non puo` finire cosi`

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Transcript non puo` finire cosi`

NON PUO’FINIRE COSI’
di Carmelo La Carrubba
Le gocce scendevano lungo la cannula innestata nella giugulare del
paziente mentre un raggio di sole vespertino illuminava la stanza della
clinica che, posta in alto della collina, dominava l’ampio golfo della città.
La situazione del paziente era drammatica ma stazionaria e si consumava
in una cornice adatta a raccontare un’altra storia ma questo, accade per le
caratteristiche che possiede il narratore : egli avendo virtù taumaturgiche si
muove nel tempo e nello spazio con leggi proprie costruendo storie come
lui vuole, notando sul più bello che queste, a loro volta, possiedono un loro
spirito, quello del racconto, per dare logica, continuità ed autonomia alla
vicenda che diventa da quel momento “vera”. E così lo spirito del racconto
narra la storia di un uomo che in un certo momento della sua vita si è
trovato dinnanzi ad una scelta drammatica : salvare la sua vita e quella
della sua famiglia o sacrificarsi sull’altare dell’amore fraterno.
La storia riguarda un uomo quarantenne che perdeva sangue dentro il suo
intestino in un lento, permanente stillicidio: si avviava verso una
inesorabile agonia.
Il paziente era un commerciante di carte da parati che dal nulla era
diventato ricco e che veniva ricacciato nella miseria dal fratello trascinato
sull’orlo del fallimento per una girandola di cambiali, di fideiussioni e
prestiti bancari in scadenza che se non fossero stati “onorati” avrebbero
pregiudicato la stabilità della ditta innescando il meccanismo della
bancarotta.
In clinica il nostro uomo si trovò a combattere due battaglie : una per la
propria vita e l’altra per le conseguenze prevedibili se non avesse saldato i
debiti del fratello. In questo frangente il nostro uomo si muoveva
attraversando momenti di scoramento e altri di poco convinto speranzoso
ottimismo.
In mattinata la nuora del fratello aveva portato le “carte” da firmare :
l’ulteriore fideiussione in favore del suocero. Queste “carte”
rappresentavano nella loro potenzialità l’inizio della fine per la mole di
soldi da pagare alle banche per evitare la confisca degli immobili per
insolvenza nonché il blocco dei prestiti bancari per la poca affidabilità
della ditta.
L’operazione finanziaria della mattina si era svolta nella totale assenza di
delicatezza nei confronti del paziente per l’assoluta irresponsabilità del
socio-fratello.
Tant’è che il trauma mattutino aveva peggiorato il quadro clinico fino al
primo pomeriggio quando il paziente si era imposto di rilassarsi per non
peggiorare ulteriormente la situazione.
Egli con la mente rievocò momenti sereni e rassicuranti quando ci si affida
“a chi sta sopra di noi” intravedendo un futuro migliore. Si assopì e sognò
quando bambino con la sua bella grafia vergava sulle croci verniciate dal
fratello i dati del defunto che gli venivano dettati dai parenti: questa la sua
attività. Furono i primi guadagni a cui, subito dopo, si erano aggiunti quelli
dei lumini venduti in quantità apprezzabile costituendo un cospicuo
introito. Il ragazzino del sogno si muoveva con innata eleganza sostenuto
da un fisico asciutto ed un viso dai lineamenti dolci e accattivanti. Vide la
madre, a cui si rivolgeva per qualunque cosa, che parlava col figlio
prediletto. Sua madre lo carezzava e lo ascoltava con attenzione. E pure
era stato sempre lui a portare i soldi guadagnati alla sua mamma per tutta
la famiglia e mai aveva ricevuto un trattamento così affettuoso come
quello riservato al fratello. Ricordava, ancora, i consigli di mamma perché
i fratelli si tenessero uniti e si aiutassero a vicenda e come non ci potesse
essere scelta migliore, tra un estraneo ed un fratello, e come per un fratello
qualunque sacrificio anche il più duro e oneroso non potesse ritenersi tale
perché “sangue del proprio sangue”. Alla parola sangue rabbrividì e voleva
discutere l’argomento ma nel sogno non gli uscirono le parole di bocca.
Così come quella volta in cui di sera, al ritorno dal lavoro, consegnando i
soldi alla madre invece di essere apprezzato udì lei che con un filo di voce
e come se fosse sola, diceva: “na matri si sacrifica ‘ppe figghi e nun voli
nenti. Ma su viri cca i figghi nun sunu d’accordu fra iddi allura ‘na matri
senti cca ‘u so’scopu falliu”. E fece capire che un figlio non può tenere in
nessun conto il monito della madre ma fu ancora più convincente quando
guardando negli occhi il figlio lungamente gli disse : “ tu vuoi cca to’matri
mori di sofferenza picchì i figghi nun vanu d’accordu? Tu vuoi cca
to’matri mori? “
Non avendo potuto tranquillizzare quella volta la madre perché un groppo
alla gola lo teneva paralizzato e quella sensazione di colpa per una
eventuale disubbidienza fu sempre presente per anni nei momenti decisivi
quando gli impedivano di esprimere la sua volontà.
Era come inghiottire un’amara medicina che non solo non curava ma
lacerava le sue viscere in un gioco perverso che si era istaurato nelle
relazioni familiari e portava a quelle conseguenze che aveva come sintomo
la “ perdita di sangue nelle feci”. Egli aveva tenuto il groppo dentro di sé
senza poterlo espellere, senza averlo mai potuto discutere con la sua
adorata mamma per non farla soffrire a costo di essere lui a pagare lo
scotto di una colpa che non aveva mai commesso.
Rivide in lontananza la madre che lo salutava allontanandosi col fratello e
una certa amarezza, questa volta, si era impossessata del ragazzo che tanto
aveva amato la madre che però non l’aveva ricambiato.
Fin da allora, in realtà, i proventi delle vendite erano stati intascati dal
fratello che regalava al più piccolo qualche giocattolo insignificante.
Il sogno proseguiva come in un film quando si aprì ai suoi occhi un grande
locale pieno di scarpe che corrispondeva al suo primo impiego in un
negozio all’ingrosso. Qui si vide al centro del negozio che vendeva scarpe
a tutti e che col suo talento riusciva a vendere delle scarpe enormi che tutti
calzavano felici. Non era più il ragazzo di fatica che portava al commesso
le scarpe o che metteva ordine dopo ma era colui che vendeva al posto
del proprietario.
Subito dopo si trovò con tanti soldi in tasca che versava alla sua mamma
che lo carezzava e ammoniva che la fratellanza era la fora dei suoi figli e
lei ne andava fiera.
Si svegliò con un groppo in gola piangendo ma reagì subito e fermando i
singhiozzi disse : “ Signore, aiutami! Voglio vivere, rinforza la volontà di
chi ti ama, solo così guarirò!”- respirò lungamente e riprese: “Signore,
aiutami! Non sarebbe giusto che dopo che ho pagato i debiti di mio fratello
soccomba. Non può finire così !”.
Si assopì di nuovo e riprese a sognare che veniva trasportato sulle nubi e
poi si trovò assiso su una grande poltrona con tanti “ pittori” che
sceglievano carte e colori per abbellire case mentre lui si cambiava l’abito;
anzi cambiava un abito dietro l’alto segno del vento della fortuna che
soffiava con forza su di lui.
La città, nel mentre, si espandeva e lui camminava su un grande assegno
dove le cifre aumentavano vertiginosamente.
Fu svegliato dall’infermiera che cambiò il flacone e gli fece una
intramuscolare, controllò la temperatura, le feci e la loro qualità, la
quantità delle urine chiese come stava secondo un rituale che non
aspettava risposta.
L’uomo appena sveglio si chiedeva se quanto evocato fosse frutto di un
sogno ma, non ricordando d’avere dormito, pensava ad una rievocazione
da sveglio che però aveva tutto il sapore del sogno.
In quel momento egli provava una strana, piacevole sensazione: forse
stava meglio e l’interruzione dovuta al controllo obbligato praticato
dall’infermiera nel rilevare i dati clinici che monitoravano lo stato della
sua malattia, gli avevano confermato l’euforia del nuovo corso.
--I giornali quotidiani erano ancora posti l’uno sull’altro perché non li aveva
ancora sfogliati. Ricordò quanto stabilito con la moglie in mattinata di
mettere a punto un piano per intercettare le rimesse dei clienti; si era
attrezzato per firmare le ricevute di pagamento in ospedale per poter
arginare l’emorragia di soldi che rendeva esangui i prestiti bancari anche
quelli che il fratello, in quel frangente, si faceva dare e intascava dai
clienti, per non mandarli in protesto.
Era una fatica immane e per un soggetto che veniva “ alimentato”
solamente con la flebo da più di dieci giorni, un ulteriore stress.
Comunque quel giorno una strana sensazione di calma si era impossessata
dell’uomo che riprese a ripensare alla sua vita come per riappropriarsene e
per quanto camminasse di pari passo con quella del fratello cercava
disperatamente di allontanarsene.
Riprese questa rievocazione ad occhi aperti da quanto gli affari andavano
bene! Ma si corresse subito perché gli affari erano andati sempre bene sia
nella conduzione del negozio che vendeva prodotti in esclusiva in cinque
regioni sia, da quando il fratello aveva investito nell’edilizia diventando
con altri un valente costruttore sia nella compravendita di immobili, terreni
edificabili in città e in zone turistiche.
Le palpebre si erano di nuovo appesantite e senza che ne avesse coscienza
il paziente riprese a dormire, a sognare quasi proseguendo il filo del
discorso del racconto precedente tra veglia e sogno.
Il respiro del paziente era calmo e ritmato mentre il sogno del giovane si
era trasferito a Montecarlo per assistere di giorno alle gare
automobilistiche mentre la sera al casinò davano spettacoli con bellissime
donne.
Ma non sognò donne più o meno nude ma sognò tutta una serie di tavoli
enormi con cumuli di monete e con tanta gente che si accapigliava per
impossessarsene e non sapeva dove metterle perché, tra l’altro, quando
riusciva l’operazione di metterle in tasca questa cedeva facendo cadere le
monete d’oro per terra.
Si svegliò con un bisogno di sete per la bocca asciutta che gli impediva di
respirare bene mentre aveva ancora la sensazione di avere le mani piene di
monete d’oro.
Era ingannevole il sogno o era lui che non capiva quello che aveva
sognato?!
Perché quando si parla di cumuli di monete d’oro sui tavoli delle roulettes
– si disse riflettendo il nostro paziente – per dare fisicità al denaro si dice
una grande fesseria. Come sa bene ogni giocatore che parla di denaro o
sottoscriva o firma assegni o cambiali ne riceve solo simboliche fiches che
sostituiscono l’immaginario cumulo di monete d’oro ; tutto è fittizio,
simbolico ma fortemente reale perché intacca quello che non si vede.
Anche se, per dirla per intero, il giocatore nella sua compulsione non
ambisce alla vincita ma alla forte emozione della catastrofe.
Nel gioco d’azzardo è tutto sott’inteso: in quel mondo, come vuole
l’ipocrisia, il denaro è nascosto alla vista anche se non riesce a cancellare
la realtà che sottende fatta di soldi che spesso grondano oltre che fatica,
onore e sangue.
Pensò che casinò vuol dire denaro, denaro, denaro eppure tornò col ricordo
ai tavoli dove cambia la fortuna degli uomini e dove non c’era la presenza
dei soldi perché tutto, stranamente, diventa simbolico, come le fiches che
sostituiscono completamente il metallo e diventano idee, emozioni che
scardinano fortune mettendo a nudo le anime dei giocatori che in pochi
secondi, come lo scoppio di una granata, bruciano, rovesciano non solo il
loro futuro ma quello di mogli, figli, dipendenti. Uomini che da benestanti
diventano miserabili disposti a tutto per tentare al tavolo verde
l’impossibile rimonta.
C’era in queste parole, la rappresentazione del dramma che stava vivendo
il paziente per la follia del fratello che in questo vortice appena descritto,
aveva dilapidato una fortuna rovesciando le finalità di due vite.
Fu per un momento preso da scoramento e pensò che forse per sottrarsi
non gli rimaneva che prendere l’ultimo viaggio attraverso la malattia.
Questa decisione lo scosse perché non aveva mai affrontato con se stesso
dove conduceva l’ultimo viaggio.
Si assopì e il solito vento lo trasportò su una nuvola ma presto si accorse
che erano tante le nubi che tappezzavano il cielo mentre sotto di lui c’era
un obitorio con tanti cadaveri distesi e allineati in partenza per l’indomani
come emigranti che si riposano in attesa di salpare per un nuovo viaggio.
Pur nella raffigurazione di un obitorio o del cadavere di un morto in un
credente non può mancare la speranza e una visionarietà che lo proietti nel
futuro del futuro.
Nel sogno del paziente, nel quadro evocato in cui è raffigurato tutto, con
l’ineffabile della morte egli percepì anche l’inconcepibile speranza di quei
corpi che un giorno potevano risvegliarsi e intraprendere un altro viaggio
misterioso.
Oltre ciò la sua ragione non poteva andare e forse è il massimo a cui si può
arrivare prima di avventurarsi verso la resurrezione del corpo. Sperare nel
Paradiso è bello ma inconcepibile raffigurarlo, come mantenere un’idea di
infelicità eterna, qualora si pensasse all’Inferno.
Pensò alla morte come ad un rifugio per il suo stato di disperazione ma
pensò anche che non si guarisce dalla morte perché non è uno stato di
malattia ma l’esito di un ciclo.
Resta l’incognita dell’aldilà e per rassicurarsi, lui come ogni credente,
l’aldilà se lo inventa come vuole perché la morte per il vivo resta una
riflessione sulla fine del proprio io che gli crea un gran panico perché
nessuno vuole accettare che finendo la vita esso, finisca. L’aldilà pensò nel
sogno il paziente non è oggetto proprio di discussione ma di fede. Il
credente crede nell’aldilà come una eternità che gli è proibita; concepita
altrimenti la fine diventa come l’atto dell’addormentarsi in cui si chiudono
gli occhi e tutto finisce lì.
Ma il suo aldilà di credente cattolico rimaneva un percorso verso un’alta
meta. Anche per il laico, pensò, il dubbio che lo attanaglia non è in
sostanza che la consapevolezza che non sappiamo nulla di quello che
succederà dopo la nostra morte. Al nulla si opponeva la sua speranza di
credente. Anch’essa basata sul nulla non essendo tornato mai nessun
individuo a raccontarci come stanno veramente le cose.
Credere è speranza di vedere dopo la morte e spiana il terreno alla serenità
che ci aiuta ad affrontare il panico della malattia e l’incertezza del vivere
quotidiano.
A questo rovello l’antica saggezza popolare suggerisce di credere ma di
non pensarci, perché una cosa è parlare di morte e un’altra cosa è morire.
Si svegliò di colpo ricordando, questa volta, ogni particolare di quanto
aveva sognato.
Fu contento di essere sveglio e di esistere e gli tornò in mente il “ che cosa
c’è dopo?” Respirò profondamente e vagò con la mente quando in via
Etnea si attardava a guardare le ragazze mentre apriva il negozio e aveva
presente quello che doveva realizzare in quella giornata.
Guardando l’orologio comprese che era stato assopito per alcune ore; poi
ebbe la sensazione che il medico del turno di notte non fosse passato e se
ne domandava le possibili cause. Quando, accendendosi la “ luce” della
stanza apparve sorridente la dottoressa del turno notturno che rassicurante
chiedeva come stava e nello stesso tempo consultava la cartella clinica.
“Fra qualche giorno, forse domani, inizierà a bere acqua; si prescriverà una
dieta liquida e lei lascerà la flebo. È contento?”.
L’uomo non sapeva cosa rispondere a colei che l’aveva ricoverato quando
era in condizioni fisiche pietose; la bellezza e l’eleganza che
caratterizzavano il suo portamento abituale non erano in quel momento
presenti.
Assentì col capo. E sorrise appena.