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Olio di palma: arrivederci o addio? | 1
giovedì 27 ottobre 2016, 17:00
Salute e alimentazione
Olio di palma: arrivederci o addio?
Se ne parla spesso, cos'è e perché non lo vogliamo più
di Eloisa Gilardoni
Conoscere gli ingredienti riportati sulle confezioni è diventato ormai indispensabile. Patatine, crackers, merendine, biscotti,
tutti senza olio di palma; sembra che oramai questo sia stato sostituito in tutti i prodotti che fino a poco più di
un anno lo contenevano. Se si entra in qualsiasi supermercato, si nota che la stragrande maggioranza delle confezioni dei
prodotti da forno, ormai riporta questa scritta. Leggendo gli ingredienti, sulle etichette dei grandi marchi (Barilla, Colussi,
Bauli, Esselunga, Carrefour, Coop) si possono notare una serie di oli vegetali (olio di colza, olio di cocco, olio di cartamo,
olio di girasole e margarine varie) utilizzati per sostituire quello di palma. Dunque l’olio di palma è davvero scomparso dalle
nostre case? E se sì, come si è arrivati a questo stato di cose? Perché l’olio di palma è stato messo al bando? Per
spiegare l'intricata vicenda dell'olio di palma bisogna fare prima un passo indietro nel tempo. Nel 2012, fece discutere la
proposta della Commissione degli Affari sociali del Senato francese di aumentare del 300% la tassa sull'olio di
palma. Tre anni dopo, nel giugno 2015, Marie-Ségolène Royal, Ministro dell'ecologia francese, dichiarò durante
un'intervista che il controverso ingrediente fosse: «uno dei maggiori responsabili dei cambiamenti climatici, causati dalla
deforestazione». Sempre nel 2015 Johan Reboul, un giovane interessato alla salvaguardia dell'ambiente, raccolse
200.000 firme per chiedere al presidente di Mondelez Francia di eliminare l’olio di palma, indicato come causa della
deforestazione in Malesia, dai biscotti LU. “L'importanza della lobby è comprensibile, basti pensare al numero di lavoratori
coinvolti nel processo di lavorazione”, ci racconta Johan Reboul, “per questa ragione, io non mi oppongo all'olio di palma, ma
al suo monopolio e alla sua pericolosa espansione a danno delle foreste vergini”. Dal 2010 al 2014, l’Europa ha
incrementato l’importazione di olio di palma di oltre il 30% e il trend è in crescita. In Italia è stato previsto un
incremento dal 2011 al 2015 del 300% (da 274mila tonnellate a 821mila, dati Istat). In Europa siamo i principali
utilizzatori, ma solo il 34% dell'olio di palma viene utilizzato nel settore alimentare; il 45% invece, viene lavorato per
produrre biodiesel. “L'olio di palma si è andato a porre, dal punto di vista economico, come concorrente degli oli di semi, più
che del burro o dell'olio d'oliva” ci spiega Mariangela Molinari (autrice del libro: 'Olio di palma. La verità sull’ingrediente
che ha invaso le nostre tavole'); “la Francia è una grande produttrice sia di burro che di oli di semi, potrebbe essere stato
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/olio-di-palma-arrivederci-o-addio/
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questo ad aver disturbato molto i francesi da un punto di vista economico”. Anche in Italia il 'caso olio di palma' è cresciuto
in modo simile: nel 2014 con l'applicazione del regolamento UE n.1169/2011 relativo alla trasparenza nelle informazioni
sugli alimenti, il modo di guardare le etichette è sicuramente cambiato. Viene precisata la natura specifica degli oli
vegetali che devono essere espressi in percentuale; e l'ingrediente olio di palma inizia a essere notato da molti. Sempre nel
2014 è partita la raccolta firme chiamata ‘Stop all’invasione di olio di palma’, lanciata da Great Italian Food Trade e dal ‘Il
Fatto Alimentare’, che “ha senz'altro avuto una grossa responsabilità nello stop all'olio di palma e nelle scelte che
l'industria alimentare ha dovuto fare” ci racconta Mariangela Molinari, “sull'olio di palma è stato montato un caso magistrale
di disinformazione”. A maggio 2016 il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha richiesto al Commissario Europeo per la
salute e la sicurezza alimentare Vytenis Andriukaitis, di avviare con urgenza l’esame della questione al fine di «valutare
l’eventuale necessità di procedere all’adozione di misure, anche in via precauzionale, finalizzate alla tutela della
salute dei cittadini». Questa dichiarazione è avvenuta in seguito alla pubblicazione di uno studio dell’EFSA (European
Food Safety Authority) in cui è stato evidenziato che «i contaminanti da processo a base di glicerolo presenti
nell’olio di palma, ma anche in altri oli vegetali, nelle margarine e in alcuni prodotti alimentari trasformati suscitano
potenziali problemi di salute per il consumatore medio di tali alimenti di tutte le fasce d’età giovane e per i forti
consumatori di tutte le fasce d’età». L'olio di palma è stato subito classificato, a causa forse di una sbagliata
informazione, come nocivo per la salute, quando il consiglio è, come per la maggior parte degli alimenti, di 'non
consumarne dosi eccessive'. «Non ci sono problemi di salute specifici legati all’utilizzo dell’olio di palma», spiega l'EUFIC
(the european food information council), «la relazione tra alimentazione e salute deve essere considerata tenendo
conto della dieta nel suo insieme e non valutando i singoli alimenti». L’olio di palma contiene il 50% di grassi saturi, una
percentuale buona rispetto al contenuto di altri grassi di simile applicazione: cocco (92%), semi di palma (84%), burro (66%),
burro di cacao (62%) e sego (54%). Inoltre, nei prodotti alimentari l’olio di palma è spesso utilizzato con altri grassi e oli che
insieme determinano la composizione degli acidi grassi e l’eventuale effetto sulla salute. Tutti gli oli e i grassi contengono sia
acidi grassi saturi che insaturi. L'Istituto Superiore di Sanità nel febbraio 2016 si è espresso in merito, affermando che:
«il consumo di olio di palma va ridotto soprattutto nei bambini tra tre e i 10 anni e negli adulti con fattori di rischio
cardiovascolare». Dello stesso parere sono l’Anses (agenzia per la sicurezza alimentare francese), il Consiglio
Superiore della Sanità belga e la FDA (Food and Drug Administration) americana, che invitano a non eccedere
con gli acidi grassi saturi che dovrebbero essere meno del 8% dell’apporto energetico totale. “Quasi tutti gli studi
evidenziano semplicemente una cosa: è importante mantenere una dieta equilibrata che non comporti il consumo
eccessivo di acidi grassi saturi”, ci riassume Mariangela Molinari, “l'olio di palma come contenuto è come il burro,
ma con la differenza che non contiene il colesterolo. Il demone non è l'olio di palma,ma il consumo che ne facciamo
noi. Sono abitudini alimentari scorrette che vanno riviste completamente [...] il professor Banni (docente) ha spiegato che in
realtà, la presenza di olio di palma nei prodotti alimentari per bambini, era una cosa buona. Nell'olio di palma è contenuto
questo acido palmitico che è indispensabile al bambino nelle prime fasi di vita per costruire la membrana cellulare. È
importante capire che in ogni momento della nostra vita noi dobbiamo cambiare la nostra alimentazione in base a quello che
abbiamo bisogno”. L'Aidepi (associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane) ha svolto una ricerca, in cui
si evidenzia, come si sia ricorsi a quest’olio in primo luogo per evitare l’idrogenazione e quindi la possibilità di incorrere in
acidi grassi trans (gli acidi grassi trans si formano se non si completa il processo di idrogenazione degli oli vegetali, come
può accadere nella produzione della margarina) dannosi per la salute. "Nell'olio di palma non è necessaria l'idrogenazione",
aggiunge Mariangela Molinari, "invece necessaria per le margarine; quindi non si producono questi grassi acidi trans”.
«Additando biscotti, merendine e dolci come i principali responsabili della deforestazione» spiega il Direttore di Aidepi,
Mario Piccialuti, «si sta affermando qualcosa che non regge alla prova dei fatti». «La via della certificazione è quindi
l'unica soluzione possibile per mantenere inalterato l'ecosistema dei Paesi produttori» spiega Carlo Alberto Pratesi,
docente di Economia e Gestione delle Imprese all'Università Roma Tre «in quest'ottica, diventa sempre più chiaro che il
boicottaggio dei prodotti contenenti olio di palma non può essere un'alternativa». «L'olio di palma è un ingrediente ideale
per la produzione dolciaria» afferma Giorgio Donegani, dottore in Scienze delle Preparazioni Alimentari; «è incolore,
insapore, riduce i tempi di ossidazione dei prodotti e garantisce una migliore conservazione degli alimenti». “Uno dei motivi
per cui l'olio di palma è risultato più appetibile da parte dell'industria alimentare è proprio il fatto che non si ossida" ci
racconta Mariangela Molinari. Il problema ambientale è forse il vero aspetto preoccupante della questione 'olio di
palma': «gli agricoltori del sud est asiatico, dopo aver convertito alla palma i campi precedentemente destinati ad altre
coltivazioni (per esempio, tè e gomma), attratti da una crescente domanda da parte delle aziende (soprattutto quelle non
alimentari, di cui si parla poco, ma sono la quota di gran lunga maggioritaria dei consumi: circa l'80%) hanno iniziato le
pratiche di deforestazione» afferma Carlo Alberto Pratesi, docente di Economia e Studi Aziendali presso l'Università Roma
Tre; «la distruzione della foresta (in particolare quella vergine, dove vivono specie a rischio d'estinzione come gli oranghi)
per fare campi coltivati è insostenibile e inaccettabile». “C'è stata questa distruzione di foreste importanti, primarie e questo
agire senza cognizione”, conferma Mariangela Molinari, specificando però che “rispetto a tutte le altre colture oleaginose, la
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palma è quella che ha un rendimento maggiore per ettaro”. Quindi il fattore convenienza dell'olio di palma non è dovuto
dalla scarsa qualità della materia prima o dalla cattiva lavorazione; ma dal fatto che con un ettaro di terreno coltivato a
palma, si produce molto più olio che con qualsiasi altra coltura. “Questa redditività della coltura determina il prezzo basso
dell'olio di palma per l'industria” ci spiega ancora la Molinari, “rispetto a un mais, un girasole, un cocco, la palma ha
bisogno di un quantitativo di ettari di gran lunga inferiore”; concludendo: “se l'approccio fosse veramente sostenibile, ci
sarebbe un risparmio di terreno [...] il problema è che l'approccio non è stato sostenibile”. L'RSPO è un organismo creato per
certificare l'olio di palma, a causa della situazione sociale di criticità della legislazione nei Paesi di produzione “ci sono stati
molti dubbi da parte di tutti, perché sono delle certificazioni che non sono verificate da enti terzi e possono lasciare il tempo
che trovano” ci dice Mariangela Molinari, “sono paesi critici dal punto di vista della legislazione, poco chiari e poco limpidi”.
Con la creazione del POIG (Palm Oil Innovatin Group) in sostegno dell'RSPO, la situazione potrebbe migliorare: “sono
stati fatti dei passi in avanti sul fronte della sostenibilità” ci racconta Mariangela Molinari, “WWF e GreenPeace hanno
sottolineato che boicottare l'olio di palma non è una soluzione che porta benefici a nessuno, né a noi come consumatori, né
ai paesi produttori, che hanno bisogno di questa economia”. Essendo in una situazione difficile, queste aree produttive
potrebbero trarre vantaggio da un olio di palma sostenibile, infatti: “questo sarebbe un ottimo modo per dare lavoro a
queste popolazioni” continua Mariangela Molinari, “la via più equilibrata e percorribile per il futuro è la produzione di olio di
palma sostenibile; quindi con il rispetto per l'ambiente, per il suolo, senza usare pesticidi, rispetto per le persone che sono
coinvolte nella coltivazione, rispetto per l'etica del lavoro”. Stando ai dati di Greenpeace la coltivazione della palma è
sicuramente tra le principale cause di deforestazione e inquinamento delle aree produttive. Una delle problematiche più
frequenti è il rispetto dei regolamenti: “più volte sono state tracciate delle direttive per cercare di limitare il consumo di
suolo, ma non sono state rispettate”, conferma Mariangela Molinari, “una produzione più sostenibile sarà quindi molto
difficile da raggiungere”. L'olio di palma non è usato solo nel campo alimentare, lo troviamo anche nel settore delle
bioenergie, dell'industria chimica, della cosmesi, della mangimistica, della farmaceutica, dei trasporti, dell'elettricità e del
riscaldamento. Persino l’Unione Europea, probabilmente l’area più ‘verde’ del pianeta per quanto riguarda regolamenti e
politiche ambientali, è complice dell’abuso di questa sostanza, sostiene il rapporto dell’Oxfam. La direttrice della sezione
italiana dell’ONG, Elisa Baciotti specifica come «Le decisioni volte a diversificare le fonti energetiche e a tagliare i
combustibili fossili, sono spesso prese dai paesi dell'Unione Europea senza attente valutazioni sulla sostenibilità sociale e
ambientale delle fonti alternative utilizzate. In tal modo l'Ue si fa responsabile - direttamente o indirettamente - di espropri
di terre determinando povertà e fame nei paesi più vulnerabili; oltre che di un aumento delle emissioni di CO2 in atmosfera».
La causa va ricercata nelle politiche europee volte a incentivare l’utilizzo di energie alternative come i biocarburanti, che
hanno reso il continente dipendente da produttori situati - per il 40% del fabbisogno di terreno - nei Paesi del ‘sud del
mondo’, dove sarebbero liberi di espropriare piccoli contadini e proprietari terrieri per convertire la produzione agricola in
quella di olio di palma. Esempi di questa condotta sono i casi di Tailandia, Perù e Indonesia. Nell’area di Bengkulu, per
esempio, la PT Sandabi Indah Lestari minaccia in continuazione le comunità locali, negandogli l’accesso agli
ettari di terra concessi dal Governo. Elisa Baciotti aggiunge che «se l'Ue non si doterà di criteri minimi per la
sostenibilità sociale dei biocarburanti, impedendo ai produttori europei di approvvigionarsi di olio di palma dalle terre dove i
diritti umani e il diritto alla terra delle comunità locali sono stati violati, sarà di fatto complice di un sistema profondamente
ingiusto». È curioso come queste problematiche siano spesso ignorate in favore di speculazioni su dubbie conseguenze
sull’uso dell’olio di palma come ingrediente per dolci e altri prodotti. Lo fa notare la Molinari: “L'accanimento c'è stato solo
sull'alimentazione, mentre il problema ecologico-ambientale rimane”, concludendo che “dal punto di vista nutrizionale,
tecnologico-alimentare e medico, l'olio di palma non fa peggio di altri grassi. Andiamo alla radice del problema da punto di
vista ambientale e cerchiamo di incrementare una produzione sostenibile”. Lo fa notare anche Andrea Oliviero, vice
Ministro delle Politiche agricole, impegnato questa mattina in un convegno a Milano organizzato da Ferrero - il cui
Amministratore Delegato Alessandro d'Este non manca di pubblicizzare l'assoluta qualità dei prodotti della sua azienda
certificata da ONG come il WWF - proprio sull'argomento olio di palma. «Io enfaticamente lo chiamo terrorismo della
disinformazione alimentare: in questi anni molte, troppe volte, abbiamo assistito a operazioni di disinformazione che
fanno leva sull'ignoranza e hanno dietro interessi economici ben precisi volti alla sostituzione dei prodotti e a
creare turbative sui mercati», ha detto il vice Ministro, ponendo, dunque, la responsabilità sulle spalle delle lobby
«dobbiamo portare le persone a comprendere che i prodotti che sono intrinsecamente ricchi devono essere
consumati con intelligenza, con cognizione di causa, ma devono essere consumati perché da essi il nostro fisico ricava i
nutrimenti necessari. Dobbiamo evitare il terrorismo alimentare, l'ignoranza, la sostituzione del prodotto ricco con quello
scadente, nella falsa idea che sia più sano, e dall'altro lato essere rigorosi e attenti a tutelare la sostenibilità ambientale».
di Eloisa Gilardoni
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