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PRIMO PIANO
Venerdì 28 Ottobre 2016
Dalla Chiesa e, in modo chiaro, fin dal 1983, articolo 1176 del Codice di diritto canonico
La cremazione era già consentita
La dichiarazione del card. Muller dice cose risapute
DI
GIANFRANCO MORRA
C
remazione no, sì,
forse. L’altro giorno la
Chiesa cattolica si è
espressa in merito, con
una dichiarazione del cardinale Gerhard Ludwig Müller,
prefetto della Congregazione
per la dottrina della fede, dopo
la prescritta autorizzazione del
papa. Che nella sostanza non
afferma niente di nuovo, ma
ripete e approfondisce cose già
dette più volte, a partire dal
Concilio Vaticano II. La Chiesa
considera preferibile l’inumazione, ma ammette anche la
cremazione. Tutto è riassunto nell’art. 1176 del Codice di
diritto canonico (anno 1983):
«La Chiesa non proibisce la
cremazione, a meno che questa
non sia stata scelta per ragioni
contrarie alla dottrina cristiana». Ossia per esprimere una
visione della vita e della morte
panteistica o nichilistica. Come
accadeva con la massoneria, i
cui adepti spesso si facevano
cremare.
Foscolo in ciò è davvero
esemplare: dopo la morte c’è
solo il «nulla eterno» e il corpo
si trasforma in nuovi aggregati:
«I miserandi avanzi che Natura
/ con veci eterne a sensi altri destina». Ma i sepolcri consentono
al morto di continuare a vivere
nella memoria di chi lo ha amato e divengono scuole di virtù
per i posteri: «A egregie cose il
forte animo accendono / l’urne
de’ forti».
Un inaccettabile panteismo e nichilismo, proprio
ciò che la Chiesa, di ieri e di
oggi, non accetta, come dice la
dichiarazione. Ecco perché per
un millennio e mezzo ha vietato
la cremazione. All’epoca di
Carlo Magno anche con
la pena di morte (ovviamente non per il morto).
Le ragioni erano evidenti: Cristo non fu bruciato,
ma inumato. E di ciascun
uomo l’anima è immortale
e il corpo risorge.
Va dunque conservato. Era una concezione un
po’ grossolana di quella sopravvivenza dopo la morte,
che è una certezza per il cristiano, ma che nessuno sa
in che modo avvenga. E che
certo è indipendente dalla
conservazione del cadavere, visto che risorgeranno
anche gli uomini bruciati
negli incendi (qualche volta anche dai preti) o mangiati
dagli animali. Oggi la Chiesa afferma che la cremazione del cadavere non tocca l’anima e non
impedisce a Dio di resuscitare
il corpo. Non è dunque vietata.
Il suo mutato atteggiamento
sulla cremazione tiene anche
conto di indiscutibili esigenze
pratiche. È noto che i cimiteri
sono pieni e che la salma del
caro estinto attende a lungo la
sepoltura («ma il vecchietto dove
lo metto non si sa / non c’è posto
per carità», cantava Domenico
Modugno).
Anche ragioni di sanità
pubblica possono richiedere
la cremazione in momenti di
gravissime infezioni endemiche.
La Chiesa è sensibile a questi
mutamenti: «ragioni igieniche,
sociali ed economiche». Ma non
Gerhard Ludwig Müller
consente la dispersione delle
ceneri «nell’aria, in terra o in
acqua; come pure la loro trasformazione in ricordi o gioielli». E le ceneri vanno portate nei
cimiteri, è vietato al cristiano di
conservarle in casa, come invece
consentono le leggi dello Stato
per i cremati o inumati che siano. Subito applicate da Berlusconi, col pomposo mausoleo
erettogli da Pietro Cascella
nella villa di Arcore.
L’inumazione e la cremazione, spesso mescolate nelle
stesse civiltà, come anche la
mummificazione, esprimevano
proprio il culto per chi continua a vivere dopo la morte nella famiglia e nel clan. Il culto
dei morti fu sempre collegato
alla potenza delle loro reliquie,
parti del corpo e di indumenti
che lo avevano toccato, che
contenevano una forza soprannaturale, un «mana»
che consentiva interventi
impossibili all’uomo.
Tutto il medioevo ha
conservato pezzi dei corpi
dei santi, spesso rubati e
spezzettati proprio per servire a più diocesi. E in epoca romantica, mentre dopo
la ventata illuministica e
la rivoluzione francese si
accentuava la scristianizzazione, le reliquie da sacre
divennero profane: come
era evidente nel medaglioni che le donne portavano
al collo, contenenti capelli,
unghie, denti e brani di
pelle dell’amato defunto.
La civiltà laica della modernità ha potenziato scientificamente la pratica della cremazione. Soprattutto, in Italia,
in Lombardia. Fu a Milano che
venne creato nel 1876 il primo
forno crematorio; e a Lodi,Paolo
Gorini, immortalato nella statua davanti all’Ospitale, lo perfezionò a tal punto, che venne
imitato in molti paesi del mondo. Non mancarono i conflitti
con la Chiesa, che essa ora cerca
di attenuare. Esempio rilevante
quello di Dario Fo, il cui funerale laico è stato celebrato sul
sagrato del Duomo, prima che
la salma venisse combusta.
La nostra epoca, chiamata postcristiana, non ha certo
negato il culto dei morti. Tra pochi giorni vedremo esplodere il
culto delle tombe, nel quale cristiani e laici sono accomunati.
La sopravvivenza e la presenza
dei defunti nella memoria dei
discendenti e delle loro famiglie esprimono quella unità del
genere umano, che Comte, fondatore della «religione dell’umanità» aveva così riassunto: «la
storia è fatta più dai morti
che dai viventi». Il documento
del card. Müller si mostra accorto e utile. Esso parte dalla
consapevolezza che per l’uomo
d’oggi ciò che conta anche nella
religione è la scelta soggettiva:
matrimonio, nascita, funerale,
non vengono più assunti, ma
scelti. E venti italiani su cento
scelgono la cremazione.
La Chiesa deve insieme
difendere la tradizione cristiana della sepoltura, ma anche
sottrarre la «resurrezione della
carne» all’idea un po’ materialistica di una rinascita della
corporeità. E ciò perché la parola «carne» (basàr) nella Bibbia
non indica solo il «corpo», ma «il
vivente», l’uomo nella sua totalità. Non si tratta, dunque, di una
continuazione indefinita della
vita come oggi l’abbiamo, ma
dell’entrata in uno stato nuovo
e indefinibile con parole umane:
«nuovi cieli e nuova terra». Sia
per chi è stato sepolto che per
chi è stato cremato.
© Riproduzione riservata
YULI EDELSTEIN, PRESIDENTE DEL PARLAMENTO ISRAELIANO, HA MANDATO UN LETTERA IN VATICANO
Adesso Israele chiede aiuto alla Chiesa
Contro la pretese dell’Unesco di attribuire ai palestinesi i luoghi sacri
DI
V
ANTONINO D’ANNA
a avanti la telenovela tra Israele, l’Unesco e il Vaticano. Il
presidente della Knesset, (il
parlamento israeliano) Yuli
Edelstein ha scritto il 25 ottobre una
lettera diretta al Segretario di Stato
vaticano Pietro Parolin per chiedere
l’ulteriore pressione diplomatica del Vaticano contro l’approvazione, da parte
del Comitato del Patrimonio Unesco, di
una nuova risoluzione palestinese che,
secondo Tel Aviv danneggia Israele sui
Luoghi Santi e la libertà di religione.
Edelstein ha definito la risoluzione:
«Scandalosa e senza fondamento».
Inoltre, tale decisione è: «Un assalto
alla nostra storia ed è profondamente
offensiva per i cristiani e gli ebrei». Il
Vaticano, quindi, è invitato a: «Usare i
suoi migliori uffici per impedire che si
verifichino situazioni simili».
Il nuovo documento è stato approvato il 25 ottobre scorso con 10 voti
favorevoli, 2 contrari e 8 astenuti. Il testo, che indica i Luoghi Santi solo con
la denominazione araba, allude a danni
perpetrati dagli ebrei. Qualcosa che Tel
Aviv ritiene inaccettabile.
Nella lettera a Parolin, Edelstein
ribadisce la richiesta di utilizzare la
moral suasion vaticana per impedire
altre decisioni antiisraeliane targate
Unesco. «Negare la storicità dei due
Templi di Gerusalemme e della Montagna del Tempio come viene descritta sia
dall’Antico che dal Nuovo Testamento è
un terribile errore della comunità internazionale quando tale risoluzione viene
adottata ripetutamente da un organismo delle Nazioni Unite», afferma.
Inoltre, scrive il presidente: «È il momento di garantire l’adozione, da parte
della comunità internazionale, di un’altra risoluzione nella quale si riaffermi
che Gerusalemme è una città santa per
tutte le religioni monoteiste, una città
nella quale si trovavano i due Templi e
dalla quale la Parola di Dio è stata diffusa per la prima volta dai nostri profeti
a tutta l’umanità».
Questa seconda risoluzione fa
seguito ad un’altra (ItaliaOggi del 19
ottobre) molto simile approvata il 13
ottobre e che ha fatto gridare Israele
allo scandalo, parlando di un tentativo
di cancellare i legami tra Gerusalemme
e il popolo ebraico. Una decisione sulla
quale l’Italia si era astenuta e che aveva
fatto infuriare il premier Matteo Renzi, il quale aveva chiesto spiegazioni al
ministro degli Esteri Paolo Gentiloni.
Il titolare della Farnesina ha poi chiarito il 26 ottobre, davanti alla seconda
risoluzione che ha fatto scattare la lettera di Edelstein in Vaticano, che alla
prossima votazione (prevista nell’aprile
2017), se sarà presentato un documento
simile a questo l’Italia voterà «no».
Il peso della moral suasion esercitato dalla Chiesa attraverso i suoi
diplomatici all’Onu è molto forte e Israele conta anche su questo per difendere
le sue posizioni. E, in effetti, il Papa ha
detto qualcosa in merito. Mercoledì 25
ottobre, poco dopo la votazione Unesco
e qualche minuto prima di incontrare
il ministro israeliano per la Cooperazione regionale Ayoub Kara, Francesco ha dichiarato: «Il popolo d’Israele, dall’Egitto dove è stato ridotto in
schiavitù, ha camminato per 40 anni
nel deserto fino a raggiungere la terra
promessagli da Dio».
La Santa Sede non ha comunque
ancora rilasciato una dichiarazione
ufficiale sulle risoluzioni Unesco e questo ha dato il mal di pancia a qualche
voce della stampa israeliana. In un editoriale uscito sullo Jerusalem Post il 20
ottobre, David Weinberg ha scritto:
«Quello che più fa infuriare e dispiace-
re è il silenzio assordante di importanti
figure cristiane». E spiegato: questi documenti approvati dall’Unesco non annullano solo la storia ebraica, ma anche
quella cristiana. «Pensate che sia il papa
(così nel testo, in minuscolo, N.d.R.) che i
principali leader protestanti si possano
alzare a protestare contro la negazione
arabo-islamica della storia e legittimità giudaico cristiana (...). Che perdano
la pazienza quando l’Unesco dice che
l’evangelista Matteo è un mentitore,
visto che è stato lui a testimoniare come
il messia (anche questo in minuscolo,
N.d.R.) cristiano buttò fuori dal tempio
ebraico di Gerusalemme i cambiavalute», si chiede. «E invece no, non ho sentito neanche un sospiro dal papa. Non
una parola di critica della dimenticanza
Unesco della storia biblica. Neanche un
borbottio di disapprovazione».
Weinberg incalza: «Gli osservatori amici del Vaticano spiegano che
l’immobilismo romano su questa cosa
nasce dalla preoccupazione per i cristiani in Medio Oriente, sotto attacco
degli islamici radicali. Come lo strano
silenzio del papa aiuti i cristiani nel
mondo mi sfugge», si chiede. Che farà
Roma?
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