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PRIMO PIANO
Mercoledì 26 Ottobre 2016
Centinaia di agenti sono scesi in piazza dopo un attacco devastante con bottiglie molotov
A Parigi manifesta la polizia
Si sente abbandonata dal governo e dalla magistratura
da Parigi
GIUSEPPE CORSENTINO
D
ue manchette in prima
pagina sul Canard Enchainé, il settimanale
satirico più irriverente che non fa sconti a nessuno,
fanno capire, meglio di qualsiasi analisi, che cosa si muove
sotto il velo di ipocrisie con cui
il potere politico e sindacale
cerca di coprire giorni e giorni di mugugni, di proteste, di
una mezza rivolta dei reparti di
polizia dopo l’ennesimo assalto criminale a colpi di bottiglie
molotov ad una pattuglia, l’8 ottobre scorso, a Ivry-Chatillon, a
nord di Parigi, con due poliziotti quasi bruciati vivi e salvi per
miracolo e un terzo ancora in
coma all’ospedale Saint Louis.
La prima manchette a sinistra dice che sabato scorso
duemila «girophare» le piccole
Peugeot bianche blu delle pattuglie della polizia con il lampeggiante blu sul tetto, hanno
quasi circondato l’Etoile e poi
sono scivolate strombazzando
con clacson e sirene lungo gli
Champs Elysees stando al conteggio dei sindacati. La seconda si limita a ricordare che le
«girophare» avvistate nel cuore
di Parigi per la manifestazione
dei poliziotti in preda ad una
comprensibile «colere», in collera per non dire di più, per il
mezzo eccidio dei loro colleghi a
Ivry-Chatillon, secondo i calcoli
della Prefettura, erano...due.
Ovviamente si tratta di
un paradosso, perché le auto
della polizia erano in realtà alcune decine e i poliziotti diverse centinaia, ma lo sberleffo del
Canard fa capire a che punto
sia arrivata la lotta di potere
La manifestazione dei poliziotti sugli Champs-Élysées a Parigi, il 20 ottobre
all’interno degli apparati di
sicurezza dopo un anno intero
di insuccessi su tutti i fronti,
dal Bataclan (il 13 novembre è
l’anniversario della strage) al
massacro di Nizza alla mattanza di un ispettore di polizia e
di tutta la sua famiglia e di un
anziano prete di campagna fino
ad arrivare ai continui quotidiani episodi di criminalità
comune, rapine spaccio furti
assalti a cittadini inermi in
quei quartieri delle banlieue,
la periferia, ormai estranei a
qualsiasi giurisdizione che non
sia quella delle gang.
Un anno così ha messo
in luce quello che i più attenti
osservatori della società francese da tempo avevano messo
in evidenza, vale a dire un’assoluta défaillance degli apparati
con l’abbandono di interi pezzi
di territorio e la disattenzione
verso le forze dell’ordine al di
là della retorica patriottarda,
degli appelli ai valori della Republique.
Prima o poi doveva accadere.
I poliziotti, alla fine, sono scesi
in piazza (ancora lunedì sera
sui gran boulevard che incrociano piace de l’Opera) per
segnalare, non solo un disagio
non più sopportabile, ma anche
la rottura di quei meccanismi
di coesione che fanno delle forze dell’ordine un presidio della
convivenza civile in qualsiasi
democrazia.
I politici francesi, tutti
presi dalle logiche elettorali
(ora le primarie, poi le politiche) giocano col fuoco: il Segretario del partito socialista,
Cristophe Cambdessus,
denuncia «une patte» , quasi
un accordo segreto tra i poliziotti che hanno simpatie per
la destra e il Front National,
dimenticando che il sindacato
vicino a Marine Le Pen ha
raccolto meno del 4% dei consensi alle ultime consultazioni
interne e che il vero obiettivo
dei poliziotti è lavorare in sicurezza, avere la possibilità di
difendersi quando sono attaccati senza per questo diventare
squadroni della morte ma neanche essere costretti a subire
indagini e processi penali in
caso di legittima difesa.
E vogliono anche avere
dei capi che sappiano fare i
capi e che non pensino solo alle
loro carriere, e al rapporto con
i politici che serve a fare carriera (non solo qui in Francia,
ma ovunque). Per dire, l’attuale capo della polizia nazionale,
Jean Marc Falcone, che durante la marcia dei poliziotti
sugli Champs Elysees è stato
fatto segno di appellativi poco
gradevoli ( Falcone demission,
Falcone petit conne, piccolo
coglione), e a cui il ministro
dell’Interno, Bernarde Cazeneuve, ha indirizzato parole
pubbliche di stima (grand policier et gran serviteur de l’Etat,
grande poliziotti e grande servitore dello stato), da quando è
arrivato a Quai des Orfreves,
nel 2012, ha speso il suo tempo
a contrastare le lotte di potere
tra il capo della polizia giudiziaria (Mireille Balestrazzo)
e il capo della Sureté Publique
(Pascal Lalle), poi si è scontrato con il Prefetto di Parigi,
Michel Cadot, su chi dovesse
avere la responsabilità finale di
otto «Antenne» antiterroristiche nella Capitale (il sarcasmo
del Canard sul numero delle
auto della polizia alla manifestazione di sabato scorso fa
riferimento prorio a questo
braccio di ferro tra capo della
polizia e prefetto).
È evidente che un contesto di questo tipo, avvelenato per anni dalla politica, alla
fine ha una sola conseguenza:
il malessere degli uomini costretti tra l’altro a lavorare in
mezzo a mille difficoltà burocratiche (non siamo al divieto
di fare irruzioni nelle prime ore
del mattino come in Belgio, ma
poco ci manca) e in un ambiente
sociale che, solo per un attimo,
dopo Charlie Hebdo, sembrava
esprimere riconoscenza civile
verso le forze dell’ordine. Poi
una politica inconcludente ha
preso il sopravvento.
@pippocorsentino
© Riproduzione riservata
UN COLLETTIVO DI VIAREGGIO HA ASSEGNATO UN RICONOSCIMENTO A 28 MANIFESTANTI GIÀ CONDANNATI
Premiato chi contestò Salvini
Fischi e uova sul leader leghista nel maggio del 2015
DI
M
FILIPPO MERLI
atteo Salvini era protetto dagli scudi dei poliziotti
in assetto antisommossa.
Portava una maglietta con
la scritta «Renzi a casa» ed era arrivato a Viareggio, in Toscana, per un
comizio. L’accoglienza fu poco gentile: decine di antagonisti, militanti dei
centri sociali ed esponenti di associazioni di sinistra lanciarono uova e lo
coprirono di fischi. Dopo dieci minuti,
il leader della Lega Nord fu costretto
a interrompere il suo discorso.
Era il 16 maggio del 2015. Lo
scorso settembre, 28 versiliesi che
quel giorno presero parte alla contestazione sono stati condannati a
pagare 1.250 euro di multa. Domenica, gli stessi manifestanti sono stati
premiati dall’Officina d’arte contemporanea e fotografica Dada Boom di
Viareggio per essersi distinti sul piano antifascista e antirazzista.
Il video della prima edizione
del premio Uovo d’oro si trova su
YouTube. «Qualcuno del collettivo
è stato coinvolto in quest’azione politica di cura terapeutica contro il
razzismo», ha detto il presentatore
dell’evento, Giacomo Verde, in riferimento alla contestazione a Salvini. «Premiamo i 28 condannati, ma
il premio andrebbe dato a tutta la
piazza e a tutti quelli che erano presenti quel giorno».
Dopo la lettura dei 28 nomi,
acclamati con un «olè» dal pubblico,
Verde, con tono sarcastico e dissacrante, ha ricordato le motivazioni
della condanna. «Volevo ringraziare
quelli che ci hanno premiato, in particolare la magistratura», ha spiegato uno dei vincitori. «E poi volevo
ringraziare il mio medico di famiglia,
mia madre e mio padre che, in tanti
anni, mi hanno sempre dato queste
medicine di antirazzismo e antifascismo che ho valorizzato crescendo. E
vorrei ringraziare Salvini, che mi ha
dato l’opportunità di vincere questo
premio. Grazie Matteo».
«Penso di parlare a nome di
tutti i 28», ha detto un’altra ragazza che s’è aggiudicata il premio
dell’Officina di Viareggio. «Quello
che è stato fatto il 16 maggio è un
atto dovuto. Oltre a noi, che facciamo
parte di vari collettivi, c’erano persone che s’erano ritrovate in piazza
per il semplice disgusto di avere una
persona come Salvini nella nostra
città. Mi sembra doveroso contestare chiunque venga a diffondere odio,
razzismo e xenofobia nei confronti di
chi è diverso. Quest’uovo non può che
essere una medaglia, così come la è
la nostra condanna, che appenderemo in una cornice dorata. Ieri, oggi,
domani: saremo sempre al nostro posto a contestare chi, come Salvini,
diffonde razzismo e odio».
«Questa non è politica, non è
democrazia: questa è delinquenza.
E’ giusto che ognuno esprima le proprie opinioni, ma così non mi è stato
consentito di parlare», disse Salvini
poco prima di salire sull’auto con la
scorta e di lasciare in fretta Viareggio.
Il pomeriggio del segretario leghista,
il 16 maggio 2015, finì così. Tra poliziotti e carabinieri. Tra uova marce,
fischi e momenti di tensione tra le
forze dell’ordine e i manifestanti.
Un’azione che il giudice ha
punito con un decreto penale di
condanna ai 28 versiliesi che, tra gli
altri, presero parte alla contestazione. «Queste non sono condanne,
sono medaglie, perché crediamo che
sia giusto contestare Salvini ogni
qual volta provi a scendere nelle
piazze, in qualsiasi modo e in qualsiasi forma», ha scritto il Cantiere
sociale versiliese sulla sua pagina
di Facebook. Dopo la contestazione
e la multa, per i 28 manifestanti è
arrivato il premio.
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