versione in pdf

Download Report

Transcript versione in pdf

28 ottobre 2016 delle ore 22:04
L'arte è una faccenda scomoda?
Galleria Nazionale e Quadriennale fanno riflettere sulla figura del curatore e sul suo rapporto con
l’artista. Compagno di strada giustamente invasivo o manutentore delle relazioni?
La pubblicazione del libro Curatori d'assalto di
David Balzer, l'inaugurazione della 16a
Quadriennale di Roma, il riallestimento della
Gnam ora GN, fanno riflettere ancora una volta
sui mediatori dell'arte. Faccenda vecchia, se ne
parla da troppo tempo ormai. Da Harald
Szeemann (di cui a breve uscirà un docufilm)
ai nostrani Achille Bonito Oliva, Germano
Celant, Francesco Bonami e Massimiliano
Gioni, di acqua - e di corpi aggiungerei - ne è
passata sotto i ponti. Curatori si curatori no: tra
detrattori e sostenitori non è semplice districarsi
in maniera limpida. Ma in queste poche righe
non interessa tracciare una linea di
demarcazione ed irrigidire ancor di più i termini
dell'equazione, quanto aggiungere una x (non
molto incognita in realtà) per riflettere più in
generale sul loro ruolo perché - rassegniamoci
all'evidenza - finché, esisterà un pubblico, il
sistema per sorreggersi ha bisogno di chi metta
in relazione l'opera con il medesimo. Sta poi
agli artisti ed ai singoli attori di questo theatrum
mundi - come visto attraverso alcune realtà
indagate in questa rubrica – trovare il modo di
disinnescare il dispositivo, scompaginare il
testo e mettere in crisi le posizioni, non per
affondarle ma per ricrearle. Questa però è
un'altra storia, foriera di presagi e avventure
future... ora occorre ritornare al presente perché
di fatto i curatori sono un ingranaggio
importante per il funzionamento dell'apparato
espositivo.
Mi servirò di alcune riflessioni, non molto
attuali, ma che permettono di spostare il punto
di vista non tanto sulla figura in sé, quanto sul
modo e il senso in cui opera. Edgar Wind nel
1963 pubblica Arte e Anarchia, se di primo
acchito il titolo porterebbe a pensare ad un libro
incentrato sul rapporto tra l'arte e l'ordine o con
il suo contrario, il caos, a leggere le prime
pagine si evince che non è così. Avverte subito
Wind «Non vorrei che la parola "anarchia”,
messa a capo di queste conferenze, suggerisse
al lettore l'idea che intendo parlare in difesa
dell'ordine». Ma neanche del suo contrario,
nonostante «una certa misura di scompiglio e
di confusione può infatti contribuire a suscitare
energia creativa». Energia creativa, teniamo a
mente quest'espressione. E continua: «Le forze
dell'immaginazione possiedono una loro
energia dirompente e capricciosa che l'artista
deve sapere amministrare con prudenza»,
perché la passione frenetica dell'arte - scriveva
Baudelaire - è un cancro che divora il resto.
Lontano dalla deriva romantica sull'artista
genio o sul temperamento saturnino, i saggi di
Wind ruotano piuttosto sulla creazione artistica
e sulla formazione dell'opera in un momento
storico in cui l'arte – egli crede - è diventata
marginale alla vita e, disgiunta dall'esistenza,
sta diventando una "splendida superfluità”.
Nell'ultimo saggio, Arte e Volontà, dopo averci
offerto la mirabile metafora del rapporto tra
artista e pubblico come quello di Narciso ed Eco
nel corrispondente mito (Narciso è innamorato
della sua immagine, ma Eco che potrebbe
distoglierlo non ne ha le capacità perché le
poche parole che pronuncia non sono altro che
la ripetizione delle ultime sillabe udite), egli
puntualizza che il problema tra arte e volontà
potrebbe essere posto in realtà come quello
dell'atrio con il tempio. Se dentro il tempio
l'artista si trova da solo, nell'atrio no, nell'atrio
lo circondano gli "amici” che lo hanno
accompagnato fin lì per superare la soglia. Ed
ecco la sentenza: abbiamo lasciato vuoto l'atrio
dell'arte. Ma chi sono questi amici e come
soprattutto interagiscono con l'artista in questo
spazio aperto? Andando indietro nel tempo
Wind ricorda le dispute che Michelangelo
aveva con Giulio de' Medici per la Cappella
omonima. Il futuro Papa Clemente VII
interveniva incessantemente sui bozzetti una e
più volte, insisteva sul conoscere l'idea anche
se fosse ancora in fase di elaborazione. Ed è
storia che Michelangelo non avesse proprio un
caratterino affabile, proprio per questo
sorprende sapere che il suo discepolo Convivi
racconta che nonostante i continui disappunti,
un giorno l'artista gli raccontò che Clemente VII
possedeva un'eccezionale capacità di comprensione
del processo artistico. Ed uguale cosa egli
ricorda del rapporto tra Isabella d'Este e il
Mantegna o di Alfonso d'Este e Tiziano e poi
più recentemente del mercante Vollard con i
suoi artisti ed in particolar modo con Renoir che
sotto un suo ritratto lo appellò proprio raseur
che, nel francese familiare, significa rompiscatole.
Il mecenate era una figura che non solo
commissionava l'opera, ma interveniva
attivamente durante il processo che avrebbe
portato alla sua realizzazione e non sempre in
maniera delicata, anzi infastidiva e pungolava
di continuo l'artista interferendo nelle diverse
fasi di produzione.
delle sculture destinate alla sede UNESCO di
Parigi. Arp rimase amareggiato del fatto che
nemmeno gli architetti avevano da «perdere un
po' del loro tempo, per discutere seriamente coi
pittori e con gli scultori su come le opere di
costoro dovessero essere concepite per inserirsi
nel piano generale dell'edificio». Senza troppo
generalizzare, sembra che il mondo dell'arte
oggi abbia proprio perduto il tempo (sarà per
questo che le mostre romane continuano ad
insistere sull'argomento?!), insieme alla
capacità di contrattare, negoziare i suoi spazi
esterni come interni, gli spazi dello spirito.
Quando Michelangelo parla di Clemente VII
come un uomo dotato di capacità di
comprendere il processo creativo, questo non
si traduce infatti nell'imposizione pedissequa di
una volontà, ma piuttosto nella sua capacità di
entrare ed uscire dal processo creando la giusta
tensione per disturbare la "potenza” dell'atto
creatore (quella potenza che per Agamben è sia
potenza-di che potenza-di-non produrre
l'opera). E l'attrito generato da quell'essere
dentro e fuori dal processo, sposta la carica
dell'immaginazione quel poco quanto basta per
non implodere e diventare scomoda per l'artista
stesso in primo luogo. Ecco il dialogo critico.
Si dice che quando Marcel Broodthaers
organizzò la quinta e penultima mostra del
periodo Décor nonché della sua vita (Decor. A
Coquest by Marcel Broodthaers che si terrà
all'Institute of Contemporary Arts di Londra nel
1975) pose un'unica condizione al direttore
Barry Barker: Take the risk with me. La mostra
era incentrata sul rapporto tra la guerra e il
comfort. Barker, ovviamente, non si tirò
indietro. «Potategli la stravaganza, rendetelo
sobrio, e lo distruggerete». Ecco l'anatema
lanciato sull'artista contemporaneo.
Serena Carbone
.
Venendo al Novecento, Wind ricorda le parole
di Jean Arp quando fu chiamato a lavorare per
pagina 1