2016Rubrica_5bisAllocutivi

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Le sfumature di rispetto e cortesia
nell’uso dei pronomi. Così la lingua
svela tutte le sue infinite potenzialità
Parole
al
Sole
di Rosario
COLUCCIA
D
d
i mestiere faccio il linguista. La scorsa settimana
ho introdotto un tema che ha suscitato un certo
interesse tra i lettori: nell’italiano contemporaneo
si va estendendo l’uso del “tu” anche tra
interlocutori che non si conoscono (o si conoscono
poco) e quindi dovrebbero avere relazioni formali (commesso e
cliente, venditore e acquirente, ecc.). È normale questo uso
crescente del “tu”? Come va giudicato il fenomeno?
Non sono il primo a trattare
la questione. Alcuni mesi fa
apparve su «la Repubblica»
un bell’articolo di Umberto
Eco, che riferiva un episodio
a lui capitato. Scriveva: «In
un emporio mi sono visto (io
quasi ottantenne e con barba
bianca) trattato col “tu” da
una sedicenne col piercing al
naso (che non aveva probabilmente mai conosciuto altro
pronome personale), la quale
è entrata gradatamente in crisi solo quando io ho interagito con espressioni quali “gentile signorina, come Ella mi
dice...”. Deve aver creduto
che provenissi da Elisa di Rivombrosa, tanto mondo reale
e mondo virtuale si erano fusi ai suoi occhi, e ha terminato il rapporto con un “buona
giornata”», rinunziando al
“ciao” che usa abitualmente.
Eco sapeva bene che la ragazza non intendeva insultarlo, semplicemente trasferiva
nella conversazione i modelli
televisivi a cui era abituata
(non so, «Uomini e donne»,
«Amici»), senza rendersi conto che la lingua possiede anche altre forme, che bisogna
saper scegliere e variare a seconda dei momenti. Eco considerava il comportamento
della ragazza un sintomo della perdita di memoria che caratterizza la società contemporanea: viviamo appiattiti in
un eterno presente che per
molti ha un solo tono, dimenticando l’importanza della variazione che il passato ci consegna.
Preciso. Non si tratta di
restare ancorati al passato, riproponendo le forme della
comunicazione di un tempo.
Per rivolgersi a un gruppo di
persone non vanno più tanto
bene “loro” (lo usa il governatore della Banca d’Italia in
situazioni molto formali) o
“lorsignori” (ha un valore ironico, quasi di presa in giro).
Prima ancora si usavano altri
pronomi, che oggi nessuno
neppure più ricorda, “eglino”
per il maschile e “elleno” per
il femminile. Invece a Carducci quei pronomi piacevano, ce lo testimonia quest’episodio. Carducci, appena nominato professore, entrato in
una classe dell’istituto superiore femminile “Nencioni”
di Firenze, alla prima lezione
esordisce con un «Elleno
adunque...» e viene sommerso dalle risate delle ragazze.
Il professore non la prende
bene: è giovane, non è bellissimo, e ha di fronte un gruppo di vivaci ragazze della
borghesia fiorentina. Ammonisce la più esuberante con
tono burbero: «Lo so che ella avrebbe detto: “Sicché loro...” Ma è bene intendersi
subito: qui si conviene aver
rispetto alla grammatica, qui
non si parla a modo delle ciane». In quella classe insomma non si parlava come le
ciane ‘donne sguaiate, volgari, grossolane, pettegole’; il
Domenica 23 ottobre
2016
ATTUALITA'
10
Eco, Pasolini e Pertini:
tre esempi illustri su cui
riflettere a proposito
dei rapporti col prossimo
TU, LEI E VOI
UN MICROCOSMO
IN POCHE LETTERE
Ordinario di Linguistica
italiana e Accademico
della Crusca, Rosario
Coluccia è stato
presidente
dell’Associazione per la
Storia della Lingua
Italiana e segretario della
Società Internazionale di
Linguistica e Filologia
Italiana. Membro del
Bureau della Société de
Linguistique Romane, fa
parte della direzione o
del comitato scientifico di
varie riviste e collane
internazionali. È autore
di circa 140
pubblicazioni. Il suo
ultimo libro, appena
uscito, è Storia, lingua e
filologia della poesia
antica: Scuola siciliana,
Dante e altro (Firenze,
Cesati).
professore diceva “ella” ed
“elleno” e pretendeva che le
sue allieve facessero altrettanto.
Nessuno pensa di ripristinare quelle forme antiquate:
la società cambia e cambia la
lingua (che rispecchia i mutamenti sociali). Ma si può e si
deve riflettere su quello che
succede intorno a noi, non
possiamo rinunziare al pensiero e accettare tutto senza
fiatare.
Eco attribuiva il comportamento spiccio della sedicenne con il piercing alla mancanza di memoria di una parte delle ultime generazioni.
Ma forse c’è di più. Dare del
“tu” a un adulto sconosciuto
è irriguardoso, anche se non
comporta una reale o supposta posizione di inferiorità
dell’interlocutore. Il dilagare
del “tu” finge una vicinanza
che fa male a tutti, facendoci
sembrare fintamente amici
(l’amicizia è altra cosa). Non
è sintomo di egualitarismo o
di democrazia, neanche in politica lo è. Luciano Canfora
ricorda una battuta attribuita
a Palmiro Togliatti, probabilmente non inventata, che rispecchia lo stile dell’uomo:
una volta, a un iscritto che
parlava con aria supponente
di cose che conosceva poco,
il leader del Pci rispose: «Caro compagno, dammi pure
del lei». In altre parole: essere compagni di partito non significa essere compagni di
osteria. Un po’ diverso l’atteggiamento di Sandro Pertini (ancora non Presidente della Repubblica), in una piazza
di Galatina, in occasione di
un comizio (magari qualcuno
Le scelte linguistiche non sono
casuali: vanno adeguate
alla situazione complessiva
ricorda): a un giovane che
gli aveva rivolto la parola dicendo «Lei, compagno Pertini…» replicò «D’accordo, accetto il “Lei”, sei giovane,
ma quando crescerai dovrai
darmi del “tu”». Non era politica, ma di sicuro era assai
ideologizzata, l’occasione in
cui il 21 ottobre del 1975, a
Lecce, nell’aula magna del liceo «Palmieri», in un dibattito pubblico Pier Paolo Pasolini cominciava così la risposta a un precedente intervento: «Ti posso dare del tu?,
sei così giovane» (si trattava
dell’ultima conferenza di Pasolini, pochi giorni prima del
suo assassinio, stampata poi
nei «Meridiani» di Mondadori e recentemente ripubblicata, a quarant’anni esatti dalla
morte).
Gli aneddoti si moltiplicano. Il professor Marcello Filotico, noto anatomopatologo
del Salento, mi autorizza a
pubblicare questo brano di
una sua lettera. «Un mio Professore dosava l’uso del Voi,
del Tu e del Lei con matematica precisione. Dava del Tu
a noi giovani Laureati e ai
suoi colleghi pari grado, il
Lei era riservato al mondo accademico e limitato ai professori che riteneva più autorevoli. Il Voi denotava una contenuta stima nei confronti di
soggetti giudicati non all’altezza, comunque, di ricevere
il Lei. Passò dal Tu al Voi
nei miei riguardi, quando
conseguita la Libera Docenza fui nominato Primario». E
argutamente commenta: «Il
giorno in cui divenni Primario non poteva più darmi del
Tu, mi avrebbe posto implici-
d
tamente al suo stesso livello.
Mai più!». Guido Zaccagnini, storico della musica che
su Radio 3 conduce bei programmi di divulgazione musicale, sorridendo di sé stesso
dice che lui dà il “lei” agli
studenti, il “tu” ai superiori,
per questo non fa carriera
(ma non è vero).
Concludiamo. In alcuni casi il “tu” è ammesso anche
tra persone che non si conoscono (abbiamo visto sopra
alcuni esempi). Se invece è
indiscriminato, è un abbassamento delle barriere falso e
velleitario, nasconde la propensione
a non rispettare le
regole formali. Ricorrendo
alla variazione appropriata
di “tu” ~
“lei” nelle
diverse situazioni
comunicative ripristiniamo
il linguaggio della
cortesia,
l’insieme
di norme
e convenzioni verbali adottate da
una comunità per
contenere
la conflittualità e favorire
l’armonia nell’interazione.
Per una comunicazione
corretta è necessario rispettare parametri importanti come
il grado di familiarità tra gli
interlocutori, la partecipazione affettiva e il coinvolgimento, la solidarietà, e anche
le differenze di ruolo, che pure esistono nella società. Possiamo utilizzare anche ulteriori accorgimenti, accompagnando la scelta dei pronomi
(formale ~ informale) con
mezzi quali i toni di voce, la
postura del corpo, la prossimità o la distanza fisica con
l’interlocutore, ecc. Nello
scritto, il “lei” di cortesia è
spesso segnalato con l’iniziale maiuscola: “Lei” (come dire: ti tratto con deferenza particolare). Vedo aumentare la
maiuscola anche nelle comunicazioni scritte che ricorrono alla seconda persona:
“Tu” (ma forse è eccessivo,
non si capisce bene se chi
scrive vuole suggerire familiarità o distanza).
Le variabili scelte linguistiche non sono casuali, vanno adeguate al contesto, allo
stile, al registro, al canale e
al mezzo di comunicazione,
insomma alla situazione complessiva. Quante cose insegnano quelle microscopiche
parolette (due o tre lettere,
non più) che definiamo pronomi! Non è meravigliosa la
lingua italiana?
p.s.: Alcuni lettori mi
scrivono, fanno osservazioni,
pongono domande. Per
quanto possibile rispondo ai
singoli, ma a volte non ce la
faccio. In accordo con
«Nuovo Quotidiano» vi
proponiamo questo. Scrivete
a:
[email protected]. I quesiti più
stimolanti e di interesse
generale saranno da me
commentati su questo
giornale.