luce, una
luce quasi da giorno, il che era incomprensibile. Pacuvio
osservò bene le pareti di roccia, alla fine arrivò alla conclusione: la luce era emanata proprio dalle rocce stesse, per
un fenomeno che nessuno di loro riusciva a capire. Il fatto
era così affascinante che portò qualcuno a delle riflessioni:
se la luce poteva venire spontaneamente dalle rocce anche
gli umani avrebbero potuto usufruirne, senza dover cercare
una fonte di energia, per vedere e per scaldarsi; ci fu qualche buontempone che pensò di ritornare lì con dei carri per
accaparrarsi di quella roccia, ma gli altri gli fecero notare
che quelle erano assolutamente compatte, e forse era quella
la chiave del mistero.
Scesero ancora di più sotto terra ed ogni tanto attraversavano degli androni, con la volta a botte, tutti di pietra, e lì
dentro volavano degli uccelli stranissimi simili molto a delle
aquile che si vedevano in alta montagna. I volatili avevano
un’espressione gioiosa: sembrava che li aspettassero, quei
turisti improvvisati, che volevano visitare il fondo della terra. Vincente del carro, ad un certo punto si fermò perché
era stanco, mentre passava un “Aquilegia”, come ribattezzarono tutti quei volatili perché avevano occhi rotondi e un
numero CINQUE - 2016 - Pag 9
po’ sporgenti a forma di ciliegia. Mentre Vincente si sedeva
su una roccia, passava un uccello di quelli e disse a voce
alta:
- Chissà quando arriveremo al lago dei Tritoni, e chissà
quanto sarà ancora lontano!
L’Aquilegia, che gli volteggiava sul capo, lo sentì, e parlando come un umano gli disse:
- È ancora distante, ma vi consiglio di fermarvi a mezz’ora
da qui. Vedrete un prato molto ben fiorito e vi fermerete
due ore, non più, perché potreste avere delle difficoltà a
respirare. Lì, sul prato, troverete tanti bei frutti, bacche e
fiori commestibili, ricchi di vitamine e così nutrienti che non
avrete bisogno di cibarvi della nostra carne, né di quella di
altri animali. Come vedi, noi non siamo animali, ma “animedàli”. Abbiamo intelligenza, sensibilità, senso morale, senso
della giustizia, amore per la nostra famiglia e per le nostre
case. Noi qui dentro fabbrichiamo delle sementi molto eleborate e il nostro compito è quello, a primavera, di andare
in giro per il mondo a disseminare queste sostanze, che sono
fonte di vita per tutti. Buon viaggio, fratelli!
L’Aquilegia volò via, quasi senza battere le ali. Gli altri,
intanto, si erano fermati, un po’ impauriti e un po’ incuriositi, per questo fatto. Mai avrebbero pensato di incontrare
degli uccelli che parlavano! Andarono perciò più avanti, saltando di rocccia in roccia, oltrepassando ponticelli e canali
di acqua chiarissima e fresca e, alla fine, stanchi del percorso, si trovarono nella famosa valle completamente fiorita,
ricca di ogni ben di dio. C’erano alberi in file strane, non
come da noi, all’aperto, che producevano frutti stupendi,
dai colori che sembravano quadri. Quelli erano commestibili, tenerissimi, così puliti che non c’era bisogno di lavarli,
in quanto non vivevano in luoghi contaminati, come sulla
terra ferma. Le erbe e i fiori si potevano mangiare a proprio
piacimento e avevano il profumo di frutta nostrana, come le
fragole, l’uva, la lavanda, il rosmarino, la salvia, la malva,
e via discorrendo. Il condimento veniva scelto dalla gente a
seconda se gradiva il dolce o il salato. I frutti erano molto
grandi, del tipo del nostro Ananasso, avevano la consistenza
della carne e appagavano come non mai. Si potevano paragonare ad un alimento che sulla terra di sopra sogliono
usare i vegetariani al posto della carne: il Saitan. Questo
si forma mettendo della farina bianca in una ciotola, vi si
lascia cadere dal rubinetto un filo di acqua corrente e la si
mescola con le mani. Piano piano la farina perde il suo superfluo e si trasforma in una pasta consistente, densa. Questa si può ridurre in tante forme, come polpette, bistecche
o spezzatino. Il confronto con la carne animale è di parità
assoluta, nessuno distinguerebbe la carne vera dal Saitan
anche perché questo assorbe i condimenti che gli si preparano e se ne appropria.
Ora accadeva un fatto strano: mentre i cinque viaggiatori mangiavano e scartavano le scorze dei frutti e le gettavano
nei prati, subito a contatto con quella terra benedetta riformavano una pianta. Che meraviglia! Così niente andava
perso. Merito di un equilibrio chiuso alle influenze esterne,
quali venti, diluvi, acquazzoni, grandine, tuoni e lampi. Eppure non sembrava che mancasse l’ossigeno! Si avvertiva
come un ricambio continuo dall’alto e dal basso come un
circolo costante che rinvigoriva tutte le cose e dava contentezza e pace all’anima.
(Continua al prossimo numero)
M E R cucina
A V I G L I E RDa’ w
A Ufood
TORE
Pag 10 - numero CINQUE - 2016
2015
Racconto
Omaggio a L’Aquila
“Non aver paura”
Sonno eterno
(A L’Aquila che non c’è più)
Cari amici, vi voglio raccontare un fatto che di primo acchito
può sembrare una favola, e invece è realmente accaduto, in Sudafrica, nella comunità indiana. Ne parlarono a suo tempo tutti i
giornali.
In una certa località viveva una bambina, che a quel tempo
aveva cinque anni, ed essendo la sua famiglia di religione indù,
aveva appreso dal padre le storie della loro mitologia. Così era rimasta molto impressionata dal fatto che nelle origini dell’umanità, quando le forme e specie sia animali, vegetali e umane, erano
ancora indistinte, comparisse un essere dalla forma di metà uomo
e metà leone, chiamato Nirshingadeva, molto amato e molto temuto, anche oggi, in tutto il mondo indù. È una delle tante forme
in cui il Signore Visnù, dio di tutti i mondi universi, ama incarnarsi
per la felicità e salvezza dei suoi devoti. Questa bambina, amava
moltisimo ed ammirava questa figura, tanto da parlarne spesso
con le sue amichette.
Un giorno stava giocando con la palla in mezzo alla strada
quando un camion arrivò a tutta velocità e la sbalzò in aria. Il padre, inorridito, dalla finestra cercò di urlare per metterla sull’avviso, e con lui anche la gente del villaggio. Chiamarono la polizia, e
l’ambulanza che portò la bambina al più vicino ospedale, e da lì
ad un’altro più attrezzato, perché si presumeva che il danno fosse
stato molto grave; si pensava ad una lesione alla colonna vertebrale. Il primario ordinò subito delle radiografie. Quando gliele portarono, si mise ad urlare con l’infermiera perché, secondo lui, quelle
non potevano essere le radiografie di quella bambina. Alla fine dovettero credere all’evidenza: non c’era niente di rotto, lesionato o
quant’altro. Un miracolo; qualcosa di incredibile si presentava agli
occhi di tutti i sanitari. Andarono in corsia, dove la bimba riposava,
e quando si svegliò raccontò agli astanti esterrefatti la sua storia.
Quando il camion la urtò, invece di chiamare il babbo o la mamma, invocò il Signore Nirshinga, che subito le apparve. La prese in
braccio e la posò sull’erba dalla parte opposta della strada e sorridendo le disse: «non aver paura, non ti succederà nulla» e scomparve. I sanitari erano stupefatti: cosa poteva sapere una bambina di
cinque anni di religione, di miracoli o prodigi! La visitarono e notarono sul suo petto un profondo graffio, senza che versasse una sola
goccia di sangue. Questo graffio era simile a quello che si riscontrò
i passato in fatti analoghi. Molti pensarono che fosse ancora sotto
shok a causa del trauma ma la bimba era perfettamente cosciente
e padrona di sé.
Quando l’episodio fu di dominio pubblico, della stampa e della
televisione, e gli addetti dell’ospedale seppero la storia del Signore Nirshingadeva, molti furono coloro che si scelsero un maestro
spirituale e vollero approfondire quelle storie così avvincenti ed
edificanti.
Il fatto fu raccontato da un devoto indù di nome Shyam Gopal
Prabhu, sudafricano.
Paulo Varo
Sembra in un sonno eterno L’Aquila addormita, sotto un’eterna
luna, a notturne necropoli giacenti ove i suoi morti vagano silenti
tra chiassetti e calli, sparsi dai venti tra i contorti muri. E un arco
crolla; ha perso un’architrave la sua porta, e dov’era un palazzo
ora son orti, improvvisati da una scialba luna. Ora non più
la dea Fortuna avrà il suo tempio, a cui salivano le ancelle
supplicanti. Vagano pigri, con filosofia torme di gatti miagolanti.
Nuova Gerico
Alle trombe di Gerico cadute son le mura tue antiche, o mia città
dalle contorte vie, dove la sorte aleggia nella notte, da millenni, come
un enorme falco, che lasciò la casa della Morte per visitare tutte le sue
grotte. E la volta del cielo, e tutte le sue stelle, come ignare, sotto un
crudo destino che, da sempre, ammucchia dei fantasmi nelle bare.
Ma proprio lì, starai, con le tue mura, inerte e a capo chino? Quando
tutta d’intorno ride la campagna, ed eterna e pura svetta la montagna?
L’Aquila in rosa
Dal Collemaggio la tua Rosa splende tutta di marmo
e tutta trifiorita. Sembran tre soli i cerchi in cui si sposa
la dolce Aurora dall’eterne dita, o mia ferita città!
ma che non sa i tramonti! E questo incuora. Evoca
il primo cerchio il Dio degli universi mondi, allude
l’altro all’aquilana conca dove è Sita; e il terzo:
è un cuor che batte, e freme, d’un’eterna vita.
Paulo
cucina R a w food Un salto nel crudo
Le radici del crudismo si rifanno inevitabilmente a prima della
scoperta del fuoco, quando l’uomo consumava crudo il suo cibo.
Con la scoperta del fuoco infatti, tutto è cambiato. Il cibo non
più solo mezzo per nutrirsi ma materia per sperimentare l’arte
culinaria. In tutte le epoche della storia sono esistiti uomini che
hanno proclamato l’effetto benefico della dieta crudista. Nel Vangelo Esseno della Pace, scoperto
negli archivi Vaticani nel 1947 dal
filosofo, psicologo e archeologo
Edmond Bordeaux-Szekely, ritroviamo questa dicitura:
(…) non uccidete nè uomini, nè
animali, né il cibo che va nella
vostra bocca… se vi nutrite di
cibi vivi questi vi vivificheranno,
se uccidete il vostro cibo, il cibo
morto vi ucciderà… la vita viene dalla vita, dalla morte viene
sempre la morte… ciò che uccide il vostro cibo, uccide anche le
vostre anime… i vostri corpi diventano ciò che mangiate, come
le vostre anime diventano ciò che voi pensate… perciò non
mangiate ciò che il gelo e il fuoco hanno distrutto, perché i cibi
bruciati, gelati e decomposti, bruceranno, geleranno e decomporranno il vostro corpo… mangiate frutti ed erbe alimentati e
maturati dal fuoco della vita (…)
L’assunzione di cibi crudi come trattamento dietetico fu sviluppato in Svizzera dal medico Maximilian Bircher-Benner, celebre
per essere l’inventore del muesli. Dopo essere guarito dall’ittero
grazie ad una dieta a base di mele crude, Bircher-Benner condusse esperimenti sugli effetti sulla salute umana di una dieta
a base di vegetali crudi. Nel 1987 fondò un centro di cura che
ancora oggi è attivo.
Più recentemente il crudismo, più conosciuto come raw food è
attivo da molti anni, soprattutto in America. E’ conosciuto anche
come igienismo naturale: uno stile di vita che promuoveun’alimentazione sana e naturale escludendo l’utilizzo di medicine.
L’Igienismo si diffuse soprattutto grazie alle ricerche e agli scritti
del dott. Herbert Shelton, un medico americano indipendente
che scrisse numerosi libri per raccontare come aveva curato con
l’alimentazione naturale, il digiuno e lo stile di vita, il cancro e
altre patologie considerate incurabili ai suoi tempi.
Cosa mangiano i crudisti
Il crudismo si divide tra coloro che sostengono lo stile vegan, vegetariano o addirittura onnivoro. Il crudista vegetariano fa uso
di latte, uova, e miele, l’onnivoro aggiunge carne e pesce crudi.
Noi sosteniamo il crudismo vegan, crediamo infatti che una vita
sana ed etica non debba passare per la sofferenza di nessuno.
La dieta crudista vegan prevede l’uso di frutta, verdura, noci,
semi e germogli coltivati in maniera biologica. Questi cibi possono essere consumati tali e quali o nella preparazione di frullati, succhi o, come vedrete, in appetitose ricette che non hanno
nulla da invidiare alla cucina tradizionale. Nel crudismo i cibi
non sono sottoposti a calore superiore ai 42°, una temperatura
che non permette di distruggere enzimi e tutte le qualità nutrizionali.
Al posto della cottura i cibi vengono tagliati, affettati, frullati,
centrifugati, marinati o disidratati. Scoprirete attraverso le ricette come con gli stessi ingredienti di un’insalata si possano preparare degli ottimi Tacos crudisti.
numero CINQUE - 2015 - Pag 11
Si tende a pensare che magiare crudo sia molto triste. Non si
tratta di mangiare una carota o un pomodoro o di privarsi di
dolci e cose buone. Al contrario scoprirete come non vi priverete più nulla!
Lasagne crudiste
Ingredienti
500 gr Zucchine
200 gr Spinacini freschi
200 gr Pomodori ramati
Anacardi 100 gr
100 gr Erbe aromatiche miste
Q.b. Sale
100 ml Olio Evo
Preparare il formaggio di anacardi
Preparate un “formaggio di anacardi”: mettete a bagno per 12h
gli anacardi, scolateli sucessivamente, quindi frullateli con un
minipimer aggiungendo circa 100 ml di acqua (quantità variabile) e due pizzichi di sale.
Tagliare le zucchine
Tagliate le zucchine a fette lunghe e sottili con l’aiuto di un pelapatate, quindi salatele leggermente e mettetele in un colapasta,
in modo che perdano la loro acqua di vegetazione.
Tagliare il pomodoro.
Tagliate a fette di 1cm circa il pomodoro.
Preparare l’olio alle erbe.
Preparate un olio alle erbe frullando varie erbe aromatiche (rosmarino, salvia e alloro in quantità minore rispetto alle altre) assieme all’olio Evo. Potete provare ad aggiungere un paio di olive
nere nel frullato.
Stratificare
In una pirofila o una teglia da forno, iniziate a stratificare i vari
ingredienti secondo il seguente ordine: zucchine (uno strato di
mezzo cm), foglie di spinaci freschi, formaggio di anacardi, pomodoro, zucchine. Potete fare una doppia stratificazione portando più alte le lasagne crudiste.
Alla fine della stratificazione, irrorate con l’olio alle erbe, mettete
le lasagne in frigo, coperte con della pellicola trasparente, e lasciate riposare per un’ora.
Sushi vegan crudista
Ingredienti
4 fogli di alga nori
1 cavolfiore verde
1 avocado ben maturo
1 carota
1/2 peperone
il succo di 1/2 limone
tamari (salsa di soia saporita senza glutine)
Procedimento
frullare i fiori del cavolo (tenendo da parte gambi e foglie per
fare una zuppa, magari) e impastare la granella ottenuta con la
polpa dell’avocado schiacciata. Aggiungere il succo di limone
e mescolare, in modo che l’avocado non annerisca.Nella metà
inferiore di ogni foglio di alga nori disponete 2-3 cucchiaiate
d’impasto spalmandolo uniformemente e ponete al centro dello strato d’impasto una listarella di carota e una di peperone,
Pag 12 - numero CINQUE - 2015
cucina R a w food
sul piatto dove vorrete servire il tiramisù crudista.
Per il primo strato al cacao, prendete un cucchiaio di olio di cocco e unitelo alla crema scura, poi distribuitela nel coppapasta e
fatela riposare qualche minuto in frigo.
Ripetete lo stesso procedimento per lo strato bianco, poi per il
secondo strato scuro e per l’ultimo, ancora bianco. Spolverizzate con il cacao amaro.
Lasciate riposare almeno un paio d’ore prima di togliere il coppapasta e servire.
a coprire l’intera lunghezza dell’alga. Procedete con l’arrotolamento (su you tube potete trovare degli ottimi tutorial per la
preparazione del sushi) e tagliare ogni filoncino ottenuto a pezzi dello spessore di circa due dita. Servire con qualche goccia di
salsa tamari.
Tiramisù crudista
con anacardi, datteri e banana
La dolcezza della frutta in un grande
classico
Il Tiramisù crudista è un dolce al cucchiaio cremoso e delicato,
ma allo stesso tempo molto gustoso ed energetico.
La preparazione può sembrare leggermente complicata, ma è
solo apparenza. Il principio da seguire è quello di frullare le creme e aggiungere olio di cocco solo al momento dell’assemblaggio. La suddivisione in diverse ciotole permette infatti di mettere l’olio solo nel quantitativo che serve in quel momento.
Fatelo riposare in frigo in modo che i sapori si amalgamino per
bene e abbondate con il cacao di decorazione!
Ingredienti
130 gr di anacardi
4 datteri grandi
1/2 bicchiere d’olio di cocco (circa 4 cucchiai da sciolto)
1/2 banana
3 cucchiai di cocco a scaglie
1 cucchiaio di cacao amaro
1/4 di bicchiere d’acqua
la punta di un cucchiaino di gomma di guar
cacao per decorare
Procedimento
Preparazione delle creme:
mettete a bagno gli anacardi per una notte e i datteri per 4 ore.
Frullate gli anacardi con i datteri, la gomma di guar e un poco
d’acqua fino ad ottenere la consistenza di una crema.
Per la parte chiara del dolce: prendete 2/3 della crema e frullatela con la mezza banana, poi dividetela in due ciotole.
Per la parte scura: aggiungete alla crema restante (1/3) cocco e
cacao, distribuitela in altre due ciotole.
Questa suddivisione vi aiuterà quando andrete ad aggiungere
l’olio di cocco, perchè impedirà che la solidificazione dell’olio a
contatto con la crema possa creare dei grumi.
Prendete l’olio di cocco, fatelo sciogliere a bagno maria e tenetelo sciolto anche durante l’assemblaggio.
Assemblaggio
Prendete un coppapasta di 12 cm di diametro e posizionatelo
AAA Cercasi disperatamente famiglia.
Adottateci !
333 9570632
BELLEZZA
Le ricette
di Nonna Ebe
Tre maschere naturali
per attenuare le rughe profonde
Grazie ai loro ingredienti naturali, queste maschere per il viso
danno alla pelle una dose extra di vitamine per nutrirla in profondità, prevenire la comparsa di rughe ed attenuare l’aspetto
di quelle già esistenti.
Uno dei problemi estetici che preoccupano di più le donne a
partire già dai 25 anni di età sono quelle piccole rughe che iniziano a comparire sul volto a seguito dell’esposizione a fattori
che danneggiano la pelle.
Questi “segni dell’età” di solito interessano parti del corpo come
il viso, il collo, il décolleté e le mani, conferendo alle donne un
aspetto invecchiato nonostante l’età relativamente giovane.
È importante sapere che questo processo non si verifica da un
giorno all’altro. Quasi sempre le rughe si formano man mano
che la pelle si indebolisce a causa dell’esposizione solare, dell’inquinamento e di molti altri fattori che diminuiscono la produzione di collagene ed elastina. In questo senso è essenziale iniziare un trattamento adeguato perché le rughe non diventino
più profonde e difficili da eliminare.
Per fortuna, la natura mette a disposizione numerosi ingredienti dalle proprietà idratanti e riparatrici che aiutano a migliorare
l’aspetto della pelle. A seguire, vi mostreremo come preparare
in casa 3 meravigliose maschere naturali per combattere le rughe profonde, evitando così costosi trattamenti estetici.
1. Maschera a base di banana e avocado
L’uso della banana e dell’avocado per la pelle non è nuovo e, di
fatto, è il segreto della bellezza delle donne di molte culture.
La banana è fonte di vitamine, minerali e composti antiossidanti che aiutano a ridurre
gli effetti del danno ossidativo.
L’avocado, invece, fornisce acidi
grassi essenziali come l’Omega
3, che ha un’azione riparatrice
sulla pelle.
Se si desidera, è possibile aggiungere anche l’albume d’uovo
a questa maschera. Questo ingrediente
ha un effetto esfoliante e aiuta a rimuovere le cellule morte.
Ingredienti
½ avocado maturo½ banana1 albume d’uovo (opzionale)
Preparazione
Estraete la polpa dell’avocado e schiacciatela in un recipiente
con l’aiuto di una forchetta.Aggiungete la banana e continuate
a schiacciare fino ad ottenere un composto omogeneo.Frullate
a neve l’albume e aggiungetelo agli altri due ingredienti.Mescolate il tutto fino ad ottenere un composto denso.
Modo d’uso
Pulite bene le zone che volete trattare e applicate uno strato
sottile di crema.Vi consigliamo di applicare la maschera su viso,
collo e décolleté e di lasciarla agire per circa 25 minuti.Risciacquate con acqua fredda e ripetete l’applicazione 2 o 3 volte alla
settimana
numero CINQUE - 2015 - Pag 13
2. Maschera a base di yogurt, miele e banana
L’acido lattico dello yogurt è un ottimo alleato per la bellezza
della pelle. Il suo effetto aiuta a regolare il pH naturale della pelle e previene la comparsa di rughe nelle zone come il contorno
labbra o il contorno occhi.
Se unito con miele, arancia e banana, si ottiene un incredibile
trattamento antirughe, dall’effetto idratante ed antiossidante.
Ingredienti
¼ tazza di yogurt naturale (62 gr)
1 cucchiaio di miele (25 gr)
2 cucchiai di succo d’arancia (20 ml)
¼ tazza di banana (75 gr)
Preparazione
In un recipiente pulito, schiacciate la banana con una forchetta, aggiungete lo yogurt e poi mescolate fino ad ottenere una
crema dalla consistenza densa.Aggiungete il miele e il succo
d’arancia e continuate a mescolare fino ad ottenere un composto omogeneo.
Modo d’uso
Applicate uno strato sottile di prodotto sul viso lavato ed esfoliato, aiutandovi con le dita. Lasciate agire la maschera per circa
15 o 20 minuti in modo che la pelle assorba i nutrienti. Risciacquate con acqua tiepida e ripetete il trattamento almeno 3 volte.
3. Maschera a base di olio di oliva e aloe vera
Il gel di aloe vera contiene incredibili sostanze nutrienti tanto
che questo prodotto viene usato fin dall’antichità per la cura
e la bellezza della pelle. L’aloe vera è idratante e contiene vitamine essenziali che stimolano la riparazione della pelle e riducono gli effetti dei radicali liberi. In questo caso, l’aloe vera si
combina con l’olio di oliva, un ingrediente ricco di acidi grassi
essenziali e di antiossidanti che nutrono la pelle in profondità.
Ingredienti
4 cucchiai di gel di aloe vera (60 gr)
2 cucchiai di olio di oliva (28 gr)
1 tuorlo d’uovo
Preparazione
Estraete il gel di aloe vera dalle foglie e mescolatelo
in un recipiente con l’olio di oliva. Sbattete il tuorlo
d’uovo con il frullatore e aggiungetelo agli altri ingredienti.
Modo d’uso
Con l’aiuto di un pennellino, applicate la maschera su tutto il viso, il collo e il décolleté.Potete usare
questo prodotto anche sulle mani o sulle parti del corpo
che più vi preoccupano.Lasciate agire la maschera 30 minuti
e risciacquate con acqua fredda.Ripetete il trattamento da 2
a 4 volte alla settimana.
Queste maschere per il viso sono soluzioni super
facili e super economiche! Non importa quale vi
attiri di più, quello che conta è essere costanti nell’applicazione per riuscire a vedere
dei miglioramenti. Anche se i risultati
variano a seconda del tipo di pelle, vale la pena provare queste
maschere e godere dei loro
meravigliosi benefici.
Pag 14
Oroscopoesia
Ottobre
Canzone d’autunno:
omaggio a Federico García Lorca
Ariete:
l
d
e
f
Oggi ho nel cuore
un vago tremolio di stelle
ma il mio sentiero si perde
nell’anima della nebbia.
Toro:
La luce mi tronca le ali
e il dolore della mia tristezza
bagna i ricordi
alla fonte dell’idea.
Gemelli:
Tutte le rose sono bianche,
bianche come la mia pena,
e non sono rose bianche,
è scesa la neve su di loro.
Cancro:
Prima ebbero l’arcobaleno.
E nevica anche sulla mia anima.
La neve dell’anima
ha fiocchi di baci
e scene calate nell’ombra
o nella luce di chi le pensa.
Leone:
g
h
La neve cade dalle rose,
ma quella dell’anima rimane
e gli artigli del tempo
ne fanno un sudario.
Vergine:
La neve si scioglierà
quando verrà la morte?
O avremo altra neve
e altre rose piú perfette?
numero CINQUE - 2016
Bilancia:
I
j
Sarà con noi la pace
come c’insegna Cristo?
O forse il problema
non sarà mai risolto?
Scorpione:
Ma se c’inganna l’amore?
Cosa sosterrà la nostra vita
se il crepuscolo ci affonda
nella vera scienza
del Bene che chi sa se esiste
e del Male che incombe alle spalle?
Sagittario:
k
c
a
b
Se muore la speranza
e risorge la Babele,
quale torcia farà luce
sulle strade in Terra?
Capricorno:
Se l’azzurro è un sogno,
dove mai finirà l’innocenza?
Cosa mai sarà il cuore
se l’Amore non ha frecce?
Acquario:
Se la morte è la morte,
dove finiranno mai i poeti
e le cose addormentate
che nessuno più ricorda?
Pesci:
Oh sole di tante speranze!
Acqua chiara! Luna nuova!
Cuori dei bambini!
Anime rudi delle pietre!
Oggi ho nel cuore
un vago tremolio di stelle
e tutte le rose sono bianche
bianche come la mia pena.
Via Antica Arischia, 20 - (Presso vecchia chiesina di Pettino) - orario Mercoledì e sabato dalle 17,00 alle 19,00
numero CINQUE - 2016
Pag 15
TORRETTA
P I Z Z E R I A
La
TUTTA UN’ALTRA
M U S I C A
GERMANI CARTOLERIA
GADGET & STORE
IMPIANTI ELETTRICI CIVILI E INDUSTRIALI
CABLAGGIO STRUTTURATO
HOME AUTOMATION
Sede legale: S.S. 17Bis, 49 - 67100 - Paganica (AQ)
Sede operativa: Via dell’Industria, 8 - 67100 N.I. Bazzano (AQ)
Tel. 0862 680658 - Cell. 347 0307124
e-mail: [email protected]
• Scuola
• Cancelleria e ufficio
• servizio fax e fotocopie
S.S. 80, n. 8 (Casermette) - L’Aquila
Tel. 0862 761931 - e-mail: [email protected]
ModernA
AUTOCARROZZERI
di Pietropaoli e Salvi s.n.c.
Via Saragat, loc. Campo di Pile - L’Aquila
Tel e Fax 0862 319527
Cell. Guido: 348 7095086
Cell. Roberto: 348 7095087
e-mail: [email protected]
elettrodiesel - delphi diesel systems
pompe iniettori - sistemi common rail
sistemi frenanti - officina meccanica
Nucleo Ind.le di Bazzano
67100 L’Aquila
Cialfi marcello 347 7068695
coletti lorenzo 333 9027754
[email protected]
AUTOFFICINA
s.a.s.
R i parazione e revisione auto
S ervizio gomme
D iagnosi com p uterizzata
Condizionamento A ria
S occorso S tradale
Via Antica Arischia, 7b - 67100 L’Aquila
tel. 0863 312948 - cell. 349 7659724
[email protected]
SOCCORSO STRADALE H24
AUTOSERVIZI - CAMION CON GRU
E PIATTAFORMA AEREA
Area Verde da Carletto - 338 386 5828
Santo Stefano di Sessanio - L’Aquila
Centi Mario
G&M CENTI snc
Impresa Edile
Costruzioni - Ristrutturazioni
Consolidamenti
Via S. Croce, 9 - 67100 Paganica (AQ) - Tel. 347 1514294
e-mail: [email protected]