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 La Cassazione torna sul discrimine tra accertamento analitico extracontabile e accertamento induttivo puro (nota a Cass., sez. trib., sentenza 7 ottobre 2016, n. 20132) di Costantino Scalinci, 24 ottobre 2016 1 Con la recente sentenza 7 ottobre 2016, n. 20132, la sezione tributaria della Cassazione torna a chiarire – nella fattispecie, pro contribuente – le implicazioni delle norme che, nel D.P.R. n. 600/1973, enunciano e distinguono i presupposti delle diverse tipologie di accertamento cd. induttivo e, in particolare, esclude la possibilità che, mediante accertamento analitico-­‐extracontabile, l’ufficio impositore possa ricostruire i ricavi di periodo prescindendo da risultanze contabili non contestate e nella sua disponibilità. Nella fattispecie, come rileva puntualmente la stessa Suprema Corte, si trattava di un «accertamento effettuato ai sensi dell'art. 39, comma primo, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e non ai sensi del comma secondo» di questa disposizione come sosteneva la ricorrente Agenzia, la quale aveva ricostruito i ricavi 2004 di un esercente commerciale, prendendo a riferimento i prezzi esposti in negozio all’epoca (2007) della rettifica. Del resto, proprio le modalità di questa ricostruzione «dell'ammontare dei ricavi», e non la tipologia o la sussistenza dei presupposti dell’accertamento induttivo, erano l’oggetto del contendere nel precedente grado di appello, che la Commissione Regionale aveva definito annullando l'avviso di accertamento impugnato – sostanzialmente – perché l’Agenzia avrebbe dovuto muoversi nei limiti dei poteri attribuitigli dal primo comma dell’art. 39. Secondo il Giudice di appello, infatti, l’ufficio accertatore avrebbe dovuto, non già ricostruire i ricavi «sulla base di elementi noti all'Amministrazione "purchessia"», ma «riservare all'induzione solo ciò che i dati (contabili) non manifestavano immediatamente». Per questa ragione di fondo, nella fattispecie, si dovevano utilizzare i prezzi risultanti dagli scontrini 2004 – oltretutto «più omogenei con i ricavi (2004) da ricostruire» – poiché l’Ufficio accertatore non aveva mai allegato né provato «l'impossibilità di effettuare» quel «riscontro», né il p.v.c. a base dell’accertamento dava conto di contestazione alcuna o della mancanza degli scontrini di periodo. Di qui, la Commissione, considerati ulteriori elementi di incongruenza, concludeva per «la complessiva inattendibilità della operata ricostruzione dei ricavi, annullando l’atto impositivo». La Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia, basato sull’erroneo presupposto che si trattasse di un accertamento induttivo cd. “puro” emesso ai sensi del secondo comma dell’art. 39, ed ha confermato l’impianto della decisione di appello oggetto di impugnazione. La Corte, prima di tutto, ha ribadito che il «noto discrimine tra l'accertamento condotto con metodo c.d. analitico-­‐extracontabile [D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d)] e l'accertamento condotto con metodo induttivo puro [D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2 lett. d)], va ricercato rispettivamente nella "parziale od assoluta" inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili», nel senso che: nel primo caso, poiché la «incompletezza, falsità od inesattezza" degli elementi indicati non è tale da non consentire di prescindere dalle scritture contabili», l'Ufficio accertatore può soltanto «completare le lacune riscontrate»; nel secondo caso invece, poiché «le omissioni o le false od inesatte indicazioni risultano tali da inficiare la attendibilità -­‐ e dunque la utilizzabilità, ai fini dell’accertamento -­‐ anche degli "altri" dati contabili (apparentemente regolari)», l'Ufficio accertatore «può prescindere in tutto od in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti» e può «determinare l'imponibile in base ad elementi meramente indiziati anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 cod. civ.» (cfr., pressoché in termini, già Cass., sez. trib., sentenza 4 febbraio 2015, n. 1951; cfr., altresì, id., sentenza 10 giugno 2016, n. 11942). Di qui, la Cassazione indica il punto dirimente dell’intera vicenda – come già avevano fatto i Giudici di appello – nella circostanza che nella ricostruzione dei ricavi l’Ufficio accertatore non aveva considerato le risultanze delle scritture contabili relative all'anno 2004, nonostante di tali scritture contabili avesse «la disponibilità»; e conclude che, per il «tipo di accertamento (ex art. 39 comma primo d.P.R. n. 600 del 1973) alla base dell'atto impugnato», l’Ufficio, invece, avrebbe potuto soltanto «procedere ad un "completamento"» dei «dati contabili 2 del contribuente» in suo possesso, «mediante ricorso a presunzioni semplici idonee ad evidenziare componenti positive occultate o inesistenza di componenti negativi dichiarati». La Corte, in sostanza, chiarisce che nell’accertamento analitico-­‐induttivo questo potere dell’ufficio accertatore limitato al “completamento” di risultanze contabili che – proprio per la tipologia di accertamento utilizzato – non sono assolutamente o nel loro complesso inattendibili, deve essere esercitato privilegiando i dati utili alla ricostruzione induttiva desumibili da risultanze contabili non specificamente considerate inattendibili e/o non provate tali. L’ufficio impositore deve, cioè, riservare all'induzione soltanto ciò che quei dati e le ulteriori risultanze incontestate non manifestino già da sé. Il che vale quanto dire che, qualora abbia contestato i ricavi di periodo, l’Ufficio accertatore, se di conseguenza deve operare per colmare induttivamente tale “lacuna”, cionondimeno deve muovere alla ricostruzione e stima dei ricavi presumibili “a partire” dalle risultanze contabili che non abbia specificamente contestato e provato inattendibili: ovverosia, nella fattispecie, non dai prezzi praticati al tempo della verifica, ma dai prezzi praticati nel periodo impositivo accertato e risultanti dai relativi scontrini pacificamente nella sua disponibilità, trattandosi – per elementari ragioni logiche – del dato più omogeneo -­‐ tra i “dati contabili” in possesso dell’ufficio accertatore (nella fattispecie lo erano anche i prezzi praticati al tempo della verifica 2007) -­‐ da cui partire per ricostruire i ricavi presumibili di quello stesso periodo impositivo. Sulla base di questa e di ulteriori incongruenze nelle modalità di ricostruzione induttiva dei ricavi di periodo i Giudici di appello avevano concluso per l’annullamento dell’avviso di accertamento, piuttosto che annullare la sola “ricostruzione induttiva” in contestazione e rideterminare i ricavi nell’esercizio di quei “poteri-­‐doveri di estimazione sostitutiva” dei quali – secondo una discutibile accezione delle implicazioni della natura o dell’oggetto del processo tributario (giudizio di impugnazione-­‐merito) – quei Giudici dovrebbero fare esercizio. D’altra parte, oggetto di quel grado di giudizio non era semplicemente una questione “estimativa” o quantitativa ma l’illegittimità del metodo utilizzato dall’ufficio impositore per giungere alla determinazione e contestazione di presumibili ricavi superiori a quelli considerati inattendibili ed, in definitiva, l’impianto stesso del complessivo accertamento analitico-­‐induttivo. La Cassazione punta il dito sui modi e limiti del potere accertativo derivanti dalla tipologia di accertamento emesso e non accenna alcunché in proposito, ma va considerato che dal complessivo tenore della sua sentenza sembrerebbe aver rigettato i motivi di ricorso dell’Agenzia anche – se non essenzialmente – perché «sviluppati nell'ottica del presupposto di un accertamento induttivo “puro”, ex art. 39, comma secondo, d.P.R. cit.» e – quindi – «inidonei a inficiare le ragioni alla base della decisione impugnata»; il che non consente di attribuire alla conferma della decisione impugnata – conseguente al rigetto di quel ricorso dell’Agenzia – alcun significato nomofilattico ulteriore rispetto alle implicazioni che la tipologia di accertamento comporta in ordine alle modalità con le quali l’ufficio accertatore può e deve effettuare la ricostruzione induttiva delle componenti di periodo.