Leggi il testo di Federico Sardella

Download Report

Transcript Leggi il testo di Federico Sardella

In un’isola che non c’è
di Federico Sardella
Carlo Duina è un attento, silenzioso osservatore. I suoi occhi limpidi sembrano spesso
guardare altrove, o sfiorare appena la superficie delle cose, mentre in realtà registrano e
trattengono molti più dettagli di quanto solitamente non accada. Occhi vigili e cauti che,
nella vita come nell’arte, lambiscono con un certo distacco la visione d’insieme,
trascurando il superfluo, per concentrarsi sul particolare.
Gli occhi di Carlo Duina, ben consapevoli delle proprie potenzialità e dei propri limiti, vista
l’abbondanza e la possibilità d’uso delle forme che ci attorniano, non disdegnano così
d’essere aiutati nella loro continua operazione di scandaglio e selezione di tale
disponibilità formale avvalendosi dell’ausilio del più classico strumento di raccolta prima
dei dati: un taccuino per gli appunti. Non certo un quadernetto qualunque, ma uno analogo
a quelli usati in passato da artisti come Henri Matisse e Vincent van Gogh o scrittori quali
Oscar Wilde ed Ernest Hemingway che, anche fuori dallo studio e lontani dal loro tavolo
da lavoro, magari per la strada o seduti in un caffe di Parigi, si servivano di tale prezioso
alleato per evitare che un’idea, un’immagine, un’impressione o un’espressione andassero
irreversibilmente perdute. Esplicitamente realizzato partendo dal modello del libretto per
appunti che adoperava Bruce Chatwin e che immancabilmente portava con sé durante i
suoi viaggi, un taccuino Moleskine accompagna sempre anche Carlo durante i suoi
frequenti spostamenti. Se per Chatwin (al quale si deve anche il nome Moleskine –
letteralmente: pelle di talpa), come lui stesso ha affermato e scritto, smarrire il passaporto
durante una trasferta era l’ultima delle sue preoccupazioni ma perdere un taccuino
sarebbe stata una catastrofe, credo che lo stesso valga anche per Carlo Duina che, come
un esploratore d’altri tempi, difficilmente si separerebbe dal suo sketchbook e restarne
privo equivarrebbe a una sciagura, tanto è prezioso.
I recentissimi lavori di Carlo Duina parte della serie “Presenze” nascono, si sviluppano e si
nutrono proprio di quegli appunti veloci che solo un album per schizzi di piccole dimensioni
può accogliere. Le sue dimensioni ridotte consentono infatti all’artista di operare
indisturbato e con facilità nelle spiagge del Lago di Garda che è solito frequentare da
sempre, come Sirmione, Padenghe, Barbarano o Pisenze, così come in quelle di Camogli
o dell’isola di Linosa, dove, con una matita appuntita, abbozza un primo eidotipo di ciò che
andrà a riportare poi su carta o su tela. I soggetti femminili oggetto dei suoi rilievi sono
scelti per la teatralità delle loro pose e vengono privilegiate figure scomposte ma a loro
agio, seminude e senza pudori e, sopra tutto, ignare di essere riprese. Se Carlo Duina
adoperasse una macchina fotografica o un cellulare per catturare le sue prede
rischierebbe una denuncia, o il linciaggio forse. Così facendo ha invece modo di
individuare prima, osservare poi e sfiorare infine, con la matita che scorre sulla carta, i
corpi che più lo attraggono. Affascinato dalla scomposizione e dall’impudica scompostezza
di queste donne, le ritrae velocemente, eppure il tempo che impiega, a volte, implica che
cambino posa, che si alzino per andare a farsi un bagno o che, inevitabilmente,
scompaiano, comportando che l’appunto resti incompiuto. Senza allontanare l’artista dal
suo punto di mira, l’eventuale manchevolezza di certe parti dell’intero è perfettamente
funzionale alle sue esigenze, tanto che alcuni di questi schizzi vengono poi riprodotti sulla
carta, con le tecniche più varie, o sulla tela, con i colori ad olio. Basti vedere, a tal
proposito, alcune delle opere riprodotte nelle pagine di questo catalogo, dove le
inconsapevoli protagoniste risultano ancora più seducenti e ambigue proprio grazie al
modo in cui sfuggono alla realtà, seppur da questa sono state ispirate. In alcuni casi si ha
l’impressione di osservare dei particolari ripresi a margine, per poter essere meglio
precisati, che confermano la capacità dell’artista di rendere la memoria delle forme della
carne e dei corpi attraverso pennellate limpide, che li circoscrivono sino a renderli
oggettivi.
Questo ciclo di lavori, così proposti tutti assieme, rendono la mostra di Carlo Duina
un’isola alla quale si può accedere solo scalzi, così da essere immersi, almeno in parte,
nel contesto di origine delle presenze che abitano le sue opere. Il pavimento dello spazio
espositivo rivestito di uno spesso strato di sottile sabbia, consente allo spettatore di
abbracciare e sentire le presenze tratteggiate, incise o dipinte, fino a sentirle proprie.
Presenze tutt’altro che avare, abbondanti nelle curve, morbide nel loro sfacelo carnale,
trionfanti al punto da contrastare ogni vuoto od ostacolo, divenendo, a volte, esse stesse
paesaggio. Presenze che ritornano, attentamente individuate fra in numerosi possibili
disegni preparatori, riprodotte più volte. Da uno stesso abbozzo possono infatti nascere un
gruppo di opere, di dipinti sempre diversi o di monotipi, nei quali è evidente la maturità
delle composizioni e la strumentalizzazione delle figure sapientemente rapportate alle
forme, spogliate ed essenziali. Presenze che affiorano da un piano limitatamente
variegato in profondità al punto che paiono muoversi in superficie, come fossero sospinte
all’insù dal fondo o parti di paesaggio metafisico fatto di corpi isolati, adagiati nel tepore
della sabbia, riscaldati dai raggi del sole.