CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016

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Non si compra,
non ci comprano.
SAPER VIVERE LA GRANDE NAPOLI
Anno XI - numero 4 - ottobre/novembre 2016
distribuzione gratuita
Don Antonio, classe ‘37,
nel suo ufficio di via Filangieri
Comitato per
il mandoliNO
Nel caos di questi tempi referendari, in un tripudio di urlanti comitati
per il Sì e per il No, noi abbiamo scelto il nostro eroe costituente
www.chiaiamagazine.it
IUPPITER EDIZIONI
OBLÒ
Confronto tra popoli
Caro direttore,
ho dato prova della serietà del
popolo giapponese già nel mio
articolo di maggio-giugno
2015. Mi tocca farlo di nuovo
per motivi più gravi, tristi e
spiacevoli.
L’isola del Giappone si è staccata dalla costa orientale asiatica per immense forze di
spostamento dei fondali oceanici e per la subduzione della
placca delle Filippine. Se ciò
non bastasse si trova in una
delle sezioni più attive delle
“cintura di fuoco” del Pacifico,
sede di intense attività vulcaniche. Per questi motivi il Giappone è sede di circa 400
terremoti al giorno di varia intensità e qualche Tsunami non
si fa attendere troppo.
Dopo il grande terremoto di
Kanto del 1 settembre 1923, che
provocò oltre 100.000 morti, fu
messa da parte la Commissione Imperiale che si occupava
della sicurezza della popolazione e fu creato l’Earthquake
Research Intitute con geologi,
ingegneri, vulcanologi e sismologi, nella cui sede, presso l’Università di Tokyo, è vietato
l’ingresso ai politici, parenti di
politici, amici di politici, fanfaroni, palloni gonfiati e palazzinari. Così, in meno di 100 anni,
l’edilizia ha rispettato i canoni
tecnici che prevedono, tra l’altro, molle e cuscinetti sotto gli
edifici, accorgimenti che assecondando i movimenti ondulatori e sussultori dei sismi,
proteggono gli edifici e i loro
occupanti. Questi ultimi poi,
128 milioni su più di 6000 isole
(il che non facilita) con 108
vulcani attivi (il che non aiuta),
ben addestrati, sin da piccoli
nelle scuole, seguono diligentemente semplici regole di evacuazione e di sicurezza.
Veniamo al confronto: non ce
lo meritiamo, ma grazie a una
forte raccomandazione il buon
Dio ci ha fornito una bella penisola con rischio sismico inferiore al Giappone; qualche
faglietta sull’Appennino e una
decina di vulcanelli attivi. Poi,
però, a ragion veduta, ha posto
il pericolosissimo Vesuvio vicino Napoli, per i noti demeriti
di noi napoletani. A tale proposito sappiate che, per il fax non
funzionante dei Carabinieri di
Rieti, il Padreterno non è stato
messo al corrente del napoletano M.M., sciacallo deplorevole, che stava rubando in una
casa sfollata di Amatrice, altrimenti il “tappo” del Vesuvio
avrebbe fatto bene a toglierlo.
Dal terremoto di Messina
(1908, 120.000 morti), i 100
anni di tempo li abbiamo avuti
ma in pratica non abbiamo
fatto quasi niente, se non molte
parole, altrettante chiacchiere e
miliardi di tasse e accise buttate al vento. Risultati: Giappone, 25 marzo 2007
magnitudo 6+: 1 morto. Italia,
24 agosto 2016, magnitudo 6.0:
oltre 290 morti.
MARIO FAIDO
(2)
LIBRI, ARRIVA «UN GIRO DI TASO»
È partita il 20 ottobre 2016 al Baik
American Bar, a via Aniello Falcone 372,
la rassegna «Un giro di Taso», iniziativa
di book-crossing ideata da Tommy Totaro
in collaborazione con Iuppiter Edizioni.
Gli appuntamenti di «Un giro di Taso» si
tengono tutti i giovedì a partire dalle
21.30 e prevedono oltre allo scambio di
volumi, la presentazione di un libro
curata da un giornalista o da un critico
letterario, il dj-set con la musica di
Tommy Taso e l’arte di creare cocktail del
barman Massimiliano Boskini.
«Un giro di Taso», riprendendo un format
già sperimentato a Parigi e e Madrid, è
nato per diffondere la cultura della
lettura e riempire la movida di libri,
raccontando storie letterarie e
sorprendenti tra sorsi di Moscow Mule e
la migliore cosmic music del momento.
La rassegna rientra nel piano di «Invito
alla lettura» che Iuppiter Edizioni ha
lanciato due anni fa con la campagna
«Più librerie e meno pensiero fritto» e
continuerà a promuovere attraverso idee
che possano convincere sempre di più i
giovani «a cibarsi di letteratura e poesia».
Editoriale
Bullismo, tolleranza
SUPER ZERO
Dopo gli ultimi drammatici suicidi di donne
che hanno visto la loro vita esposta al ludibrio e allo
scherno su internet ed una terza (alunna di un istituto superiore) che
rifiuta di tornare a scuola per gli stessi motivi, mi domando se il degrado
morale culturale nel quale si trova l’Italia non sia forse il passaggio di un’epoca. Un
passaggio tristemente a vuoto. La realtà di un’Italia che forse non ha mai avuto una
classe dirigente all’altezza delle sue funzioni, solo demagoghi, lestofanti e folle manipolate; a
tutto ciò si aggiunge un’altra orribile realtà: la guerra fra bande camorristiche. Poi, ironia della
sorte, anime belle scoprono che nelle scuole italiane esiste il bullismo. In classe durante le ore di
lezione ragazze e ragazzi di dodici, tredici, quattordici anni importunano i compagni, li fotografano con
i cellulari, bivaccano in classe, minacciano i più fragili, molestano gli insegnanti, specie coloro che
vorrebbero la disciplina e il rispetto verso le istituzioni e gli stessi alunni. Inoltre - e questo è l’aspetto
più raccapricciante - condividono tutto ciò nella infinita rete dei social affinché altri possano vedere
quelle umiliazioni con il pericolo che altri minidelinquenti possano, per vanità, emulare le stesse
violenze. Bulli sempre sicuri dell’impunità. E i nostri politici? Quali misure hanno pensato per
fermare la deriva bullista? Niente, si perdono in inutili scontri verbali. C’è qualcuno che spolvera
un vecchio slogan americano: tolleranza zero. Bene, qui da noi ci vorrebbe tolleranza super
zero. Quando andavo a scuola e compivo qualcosa di sbagliato, i miei genitori con
sguardo severo mi dicevano: “Passati la mano sulla coscienza”. Penso che, oggi,
tutti noi dovremmo metterla la mano sulla coscienza: famiglia, magistrati, insegnanti, intellettuali, giornalisti e politici. Beninteso:
sempre che possediamo ancora una coscienza.
Aurora Cacopardo
n u m q u a m
SAPER VIVERE LA GRANDE NAPOLI
Anno XI - n. 4 - ottobre/novembre 2016
Direttore responsabile
Max De Francesco
Caporedattore
Laura Cocozza
h o r u m
l u x
Redazione
Livia Iannotta, Lidia Girardi
Reg. Tribunale di Napoli n° 93 del 27 dicembre 2005
Iscrizione al Roc n°18263
© Copyright Iuppiter Group s.c.g.
Tutti i diritti sono riservati
Progetto e realizzazione grafica
Fly&Fly
Per comunicati e informazioni:
[email protected]
pagina 3
Primo Piano
Associazioni civiche in campo:
Villa Comunale, appello a Franceschini.
pagina 4
Il Paginone
Intervista a Francesco de Giovanni:
«Baretti sì, ma non così».
pagina 6-7
Il Caso
Esce il libro-rivelazione di Altamura:
Moro, la verità sulla borsa di segreti.
pagina 8
Quartierissime
Emergenza ambiente:anche a Chiaia
i cassonetti a scomparsa.
pagina 9
Storie&Imprese
Ritratti e interviste a Cristina Portolano,
Alberto Boccalatte, Angelo De Negri,
Marco Borrello, Marco Mansueto,
Alfonso Cerrato.
pagina 13-20
Saper Vivere
Facenight 2016, consegnati allo S’move
gli oscar della movida.
pagine 21
Napoletanario
Anatomia dei detti tra saggezze,
curiosità e inesattezze.
pagina 27
c e d e t
Società editrice
IUPPITER GROUP S.C.G.
Sede legale e redazione:
via dei Mille, 59 - 80121 Napoli
Tel. 081.19361500 - Fax 081.2140666
www.iuppitergroup.it
Stampa
Centro Offset Meridionale srl - Caserta
Don Antonio «’o gioiello»,
l’eroe contro la dismisura.
Chiaia Magazine vive
grazie alle inserzioni
pubblicitarie. Non è
il foglio di nessun
partito o movimento,
ma una libera tribuna
che resta aperta grazie
alla passione estrema
e alla tenacia di un
gruppo di giornalisti.
Responsabile area web
Massimiliano Tomasetta
Pubblicità (Tel. 081.19361500)
Michele Tempesta (392.1803608)
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
Si ringraziano Carlo Fontanella per la
consulenza grafica e l’Archivio Ruggieri.
L’EDITORIALE
L’eroe contro la dismisura
Max De Francesco
All’inizio di via Filangieri, almeno
una volta a settimana, appostato
vicino a un tabellone pubblicitario, tra
due gioiellerie, sia che il sole sia a
picco o a picche, c’è un mandolino. Un
mandolino, forgiato nella mitologica
fabbrica dei Calace a piazza San Domenico Maggiore, che non suona ma
ondeggia tra le mani lunghe come
decumani di don Antonio, che non
parla ma tratteggia sorrisi con lo sguardo tenacemente a terra. L’uomo,
munito di un cappello azzurro come il
mare pomeridiano di Santa Lucia, ha
una giacca che non indossa ma sdossa,
così slargata che sembra essere appartenuta a un antenato di Efesto, e pantaloni cascanti in cui danza, presi a
caso dall’armadio di un nomade
Pierrot. Non porta scarpe, ma quelle
che vediamo sono ciabatte modificate,
dovute a piedi giganteschi e resistenti
come quelli degli hobbit perché, alla
fine del quadro, don Antonio oltre a
essere fuoriuscito da un sonetto di
Viviani e vissuto in un cantuccio del
Pentamerone, ha camminato, amato e
suonato anche nella Contea di Tolkien.
In una di quelle torbide mattine in cui
tutto appare irraggiungibile, il passo
cede alla titubanza, la scimmia della
malinconia non molla la spalla e la
convinzione di aver sbagliato vita e via
s’incaglia tra gli scogli dell’anima
come uno rangio fellone, incontrare
don Antonio, lì al solito posto, armato
di «peretta», come usano chiamare il
mandolino gli artisti della posteggia, è
speranza viva, visione rigenerante,
attimo di felice dimenticanza, giro nel
giardino dei semplici, opportunità di
ritrovarsi e ricredersi.
Ed è in una di queste mattine in cui
cammini col buio che prendi l’unica
decisione giusta degli ultimi tempi:
ignorare il prossimo appuntamento e
fermarti vicino a quest’uomo, venuto
dallo spazio antico, non solo per donargli il sacrosanto obolo di riconoscimento per l’esecuzione garbata di
Cicerenella, ma per ascoltarne la voce e
un cunto, rubarne il senso della misura
e prendere lezioni d’umiltà. Gli do a
parlare senza forzare. Vengo a sapere
che è del ‘37, figlio della Sanità: «Giuvinò song’ de’ Funtanelle, ma da ‘nu
secolo vivo a Casoria», mi dice masticando parole come foglie di tabacco.
Farfuglia come gli oracoli, raggiunge
Napoli «co’ ‘o pullmàn per suonare e
fare arrangiamenti», mai senza una
busta celestina dove custodisce una
bottiglietta d’acqua naturale e mezzo
sfilatino con prosciutto cotto.
A sera adora un piatto di verdura
bollita e «‘n’ombra amica ‘e vino». Il
suo itinerario di chansonnier vesuviano prevede via Filangieri, via Vittorio
Imbriani («al fresco, addo sta ‘o mercato, quando qua fa troppo calore»),
un’arrampicata ai Quartieri Spagnoli,
metà via Toledo e un tratto della Riviera. «Quanno teng’ ‘a sustanza m’faccio
pure i ristoranti del Borgo», mi dice
battendo con orgoglio le dita sul corpo
lucente del mandolino. Una gracile
signora del Triveneto gli chiede cortesemente se può fotografarlo: lui conosce già la posa della leggenda e, di
scatto, raddrizza il collo, imbraccia lo
strumento, finge un accordo e recupera un sorriso. Prima di lasciarlo a quel
suo mestiere così ancorato al mito e
destinato, anche in una città nemica
del progresso come Napoli, a dissolversi col tempo, gli domando se ha un
soprannome, mia curiosità di matrice
marottiana. Don Antonio mi guarda
interdetto, scuotendo la testa e ritornando con gli occhi per terra.
Nel riprendere la via del lavoro, ripercorro mentalmente l’antologia dei
posteggiatori partenopei - da Giuseppe
«‘o zingariello» a Pascale «‘o piattaro»,
da Mimì «manella d’oro» a Ciccio «‘o
conte», da Vincenzo «‘a radio» ad
Antonio «‘o cecato»,- così zeppa di
musicanti e musicisti che non suonarono mai Bach né Schubert ma sciolsero le guerre con il pentagramma
della canzone popolare tra osterie e
vichi senza fondo, insieme a nomi di
battaglia. Non ce ne voglia don Antonio, mandolinista nel mezzo di due
gioiellerie di Chiaia, hobbit delle Fontanelle, ma d’ora in poi sarà, per quel
suo ufficio tra preziosi, don Antonio
«‘o gioiello». Nella babele di questi
tempi referendari in cui proliferano
comitati per il Sì e per il No alla riforma
costituzionale, spesso animati da
figure catacombali tremedamente
impegnate in dibattiti da tinello, siamo
orientati a chiedere asilo al Comitato
del Mandolino. Qui non si discute di
derive autoritarie né si sponsorizzano
finte città ribelli; qui ci sentiamo protetti dai sermoni tritapalle sulla democrazia consociativa e dai fiumi di
parole di soloni e salami sulla necessità
del cambiamento. Qui è bandita la
terapia della bugia e non c’è bisogno di
amplificare il suono. Al presidente
dell’immaginario comitato, il nostro
don Antonio «’o gioiello», eletto a sua
insaputa pochi attimi fa, chiediamo di
farsi vedere a Chiaia con più frequenza. È lui l’uomo copertina, l’eroe costituente contro la dismisura, lo spaesamento, la corsa al saccheggio. In questo momento è l’unico che possa
riscrivere una Costituzione sincera e
«accordata». Ma a lui, ne siamo certi,
tutto questo rumore non interessa.
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(3)
PRIMO PIANO
ASSOCIAZIONI CIVICHE IN CAMPO: PETIZIONE CONTRO IL DEGRADO
Villa Comunale, appello a Franceschini
Livia Iannotta
Chissà cosa direbbe monsieur Dumas nell’attraversare
il giardino che, in un passato
certo più glorioso, aveva
incensato come «la più bella
e la più aristocratica passeggiata al mondo». La Villa
Comunale è una ferita che
l’amministrazione guarda
sanguinare. Da anni perde
appeal, si fa terra di nessuno,
viene spogliata del verde
sotto gli sguardi indignati dei
comitati civici. Sit-in, denunce, faccia a faccia non sono
serviti che a gonfiare un’ondata di indignazione. Ora,
l’ultima manche di una delle
battaglie più care all’associazionismo fa capo dritto al
ministro dei beni culturali
Dario Franceschini e all’Unesco. E si materializza in un
dossier che possa portare
direttamente all’attenzione
delle istituzioni nazionali e
internazionali lo stato di
degrado in cui versano la Villa
e i beni culturali, artistici,
architettonici e botanici in
essa contenuti. I due sabati di
raccolta firme (il 15 e il 22
ottobre a piazza Santa Caterina) per la petizione lanciata
dalle associazioni Progetto
Napoli, CambiaMò, Cittadinanza Attiva, Assoutenti, in
collaborazione con il Fai
Campania, hanno incassato
oltre duemila adesioni e come sottolinea Antonella
Pane, presidente di Progetto
Napoli - «hanno dimostrato
una proficua sinergia delle
associazioni del territorio».
Dito puntato, come sempre,
contro l’incuria e i lavori che,
nell’intento di adeguare la
Villa alle strutture di mobilità
in costruzione, la stanno in
realtà trasformando lentamente in un monumento al
degrado. E il dossier è un
memorandum esemplare
delle criticità e degli interventi più urgenti: la Cassa armo-
(4)
«Bambini, attenti alla Casina»
Un anno fa salutavamo con un pizzico
di scetticismo (e un’implicita buona
dose di speranza) la notizia dell’apertura
alla Casina del Boschetto di un “Museo
del Mare”, grazie alla concessione di
quella che fu casa “luxury” della stampa
fino al 1999, alla stazione zoologica
Anton Dohrn. Inutile dire che, nonostante le buone intenzioni, l’edificio
razionalista progettato nel 1948 da Luigi
Cosenza è ancora preda dell’abbandono.
Anzi, «una bomba atomica nel cuore di
Chiaia». A dirlo è il neopresidente della I
Municipalità Francesco de Giovanni,
che, interessato a fare luce sulla questione, ha messo tra le priorità in agenda il
caso. «Quell’edificio rappresenta un
reale pericolo - commenta -. Se un bambino che gioca in Villa si avventura là
dentro corre il serio rischio di ferirsi. È
una vergogna, un gioiello ormai ridotto
a un covo per clochard».
Facendo un passo indietro: il protocollo
d’intesa, stipulato a luglio 2015, prevede
la creazione di un polo espositivo, il
trasferimento della nutrita biblioteca
della Stazione Zoologica (5 chilometri di
libri, oggi inaccessibile causa amianto),
l’apertura di un turtle point, di un’area
per bambini da destinare a una summer
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school sul tema mare e di una sala conferenze, nonché la ristrutturazione e
l’ampliamento dell’acquario. La previsione (decisamente troppo ottimistica)
per la fine dei lavori era il 2016. Il costo:
circa due milioni di euro, che si sarebbe
accollata la Stazione Zoologica. Al di là
delle lungaggini, di sicuro, per il momento, ci sono solo i numeri del degrado: sedici anni di restauro fantasma, un
cantiere perenne, fondi sciupati e la
vena artistica dei writers sfogata senza
criterio sulle mura dell’edificio.
nica di Enrico Alvino ridotta a
un gazebo e privata dei vetri
bicolore che ne ornavano la
corolla nel rispetto del codice
Urbani; il restauro e il riposizionamento della Statua di
Apollo e del sedile di piperno;
il restauro della Casina pompeiana; l’eliminazione della
cabina ascensore per i diversamente abili poste all’interno della Villa che ne deturpa
il paesaggio in presenza di
rampe di accesso alla Villa per
i diversamente abili, site in
corrispondenza dell’ingresso
di San Pasquale; il ripristino
del verde e la salvaguardia
delle rarità botaniche; la
chiusura dei cantieri per i
pozzi di aereazione; il ripristino del viale settecentesco e
l’impianto ottocentesco della
Villa; la sostituzione dei
materiali usati per il calpestio
e la manutenzione delle
fontanelle; l’eliminazione dei
baffi alla scogliera come
richiesto dalla Soprintendenza; il controllo sull’operazione “Monumentando” e sui
termini di riconsegna dei
monumenti sottoposti a
restauro.
Intanto i tentativi di dialogo
con l’amministrazione continuano. «Il 18 ottobre - racconta Pane - si è riunita la
Commissione Ambiente del
Comune, incontro al quale
non eravamo stati invitati e a
cui ho preteso di essere presente. Si è discusso in particolare dei problemi arborei
della Villa con il vicesindaco
Raffaele Del Giudice. Ma di
fronte ai continui rimpalli di
responsabilità e alla mancanza di trasparenza (che qualche anno fa mi spinse a
organizzare una conferenza
stampa dal titolo emblematico “Il Palazzo di vetro opaco”)
aspettiamo un incontro
congiunto, oltre che con Del
Giudice, anche con gli assessori Mario Calabrese e Carmine Piscopo».
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(5)
IL PAGINONE
INTERVISTA AL PRESIDENTE DELLA PRIMA MUNICIPALITÀ
Baretti sì, ma non così
Francesco de Giovanni detta le linee guida della sua azione governativa:
da una movida più sicura al recupero di Pizzofalcone e altri itinerari turistici
Livia Iannotta
Regolamentazione del quadrilatero
della movida, ripristino della vivibilità del
quartiere e poi tanto turismo, cultura,
valorizzazione dei beni architettonici.
Restituire al quartiere il giusto appeal è il
mantra di un mandato oltre che una
necessità. Il neogoverno di Chiaia si è
insediato da qualche mese e l’agenda del
presidente della I Municipalità Francesco
de Giovanni di Santa Severina,
è zeppa di cose da fare.
Bancario, classe ‘64, già alla Municipalità
come consigliere per poi prendere il volo
politico alla Provincia di Napoli come
consigliere e assessore, de Giovanni
prende le redini di Chiaia-Posillipo-San
Ferdinando dopo i 15 anni del governo di
Fabio Chiosi. E forse, mentre resta ancora
nebbiosa la formazione che verrà schierata in giunta, proprio all’ex vertice della
Municipalità potrebbe andare uno degli
assessorati: si parla insistentemente della
delega alla Manutenzione. Voci di corridoio piazzano poi nella rosa dei nomi
(6)
LA NOTA
Nel segno della
trasparenza è possibile
seguire la vita
amministrativa della
Municipalità I, con
sede a piazza S. Maria
degli Angeli a
Pizzofalcone,
collegandosi alla
pagina del sito del
Comune di Napoli:
http://www.comune.na
poli.it/municipalita_1chiaia_posillipo_san_f
erdinando.
Qui, oltre ai resoconti
delle assemblee
consiliari e a una
bacheca riservata al
cittadino, sono elencati
i numeri utili per
mettersi in contatto
con l’area tematica che
più interessa.
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“papabili” anche Gianluca Muscettola, a
cui potrebbe essere destinato l’assessorato all’Ambiente, e Giovanna Mazzone,
probabile vicepresidente con delega alle
Politiche sociali. È proprio il nodo Giunta che tiene ancora in stallo l’azione
governativa.
Presidente, ancora non ci sono i nomi?
«Ho già fatto le mie scelte, ma preferisco
non anticiparle in via ufficiale. Per gli
Affari generali ho in mente un nome che
è una garanzia. Di certo posso dire che
oltre alle deleghe assegnate, ne affiderò
altre ad esterni. Saranno degli esperti
che daranno gratuitamente il loro contributo su alcune tematiche particolari,
come le Pari opportunità e la Movida».
Qualche figura dell’associazionismo?
«Può darsi. Ho un grande rispetto per il
lavoro delle associazioni civiche. Sto
pensando di realizzare alla Municipalità
una “Casa delle associazioni”, in cui il
cittadino attivo potrà confrontarsi con
me, con la Giunta e con le Commissioni
per i problemi del territorio».
Quante volte si è riunito il Parlamentino di Chiaia e cosa è stato deciso?
«Vorrei prima di tutto chiarire che il
numero dei Consigli non è determinante
per il miglioramento della vivibilità del
quartiere.
Dopo le elezioni ci siamo riuniti ad
agosto per un primo consiglio di insediamento e poi a settembre. Nell’ultimo
incontro abbiamo eletto le Commissioni,
tutte votate all’unanimità: sono otto più
la Commissione Trasparenza che ho
affidato all’opposizione, a Benedetta
Sciannimanica. Per quanto riguarda i
presidenti delle altre: la Commissione
Ambiente è presieduta da Mimmo Addattilo, Turismo e Cultura da Iris Savastano, Attività produttive da Diego D’Alessio, Politiche giovanili da Federico Manna, Manutenzione e Urbanistica da Anna
Bruno, Politiche sociali da Vito Gagliardo, Mobilità da Francesco Salerno, Scuola da Alberto Ruffolo».
Si prepara a cinque anni alle redini di
un organo che ha tra i suoi limiti maggiori il decentramento mai attuato...
PIAZZA DEL PLEBISCITO,
LA VERGOGNA DEI LOCALI CHIUSI
Lidia Girardi
«Un decentramento inattuato e inattuabile, che vedrebbe le Municipalità dotate di autonomia finanziaria. In base alla
normativa che disciplina l’ente Città
Metropolitana, una volta approvato lo
Statuto il Comune avrebbe dovuto
emanare una delibera per dotare le
Municipalità di autonomia amministrativa e di un bilancio proprio, il che
renderebbe le Municipalità dei piccoli
Municipi, mentre il Comune perderebbe in parte potere. Chiaramente de
Magistris non attuerà mai uno stravolgimento di questo tipo. Il problema è che
la mancanza di autonomia finanziaria
rappresenta un limite notevole nell’azione sul territorio. Ma per qualsiasi
intervento sono intenzionato a dialogare con il Comune, quello che mi interessa è solo il bene del quartiere».
Cosa intende realizzare nel corso del
suo mandato?
«Oltre agli interventi urgenti, come la
manutenzione delle strade, una maggiore videosorveglianza e il rilancio del
commercio, in cinque anni mi prefiggo
di realizzare progetti di riqualificazione
di siti in abbandono o poco valorizzati.
Intendo creare itinerari turistici per
invogliare a scoprire i luoghi di interesse
storico-culturale presenti nella Municipalità. Un mio chiodo fisso è il recupero
di Pizzofalcone: è lì che è nata Napoli,
c’è il suo fulcro più antico ed è una
vergogna che non ci sia nulla a ricordarlo, neppure una targa. Piazzetta Marechiaro verrà sgomberata dai cassonetti e
dalle auto e diventerà area pedonale. A
Natale ospiterà i mercatini, durante il
resto dell’anno sarà spazio per manifestazioni da realizzare in sinergia con i
privati. Penso anche a San Ferdinando: i
vicoletti dei Quartieri che salgono da via
Roma devono diventare stradine turistiche che restituiscano il senso del folklore. Ho a cuore, poi, la riqualificazione
del campetto del Molosiglio, abbandonato inutilmente e preda di chiunque da
troppo tempo. Per questo ho lanciato
un bando di gara, già presentato in
Consiglio e votato da tutti con l’astensione dell’opposizione, destinato ai
privati che lo rimettano a nuovo e lo
gestiscano per 5 anni coinvolgendo
scuole e associazioni con varie attività».
Una delle questioni che a Chiaia scotta
di più è quella sui baretti…
«La movida è un aspetto centrale del
quartiere e ben venga che l’economia
venga messa in moto e alimentata da
locali e ristoranti. Ma devono regolamentarsi. Non è pensabile che in pieno
centro abitato le attività possano fare
schiamazzi e baccano fino all’alba
disturbando in maniera insostenibile i
residenti. Alcuni sono arrivati al limite,
svendendo le case e andandosene. Il
rispetto delle regole è fondamentale e
che non si possa disturbare oltre mezzanotte e mezza non è una decisione presa
dal Comune, ma ovunque riconosciuta.
Se i locali vogliono restare aperti anche
dopo l’orario consentito possono farlo
senza problemi, ma negli ambienti al
chiuso. C’è da aggiungere poi che nel
weekend e soprattutto nelle ore più
tarde, si crea un ambiente poco sicuro,
infrequentabile. Baretti sì, ma non così».
In ogni caso sembra che la zona sia
abbastanza controllata dalle Forze
dell’ordine.
«Sì, sono stati intensificati i controlli
dopo gli svariati episodi di violenza
accaduti in zona baretti e per prevenire
altri incidenti».
E per quanto riguarda il problema dei
parcheggiatori abusivi?
«Anche in questo caso c’è da regolamentare. L’obiettivo è riprendersi la
città metro dopo metro, un passo alla
volta».
Sui mercatini natalizi può già dirci
qualcosa?
«La mia idea è quella di riempire il
quartiere di mercatini. Casette in legno
tutte uguali nell’estetica ma differenziate a seconda della varietà merceologica,
sempre in linea con la finezza del quartiere. Tengo a dire che, grazie anche alla
spinta del presidente della Commissione Attività produttive Diego D’Alessio,
stiamo cercando di organizzare un
Natale che possa piacere sia ai residenti
che ai turisti. Tra i luoghi in cui verranno
posizionati i mercatini: i giardini del
Molosiglio, piazzetta Marechiaro, via
Santa Lucia, largo Sermoneta, piazza
San Pasquale, piazza Mercadante, piazza Salvatore di Giacomo, via Galiani».
Ci guardiamo intorno, camminando per le vie di questa città,
e ci rendiamo conto che il numero di turisti è aumentato esponenzialmente; qualcuno dice si tratti di una fortuna inconsapevole: Napoli costa poco, il pericolo di attentati terroristici sembra non essere particolarmente avvertito e poi c’è il mare, la
pizza e, con un po’ di fortuna, anche il sole. Caso strano, però, i
turisti sono quasi tutti rivolti solo al Centro storico della città e
sono pochi, pochissimi quelli che dopo aver visitato il Monastero di Santa Chiara e passeggiato per San Gregorio Armeno
giungono fino a piazza del Plebiscito per avventurarsi a vedere la
meravigliosa chiesa di San Francesco di Paola. Se riescono e
giungono fin qui, quasi sempre trovano la chiesa chiusa (non ci
si spiega come sia possibile che una tale bellezza cittadina non
sia costantemente accessibile, ma questa è un’altra storia) e
passeggiando sotto il colonnato noteranno un’altra stranezza
tutta partenopea: i negozi che affiancano San Francesco di Paola
sono tutti sbarrati, tra di loro un unico coraggioso resiste a
questa solitudine commerciale, La Lumière di Maurizio Crispino, raffinato artigiano napoletano. Ma come mai di una zona
così centrale e storicamente importante di Napoli non se ne
ricorda più nessuno eccetto che per le manifestazioni di ogni
tipo che la rendono impraticabile quasi tutti i weekend? Come è
possibile che quei locali siano chiusi e ormai abbandonati da
anni? La faccenda è strana: il 2 maggio del 2014 la Prefettura di
Napoli emana un avviso per una manifestazione di interesse alla
locazione dei locali e, nel documento, stabilisce anche il valore
degli stessi, udite udite, 8 euro al metro quadro. Un’occasione
ghiotta, un prezzo favorevolissimo nel cuore della città. Valore
aggiunto una recente ristrutturazione dei sei negozi che si
intendono affittare. Nello stesso documento, a firma della Prefettura, si specifica che questi spazi sono di proprietà del Fondo
edifici di Culto che appartiene al Ministero dell’Interno e viene
gestito dal Palazzo del Governo. Si stabiliscono le modalità per
partecipare all’assegnazione e i criteri per farlo. E così arriviamo
alla storia più recente: di tutti quei buoni propositi, di tutte
quelle belle intenzioni, di tutte quelle 300 richieste arrivate, non
si è concretizzato niente: le buste di quella manifestazione di
interesse stanno ancora lì, mai evase, come qualcuno le ha
lasciate. Non sono le sole: le porte che sigillano quei locali urlano ancora uno straziante “Apritemi”. Ed è questo l’intento con
cui alcuni cittadini hanno inteso organizzare un flashmob lo
scorso 15 ottobre nella speranza di sensibilizzare quante più
persone possibili nei confronti di questa vergogna tutta napoletana e incitare la Prefettura a muoversi in questa direzione. Già
un anno fa erano state raccolte 1500 firme in una petizione
popolare inviata sia all’Amministrazione comunale che alla
Prefettura ma non c’era stata nessuna apertura, sia burocraticamente che materialmente. Ora, a seguito della lodevole iniziativa cittadina, è auspicabile un incontro con il Prefetto, nell’attesa
che stavolta si concretizzi qualcosa.
La Villa Comunale intanto sprofonda
nel degrado...
«Le condizioni della Villa sono imbarazzanti e vergognose. Dobbiamo agire per
riportare il giardino borbonico alla sua
bellezza originaria. Mi batterò per questo. È impensabile, ad esempio, che ci
sia un solo addetto alla pulizia. Da parte
della gente, comunque, c’è la voglia di
fare qualcosa di utile per il territorio e io
mi avvarrò di queste volontarie “sentinelle dell’ambiente” per recuperare i
luoghi sfregiati della Municipalità».
A Chiaia, e in generale a Napoli, manca
una corretta segnaletica turistica.
«È un problema evidente, già più volte
segnalatomi. Purtroppo non posso
autorizzare alcun intervento, in quanto
la Municipalità ha competenza solo
sulle strade secondarie. E ovviamente
non ha senso se non si interviene in
maniera globale».
CHIAIA MAGAZINE •OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
(7)
IL CASO
L’AUTORE
Giornalista napoletano, Marcello Altamura
lavora al quotidiano “Cronache di Napoli”.
Si occupa da tempo del terrorismo italiano
degli anni di piombo e dei suoi legami con la
realtà sociale e politica dell’epoca, con
l’obiettivo di dare, di quei tempi, una lettura
che ne restituisca una visione più completa e
obiettiva. Nel 2007 è tra gli autori di “Tutti in
piedi per la Carpisa” e nel 2015 ha scritto
insieme a Franco Esposito “Dodici Leoni”.
IL LIBRO
16 marzo 1978. Il blitz che, in via Fani, porta
al rapimento di Moro, presidente della Dc,
da parte delle Br, resta ancora oggi un rebus
difficile da risolvere. Quella mattina andò in
scena un agguato diverso da quello sinora
raccontato, ci furono presenze e
accadimenti che sono stati
inspiegabilmente cancellati dalla scena.
E restano ancora oscure la reale dinamica
dell’agguato e la sua preparazione.
DOCUMENTI INEDITI E RIVELAZIONI SHOCK NEL LIBRO DI ALTAMURA
Moro, la verità sulla borsa dei segreti
Lidia Girardi
«L’equilibrio tra le
crescenti libertà
della società
moderna ed il
potere necessario
all’ordine
collettivo è fra i
più grandi
problemi della
nostra epoca»
(Aldo Moro)
Con la perizia dello studioso e la
dedizione del giornalista, Marcello Altamura si è addentrato in
una delle pagine più fumose della storia del nostro Paese: la strage che si è consumata, in via Fani, il 16 marzo 1978 e ha portato al rapimento del presidente
della Dc, Aldo Moro. Nel suo libro
“La borsa di Moro”, appena pubblicato da Iuppiter Edizioni, ricostruisce i pezzi mancanti di
quella buia mattina romana attraverso testimonianze e documenti inediti.
Prima di quel famoso 16 marzo 1978 quali erano le ansie di
Moro?
Nel 1978 Moro aveva assunto il
ruolo di grande tessitore del governo (compreso il Pci) e muoveva delicati equilibri istituzionali. Il Presidente aveva iniziato
ad essere seguito e di questo era
molto preoccupato anche il Maresciallo Leonardi, a capo della
sua scorta. Leonardi aveva segnalato la presenza di movimenti sospetti e in particolare
la presenza di una Fiat 128 bianca anche sotto casa del presidente della Dc, e aveva denunciato questi fatti sia oralmente
che con una serie di rapporti.
Questi documenti, dopo via Fani, scompaiono e tutte le autorità negano che Leonardi avesse mai segnalato alcun pericolo.
In questo quadro scompare anche una lettera di minacce delle Br, come racconterà il giornalista Mino Pecorelli.
Nel suo libro racconta di come
i percorsi di Aldo Moro subissero continue variazioni. I brigatisti erano a conoscenza dei
diversi itinerari?
Il percorso variava a seconda del
traffico e anche il 16 marzo, come sempre, Leonardi comunica
il percorso scelto via radio. La
mia ricostruzione porta a pensare che al Maresciallo sia arrivata la comunicazione di due
problemi: il primo è un incidente che bloccava via Cassia
Vecchia; il secondo è che in
piazza dei Giuochi Delfici c’erano dei vigili che deviavano il
(8)
traffico. Quella mattina diversi
testimoni videro in strada due
macchine e alcuni poliziotti che
smistavano il traffico.
Due episodi rimasti oscuri che ci
fanno pensare che via Fani, probabilmente, quella mattina fu
per Leonardi una scelta obbligata. E forse i due blocchi del
traffico non erano estranei all’operazione.
Alcuni elementi sulla scena di
via Fani non tornano con quello raccontato nel Memoriale
Morucci. Cosa emerge di nuovo?
Per circa 40 anni il Memoriale
scritto dal brigatista Valerio Morucci è stato considerato lo scrigno della vera storia di via Fani
ma in realtà ci sono due elementi fondamentali che sono
stati sempre tralasciati: il primo
è la presenza di più persone sulla scena della strage, rispetto a
quelle indicate nella ricostruzione ufficiale, oltre ad emergere anche fisionomie diverse da
quelle indicate da Morucci. Il secondo è che venne impiegato
un numero di mezzi superiore a
quello indicato fino ad oggi.
Morucci parla anche delle armi
utilizzate per la strage, ma anche stavolta c’è qualcosa che
contrasta con ciò che era realmente accaduto.
Gran parte dei testimoni parla di
spari a raffica, quindi di persone che impugnavano dei mitra,
invece Morucci asserisce che i
brigatisti hanno sparato solo
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
con le pistole e solo in quattro.
Guardando le foto successive alla strage ci si rende conto che è
improbabile che quattro persone, con le sole pistole, abbiano
potuto produrre una mole di
fuoco così importante.
La difficoltà di trovare una verità assoluta, dopo quasi 40 anni dalla strage di via Fani, ha visto susseguirsi svariate ipotesi
su chi fosse realmente presente quella mattina. Lei a quale
conclusione è giunto?
Una mia fonte riservata, ben introdotta nell’ambiente delle Br
dell’epoca, mi ha fatto presente
che durante le azioni poteva capitare che vi fossero altre persone coinvolte appartenenti alle
Br, ma che di ciò non tutti ne
fossero a conoscenza. Nel libro,
l’ipotesi a cui giungo è che
l’azione non fu eseguita dai
quattro brigatisti, bensì da più
nuclei.
Ritiene che sia possibile che
un’azione studiata così nel dettaglio dalle Br possa aver visto
coinvolti anche forze estranee
a quelle che l’avevano organizzata?
Senz’altro e lo dimostrano anche le parole del brigatista Fiore che asserisce «Quella mattina
c’erano persone che non gestivamo noi». Questo ci conduce
all’ipotesi che forse il commando contava più di 10 /11 persone indicate nella storia ufficiale,
ma al contempo non tutti sapevano né quante persone c’era-
no, né tutti i compiti delegati.
Basti pensare alla famosa motocicletta che compare ad azione conclusa e di cui Moretti dice «Non c’era nessuno dei nostri
su quella moto». Intanto quella
moto scorta l’auto che porta via
il presidente Moro, quindi trovano piena corrispondenza
l’impianto organizzativo dell’azione in via Fani con le parole degli stessi brigatisti.
E allora chi avrebbe coordinato i vari nuclei per uniformare
l’intera azione?
Io credo che chi ha coordinato e
deciso l’azione in via Fani non
aveva a che fare con il “bracciantato brigatista”, per dirla
con Leonardo Sciascia, intervenuto quella mattina.
Si è sempre parlato di un tamponamento tra la 130 di Moro
e la 128 dei brigatisti, ma nel
suo libro smonta questa ipotesi grazie ad una foto. Cosa si vede in quest’immagine?
Quella foto ci fa sapere che la dinamica raccontata da Morucci e
Moretti sarebbe totalmente falsa. Il contatto tra le auto c'è stato e l'ammaccatura che si vede
ne è la prova, ma un contatto
non è un tamponamento. Considerato il peso della carrozzeria
della 130, se davvero avesse
tamponato la 128 avrebbe fatto
rientrare, per l'impatto, il paraurti che invece, ancora oggi,
presenta solo una lieve ammaccatura, questo a conferma del
fatto che ci fu sì un contatto ma
che fu con ogni probabilità dovuto alla perdita di giri del motore della 130 che si fermò “morendo” proprio appoggiando il
muso alla 128.
Il suo libro s’intitola “La borsa
di Moro”. Si tratta di una delle
cinque che il Presidente portava sempre con sé. Perché è così importante capire che fine
ha fatto quella borsa?
Grazie a una testimonianza inedita che ho pubblicato, posso
dire, in anteprima, che la più importante delle cinque borse,
quella in cui, a detta della moglie
di Moro, erano contenuti documenti sensibili, quella mattina
non fu portata via dalle Br.
Morucci sostiene di avere portato via due borse, peccato però che l’unica testimonianza
che viene sempre citata per corroborare questa tesi non parli
mai di una ventiquattrore né di
una borsa di pelle, bensì di una
borsa e di un borsone e non mi
risulta che Moro avesse nella
130 un borsone.
Quindi chi ha preso in custodia quella borsa e chi ha sottratto quei documenti così importanti per la storia politica
del nostro Paese?
Per la prima volta una persona
che era lì quella mattina e che ha
seguito da vicino i fatti, ha deciso di parlare. Ha seguito con i
suoi occhi il destino di quella
borsa e penso che quanto ha da
dire, a quasi 40 anni dalla strage, non passerà inosservato.
QUARTIERISSIME
AMBIENTE: IL PUNTO CON IL CONSIGLIERE MIMMO ADDATTILO
Anche a Chiaia i cassonetti a scomparsa
Lidia Girardi
Resta critica la situazione
ambiente nel quartiere Chiaia,
soprattutto se si considerano gli
esigui spazi di verde e la disastrosa situazione della Villa
Comunale. «La Riviera di Chiaia, piazza San Pasquale sono
zone centrali della nostra città,
sono strade frequentate anche
dai turisti e purtroppo sempre
invase da cumuli di immondizia». Così il consigliere Mimmo
Addattilo (nella foto), neopresidente della Commissione Ambiente della Prima Municipalità.
«Intendo portare avanti un’iniziativa e far diventare una “municipalità campione” la Municipalità 1 attraverso l’installazione di cassonetti a scomparsa,
simili a quelli che si trovano a
piazza Municipio, installati
dall’Asia qualche mese fa».
Indecorose appaiono alcune
aiuole dei rari giardinetti presenti nel quartiere che, per
incuria e inciviltà, sviliscono le
vie del centro. «Come è noto, la
Municipalità non ha abbastanza
fondi per garantire che le aiuole
vengano curate come meritano.
- prosegue Addattilo - Per questo vorrei affidare la gestione
delle stesse a commercianti e
privati: in questo modo loro
possono pubblicizzare la loro
Danza, addio alla stella
Maria Rosaria Tempesta
attività in questo spazio verde e,
secondo un nuovo regolamento
comunale, sistemare anche dei
tavolini. Spetterà a coloro che
adottano l’aiuola annaffiare e
potare le piante».
Sulla questione alberi e sulla
cura del verde, Addattilo ha le
idee chiare: «Tutti sappiamo che
i recenti lavori per la Linea 6
della metro nella Villa Comunale hanno lesionato alcuni alberi.
In questi giorni attendo un
resoconto completo sulla situazione in cui versano alberi e
aiuole del quartiere per poi
decidere che tipo di contromisure adottare. Voglio fare luce
anche sul numero effettivo di
giardinieri e spazzini che si
occupano della Municipalità 1
per poter gestire al meglio
queste risorse, insieme all’Asia,
ed evitare che continui a verificarsi una vergognosa situazione
di immondizia non raccolta fino
al primo pomeriggio, soprattutto - conclude Addattilo - nella
zona della movida durante il
fine settimana».
«121 café», il buon gusto di Chiaia
È volata in cielo in
punta di piedi con
quella leggerezza che
è innata negli artisti
di talento. Maria
Rosaria Tempesta,
l’Etoile, la Stella, la
Maestra di danza
classica più nota del
quartiere Chiaia, si è
spenta all’età di 77
anni, colpita da un
male fulminante. Il
suo calvario è stato
un vero e proprio Canto del Cigno, come ultimo
grande segno di vitalità.
Cresciuta, all’inizio degli anni Cinquanta, nella
scuola di danza classica del Teatro San Carlo,
direttrice la mitica coreografa Bianca Galizia, ha
percorso, passo dopo passo, tutte le tappe di una
brillante carriera, come ballerina e poi come
coreografa dopo aver conseguito l’abilitazione
all’Accademia Nazionale di Roma. Collaboratrice
di Valeria Lombardi e di Zietta Liù, due donne che
hanno fatto la storia della danza e del teatro a
Napoli, ha creato bellissime coreografie che
spaziavano dal classico al moderno, grazie alla sua
sensibilità e alla sua cultura musicale. Ascoltava
per ore e ore le opere dei grandi maestri, da
Mozart a Verdi, da Puccini a Vivaldi, da Rossini a
Stravinsky, da Scarlatti a Tchaikovskj, da Gershwin
a Morricone. Tante straordinarie musiche che
hanno ispirato la sua vena artistica e alimentato il
suo amore infinito per la danza, una passione che
ha coltivato lungo tutto l’arco della sua vita e che
ha trasmesso alle sue bravissime allieve. Addio
Maria Rosaria: che la terra ti sia lieve.
FABIO TEMPESTA
Al Wild Lounge Bar
la musica è d’eccellenza
Si chiama «121 café - one to
one» il nuovo ritrovo del buon
gusto e dei sapori partenopei
che ha aperto nella centralissima via Carducci 23. Il party
inaugurale è avvenuto domenica 9 ottobre in un’atmosfera di
festa tra bella gente, prelibatezze «dolci e salate», prosecchi
sofisticati, cocktail sublimi
(special guest della serata il
bartender Steven Tripicchio) e
musica dal vivo con gli affiatati
Bruno e Michela che hanno
allietato l’evento proponendo
un ricco repertorio vintage.
In un trionfo di deliziosi «assaggi» made in Naples, di pizzette memorabili e cuoppi
sorprendenti di fritturine, chi
ha raggiunto il 121 café per
partecipare all’opening party
ha potuto ammirare i locali
rinnovati con stile luminoso in
cui spiccano l’aerodinamico
bancone con leccornie bene in
vista, le vetrine con i sontuosi
schieramenti di torte dalle
infinite tentazioni e gli ottimi
vini non solo regionali. Se l’idea
del 121 café è divenuta realtà,
arricchendo economia e cultura del quartiere Chiaia, lo si
deve all’intraprendenza di
Franco Morano e Fabrizio
Oliva, alla tenacia di Ciro Napolitano e Francesca Morano e
alla pazienza di Anna Morano e
Giulia Oliva. La serata si è
conclusa con il fatidico taglio
della torta brandizzata e «vestita d’arancio» e con la performance poetica e «acchiappasorrisi» dell’avvocato cabarettista Gaetano Ferrara. (m.t.)
Novembre musicale al Wild Lounge Bar, locale
esclusivo di via Bisignano, con la rassegna
d’eccellenza - tutti i martedì, mercoledì e giovedì
del mese - fortemente voluta dalla proprietaria
Elettra Esposito e coordinata con sapienza da
Rodrigo Esposito e Miggy Del Deo.
Ecco alcuni appuntamenti del Wild da segnarsi
sul calendario del divertimento: il 2 novembre si
esibiranno Giancarlo Bobbio ed Enzo Caponetto,
artisti molto conosciuti e apprezzati nel
panorama musicale partenopeo; l’8 novembre,
invece, spazio all’estro del compositore e
arrangiatore Danilo Festinese che annovera tra le
sue collaborazioni quelle con Michael Baker, Joe
Amoruso, Audio2 e Franco Cerri; il 15 novembre
toccherà al trio «L’espressione Molesta» che
proporrà un blues raffinato e trascinante, certo di
poter conquistare l’esigente pubblico chiaiese.
«L’espressione Molesta», composto da Toto
Traversa (chitarra e voce), Marco Ricciulli (basso)
e Antonio Vista (batteria), gioca a rivisitare cover
classiche e a lanciare pezzi originali, il tutto rivisto
in chiave funk e groove.
SVEVA DELLA VOLPE MIRABELLI
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
(9)
SOLLECITAZIONI
NELLE PERIFERIE
SI GONFIANO LE VELE
Nei mesi scorsi si era ripreso a parlare di Scampia ma non solo come male assoluto, bensì per
problemi urbanistici. Dopo cinque anni, il presunto sindaco rivoluzionario napoletano, dopo
tante chiacchiere e proclami, si è reso conto che
a Napoli esistono le periferie ed in una di queste
è sempre aperto un grande problema: l’eventuale abbattimento delle vele.
Si tratta di un obiettivo dichiarato da tanti, che
sino ad ora non ha trovato nessun fatto concreto.
È vero che a Scampia sono state abbattute tre
vele, ma quattro sono ancora lì, ed una di queste
è inavvicinabile, poiché da sempre occupata
abusivamente da gruppi familiari senza alcun
titolo, come gli scantinatisti, o dalla manovalanza della camorra per la vendita di ogni tipo di
droga. E così de Magistris approva la delibera
per l’abbattimento di tre delle quattro vele superstiti, auspicando che l’ultima struttura sia
utilizzata per uffici, se mai riusciranno a sradicare gli occupanti abusivi e la malavita organizzata
che ancora resiste in quel fortino. Ma come al
solito questo progetto è simile ad una pia illusione, visto che i 58 milioni che servono per il progetto il Comune non li ha, lo stesso dicasi per la
Città Metropolitana. E allora i finanziamenti
dovranno giungere dal Governo, quella stessa
istituzione che il primo cittadino di Napoli attacca quotidianamente. Al di là della demagogia,
restano i problemi di un quartiere troppo distante dal centro cittadino, e portato fortemente alla
ribalta nel luglio del 1991 dall’allora presidente
della Repubblica Francesco Cossiga, che scoprì
l’altra Napoli, quella fatta di gente onesta costretta a vivere in condizioni di precarietà ai margini
della metropoli. E proprio in quell’occasione il
presidente incitò i cittadini a far sentire la propria voce. Una voce ripresa da San Giovanni
Paolo II, primo Papa a recarsi in una periferia
abbandonata, pronto a denunciare le carenze del
territorio e a proclamare la forza della speranza,
per combattere sofferenza e miseria. Un dialogo
con le periferie ripreso dalla chiesa in diverse
occasioni e culminato con il viaggio di Papa
Francesco, un ritorno a Scampia, in quei “non
luoghi” dove la speranza non muore mai. Le
periferie restano un problema irrisolto per la
sinistra italiana, soprattutto a nord di Napoli,
dove sono giunti tantissimi finanziamenti ma
poco o nulla è stato realizzato: si continuano a
costruire palazzi mentre i servizi sono scarsi. La
rete commerciale è da sempre poco sviluppata.
Per il quartiere delle Vele si riparla di un progetto
di 120 milioni di euro. L’idea è la solita: portare
servizi e uffici oltre ad attività culturali nel cuore
della periferia. Ma restano troppe domande
ancora senza risposta, dopo decenni di immobilismo e promesse, e la stessa giunta de Magistris
ha confermato questo trend negativo. Dove
finiranno le famiglie senza titolo, e come annientare i fortini dello spaccio? Almeno un migliaio
sono le famiglie che si sono infiltrate in quel
dedalo di alloggi, difficili da censire e documentare. Ancora oggi la politica non ha capito che le
periferie non sono strade e palazzi, ma una
condizione sociale dove prospera la marginalità
e manca il rispetto dei diritti fondamentali dei
cittadini. Se non c’è un’idea concreta per uno
sviluppo economico-sociale del territorio, l’ennesimo abbattimento degli edifici sarà solo lo
spettacolo di turno, dove si vedranno cadere
pietre e polvere, dove partiranno gli applausi e le
strette di mano, mentre il degrado sociale si
sposterà da un’altra parte.
CARMINE ZAMPROTTA
(Autore di «Napoli Capitale delle Periferie»,
Iuppiter Edizioni)
(10)
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
VIAGGIO TRA STORIA, NATURA E CUCINA
Terra del sole,
centro del mito
Umberto Franzese
La Terra del sole, del fuoco,
del mito, del mago Virgilio e
della cumana Sibilla. La palus
Acherusia degli antichi, laguna
costiera per la coltura delle
ostriche e dei pesci. Il Mare
Morto ovvero la palude Stigia
ove Caronte accoglieva le anime
dei trapassati. Le stufe di Tritoli,
Punta Epitaffio e i Templi di
Diana, di Mercurio, di Venere. Le
Cento Camerelle, la Piscina
Mirabile (nella foto), Miseno,
Punta Scarparella. Le vie rivestite di giardini e di boschi, che
rintronano delle voci dei Calcidesi di Eubea che qui trovarono
riparo fondando nell’VIII secolo
Dikajarchia. Nell’aria i profumi
degli incensi dei sacri altari,
degli unguenti e degli oli usati
nelle pubbliche Terme. Dalle
gradinate dell’Anfiteatro lo
sguardo della folla va al mare in
burrasca che si infrange sugli
scogli del Golfo. Il visitatore che
si aggira tra i meandri incassati
nel tufo, accecato dalla luce
abbagliante del sole e rinfrescato dalla brezza marina, è investito dalla forza della natura e dalla
monumentalità dei luoghi.
C’è qui, più che altrove, qualcosa d’inestimabile ed unico
rispetto a qualsiasi altra traccia
dell’antichità greco-romana
godibile nella nostra Italia. Terra
del Sole è anche sulla via di
Apicio. Apicio, l’esperto cuoco
della Roma del basso Impero,
rimasto famoso per i pranzi
luculliani e i sontuosi banchetti
che era in grado di imbandire
per i suoi ospiti di alto lignaggio.
Apicio consigliava, perché una
pietanza potesse risultare perfetta, di «dosare gli ingredienti
secondo un’abitudine personale
e individuale quando il cibo è
servito a tavola».
Nella Terra del sole, tra Pozzuoli
e il lago di Lucrino nacque
all’improvviso, dalla sera alla
mattina, Monte Nuovo, un bel
cono alto centocinquanta metri.
Un monte in mezzo ai crateri
dei Campi bollenti. Appena
raffreddato volle la Corte aragonese con gran numero di dotti,
poeti, cavalieri e damigelle al
seguito, ascendere il monte. Di
cantare il brusco risveglio del
colle nel mezzo di un paesaggio
verde, sacro, immutabile, toccò
ai poeti, ai dotti di rendere
comprensibile tale miracoloso e
curiosissimo fenomeno. Nella
Terra del Sole c’è il più immenso
patrimonio storico-artistico. C’è
il suolo più incerto, l’acqua più
rovente, la terra più ballerina e
fumante. Nella Terra del Sole si
ha di primo acchito il sentore
dei colori, degli odori delle
antiche case coloniche. Una
miriade di aziende a conduzione familiare, che ricalcano le
modalità di tradizioni mai
perdute. Intatte restano, come
un tempo ormai trapassato, la
coltivazione e la produzione di
arance e limoni, degli ortaggi di
stagione. Tre generazioni di
agricoltori, di coltivatori, di
esperti lavoratori della buona
terra. Qui, in questa oasi di pace,
c’è la semplicità, la frugalità, la
compostezza di gente antica
che per li rami scende dagli
antichi coloni greci. Qui la
tavola risente dei sapori di salse
sofisticate e stuzzicanti, di
pietanze insaporite con olio e
aceto, di verdure condite con
limone e aromi vari. Il vino,
quello bianco e quello rosso è di
produzione locale. E per quanto
riguarda l’aspetto dei cibi, poiché anche l’occhio vuole la sua
parte, i colori del secentesco
pomodoro e del verde intenso
del basilico e della menta. La
pizza si gusta all’aperto secondo
quelle che sono le specialità
campane. E ancora: cinghiale
arrosto con salse piccanti, cicoria, lattuga, zucchine alla scapece, prosciutto, funghi, ventresca,
olive sott’olio, formaggi grassi a
pasta fresca, melanzane a scarpone, tagliolini alla contadina.
L’uva fresca, mele e castagne,
noci e mandorle. Cuochi, cucinieri, pizzaioli sopraffini. Un
servizio inappuntabile, accurato, meticoloso. Ospitalità fuori
dal comune, visite didattiche,
saloni per cerimonie. Competenza, compostezza. Alla base
un rigoroso disciplinare sulla
produzione, sull’alimentazione,
sulla coltivazione, sui servizi. Per
chi intende trascorrere una
giornata nella piena pace della
natura amica, non ha che immettersi sulla via di Apicio nella
Terra del Sole.
SOLLECITAZIONI
la vignetta
di Malatesta
IL SUDISTA
Mimmo Della Corte
SUD, PATTO O
«PACCO»?
Diario stupendo
GIUSEPPE MAROTTA
Cos’è la poesia?
«“Caro don Federico, ma allora che
imbroglio è, la poesia? Qualunque
esagerazione, qualunque errore voi
dite ‘poesia’ come si dice ‘indumenti’ alla dogana, e passate senza
aprire la valigia?”.
“Esattamente. La poesia è fiducia
completa, impossibile a descrivere.
Se una poesia ti chiama ladro o
becco, tu le rispondi: ‘Sissignore,
servo vostro’ e rimani contemporaneamente disperato e felice. Intendiamoci bene, con la poesia non si
ragiona; la poesia è il settebello di
ogni fatto avvenuto, di ogni pensiero pensato e di ogni vivo vivente...
avete capito?” “No, ma pazienza”
sospirò don Alfredo Tescione. “Si
vede che la poesia è un mistero”».
(tratto da Gli alunni del sole di
Giuseppe Marotta)
CARLO DEL BALZO
Immagini miracolose
«Molti a Napoli credono a molte
immagini miracolose. Facciamo i
conti sulle dita, come le femminucce. Vi è il Cristo scolpito nella chiesa
Colmo
di fulmine
di San Domenico, opera di Masuccio primo, meravigliosa per i suoi
tempi. I credenti sono certi che
cotesto Cristo parlò con san Tommaso d’Aquino. Il santo, in estasi, si
era levato tre piedi da terra. E Cristo
gli disse: “Bene scripsisti de me,
Thoma, quam ergo mercedem
cupis?” E san Tommaso rispose:
“Non aliam nise te ipsum”».
(tratto da Napoli e i Napoletani di
Carlo Del Balzo)
Aveva le idee chiare
ma era bionda.
In basso una vignetta
di Armando Lupini
Nascere a Napoli: il
parto-nopeo.
di RENATO ROCCO
Gli errori sono come
gli stronzi: prima o poi
vengono a galla.
I profumi servono a
prendere l’uomo per il
naso, le creme di
bellezza per il sedere.
Il matrimonio?
Promesse scritte
sulla rabbia.
Bisogna fare il passo
più lungo della gamba
degli altri.
Non ho mai creduto nel
«Masterplan per il
Sud», né Renzi è riuscito a convincermi della
bontà e della trasparenza della sua idea
quando, cambiando
strategia di comunicazione, lo ha definito
«Patto Per il Sud».
Al punto che, mi è
venuto spontaneo
pensare e scrivere che
più che un “patto”,
quello che sta predisponendo, insieme ai
suoi amici, governatori
e sindaci meridionali,
si trattasse soltanto
dell’ennesimo “pacco”
per il Sud, perché privo
di risorse. E ancora
meno ci credo oggi, dal
momento che quel
“patto” – si è, addirittura, trasformato in 16
“patticelli” (meglio
“pacchicelli”) sottoscritti con Regioni e
comuni meridionali.
Alla mancanza di risorse effettivamente disponibili, ha aggiunto
l’obsolescenza di vecchi progetti, buoni per
tutte le stagioni, che
vengono, riproposti per
l’ennesima volta, e, per
di più, scollegati l’uno
dall’altro e, quindi,
senza capacità d’interagire fra loro e produrre sviluppo reale e
duraturo. Qualche
collega, più bravo
(o forse solo più renziano), probabilmente,
abbacinato dai 40
miliardi complessivi
promessi e risultanti
dalla sommatoria delle
cifre indicate in calce ai
singoli “patticelli”, ci
ha creduto davvero.
Tant’è che ha continuato ad applaudire al
«Patto per il Sud» che,
finalmente, «non è un
foglio con qualche
impegno, tirato giù alla
buona. Ma è un documento molto dettagliato, che articola, per
obiettivi specifici, la
strategia di intervento
nei prossimi quattro
anni». Erano così anche
i progetti presentati dei
decenni scorsi, ma il
collega, evidentemente, non se n’è mai
accorto o, “renzianamente”, se n’è soltanto
dimenticato. Ciò nonostante, non sono stati
realizzati, tant’è che
ora vengono riproposti.
Chissà, se è sempre
della stessa idea, ora,
che il Ministero del
Tesoro, guidato da Pier
Carlo Padoan, nella sua
«Relazione agli investimenti pubblici» ha
sbugiardato il Premier,
rendendo noto a tutti
che «i patti per il Sud
sono senza soldi».
E questo senza dire
che, appena qualche
giorno prima, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio,
con pieni poteri sulla
Coesione, Claudio De
Vincenti aveva sostenuto «Sud, stop sgravi
per chi assume, le
risorse sono finite»,
aggiungendo anche
che «sono stati impegnati tutti i fondi della
Coesione». Dove?
Certo, anche nel Sud
(da dove provenivano
nella stragrande maggioranza, ndr) ma
soprattutto al Nord.
Inutile aggiungere che
siamo all’ennesima
dimostrazione di mancanza di rispetto di
Renzi&Co., nei riguardi
del Mezzogiorno.
“Promettono certo”,
ben sapendo che
“mancheranno sicuro”,
continuando a rifilarci
“pacchi” pieni di “bla,
bla, bla”, contrabbandandoli per tesori
d’inestimabile valore.
Putroppo, all’apertura
degli scatoloni, i sudisti, al posto dei preziosi, si ritrovano fra le
mani solo carta straccia
piena di chiacchiere,
un vuoto a perdere, che
purtroppo come ‘e
tabbacchere ‘e lignammo, ‘o banco ‘e Napule
nun ne impègna e
neanche accetta in
garanzia.
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
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CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
STORIE&IMPRESE
LA FUMETTISTA CRISTINA PORTOLANO RACCONTA LA PRE-ADOLESCENZA
Né bimba né adulta, ma «Quasi signorina»
Lida Girardi
A trent’anni una donna è ormai quasi giunta a capire chi è
e ad avere piena consapevolezza del suo corpo, ma non è una
missione facile quella che noi
esponenti del gentil sesso siamo chiamate ad adempiere fin
dall’adolescenza: ci prepariamo a diventare buone madri,
buone mogli, buone compagne, buone amiche, buone
confidenti. Scopriamo per la
prima volta la nostra femminilità, ne iniziamo a conoscere il
potere e ci rapportiamo ad un
mondo che non conosciamo
ancora con la fame di trovare il
nostro posto. Non siamo ancora donne, siamo quasi signorine. La graphic novel “Quasi si-
gnorina” (edito da Topipittori)
di Cristina Portolano è come un
viaggio in macchina tra i luoghi del cuore, guardando i panorami sfuggenti di quelle noi
che delle bambine conservano
l’innocenza e delle donne che
saranno costruiscono l’essenza. Quello che piomba addosso delle tavole della Portolano è
che si tratta di un libro autobiografico, ma la storia dell’autrice in breve tempo riesce ad
appartenere a tutte noi e come
lei stessa ammette: «Non avevo
intenti didascalici, volevo solo
raccontare la realtà di quella
Cristina»: il privato filtrato attraverso la tensione narrativa
che si esplica in un punto di vista nuovo, quello di una ragazza che si sente diversa, che ama
i fumetti ed è costretta a mettere occhiali che «pesano sul naso» ma aiutano a vedere il mondo con i contorni giusti. «Diventare signorina è l’inizio di
tutti i guai», dice la fumettista,
e in effetti si diventa donne, si
subisce il “dramma” del primo
ciclo e si vanno consolidando
delle dinamiche sociali e familiari nuove: cambia il rapporto
con i genitori, cambia quello
con le amiche e l’altro sesso
smette di essere “questo sconosciuto”. Approcci goffi, un
occhio inesperto che si posa
sulla realtà circostante, le relazioni che cambiano, si inizia a
comprendere, per la prima volta, il significato di perdita, di
lutto. Tutto questo la Portolano
riesce a trasferirlo al lettore con
la stessa delicatezza dei colori
delle sue tavole. Una bambina
che racconta una quasi signorina che più vede l’infanzia allontanarsi e più ha il terrore di
perderla, quel terrore che Cristina ha esorcizzato disegnandolo attraverso la matita di una
giovane fumettista e le sensazioni di una bambina cresciuta a vico Spezzano tra la «Napoli
di giù, quella dei poveri e quella di su, quella dei ricchi». La
consapevolezza di sé che si costruisce gradualmente ricercando la propria identità nella
volontà di conoscersi per poi
scoprire gli altri. Cristina Portolano si muove tra le musiche
di Pino Daniele, tra le notizie
dei tg, la morte di Falcone e Borsellino, gli stacchetti di Drive in
e la faccia di Maradona che
aleggiano nelle stanze e per le
strade di una Napoli degli anni
’90. Le vacanze a Riccione ogni
anno ma prima la tappa dai
nonni a Mondragone, le calze
che pungono, i vestiti di Carnevale, la città, le suore severe delle elementari, i buchi alle orecchie, le bullette della scuola:
questo libro è la storia di quei
passi, messi in fila uno davanti
all’altro, a tratti un po’ incerti e
spaventati, che ci stanno portando via dal quel mondo ovattato e confuso che è la nostra
infanzia, con quella leggerezza
che, forse, non conosceremo
mai più. Rimane il ricordo, perfettamente fotografato dalla
Portolano, di essere state teneramente “quasi signorine”.
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
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CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
STORIE&IMPRESE
L’IMPRENDITORE ALBERTO BOCCALATTE E LA SFIDA DI POSILLIPO CASHMERE
«I nostri pullover non temono capricci»
Lidia Girardi
Contando i colori, quanti ve
ne vengono in mente? I
conoscitori più attenti delle
varie sfumature non arriveranno a contarne più di
cinquanta, ma difficilmente
qualcuno riuscirà a catalogare 25 sfumature di blu e 250
colori in totale. Tutti tranne
Posillipo Cashmere.
Nato nel 2012, “figlio” della
Macom s.a.s., il brand - che
ha come logo un piccolo
corno “scacciaguai” - si è
collocato in un particolare
settore di mercato non ancora totalmente esplorato,
quello della maglieria su
misura. Il panorama commerciale di qualche anno fa
non conosceva questo tipo di
prodotto, personalizzabile ed
esclusivo.
L’intuizione di Alberto Boccalatte (nella foto a sinistra),
a capo dell’azienda, è stata
giusta: partito da Napoli, si è
reso ben presto conto che
l’alta qualità del prodotto che
proponeva e la possibilità di
adattarlo alle più disparate
richieste lo rendevano adatto
anche ad un mercato estero:
«Attualmente abbiamo
clienti in tutta Italia, ma
anche nel Regno Unito, negli
Stati Uniti, in Russia. La
nostra sartoria viene sempre
più apprezzata. La nostra
clientela è fatta da persone
che potrebbero tranquillamente acquistare un pullover
in una boutique ma scelgono
noi per una serie di motivi: il
primo è che offriamo un
prodotto qualitativamente
molto alto - sostiene Boccalatte - Adoperiamo esclusivamente filati Loro Piana,
diamo la possibilità di poter
scegliere tra 250 colori di filo
e circa 20 diversi modelli.
Come per una camicia o un
abito, anche per un pullover
su misura la differenza si
nota. Inoltre abbiamo competenze e macchinari per
personalizzarlo in ogni sua
parte». Il primo anno di
attività è stato decisivo per
testare le proprie capacità e
realizzare il potenziale aziendale della Macom, che si era
espresso in altri settori, ma
non ancora nel campo della
maglieria su misura.
La nascita di Posillipo Cashmere ha permesso di
credere in una nuova idea
legata al mondo della moda e
di farlo in una maniera innovativa: «Dopo la fase iniziale,
ci siamo buttati in questa
originale opportunità di
business. Abbiamo capito gli
aspetti che dovevamo migliorare, in che modo farlo e
quali erano i nostri punti di
forza. Ci sono ancora grossi
margini di crescita, ma siamo
sicuri delle nostre capacità e
della qualità del capo che
offriamo», afferma Boccalatte. Posillipo Cashmere ha
dimostrato di essere
un’azienda in grado di rispondere alle sfide del mercato e alle richieste più stravaganti dei clienti e questo
emerge anche dagli aneddoti
che lo stesso Boccalatte
racconta, come nel caso di
un cliente che ha chiesto di
realizzare un maglioncino di
cashmere con la manica
sinistra più corta di quella
destra perché usava mettere
l’orologio e lo infastidiva che
venisse coperto.
Posillipo Cashmere, per
realizzare i propri capi, offre
un servizio a domicilio, con
cui un incaricato si reca a
casa del cliente con i tessuti, i
modelli, il book fotografico e
dà la possibilità di immaginare il proprio pullover come
«una seconda pelle» scegliendo anche tra cashmere
invernale ed estivo. Consegna in tre settimane e packaging dell’azienda tutto hand
made, composto da un
cartellino personalizzato con
il nome del cliente, cartone
100% riciclato e personalizzazioni incollate a mano e
completamente artigianali.
«Non c’è capriccio del cliente
che non riusciamo a soddisfare, - tiene a precisare
Boccalatte - senza mai tradire un principio che è alla
base del nostro brand: mixare la tradizione sartoriale
partenopea con un tocco di
evoluzione e una determinante strizzatina d’occhio
allo stile internazionale».
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
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STORIE&IMPRESE
INTERVISTA AD ANGELO DE NEGRI, PATRON DI AIRONTOUR E PROGECTA
«Napoli, punta di più sul polo fieristico»
Livia Iannotta
Un guscio di tartaruga delle Seychelles sorveglia dall’alto uno studio in ciliegio scuro.
Me lo indica, mentre da fuori
salgono i cicalii di una Napoli
all’ora di punta: «Abbiamo
scoperto le Seychelles quando
lì c’erano solo due alberghi.
Quarant’anni fa, in un viaggio
organizzato dalla mia agenzia.
La compagnia aerea smarrì i
bagagli e le signore svaligiarono la boutique di una delle
strutture, a nostre spese ovviamente».
Angelo De Negri (nella foto) è
un imprenditore noto da queste parti. Titolare del tour operator “Airontour” e di “Progecta”, società specializzata in
metodologie di sviluppo, marketing strategico, comunicazione ed editoria per enti pubblici ed imprese, è una di quelle figure che sfugge alle definizioni. Mi aiuta a parlarne proprio quell’ufficio, che fisicamente affaccia su via Gaetani
Vannella, ma dentro cova i rumori del mondo. La statuetta
del maestro Ferrigno a lui dedicata, l’occhio greco portafortuna, i cimeli esotici, le massime incorniciate alle pareti,
convivono in un unico ambiente senza stonature. La storia imprenditoriale di questo
business man nato nella valdese Torre Pellice ma cresciu-
(16)
to a Napoli, parte nel 1975 con
l’apertura di “Airontour-I viaggi dell’Airone”, che oggi abbraccia anche il campo dell’ospitalità con l’Hotel Airone,
in via Guglielmo Sanfelice. A
prima, però, risalgono l’esperienza come direttore di Ventana Group (società con cui la
Fiat fece capolino nel turismo)
e gli anni nel Gruppo Grimaldi: «Una gavetta stimolante, in
cui ho avuto modo, da commerciale, di stare fianco a fianco ad un armatore di grande
spessore, sia umano che imprenditoriale, come Guido
Grimaldi». Il giro di boa è datato 1996. «Sentivo l’esigenza
di fare qualcosa per il turismo
a Napoli – racconta –. Il 50%
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
delle agenzie di viaggio è in
questa metà d’Italia. Così ho
fondato “Progecta” e ho organizzato la prima fiera: la Borsa
Mediterranea del Turismo».
L’intuizione fu azzeccata, se si
considera che dalla già rosea
prima edizione è stato un crescendo e la BMT, dopo aver festeggiato nel 2016 i 20 anni,
vanta 16mila mq di spazi espositivi alla Mostra D’Oltremare,
workshop di qualità e quasi
150 tour operator nazionali ed
internazionali ospitati ogni anno. Tanto da diventare un appuntamento fisso per agenzie
di viaggio e operatori che stuzzica, attrae e surclassa anche la
BIT. «In 20 anni abbiamo incentivato in modo non indif-
ferente l’indotto turistico napoletano, accogliendo oltre
2mila tour operator che hanno
avuto modo di scoprire le bellezze del territorio e portare
poi Napoli e la Campania nelle loro terre».
Il core business dell’azienda
resta il turismo, ma col tempo
“Progecta” ha steso le radici in
altri campi. Nascono così
PharmaExpo, l’unica fiera del
settore farmaceutico e sanitario del centro-sud Italia (prossima edizione 25-27 novembre); Arkeda, la mostra di architettura, edilizia, design e arredo (3-5 dicembre); Gustus, il
salone professionale dell’agroalimentare ed enogastronomia di qualità (20-22
novembre). E ancora: lo Showcolate, ThermaliaItalia, la Borsa Internazionale del Turismo
Termale e del Benessere. Ciascuna con una rivista illustrativa collegata. Novità del prossimo anno: l’Expo Franchising,
che si terrà a maggio, dopo la
nuova edizione della BMT in
programma dal 24 al 26 marzo 2017. «La nostra aspirazione è che un grande polo fieristico come quello napoletano,
reso unico dal fatto di essere il
maggior punto di riferimento
per il Sud Italia e dalla sua centralità nel Mediterraneo, si imponga come centro propulsore dell’economia campana –
spiega –. Sarebbe auspicabile
che nel Mezzogiorno si ampliassero i marketplaces che
favoriscono economia e processi di internazionalizzazione. Oggi siamo ancora in pochi
e viviamo una solitudine che
non è positiva, perché dove c’è
concorrenza c’è mercato. È
chiaro che per raggiungere
questo obiettivo servono interventi, strutturali e di management». Destinatario di frequenti sollecitazioni è proprio
il management che l’imprenditore di Chiaia pungola di sovente per indurre ad agire, a
fare di più. A ricordarlo a se
stesso ci pensa invece una targhetta, in bella vista nello studio: «Non basta essere bravi,
bisogna essere i migliori».
STORIE&IMPRESE
INTERVISTA A MARCO BORRELLO, AD DI «PLAY WILY-TUTTO GONFIABILI»
«Così costruiamo i regni dei bambini»
Michele Tempesta
È sempre una responsabilità
lavorare per i bambini. Lo è ancora di più se il compito che si
sceglie è quello di costruire
pezzo dopo pezzo il recinto dei
loro giochi, le arene di avventure e viaggi variopinti, set a
misura di sogni in cui perdere
l’idea di tempo e trovare quella di sorriso. Lo sa bene Marco
Borrello (nella foto), amministratore delegato di “Play WilyTutto Gonfiabili”, azienda leader nella progettazione e realizzazione di aree gioco, con sede a Teverola in provincia di
Caserta, che da anni ha a che
fare con l’intrattenimento e il
divertimento degli adulti di domani. «Ho iniziato facendo
l’animatore nei villaggi – racconta – poi ho fondato una mia
agenzia di animazione e da lì
abbiamo iniziato ad importare i gonfiabili e a noleggiarli per
le feste. Ovviamente importare il prodotto non garantiva
un’alta qualità, così ci siamo
lanciati nella produzione». Ma
l’obiettivo non era ancora centrato, il divertimento dei bimbi richiedeva una gamma più
ampia di soluzioni creative. È
con i playground che “Tutto
Gonfiabili” sfonda. Le strutture “ad incastro”, colorate e variegate, diventano il nuovo core business dell’azienda. E
considerato che i piccoli sono
anche giudici severi, uno staff
di progettisti, grafici e maestri
della produzione è sempre
pronto ad ideare soluzioni in linea con le esigenze strutturali
dei locali da allestire, ma soprattutto a soddisfare i desideri dei clienti. «La nostra forza
sta proprio nella personalizzazione – sottolinea Borrello –. I
playground vengono prodotti
direttamente in azienda e questo consente di plasmare le
strutture in base all’esigenze
del consumatore. I pannelli
vengono creati con una tecni-
ca di saldatura che viene definita “a filo continuo”, utilizzata quando si hanno precise esigenze di sicurezza».
Giostre gonfiabili, tappeti elastici, playground per interni ed
esterni, insieme ad attrezzature e arredamenti per ludoteche, alberghi e villaggi turistici, insomma, tutto il necessario per riempire un’area gioco
coi fiocchi: è con questo nutrito “arsenale” che “Tutto Gonfiabili” si presenta al mercato
italiano ed estero. Riconosciuto oltralpe con il marchio dal
sapore più internazionale
“Play Wily”, l’azienda di Borrello è riuscita in tempi record
a sbancare con le sue idee creative in Francia, Belgio, Svizzera e nella fascia nordafricana
(Marocco, Algeria e Tunisia). E
se è vero, come diceva De
Montagne, che «i giochi dei
bambini non sono giochi e bisogna considerarli come le loro azioni più serie», un occhio
di riguardo va alla sicurezza. «I
nostri prodotti sono forniti di
tutte le certificazioni richieste
dalla legge italiana e dalla normativa comunitaria (UNI-EN
14960 e 1176-1), rilasciate do-
po un controllo meticoloso dei
materiali utilizzati», assicura
l’ad. Forte di una sua riconoscibilità in un mercato che
punta sempre più alla quantità a discapito della qualità, saturo di prodotti scadenti e poco accorti alla sicurezza, “Tutto Gonfiabili” è riuscita a ritagliarsi il giusto posto a livello
nazionale ed europeo invertendo la tendenza alla superficialità, ma strizzando un occhio al portafoglio. «Abbiamo
tagliato i costi inutili che sarebbero ricaduti sul consumatore finale – spiega Borrello –. Ma soprattutto abbiamo
ottimizzato i sistemi di lavoro:
manteniamo un’alta qualità
del prodotto ma standardizziamo la produzione, cucendo
le richieste del cliente su modelli predefiniti. In questo modo riusciamo ad abbattere i costi senza intaccare la possibilità di avere un risultato originale e unico». E la Fiera Internazionale del Tursimo, a Rimini, a cui l’azienda ha partecipato dal 13 al 15 ottobre, è stata una vetrina in più per dimostrarlo. A Teverola si lavora
anche sulla velocità: «Siamo in
grado di progettare e consegnare un prodotto finito entro
48 ore. Ci teniamo che i nostri
clienti possano ricevere, in pochissimi giorni, i prodotti in
ogni parte del mondo».
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
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STORIE&IMPRESE
IL LIBRO-GUIDA DI MARCO MANSUETO, PRESIDENTE AIIM
Cibi sicuri, l’importanza del «kosher»
Lidia Girardi
È in uscita il pamphlet di
Marco Mansueto (presidente
dell’Associazione Italo-Israeliana per il Mediterraneo)
«Conoscere il kosher», edito da
Iuppiter Edizioni. Il libro
affronta la tematica dei cosiddetti cibi “consentiti” agli
ebrei osservanti con un intento divulgativo preciso: chiarire
in primo luogo, cosa significhi
mangiare un cibo kosher e
perché sia diventato così
importante nella nostra società, a prescindere dalle diverse
confessioni religiose. Con il
(18)
termine kasherut, infatti, si
indica, in generale, l’idoneità
di un cibo ad essere consumato da ebrei. La parola kàsher (o
kosher, nella pronuncia inglese) significa, dunque, conforme alla legge, adatto. Le leggi
che stabiliscono i cibi consentiti nell’alimentazione ebraica
sono esplicitate nel Talmud
che è considerato la trasmissione orale della Torah, ovvero
i libri fondanti della religione
ebraica. Mangiare kosher,
quindi attenersi a rigide
regole, significa rispettare
molti aspetti del pasto, non
soltanto relativi alla sua con-
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
sumazione ma anche e soprattutto alla natura del cibo e
alla sua preparazione. Conformarsi alla kasherut vuol dire
non consumare cibi impuri
(come ad esempio il maiale, i
crostacei, i molluschi, solo per
citarne alcuni) ma è anche
severamente vietato mangiare
carne e latte insieme ed è
addirittura proibito per due
persone consumarle allo
stesso tavolo a meno che non
siano seduti ad una tavola così
lunga che il braccio stesso
dell’uno non possa arrivare al
cibo dell’altro o se mangiano
su due diverse tovaglie.
Adottare una alimentazione
kosher consiste anche nell’attenersi a dettami precisi
anche nella macellazione
delle carni e nella preparazione del vino. Attualmente
l’attenzione verso il kosher
non ha più uno eclusivo
legame religioso, ma la scrupolosità e l’attenzione con cui
vengo prodotti questi cibi,
assicura l’alta qualità agli
alimenti. Mansueto, nel suo
libro, offre una panoramica
sulla nutrizione kosher e
spiega l’importanza della
certificazione che garantisce i
cibi, raccontando l’iter a cui
sono sottoposti e spiegando,
inoltre, come si stiano consolidando i rapporti tra Napoli e
Israele: «Certificare kosher un
prodotto vuol dire garantire
una qualità intrinseca e differenziante che rassicura sia i
consumatori sia le l’aziende
produttrici; queste ultime,
infatti, avranno interesse a
ottenere la certificazione
perché inciderà in modo
minimo sui costi e aumenterà
il potenziale di vendita.
Proprio per i motivi suddetti
risulta essere una realtà
imprenditoriale in
continua ascesa».
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
(19)
STORIE&IMPRESE
IL NUTRIZIONISTA ALFONSO CERRATO SVELA I METODI PER DIMAGRIRE
Tornare in forma grazie alla nutrigenomica
Lorenza Fusco
L’estate è ormai finita da un
po’, la prossima “prova costume” sembra un miraggio
lontano e le abbuffate di
Natale, invece, sempre più
vicine. Quasi sicuramente i
buoni propositi per un’alimentazione sana e un allenamento costante sono già sulla
via del tramonto, e stiamo,
inesorabilmente ritornando
ad uno stile di vita per niente
ottimale. Alfonso Cerrato,
nutrizionista e personal
trainer, offre qualche suggerimento per adottare uno stile
di vita più salutare, sia dal
punto di vista alimentare che
da quello dell’attività fisica.
«Di solito, quando una persona viene per la prima volta da
me, attesto le misurazioni, e
poi cerco di capire che tipo di
alimentazione ha adottato in
passato, qual era il suo peso
all’età dello sviluppo (aspetto
imprescindibile perché questo è strettamente legato alla
capacità di perdere o acquisire peso in età adulta), oltre ad
individuare possibili allergie
o intolleranze». Il piano
alimentare suggerito da
Cerrato segue i dettami della
nutrigenomica, branca della
biologia che si occupa di
capire come i cibi possano
avere effetti diversi in base
(20)
alle modifiche del DNA di
ciascun soggetto. Questo,
nella pratica, si traduce nella
possibilità di adottare un
pattern di alimenti specifici
per un periodo determinato
di tempo e, in una fase successiva, studiare quali sono
quelli più adatti al metabolismo in questione, partendo
dal presupposto della diversità genetica. Le diete vengono
quindi incasellate in un piano
settimanale (con sabato sera
e domenica liberi) e allo
scadere della quarta settimana si procede al controllo e si
cambia dieta. L’analisi incrociata dei diversi piani alimentari permetterà di stabilire
quali sono i cibi più idonei al
raggiungimento di un obiettivo per un dato metabolismo.
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
Inoltre, bisogna tenere conto
di quelle che sono state le
abitudini alimentari del
soggetto: «Costringere una
persona che non ha mai fatto
colazione a farla, in maniera
improvvisa, non porta per
forza dei benefici al suo
metabolismo». Il nostro
nutrizionista sfata anche tanti
miti relativi all’alimentazione,
ad esempio i cibi light, che
siamo convinti ci facciano
dimagrire o siano in qualche
modo più sani, in realtà sono
sottoposti a dei processi
chimici per cui, per eliminare
i grassi, vengono privati, la
maggior parte delle volte,
anche delle vitamine e dei
nutrienti. Lo studio di Cerrato
come nutrizionista, attento e
ponderato sulle esigenze
delle diverse persone, si
completa con la sua esperienza di personal trainer, in
quanto una corretta alimentazione e un allenamento
fitness funzionale mirato
permettono il raggiungimento e soprattutto il mantenimento di certi obiettivi che ci
si è prefissati. Anche in questo caso, ovviamente, bisogna
ricostruire l’anamnesi: capire
da quanto tempo la persona
non si allena, che tipo di
allenamento ha fatto in passato, valutare la sua struttura
fisica e così via. La metodologia adottata da Cerrato, anche
in questo caso, è empirica:
bisogna dare al corpo ogni
volta stimoli diversi, per
migliorare la circolazione
sanguigna e linfatica (utile
alle done per combattere gli
inestetismi della pelle).
Questo tipo di allenamento si
chiama PHA (Peripheral
Heart Action), si tratta di un
circuito contro gravità che
migliora notevolmente la
resistenza dei capillari e che
quindi aiuta a mantenere in
salute il sistema cardiovascolare. Riuscire ad ottenere un
corpo armonico, rispettando
la propria struttura fisica,
attraverso un allenamento
funzionale e una corretta
nutrizione, è prima di tutto
qualcosa che riguarda
il raggiungimento di uno
stato di salute migliore e in
seconda battuta ha anche
un valore estetico.
(Per info: 33983337868 oppure
[email protected])
saper vivere
CULTURA • COSTUME • RELAX • MOVIDA • EVENTI • CURIOSITÀ
Facenight, gli Oscar della notte
Pino Fermento
Musica di qualità, cocktail sublimi, bella gente e tanta creatività
all’evento di chiusura della quinta
edizione di Facenight 2016, la manifestazione che incorona i migliori e
più seguiti professionisti e creativi
delle vibranti notti partenopee. Il
Gran Gala di premiazione, che si è
tenuto, nel cuore della movida,
nello storico locale S’Move a Chiaia,
è stato presentato dal direttore
artistico di questa edizione Michael
Massi, volto noto del by night partenopeo, e Simone Parisi che, con
professionalità e simpatia, hanno
animato l’evento in compagnia dei
premi speciali ’Nto’ & Lucariello
(colonna sonora serie tv Gomorra);
Diego Paura (giornalista Costume &
Società); Mario Maisto (Best Tecnico
Service); Discodays The Cryptic
Monkeys (Live); Andrea Gambardella (Dj Story). La giuria di quest’anno
era formata dal giornalista Ciro
Cacciola aka Dj Claudio Cerchietto,
la storica organizzatrice di Arte
Dinamika Tina Lepre, la modella ed
event manager fly-away Chicca
Fusco, il producer manager 2.0
organizzatore di tanti eventi di
successo Pierluigi Scatola ed infine
la coppia di dj old school Jg Bros
(Premio Facenight 2013).
All’evento, insieme all’ideatore di
Facenight, Tommy Totaro, hanno
partecipato: Antonello Fornaro in
qualità di notaio, il Dj Claudio Iacono e il Vj Antonio Maisto.
Clou dell’evento è stata la proclamazione dei vincitori ufficiali dell’edizione di quest’anno. Incassano
gli Oscar della notte per le rispettive categorie: Salvatore Martini
(Best Barman); Archivio Storico
(Best Bar/Live/Lounge); Moan
(Best Label); Deependence (Best
One Night); Lee Rush (Best Vocalist); Ciro Ventura Belamy ( Best
Dj); Nabilah (Best Summer Club);
Successo nello storico locale S’Move
dell’evento in cui vengono premiati
i protagonisti della movida partenopea
Massimo Petillo (Security); Augusto
Penna (Best Promoter); Piero Nannola (Best Producer Manager);
Enzo Tucci (Best dj Producer);
Enrico Silvestri (Best Pr); Mario
Iovinella (Best Photography); Black
on the beach (Best Party Hip
Hop/Reggaetoon); Criminal Candy
(Best Party); Monkeys Bros (Best Dj
Nightlife); Dj Uncino (Best dj Hip
Hop); Raf Parola (Best dj promise);
Mya (Best dj Girl); Francesco Miele
(Best Dj); Vincenzo Paccone (Best
Graphic Designer); L’Arenile di
Bagnoli (Best Club); Flavia Fly (Best
Barlady); Fabio Sky (Best Art Director); Jessica Ferrara (Best Animation Girl); Gastonbot (Best Animation Boy).
«Quando ho ideato Facenight - ha
commentato durante l’evento il
giornalista Tommy Totaro, organizzatore e ideatore del premio - avevo
in testa uno scopo preciso: far conoscere la potenza creativa e la cultura
positiva di tutti quelli che animano il
mondo dei club e dell’intrattenimento di Napoli e della Campania. Di
anno in anno i nostri oscar della
notte sono sempre più ricercati e
inseguiti dai professionisti della
movida. Facenight, tengo a dirlo, è
un progetto in continua espansione.
In questa edizione, ad esempio, per
tutte le categorie abbiamo introdotto
una novità: una giuria tecnica composta da “addetti ai lavori”, che
insieme ai clubbers ha decretato i
vincitori. Tra le iniziative che hanno
consolidato il brand Facenight ci
sono senza dubbio il calendario
Facenight, ormai diventato un oggetto di culto, e la realizzazione quest’anno del primo album di figurine
del night clubbing made in Naples.
Idee originali che sono piaciute al
nostro sempre più numeroso pubblico e che - ha concluso Totaro – per la
prossima edizione sarà ancora più
coinvolto con altre sorprese a cui
stiamo già lavorando».
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
(21)
ARTE
L’APPUNTO
I diari di
McCurry
Sveva Della Volpe Mirabelli
Il mondo visto dall’obiettivo di
Steve McCurry, i lirismi che sottendono ogni scatto, le antropologie
vicine e lontane, emozionalmente
documentate dagli anni ‘70 a oggi,
saranno in esposizione al Pan dal 28
ottobre 2016 a febbraio del prossimo anno, nella mostra «Senza confini». Il fotografo americano, tra gli
indiscussi maestri dell’arte visiva
contemporanea, è un punto di
riferimento per molti, che nei suoi
scatti riconoscono un modo di
guardare il nostro tempo. E la rassegna allestita al Palazzo delle Arti di
Napoli, promossa dall’Assessorato
alla Cultura e al Turismo e organizzata da Civita Mostre in collaborazione con SudEst57, oltre a presentare il nucleo essenziale delle sue
fotografie più famose insieme ad
alcuni lavori più recenti e ad altre
foto non ancora pubblicate nei suoi
numerosi libri, mette in particolare
evidenza la sua attività di fotografo
impegnato “senza confini” nei
luoghi del mondo dove si accendono i conflitti e si concentra la sofferenza di popolazioni costrette a
fuggire dalle proprie terre.
«Questa mostra - ha detto l’assessore alla Cultura e al Turismo del
Comune di Napoli Nino Daniele ponendosi sulla scia delle precedenti esposizioni di arte contemporanea internazionale al Pan, è una
nuova e interessante iniziativa, oltre
che per la valenza artistica delle
fotografie, per la forza dei racconti
di Steve McCurry. Una narrazione
(22)
per immagini dell’uomo contemporaneo nel mondo, nella sofferenza e
nella violenza della guerra, nella
diversità delle culture e delle etnie,
in cui la tragica crudezza della vita
raggiunge livelli di lirismo intensissimi che uniscono il cuore e l'anima
di chi sta dietro e davanti la pellicola. Una lezione di fotografia e di
umanità che ha affascinato dal
primo scatto reso noto e continua a
catturare invitando ad ammirare
l’altro con la stessa curiosità e meraviglia del nostro autore».
Il progetto espositivo curato da Biba
Giacchetti propone quindi un viaggio nel mondo di McCurry, dall’Afghanistan all’India, dal Medio
Oriente al Sudest asiatico, dall’Africa
a Cuba, dagli Stati Uniti all’Italia,
attraverso il suo vasto e affascinante
repertorio di immagini, in cui la
presenza umana è sempre protagonista, anche e solo evocata. Nel
suggestivo allestimento di Peter
Bottazzi questa umanità ci viene
incontro con i suoi sguardi in una
sorta di girotondo dove si mescolano età, culture, etnie.
L’esposizione propone anche a tutti
i visitatori una audioguida in cui
McCurry racconta i suoi scatti in
prima persona, con appassionanti
testimonianze e alcuni filmati dedicati ai suoi viaggi, alla sua vita e
della sua professione. Ma per immergersi ancora più profondamente
nella sua visione fotografica, sarà
interessante ascoltarlo in prima
persona durante l’intervista del 27
ottobre al Maschio Angioino, condotta da Roberto Cotroneo.
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
Le tendenze, le
visioni, le
avanguardie
artistiche del
secondo dopoguerra
gravitarono attorno al
palazzo in stile liberty
in via Filangieri di
Guido Mannajuolo.
Fu lui, mecenate
dell’arte e
lungimirante
gallerista, a farsi
promotore delle
opere degli artisti
che oggi rivivono nei
suoi spazi espositivi.
Parliamo ad esempio
di Armando De
Stefano, Raffaele
Lippi, Vincenzo
Montefusco, Alfredo
Florio, Vera De Veroli,
Renato De Fusco,
Mario Tarchetti,
Renato Barisani,
Guido Tatafiore,
Raffaello Causa,
Federico Starnone,
Paolo Ricci ed Elio
Washimps.
La mostra, in
esposizione dal 13
ottobre, è visitabile
fino al 7 gennaio 2017
dalle 17:30 alle 20:30.
Occhio di riguardo
Dal Gruppo Sud al Mac
L’Italia usciva dalla guerra con la voglia
di ricostruire. Siamo a cavallo tra il 1944
e il 1945 e il circolo degli intellettuali
sente maturare il bisogno di dire la
propria. Nascono giornali come il
“Risorgimento”, “La Voce”, e la rivista
“Sud” di Pasquale Prunas, attorno alla
quale si formò il Gruppo Sud, con
l’intento di reagire al peso della tradizione ottocentesca e riallacciare l'arte
napoletana al contesto europeo. A
Guido Mannajuolo si deve il merito di
aver colto lo spirito di rinnovamento dei
giovani del Gruppo Sud. Proprio nella
sua galleria, nel '46, si incontrò il gruppo
di artisti che cambiò la scena pittorica
del dopoguerra: dal cubismo all'espres-
sionismo fino all'astrattismo. Quella
miscela di visioni rifiorisce oggi nella
mostra “Dal Gruppo Sud al Mac, arte a
Napoli nel dopoguerra”, alla galleria Al
Blu di Prussia di via Filangieri. «La
mostra - scrive il direttore artistico della
galleria Mario Pellegrino - oltre che
rappresentare un'importante occasione
per dar voce ai numerosi artisti aderenti
al movimento, vuole essere un omaggio
in ricordo a Guido Mannajuolo che, con
la sua galleria, un "buco elegante
nell’elegantissima via Filangieri" (come
amava ricordarla Mario Stefanile), ebbe
il merito di far conoscere le nuove forze
dell’arte partenopea aprendo le porte
della sua galleria agli esponenti più
giovani e promettenti del tempo».
DOMENICA CALÌ
ARTE
Cannavale
story tra libri
e cinema
I FRATELLI ALESSANDRO E ANDREA
NEL 2017 INAUGURERANNO
LA BIBLIOTECA PER CINEFILI CON
LE RARE COLLEZIONI DEL PADRE
Livia Iannotta
Per i cinefili napoletani sarà un piccolo luogo sacro. Un’alcova nel centro
di Chiaia in cui sfogliare - e ritrovare pezzi di cinema del passato. Un grazie
a Enzo Cannavale, attore scomparso
nel 2011, che nei suoi floridi cinquant’anni di cinema ha salvato dalla meschinità del tempo sceneggiature, copioni, tracce della settima arte che fu in
Italia tra gli anni ’70-’90. E un secondo
grazie ai figli Alessandro e Andrea (nella foto insieme al patron di Cattleya Riccardo Tozzi e ad Alessandro Siani), che
da gennaio apriranno al pubblico quell’inestimabile archivio, con una biblioteca-museo allestita nella sede della loro società di produzione cinematografica, la“Run Film”, in via del Parco Margherita 35. Dell’anima dell’iniziativa ci
parla Alessandro Cannavale.
La cosmesi
di Mr Twist
«Ci prepariamo ad inaugurare a inizio
2017 - annuncia -. È un progetto a cui
teniamo molto, il cui cuore è il materiale che mio padre ha collezionato in
tanti anni di carriera nel cinema, come
la sceneggiatura originale di “Nuovo
Cinema Paradiso” di Giuseppe Tornatore, “Le vie del signore sono finite” di
Massimo Troisi, “Piedone lo sbirro” di
Steno, copioni di Eduardo scritti a mano, vecchi contratti della Titanus. Ma
non vogliamo concepirlo come uno
spazio “monumentale”, sarà invece un
centro dinamico, pulsante, aperto anche ai giovani autori napoletani, da accrescere nel tempo con nuove con sceneggiature e libri e da animare con
eventi culturali e presentazioni. Insomma un punto di ritrovo per appassionati e cineasti che si affianca allo
spazio di produzione e alla scuola di
cinema».
Intanto con la Run state per girare un
nuovo film in Sicilia.
«Sì, dopo “Troppo napoletano”, che ha
avuto un ottimo riscontro, rinnoviamo
la collaborazione con Cattleya, proponendo un lungometraggio ancora una
volta ambientato al Sud con il duo “I
soldi spicci”, giovani fenomeni del web
in Sicilia. Si tratta di una commedia leggera per la regia di Mimmo Esposito.
All’inizio del prossimo anno, poi, tra fine gennaio e inizio febbraio uscirà nelle sale “Vieni a vivere a Napoli”, un film
in tre episodi da noi prodotto, che strizza l’occhio su una Napoli multietnica e
colorata, vista dalla sensibilità di tre registi: Francesco Prisco, Edoardo De Angelis e Guido Lombardi. I loro sguardi
si soffermano su tre popoli diversi, e lo
fanno, ovviamente, con temperamenti diversi. Nel cast del film recitano Antonio Casagrande, Massimiliano Gallo, Giovanni Esposito, Miriam Candurro, Gianfelice Imparato».
Avete anche rilanciato il Cinema Posillipo...
«È stato il riappropriarsi di uno spazio
che era ormai dimenticato. Le difficoltà sono indubbie: gestiamo un cinema
in una struttura polifunzionale. E lo
facciamo cercando di trovare il giusto
equilibrio con le altre “anime” che ha
il centro. È un ambiente che si presta
bene alle anteprime dei film. Quest’anno abbiamo organizzato anche un
cineforum con una selezione dei migliori film della scorsa stagione e devo
dire che sta andando molto bene».
A Mark Dixon, aka Mr Twist, gli elefanti sono sempre piaciuti. Tanto da
non poter tollerare, in Rajastan, la visione di rugosi pachidermi “dipinti”,
al pari di un qualsiasi essere umano di
sesso femminile sopra i 13 anni. Da lì
è nata, sulla scia della tendenza a farsi
paladini dei diritti degli animali (fa storia il caso del selfie dello scimpanzè
Naruto finito in tribunale per la questione sui diritti d’autore), la riflessione dell’americano neo artista poi sfociata nel progetto “Elephant Cosmetics”, in collaborazione con l’artista
multimediale Nadia Martinez. E cioè:
perché il canone estetico della giovinezza, valido per l’uomo, deve essere
applicato automaticamente anche agli
animali? E ancora, le rughe possono
essere segno di bellezza? Le 4uattro pa-
reti, spazio dedicato all’arte contemporanea diretto da Maria Giovanna Villari a via Fiorelli 12/d, per festeggiare il
decimo anniversario sceglie di riflettere sul tema attraverso le rappresentazioni e le sculture di Mr Twist e Nadia
Martinez. La mostra, inaugurata il 24
settembre scorso, e visitabile fino a dicembre, promuove, con l’eloquente
sottotitolo napoletano: “Chi è cchiu’
bell’ e t se trucca», una completa cosmesi da pachiderma, con tanto di
prodotti che ironicamente rievocano
nel nome grandi marchi del settore,
programmi mirati e un dizionario della bellezza. «L’importanza dell’attrazione nel regno animale è innegabile
- scrive Mr Twist nel catalogo della mostra -. Con la mia riflessione sono arrivato alla conclusione che l’idea uma-
na di bellezza come sinonimo di giovinezza potrebbe non applicarsi ad altri animali. Così ho iniziato a guardare gli esseri umani con gli occhi freschi di un elefante - o dovrei dire gli occhi saggi e avvizziti - e ho visto una
specie preoccupata dal mantenimento di un aspetto giovane. Non concentrata su qualcosa di fondamentale, come la salute o lo stare in forma, ma intenta a coprire la verità con strati di
falsità. Dal mio nuovo punto di vista continua -, gli esseri umani apparivano strani e ho cominciato a chiedermi
se fosse sensato spendere così tanto
tempo e così tante risorse in questo».
Perché in fondo si sa, «la bellezza è negli occhi di chi guarda, e se lo spettatore è un elefante la bellezza è l'età».
DIONISO, IL
CHIAROSCURO
Dionisiaco e apollineo sono
gli opposti dai quali
nascono la tragedia, l’arte,
la vita e che nella mostra in
oggetto trovano il loro
comune spazio in una
danza generata secoli fa da
una ribellione appassionata
e divenuta poi espressione
della cultura spagnola e
mediterranea: il Flamenco,
uno e molteplice, dove può
irrompere, incontrollabile,
il duende pur lasciando
confluire nell’apollineo
l’impulso vitale e la volontà
di potenza del dionisiaco
nel suo orgoglioso e sagace
fronteggiarsi con la realtà.
Questo e molto altro è stato
concentrato nella mostra
fotografica di Maria Regina
De Luca, studi classici e
laurea a Napoli e a Roma e
studi di cinema e di
fotografia a Madrid,
inaugurata con successo lo
scorso 14 settembre presso
l’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici - Palazzo
Serra di Cassano. Una
sezione della mostra ha
esposto una serie di
acqueforti in rilievo
dedicate ai visitatori non
vedenti e realizzate da
Carla di Feo e Fiorella
Formisano, allieve
dell’Accademia di Belle Arti
di Napoli. In chiusura
dell’evento il maestro
Cristian Almodòvar,
protagonista nelle foto e
per il quale il Flamenco è
arte sacra, ha incantato i
visitatori esibendosi con
una delle sue danze-lezioni.
MICHELE TEMPESTA
MICHELE TEMPESTA
“IN LUCE” DI
CESARE ACCETTA
Tre proiezioni video su cui
scorrono più di cinquanta
volti di attori, attrici,
registi, personaggi del
mondo dello spettacolo e
collaboratori che
compongono un ritratto
della vita professionale e
privata di Cesare Accetta,
uno dei più importanti
fotografi e light designer
italiani. Si tratta dell’opera
“In Luce” presentata al
pubblico il 3 ottobre 2016
ed entrata a far parte della
collezione del Museo
MADRE. Cinquantacinque
i volti proiettati. Ma
protagonista del progetto è
la luce, strumento
inquieto, duttile che si
concede con sottrazione o
accrescimento, e incide di
risonanze molteplici il
“volto” che si fa tela per
imprevedibili esplorazioni .
ANTONIO BIANCOSPINO
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
(23)
SOCIETÀ&COSTUME
Modella e attrice, la Belfiore si divide tra Milano, Dubai e Roma, ma a Napoli,
come ama dire, «tutto può accadere». Odia i ritardatari e sogna il grande cinema
Noemi
mille volti
Claudio D’Aquino
Quelli che la conoscono
lo sanno. Dicono che
vivere al fianco di Noemi
Belfiore sia pari a una
sorta di esperienza survival del terzo tipo.
Modella, conduttrice,
danzatrice e, soprattutto,
attrice emergente, nasce a
Napoli (non diciamo
quando, ma che importa?
Il talento non ha età) e qui
saltuariamente vive, in un
cardine tra i più famosi
della Napoli antica.
Saltuariamente perché gli
impegni la inducono
spesso a dividersi tra
Milano, Roma, Dubai,
Hong Kong e chissà quale
altra meta esotica.
Quelli che non la conoscono ma la vedono per la
prima volta, invece, dicono che dove va lascia il
segno. Noemi Cognigni, in
arte Belfiore, lascia tracce
che si incidono nello
spirito di chi la osserva.
È sufficiente la voce
o anche solo la sua
persona a magnetizzare
gli sguardi.
Noemi, dal ritratto appena fatto manca solo il
segno zodiacale…
Sono nata Ariete. Di me
gli amici dicono che di
questo segno ho preso
tutto.
La donna Ariete è decisa,
determinata, sicura di sé.
(24)
Le vie di mezzo non le
conosce affatto, sbaglio?
Non so, forse è un difetto,
ma al primo posto metto
verità e schiettezza.
Al secondo correttezza e
impegno professionale.
Al terzo l’agenda degli
appuntamenti. Detesto
subire ritardi immotivati.
Parliamo dei tuoi esordi?
Training all’Accademia
Artisti di Rita Statte e
Carlo Principini. Poi un
masterclass con Ivana
Chubbuck e un workshop
con Roberto Bigherati. E
poi tanto cinema: dalle
figurazioni in “Malanapoli” con Enzo Morzillo,
“Colpi di Fulmine” con
Neri Parenti, “Il giovane
favoloso” di Mario Martone, fino al recente “Si
accettano miracoli” di
Alessandro Siani.
E tanta tv, anche…
Si, ma mi limiterei a rimarcare l’intesa con
Raffaele Auriemma, col
quale ricomincerò la
collaborazione in “Tifosi”.
Un’impronta tutta speciale l’hai lasciata al Pan
nello scorso settembre,
con una performance
dell’artista Giovanni
Castaldi, nella quale
interpretavi “Il senso di
colpa”. Raccontaci.
Si è trattato di pochi
minuti nei quali ho provato a sprigionare la carica
emotiva interiore per
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
impiegarla in un’azione
scenica in cui evocare
un’eco della tragedia
greca.
Non è un segreto che tu
sia un’animatrice e testimonial di eventi legati
all’altro tuo profilo professionale, quello di
modella e fotomodella.
È una esperienza piacevole che ho fatto a Villa
Domi domenica 2 ottobre,
dove erano in concorso
una decina di giovani
modelle in un evento che
si è svolto per il lancio di
un nuovo brand di moda,
“Te quiero mucho”.
Che effetto fa stare per
una volta dalla parte di
chi guarda invece di chi è
guardato?
Mi è tornato alla mente il
concorso più impegnativo
al quale ho partecipato,
quando fui indicata come
Miss Eleganza in un
confronto europeo.
Tu sei una che per professione è sempre in giro in
Italia e all’estero. Senti
che è cambiata la percezione di Napoli?
Credo che si stia consolidando, grazie anche al
fallout delle sfilate Dolce&Gabbana, l’immagine
di Napoli come città in cui
tutto può accadere. Per
questo mi trovo a mio
agio nel mio quartiere
non meno che in
qualsiasi altra città.
POST-IT
Il giornalista e
scrittore Sergio
Califano (nella
foto in basso)
si è aggiudicato,
nella sezione
Narrativa/Editori,
il Premio
letterario Letizia
Isaia (PLEI),
giunto alla sua
quattordicesima
edizione.
La premiazione è
avvenuta lunedì
24 ottobre a
Roma, presso
la sede della
regione
Campania nella
gremita sala
“Benedetto
Croce”. La giuria
del PLEI,
composta dalla
presidente Letizia
Isaia, dal
giornalista
Gianfranco
Coppola, dal
medico Giuseppe
Papaccioli, dalla
scrittrice Annella
Prisco e
dal direttore
del Roma,
Antonio Sasso,
ha deciso di
assegnare il
riconoscimento a
Califano, non solo
per la sua
significativa
attività
giornalistica,
ma soprattutto
per il suo
notevole
percorso
narrativo
intrapreso, in
questi ultimi anni,
con i libri
«Libreria bella
estate» (finalista
Premio Rea) e
«Cinema
all’aperto»,
pubblicati dalla
Iuppiter Edizioni.
Atmosfere blues
in Villa Di Donato
Villa Di Donato si trasforma in una grande
lanterna magica di spettacoli musicali e
teatrali. L’occasione è la prima edizione
della rassegna di musica e teatro dal titolo
“Live in Villa Di Donato”. La kermesse sarà
ospitata nella nobile dimora settecentesca
da ottobre 2016 a maggio 2017.
A sgranare gli eventi del calendario si scopre
un turbinio di proposte e attività capace di
solleticare e viziare i palati più raffinati e
abituati al bello in ogni sua declinazione.
La stagione si è aperta sabato 8 ottobre al
ritmo dell'Accademia del Blues, sezione a
cura di Brunello Canessa e Marco Gesualdi,
che offre, oltre a concerti, masterclass per
musicisti con i maestri del blues . Il concerto
“Dressed in blues” di Brunello Canessa (gtr e
vox) con Renato Federico (key), Enzo Caponetto (gtr), Gianluca Nasticola (bass), Francesco De Laurentiis (vln), Nicola De Luca
(drums) ha avuto come protagonisti i grandi
classici di Muddy Waters, B.B. King e Buddy
Guy e i più moderni Eric Clapton, Carlos
Santana e Paul Simon.
Altri appuntamenti da seguire: sotto il segno
della sperimentazione e dell’indagine teatrale la compagnia “L’Antico” fa testo con un
progetto di Francesco Puccio e sotto il segno
della grande musica lirica “The Opera Talk
Show”, un ciclo di incontri sviluppati parallelamente al cartellone operistico del San
Carlo e presentati da Riccardo Canessa. Ma
“Live in Villa Di Donato” comprende ulteriori episodi musicali, sei concerti “d’autore”
secondo una panoramica che va dalle sonorità anni '50 alla tradizione partenopea,
passando per le colonne sonore della nostra
infanzia lette in chiave blues. Nel centro
storico cittadino nella cinquecentesca piazza
di Sant’Eframo Vecchio sorge uno spazio
prezioso, quello di Villa Di Donato, in cui
non solo l’occhio del pubblico si appaga, ma
anche il cuore: tutti gli ambienti della Villa e
le aree dei giardini saranno utilizzati come
scenari per i diversi eventi musicali e teatrali.
Il doppio obiettivo di continuare la tradizione di accoglienza della Villa e di farne il
perno per la riqualificazione del territorio
attraverso l’educazione al bello è centrato.
Già da anni Villa Di Donato a Napoli ha
aperto le sue porte all’arte e alla cultura
ospitando mostre di arte contemporanea,
concerti di musica live e progetti di ricerca
teatrale. Con questo nuovo capitolo
si conferma un importante polo formativo
e culturale della città.
SVEVA DELLA VOLPE MIRABELLI
LIBRI&NOVITÀ
LIBRIDINE
Storie
Aurora Cacopardo
Santoro
e la scuola
giusta
NAVIGARE
È LA TERAPIA
LA POESIA DELL’INSEGNAMENTO
NELLA RACCOLTA DI RACCONTI
«PRUFESSÒ, NU BACIO-I MIEI
RAGAZZI» (IUPPITER EDIZIONI)
«Prufessò, nu bacio – I miei ragazzi» (Iuppiter
Edizioni) di Vincenzo Santoro, professore di
psicologia, si sviluppa tra due opposti: il senso
del vincolo dovuto alla disciplina da insegnare
ed il senso di libertà generato - per sua
ammissione - dall’amore per il teatro che da
sempre lo ha affascinato. Tra questi due opposti
si colloca l’uomo che sceglie con un gesto di
solidale umanità di “essere professore” e di non
“fare il professore”. Questo è stato l’obiettivo
che si è prefissato in tutti gli anni di
insegnamento ed è ciò che ha trasmesso nelle
pagine del suo libro tra avvincenti racconti di
giovani che cercano di affermare la loro identità
trai i banchi di scuola. C’è da dire che Santoro è
dotato di talento fotografico come si deduce
dalle immagini che riesce a suscitare nel lettore.
Sono sguardi dei suoi allievi che egli chiama «i
suoi ragazzi», scatti, lampi di sentimento e di
conoscenza spesso breve, nitidi, e nella loro
semplicità, densi di significati. Valida attitudine
per la parola che spesso diviene poetica
quando descrive gli anni del suo lavoro con i
ragazzi di Nisida e di luoghi affini in cui si è
confrontato con realtà difficili e con volti, a
tratti, smarriti. Si tratta di ragazzi che
camminano nel gelo degli affetti o pieni di
rabbia per una vita senza luce e senza sorrisi;
da qui la volontà del professore di capire, di
orientarsi, di essere pronto a dare e cogliere la
gioia poiché dopo tutto il cielo è un quadro
diverso ogni sera. Egli infine troverà le giuste
risposte per aiutarli nella crescita e per farli
vivere con quella leggerezza che gli adulti
hanno dimenticato come usare.
AURORA CACOPARDO
Occhio di riguardo
PESSINA E L’ALBA
I SASSI DI GIACOMO GARZYA
DI UN GIORNO QUALUNQUE PARLANO D’AMORE
Tempo fa lessi su una rivista scientifica che
Thomas Mann aveva detto di amare solo «le storie
dettagliate ed esatte». Io pensai subito ad Anna
Gertrude Pessina (nella foto). Docente, giornalista,
autrice dallo stile singolare, provocatorio, i cui
contenuti sono i conflitti della società. Rapporti
personali e interpersonali scandagliati con
l’amarezza di occhi impietosi. L’autrice
appartiene ad una generazione che assegna alla
letteratura un significato preciso: un valore non
solo estetico e civile, ma anche biblicamente
sacro. «All’alba di un giorno qualunque» (Manni
Edizioni) è un testo che si muove tra racconto e
sopralluogo, scelta dettata dal pudore di chi vuole
scrivere seriamente e scrive ciò che vede e
conosce di persona. Le protagoniste sono donne
sole, ossessionate da ambizioni, cinismo, culto per
il denaro e impegnate nello scavo di un passato
oscuro e doloroso da sottrarre alla pietrificazione.
Poi la ricerca dell’identità in un’epoca in cui la
storia schiaccia l’individuo; infine la scoperta che
il mondo non sa cambiare in meglio. (a.c.)
Giacomo Garzya, classe ‘52, è un poeta e
fotografo napoletano, docente di materie
letterarie e borsista dell’Istituto Italiano per gli
Studi Storici. Arriva oggi alla sua tredicesima
raccolta di poesie, pubblicata per Iuppiter
Edizioni, dal titolo «I sassi parlano».
Nella prefazione del libro, Anna Esposito
dipinge l’animo del poeta, attraverso le
sfumature e la potenza delle immagini
suggerite nei suoi componimenti: «Le parole di
Garzya rivelano la forza del suo sentire.
Ovunque ho trovato la qualità dell’amore,
espresso in tutte le sue forme, come energia
prorompente che straripa dai suoi versi.
L’emozione qui è incontenibile come uno
tsunami, travolge il lettore, lo conquista, qui le
parole sono forza universale, come la gravità, il
magnetismo». In quest’ultima raccolta, Garzya,
dedica alcune poesie agli ultimi suoi viaggi. Tra
tutti i componimenti meritano una particolare
attenzione «Marlin», ispirata a Cuba, e, la fresca
e malinconica «Irlanda» (s.d.m.)
Viaggio attraverso la
storia, viaggio interiore, viaggio pieno
di entusiasmo adolescenziale, è ciò che
narra Nicholas
Herdon in “Il marinaio della domenica
salpa verso sud”
(Camponotto Edizioni), forse ispirandosi a sir Francis
Drake in quanto,
come lui, avrebbe
voluto terminare la
partita a bocce
prima di prendere il
mare.
Purtroppo il tempo
scorreva veloce,
doveva caricare la
sua barca – un topo
chioggiato a fondo
piatto – viveri e
vestiti poi via attraverso la laguna di
Venezia puntando
a sud, sempre più a
sud, sfidando
mare e venti.
Herdon, nato a
Salisburgo ma cresciuto nello Yorkshire, ha scritto un bel
libro: belle le illustrazioni, i paesaggi,
il mare, il cielo; belli
e suggestivi i colori.
Non è un romanzo,
ma chi lo legge lo
troverà interessantissimo per le emozioni, le passioni e le
meraviglie.
È un bel libro di
viaggio, attraverso
l’Adriatico, il Conero, sempre più giù:
Trani, Bari, Minopoli, Ostuni, Brindisi,
San Cataldo, Otranto, Santa Maria di
Leuca, golfo di
Taranto, laghi di
Sibari, dall’Adriatico
allo Jonio ed infine
dallo Jonio al Tirreno, con occhi aperti
e il taccuino pieno
di note, tanta gente
incontrata, perfino
una calipso proveniente dalla Calabria. Qualla che
potremmo definire
una mappa sentimentale.
L’idea di navigare
conserva, secondo
me, una nobile aria
letteraria perché
rappresenta, da
sempre, un archetipo legato all’idea di
viaggio, esplorazione, scoperta.
A tale orizzonte si
rifà l’autore che ci
offre una sua autentica interpretazione
vivendo il mare
senza angoscia ma
invece navigando in
consapevolezza.
C’è anche spazio per
attimi di gioia: un
preludio lunare,
un’alba chiara.
Navigare significa
anche destreggiarsi
tra gli ostacoli, le
secche, gli scogli
affioranti e quelli
sommersi, inventarsi nuove rotte.
A lettura finita,
abbiamo capito che
l’Oltre non fa paura
a Nicholas; ma ha
una sola preoccupazione: sistemare
molto bene il fondo
della sua barca.
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
(25)
LIBRI&MUSICA
Alt alla marcia
infernale
del progresso
NEL SAGGIO «DISMISURA», EDITO
DA CONTROCORRENTE, OLIVIER REY
ANALIZZA LA CRUDELTÀ DEL MONDO
GLOBALE E LA PERDITA DI OGNI LIMITE
Aldo De Francesco
Da quando l’uomo è venuto
al mondo, a seconda, ovvio, del
suo grado di sensibilità e
conoscenza, la prima cosa che
si è chiesto è da dove venisse,
chi fosse e dove andasse.
Giova ricordare che le
domande intorno all’archè,
cioè all’origine del mondo,
fecero perdere testa - ragione e
fantasia - a tutti i filosofi
naturalisti dietro acqua, terra e
fuoco. Sorvoliamo su quello
che accadde dopo, con coloro Eraclito e Parmenide - che
misero il divenire e l’essere in
cima a tutto. Questo assillo,
insomma, ha riguardato nel
corso di tanti secoli, i pensatori
maggiori e minori, grandi e
piccoli artisti.
Sicuramente il più celebre
“interrogante” è stato Leopardi
con il suo «Che fai, tu, luna in
ciel….. ove tende il tuo corso
immortale?» nel “Canto
notturno di un pastore
errante”. Si deve però a Paul
Gaughin la iconografia più vera
sull’angosciante interrogativo
raffigurato nel dipinto
gigantesco del 1897, oggi nel
museo di Boston, dal titolo
“Da dove veniamo? Chi siamo?
Dove andiamo?” - slogan di
stringente e sempre attuale
inquietudine. Se in generale le
prime due domande hanno
avuto le risposte più varie e
alimentato le ipotesi più
singolari, rimanendo sempre al
centro di una inesausta
querelle, per la terza, da
qualche tempo, si può dire che
una risposta netta, tranchant,
stia venendo dai “profeti della
decrescita”, per i quali di
questo passo nel mondo di
oggi, sul “nostro andare” non
c’è altro sbocco che il fatale
deragliamento, l’uscita dai
binari della saggezza, diciamo
della “sostenibilità”, peraltro
già compromessa .
L’ultimo saggio, tra i tanti che
ogni giorno si registrano, porta
la firma di Olivier Rey, illustre
matematico e filosofo,
autore di una ponderosa e
interessante opera saggistica
appena uscita: “Dismisura, la
marcia infernale del
progresso”, edito da
Controcorrente.
Si tratta di un’implacabile
(26)
L’est modus in rebus
di oraziana memoria è
stato del tutto archiviato:
il filosofo Rey scrive
un’implacabile requisitoria
contro la modernità per
il disprezzo che essa
ha «della misura
e per l’esaltazione della
dismisura, dell’eccesso»
requisitoria contro la
modernità, prima responsabile,
anzi “pubblicamente” alla
sbarra, per il disprezzo che essa
ha «della misura e per la
esaltazione della dismisura,
dell’eccesso».
Partito dal presupposto che il
cosiddetto progresso, visto
sempre come un toccasana massima aspirazione dei
singoli o della società - è in
realtà “apportatore” delle
maggiori nefandezze, egli ne
pone sotto accusa la ansietà
incontenibile di superarsi,
quasi orgiastica, causa alla fine
della perdita di ogni
moderazione e misura. Per
usare un termine,
apparentemente banale ma in
realtà molto efficace, è come se
fosse caduta ogni
“segnaletica”, ogni regola per
l’uomo trascinato da un
contemporaneo rincorrersi
furioso, dove un traguardo
appena raggiunto è subito
archiviato per metterne in
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
cantiere un altro.
Una sorta di perversione
permanente sotto cui, per
l’autore, si nasconde il
“liberismo” stretto da
incontentabile ingordigia e,
allo stesso tempo,
insoddisfazione. Circostanza
che trova riscontri in ogni
comparto, dove le sfide sono
spinte oltre ogni limite, da
annullare i benefici iniziali nel
vortice distruttivo di una
parossistica modernità.
Una per tutte: la corsa alla
costruzione dei grattacieli, che
bucano le nuvole, più che
essere sfida alla conservazione
è la prova di un gigantismo
narcisistico tra archistar:
in fondo a che giova? La città
“che sale” allontana, isola.
«Mentre nel passato - ci ricorda
l’autore - tutte le culture si
sono sempre sforzate di far
maturare gli uomini fissando
limiti e facendo del loro
riconoscimento una
condizione di saggezza, oggi
uno dei peggiori
sconvolgimenti è di aver rotto
con il rispetto dei limiti,
promuovendo l’illimitato, la
dismisura». L’est modus in
rebus oraziano è ormai
archiviato, come anche pare sia
destinato ad esserlo l’auspicio
del remoto filosofo itinerante
Protagora inchiodato al motto:
«L’uomo è misura di tutte le
cose, di quelle che sono in
quanto sono e di quelle che
non sono in quanto non sono».
Morale della favola: «in un
mondo in preda a queste
escrescenze mostruose, di una
mondializzazione compulsiva,
di una sfrenata confusione
babelica, ci vuol un ritorno al
senso delle proporzioni, a una
riduzione di scala».
Come? «Facendo restare la
tecnica commisurabile con le
facoltà umane, altrimenti , la
tecnica umilia, asservisce e
sconfigge l’uomo invece di
essergli benefica».
Gli si può forse dar torto?
Peccato che questo precetto sia
impossibile farlo diventare di
universale ubbidienza.
Siamo sempre, tutti in corsa
e chi si ferma, anche se
con senno, è mezzo perduto,
se non totalmente.
Tutta colpa, forse, del
cannibalismo globale.
D.E.A., il nuovo trio jazz
lancia «Secret Love»
D.E.A. non è solo un riferimento mitologico, una
divinità, ma un acrostico, sta per Daniele, Elio e
Andrea e i suoi punti sono i cardini intorno ai quali
girano le nuove porte del jazz. D.E.A. è il nome del
trio composto da Daniele Sorrentino (contrabbasso), Elio Coppola (batteria) e Andrea Rea (pianoforte e fender rhodes) che per la prima volta sigilla
ufficialmente la propria unione artistica e amicale
in un disco dal titolo “Secret Love” (Itinera), opera
d’esordio in questa formazione.
Dalla nascita del trio (1999-2000) all’incisione di
Secret Love (2016) i tre musicisti hanno cercato e
sperimentato un affiatamento di forma e stile che
trova la sua sintesi in quest’album, summa di oltre
quindici anni trascorsi insieme e separatamente
tra confronti ed esperienze, anche internazionali.
Daniele Sorrentino, padre pianista e nonno mandolinista, intraprende lo studio del violino all’età di
4 anni. Sin da adolescente si cimenta in attività
teatrali e musicali fino a impegnarsi come turnista
nelle sale discografiche e a maturare come compositore e arrangiatore. Ma è con la passione per il
jazz e lo studio del contrabbasso che inizia la sua
ascesa: partecipa con il Sorrentino Quartet Jazz al
Premio Petrucciani e vince come Miglior Musicista. Ha lavorato e suonato con artisti come Stefano
Di Battista, Sylvain Luc, Jerry Bergonzi, Enrico
Rava e tanti altri. E da 5 anni è membro del quartetto di Stefano Di Battista.
Elio Coppola comincia a suonare la batteria all’età
di 12 anni, le sue doti non tardano a emergere e a
dare frutti: vince nel 2003 e nel 2004, al Baronissi
Jazz, il premio come miglior talento e come miglior
gruppo (cat. Emergenti), nel 2006 e nel 2007 con il
trio Mr. Illogic il premio Jimmy Woode e sempre
nel 2007 il Concorso Internazionale per nuovi
talenti del jazz Chicco Bettinardi ‘07 durante il
Piacenza Jazz Fest. George Cables, Shaw Monteiro,
Joey DeFrancesco sono solo alcuni dei nomi con
cui il batterista vanta collaborazioni.
Andrea Rea comincia lo studio del pianoforte
all’età di 9 anni, continua a coltivarlo affiancando
alla passione per il jazz un’educazione classica.
Vince numerosi contest: Baronissi Jazz, Tuscia in
Jazz, Piacenza Jazz e Jazz Teano Factory e nel 2007
è suo il prestigioso Premio Internazionale Massimo Urbani PIMU11. Nel corso degli anni collabora
con musicisti del calibro di Stefano Di Battista, Dee
Dee Bridgewater, Joe Lovano, Maria Pia De Vito,
Richard Galliano. Nel 2010 realizza White Room,
suo primo album da solista e nel 2014 Arioso.
Attualmente è impegnato nel quartetto di Stefano
Di Battista. Cos’è a questo punto Secret Love se
non il precipitato entusiasta di tanto vissuto?
Suonare diventa allora raccontare delle storie. In
poco più di 36 minuti le storie che si susseguono
prendono l’abito jazz di brani originali o di standard riarrangiati. L’apertura è di Dea, una malia
che scrive nell’aria un incantesimo firmato da
Andrea Rea cui spetta anche la sigla del brano di
chiusura Little Peach e la coautorialità, insieme a
Daniele Sorrentino, di The Cube. Il bassista targa
inoltre la conturbante Suddenly. Tra gli standard
scelti: The Duke di D. Brubeck, Long ago and far
away di J. Kern, oltre a Secret Love di S. Fain che dà
il titolo al disco. Spicca su tutte l’appassionata
Fotografia di A. C. Jobim, vertigine ed eclissi della
seduzione fatta musica.
SVEVA DELLA VOLPE MIRABELLI
NAPOLETANARIO
SGUARDI LONTANI
Francesco Iodice
SAGGEZZE E INESATTEZZE
Anatomia
dei detti
Molti proverbi sono
disseminati ne “Lo cunto
de li cunti” di Basile in
cui vengono inseriti a
sigillo e chiusura
ideologica di ogni fiaba.
In una di esse (“Li dui
fratielle”, seconda del
quarto giorno) perfino
offerti da un padre
morente ai figli
come eredità solida
e privilegiata:
«Na recchezza che no
ve sarrà arrobbata da
malantrine, na casa che
no la scarruparranno
terremote, na
possessione che no
la consumarranno
li vrùcole».
Roberto D’Ajello
Nell’anno 2003 Marzio Grimaldi mi
chiese di mettere in ordine ed esporre
in forma narrativo-letteraria una
raccolta di antichi detti napoletani
sulla nostra tradizione culinaria. Fu
così che nacque il mio primo libro in
materia (il mio primo capolavoro
letterario in assoluto fu la traduzione in
lingua napoletana di Pinocchio) dal
nome Proverbi & Maccheroni. La
buona riuscita dell’esperimento ci
spinse a proseguire nella pubblicazione di raccolte “a tema” di proverbi e
modi di dire arricchiti da citazioni di
poeti e prosatori napoletani dal '600 ai
nostri giorni. E videro la luce Proverbi
& Femmine, Proverbia prohibita, ’A
Madonna v’accumpagna, Antichi detti
marinari. Complessivamente ben 4271
tra proverbi e modi di dire. A tal proposito va subito detto che i miei florilegi
nulla hanno a che vedere con le mediocri raccolte di proverbi che ingorgano gli scaffali della paremiologia napoletana e di molte delle quali sono
tuttavia debitore perché sono state
indispensabili per scovare e radunare
tutti quelli che di volta in volta mi
servivano. Alcune sono anche pregevoli (ad es. quelle di de Falco, Consiglio,
Pennino, Zazzera), ma ve ne sono
troppe che consistono in mere elencazioni alfabetiche dei reperti. Vi cito
qualche esempio, partendo da una
svista del nostro pur grande Consiglio.
Persino lui, nel commentare l’adagio
“Pe li piccerille nce vô cacca, zizza e
nonna”, si distrae e spiega, a proposito
del terzo ingrediente, che i neonati
hanno bisogno anche di una “nonna”
dalle braccia pazienti che sappiano
addormentarlo. Dimentica che, invece,
la parola napoletana “nonna” indica
prevalentemente la “nanna”, il sonno.
Ma ben altre sono le topiche di meno
illustri divulgatori dei quali ometto i
nomi per carità di patria, ma offro
qualche esilarante insegnamento. Tutti
certamente avrete già sentito l’esclamazione “I’ te canosco piro”, che vuol
dire “Ti conosco bene, so che non
posso aspettarmi niente da te”. Forse
molti di voi ne sanno anche l’origine:
un contadino, sradicato un pero che
non dava più frutti, aveva donato il
tronco al parroco per ricavarne una
statua di Cristo. Ai piedi della quale il
coltivatore aveva provato a chiedere
una grazia e, non esaudita, le aveva
detto che avendola conosciuta nella
precedente veste, non si stupiva della
sua serbata sterilità. Il nostro commentatore spiega: “te canosco piro”, con “ti
conosco bene da quando eri bambino”. Ha forse derivato “piro” da
“puer”? La frase “Maniate ’e zizze nun
fanno criature”, che rassicurava i casti
fidanzatini d’un tempo sulla innocuità
del petting, si trasforma in un inspiegabile “Mangiate ’e zizze nun fanno
criature”, rassicurazione destinata ai
cannibali. Ma il colmo dell’insipienza è
L’OSCURO FILO TRA
NAPOLI E DRACULA
“Dracula” ha fornito l’archetipo alle
numerose storie di vampiri che si
sono succedute nella letteratura e
nel cinema. Scritto da Bram Stoker
nel 1897 e ispirato alle figure storiche del principe rumeno Vlad II,
detto “Dracul il diavolo”, e di suo
figlio Vlad III, “l’Impalatore”, Dracula-Nosferatu (colui che non
muore) è un personaggio più che
mai inquietante. Benchè Stoker, a
differenza di molti suoi contemporanei, non abbia mai visitato Napoli, pare che il personaggio che gli
ispirò Dracula, cioè il conte Vlad,
sia seppellito nella nostra città.
Curioso destino che, se dimostrato,
congiungerebbe la fumosa Londra
alla Transilvania concludendosi
nell’azzurra luce mediterranea. Un
team di esperti è al lavoro sulla
tomba di Santa Maria La Nova dove
si dice che possa essere sepolto
Vlad Tepes. Quest’ultimo, conte
dell’ordine del Dragone, scompare
nel 1476 in una battaglia contro i
turchi. La figlia, portata a Napoli e
adottata da una famiglia del posto,
sposa l’erede dei futuri conti di
Acerenza. La coppia sarà seppellita
a Napoli. In seguito fu scoperto che
Vlad Tepes non era morto in guerra,
ma sua figlia l’aveva fatto venire
nella nostra città e fu sepolto nella
tomba di famiglia in Santa Maria La
Nova. La lapide raffigura un dragone a molte code circondato dai
simboli della città di Tebe che
riconducono al nome Tepes del
conte Vlad. Il gruppo di esperti ha
individuato una fessura nel marmo
nel commento che questo nostro
spericolato “napoletanista” dà del
modo di dire “Me pare Cicchignacco
’int’ ’a butteglia”, usato per prendere in
giro qualcuno paragonandolo al diavoletto di Cartesio. L’incredibile spiegazione del nostro letterato? “Sembra un
pupazzo di quelli che saltano fuori
dalle botteghe”. Vi dirò qualcosa sui
proverbi in generale e, per darmi
anch’io un po’ d’arie, inizierò con un
adagio latino: “Omnia proverbium est
probatum verbum”. I proverbi sono
tutti provati e sono indice eloquente
della saggezza di un popolo, del quale
vanno decifrate abitudini e consuetudini di vita. In queste tipiche espressioni dialettali, c’è la testimonianza del
passato giunta a noi attraverso la
stratificazione delle esperienze comuni. Per prima cosa occorre fare una
distinzione tra proverbi e modi di dire.
I primi, più complessi, consistono in
detti sentenziosi, brevi ed arguti, di
origine e diffusione popolare, che
espongono, per lo più in modo figurato
e allusivo, verità o convinzioni (“’A
faccia tosta vale cchiù ’e na massaria”;
“Panza chiena cerca arrepuoso”). I
modi di dire, quasi sempre più concisi,
sono frasi peculiari d’uso ricorrente,
altrettanto ruspanti e di pari arguzia,
che esprimono, in modo metaforico e
paradossale, situazioni, opinioni e
comportamenti. Ne cito uno solo che
descrive e frusta quei brontoloni
scontenti di tutto, ai quali non va mai
attraverso la quale è stata inserita
una microcamera che ha potuto
svelare alcuni dettagli dell’interno
della sepoltura senza, però, poter
arrivare alla zona più profonda.
Nella porzione più prossima al
marmo di protezione è stata scoperta una croce che è, in realtà, un
simbolo del demonio.
II luogo della sepoltura sembra,
nella topografia partenopea, il più
adatto, sia perché era l’ovvia destinazione della nobiltà in epoca
aragonese, sia per la vicinanza con
il famoso “Palazzo del Diavolo”,
Palazzo Penne, ove vivono fantasmi
letterari e non solo: infatti, secondo
la leggendaria aneddotica, pare che
il diavolo fosse stato rinchiuso in
un tombino dal proprietario del
palazzo e segretario del re. Vero o
falso, non ha importanza, quel che
conta è ciò che resta: un magnifico
palazzo, ora mal ridotto. Sulle orme
di così tanti fantasmi, letterari e
architettonici, non resta che dedicarsi alla lettura del bellissimo libro
“Dracula” di Stoker, che rappresenta l’eterna vicenda della lotta tra
bene e male, sullo sfondo di una
storia che scaturisce direttamente
dall’inconscio ed entra nei nostri
sogni più spaventosi. Non basteranno esorcismi razionalistici a
toglierle l’irresistibile e possente
ossessività che pervade queste
storie di diavoli e fantasmi. L’estate
è finita, ma si legge meglio in autunno che, in fondo, è la più oscura
delle stagioni e, nel frattempo, può
darsi che gli esperti abbiano le
prove della presenza vampirica nel
complesso monumentale, denominato dal popolino “la chiesa della
tomba di Dracula”.
bene niente: “Me pare ’a monaca ’e
Casale, muscio nun ’o senteva e tuosto
le faceva male”. Vi è, infine, una particolare forma proverbiale, nota come
“wellerismo” (perché deriva il nome da
Sam Weller, sentenzioso personaggio
de Il circolo Pickwick di Dickens), che
ha la caratteristica di attribuire detti o
affermazioni perentorie a un personaggio per dargli autorevolezza (“Dicette Mmaculata: Nce pônno cchiù
ll’uocchie ca ’e scuppettate). Con comprensibile immodestia, vi dico che le
mie raccolte si distinguono dalle altre
anche per i numerosi riferimenti alla
letteratura napoletana, in versi e in
prosa, nella quale il posto d’onore
spetta senza dubbio alcuno al “cavaliero” Giambattista Basile, passato alla
storia della letteratura quale autore di
Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de’ piccerille, noto anche come
Il Pentamerone.
Questo capolavoro della prosa in
lingua napoletana è un’aurea miniera
di espressioni sentenziose del tempo,
che Basile attinse a piene mani dai
“motti” della classicità, dai “volgari
proverbi della pubblicistica povera” e
dalla memoria popolare. Un patrimonio immateriale ben degno della
recente salvaguardia concessa alla
nostra lingua (la seconda d’Italia dopo
quella nazionale) dall’Unesco a cui è
stato ingiustamente negato il rilievo
che merita nell’ambito dell’intera
tradizione letteraria di area nazionale.
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
(27)
LAPILLI
Terni&Favole. Il Natale s’avvicina con i suoi riti
e le sue tradizioni. Nella Tabaccheria Postiglione di
Largo Ferrandina a Chiaia c’è grande fermento:
presto le zucche deliziose di Halloween verranno
sostituite da allegre carte regalo, gustosi «babbi
Natale» al cioccolato e un’infinità di addobbi per
ricchi veglioni. Ma prima di stelle comete e re magi,
c’è un argomento che, più del calcio, tiene banco in
queste giorni: il referendum per la riforma costituzionale, fissato per il 4 dicembre, giorno di Santa
Barbara. A dir il vero, chi entra e chi esce dalla tabaccheria non è che c’abbia capito un granché su
questo referendum: la confusione balla sui cubi, il
dubbio è più forte di un Sì e di un No, e il ritorno
sulla scena di politici in naftalina spaventa un po’
tutti. Alberto Postiglione, il nostro mago dei numeri,
stando il giorno intero ad ascoltare il popolo, non ha
dubbi su che combinazione proporre questo mese:
«Ho consultato la Smorfia e il terno su cui puntare
almeno per 12 estrazioni è 4 (il giorno in cui si vota)
- 52 (il referendum) - 90 (il popolo): combinazione
da giocare su tutte le ruote. Consiglio anche il “terno del Sì”, che comprende i numeri 4 - 52 - 33 (il
cambiamento) e il “terno del No” formato dai numeri 4 - 52 -82 (conservazione). Terni da giocare su
tutte le ruote almeno per 12 estrazioni».
Il Masaniello danza sulle punte
Laura Bufano
«Tutti devono sapere chi è
stato Carlo Blasis, napoletano
colto che nel 1828 scrisse, tra
l’altro, il Code of Terpsichore,
una enciclopedia della danza
che ancora oggi rappresenta
la bibbia dei ballerini». Così
nasce l’idea di un Premio
Masaniello, XI edizione,
sull’arte coreutica, da una
provocazione di Aldo Masella,
direttore della Scuola di
Teatro del Teatro Carcano di
Milano. Oltre a Masella,
quest’anno, la Giuria del
Premio era composta da:
Riccardo Canessa, Maresa
Galli, Mauro Giancaspro,
Armida Parisi. “Napoli sulle
punte” è stato il tema di
quest’edizione che ha visto il
ritorno del tema ciclico, dopo
la sospensione per i festeggia-
menti del decennale dello
scorso anno. Il Premio si è
tenuto il 25 settembre nello
storico Teatro Sannazaro di
via Chiaia con la regia di Sasà
Imperatore. La serata si è
aperta con la sigla “Napoli,
t’amooo” - parole di Umberto
Franzese e musica di Angelo
Mosca - interpretata dal
soprano dell’Opera del San
Carlo, Linda Airoldi con il
rapper Vincenzo Musto, in
arte Oyshe. Sul palco grande
effetto coreografico con
l’immancabile immagine di
Masaniello, realizzata da
Gianna Caiazzo. A condurre la
serata Lorenza Licenziati. I
premiati dell’edizione 2016
del Masaniello sono stati:
Romeo Barbaro, musicista;
Beniamino Casale, allergologo; Cesare Gridelli, oncologo
considerato il migliore al
mondo per i suoi studi sul
cancro al polmone; Gianni
Lamagna, musicista; Valeria
Parrella, scrittrice; Tullia
Passerini Gargiulo, antiquaria
del ‘900; Gilda Valenza Maggi,
fotoreporter. “Mescolanze:
Vocazioni e privilegi”, è stato
l’intermezzo tra recitazione e
canti prima di passare al tema
specifico e ai suoi vincitori:
Arnaldo Angelini, maestro di
ballo; Alessio Buccafusca,
fotografo internazionale di
danza; Luciano Cannito,
regista-coreografo; Umberto
De Luca, primo ballerino;
Antonio Iavarone, coreografo;
Elisabetta Magliulo, prima
ballerina; Giuseppe Picone,
direttore del Corpo di ballo
del Teatro San Carlo di Napoli; Marilena Riccio, prima
ballerina; Ambra Vallo, etoile
internazionale. Nomi importanti tutti rigorosamente
napoletani, forse alcuni
sconosciuti al grande pubblico, e questo è sicuramente
uno dei meriti del Premio
Masaniello: dare visibilità ai
napoletani protagonisti di un
certo settore anche attraverso
le motivazioni scritte da
Umberto Franzese e consegnate, insieme alla statuetta
dello scultore Domenico
Sepe, su pergamena.
Coloro che hanno ricevuto il
Premio si sono detti “onorati”, e lo sono sicuramente
Luigi Rispoli, presidente del
Comitato Scientifico, Umberto Franzese, direttore artistico
e la scrivente che, anche
questa volta, sono riusciti a
regalare alla città un momento di partecipazione sempre
più atteso.
Mazza: «La recitazione? Condizione di felicità»
Veronica Mazza, classe 1973, è un’attrice molto amata dal pubblico napoletano. Moglie dell’attore e regista
Eduardo Tartaglia, con cui il sodalizio
è anche professionale, sta per debuttare al Teatro Sannazzaro con il suo
primo spettacolo di cabaret “27 Verticale”, oltre a tanti sogni che stanno
per uscire da cassetto: primo tra tutti
far parte della compagnia teatrale di
Carlo Buccirosso.
Come si è accostata alla recitazione?
L’ho capito molto giovane. Non è stato semplice sceglierlo da adulta. Ho
capito che nella vita avrei dovuto fare
questa professione perché era talmente congeniale che avrei fatto non
solo un lavoro in cui credevo ma anche una cosa che mi veniva bene in
maniera semplice. Ho iniziato a prendere la recitazione come una fede, come qualcosa di molto serio.
Quali sono le esperienze e gli incontri che hanno segnato maggiormente il suo percorso professionale?
Sicuramente un incontro con degli
amici al liceo attraverso cui sono entrata in questo gruppo di intellettuali, amanti del teatro e con loro ho inizato ad accostarmi a questa arte. Poi
(28)
il Teatro Bellini, la struttura che all’epoca era la più importante della città e luogo in cui mi sono diplomata. E
ovviamente l’incontro con Eduardo,
mio marito, che ho conosciuto in un
laboratorio di teatro. Insieme a tanti
colleghi, che poi sono diventati amici, abbiamo messo su un gruppo di
nuova drammaturgia. Un altro passo
importante è quello con “Un posto al
sole” che ha fatto crescere il mio amore per il piccolo schermo e ha alimentato la mia voglia di stare in tv.
Cinema, teatro, tv: qual è la dimensione che le è più congeniale?
La dimensione che mi è più congeniale è la recitazione, io mi sento estremamente felice di recitare sempre. Per
me stare su un palcoscenico significa
stare sull’isola che non c’è.
Sarà la regina del Teatro Sannazzaro
per questa stagione.
La regina è stata Luisa Conte, noi siamo tutti ospiti del teatro che conserva la sua memoria. Dopo di lei c’è Lara Sansone, sua nipote, che mi ospita
perché ci stimiamo molto. Mi apre le
porte del suo teatro e per me è un’occasione di immensa gioia. Gli attori
sono molto gelosi dei loro luoghi: aprire il Sannazzaro a un attrice quasi coe-
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
tanea è come se fosse un invito a casa e io per questo la ringrazio moltissimo.
Dal 18 novembre si cimenterà nel cabaret con “27 Verticale”. Ci racconti:
in che vesti la vedremo?
L’unica esperienza di cabaret che ho
avuto è stata a “Tu si que vales”: mi sono presentata con un monologo che
parlava di Facebook. Dopo tante insistenti richieste, ho deciso di scendere in questa nuova dimensione della
comicità in maniera molto scanzonata. “27 Verticale” ha una significato
particolare: il 27 di solito è il giorno
della paga, mentre verticale è quello
che tutti vorremmo essere nella vita,
stare in piedi, non piegarci. Sarà soprattutto uno spettacolo sulla comunicazione, sulla voglia di vedere dal
vivo senza la mediazione della tecnologia, di prendere un po’ in giro la
nuova era tecnologica e di raccontare
la difficoltà delle donne di rimanere
con la schiena diritta a fare le wonder
woman. Ci divertiremo a raccontare
un mondo che per le donne d’oggi è
diventato un po’ più di difficile sotto
certi punti di vista e molto più facile
sotto altri.
Un desiderio lavorativo che spera di
avverare per il 2017?
Quest’anno se ne avvera già uno, entrerò nella compagnia di Buccirosso,
con cui da dicembre a febbraio gireremo tutta Italia con lo spettacolo “I
compromessi sposi”. Poi ritornerò
con Tartaglia al Sannazzaro con una
commedia che vent’anni fa ci ha fatto conoscere al grande pubblico intitolata “Chi arde per amor si scotta e
suda”. I miei desideri sono così tanti
che preferisco tenerli privati ma alcuni di questi si stanno già realizzando.
LIDIA GIRARDI
LAPILLI
Fashion Up
Academy,
sfida di stile
A NOVEMBRE IN ONDA
IL TALENT SHOW IDEATO
DA NANCY D’ANNA, GAETANO
AGLIATA E ANDREA AXEL NOBILE
Un talent show a colpi di
stile made in Naples mancava. A colmare la lacuna ci
hanno pensato la Young
Fashion Agency di Nancy
D’Anna e Gaetano Agliata e
la ODA03 di Andrea Axel
Nobile, lanciando “Fashion
Up Academy”, in onda il 10
Novembre per tre giovedì
alle ore 21.30 su Julie Italia
(canale 19 del digitale) e il
16 Novembre su SKY (canale 819) alle ore 21.00.
Il format prevede tre squadre, tre categorie e un’unica passerella, quella di Villa
Herta, una dimora di charme nel cuore di Napoli.
Sarà lì che le ragazze si
affronteranno per poi
sottoporsi ai commenti dei
temibili giudici. Le model-
le, suddivise per età, seguiranno un programma
studiato da coach esperti
del settore e si sfideranno
con prove settimanali. A
condurre il programma
Ivan Bacchi (conduttore
Rai e attore di fiction), a
giudicare saranno invece
quattro giudici severissimi:
Barbara Petrillo (attrice e
showgirl), Emanuela Tittocchia (attrice e opinionista tv), Teresanna Pugliese
(web influencer) e Mario
Grossi (blogger ed influencer) con i tutorial condotti
da Mary Barbaro. Opinio-
nisti d'eccezione la direttrice di Secret Style Magazine,
Daniela Iavolato e l'attrice
Cinzia Mirabella.
A seguire le ragazze nella
loro formazione: Nancy
D’Anna, Model Manager
della Young Fashion Agency; Giuseppe Cerella, Hair
Stylist del marchio CHD
saloon; Benedetta Riccio,
make up artist e direttrice
della Benedetta Riccio
make up artist school, con
la direzione artistica di
Andrea Axel Nobile. La
posta in palio è alta: la
modella che alla fine del
contest televisivo sarà
ritenuta migliore otterrà
contratti di lavoro messi in
palio dagli sponsor.
(s.d.m.)
L’ORA LEGALE
Adelaide Caravaglios
L’INSOSTENIBILE GELOSIA
DELL’EX MARITO
Alle volte, può capitare che quando due
persone si lasciano, rimangono tra loro
attriti e gelosie; può anche capitare (ed è
questa la parte più delicata del problema)
che si instauri un clima teso, fatto di ricatti e
rivendicazioni, nel quale finiscono con
l’essere coinvolti i figli, quasi come se
fossero merce di scambio o, peggio, fossero
testimoni incolpevoli delle “marachelle” dei
genitori. È infatti accaduto che un uomo, un
ex marito, aveva sporto denuncia contro l’ex
moglie, accusandola addirittura di
corruzione di minori per essersi scambiata
alcuni baci con il nuovo compagno in
presenza dei figli di lei, e pur di incastrarla, il
novello Iago era ricorso all’aiuto di un
investigatore privato. Non contento, non si
era fermato al giudizio del GIP, ma era
ricorso in Cassazione per chiedere
l’annullamento del provvedimento di
archiviazione, vista la condotta
configurabile come reato di atti osceni in
luogo pubblico e, di conseguenza, la
condanna della donna ed asserendo, al
contempo, che il giudice delle indagini
preliminari aveva erroneamente ritenuto
non sussistente la natura sessuale dell’atto
posta in essere dagli indagati.
Per fortuna, i giudici della III Sezione penale
della Cassazione (sentenza n. 41483/2016)
sono stati di avviso diverso ed hanno
respinto il ricorso, data l’infondatezza di
tutti i motivi di censura: da quanto dedotto
in giudizio e, paradossalmente, dalla stessa
relazione del detective ingaggiato, era infatti
emerso un “contesto relazionale di
manifesta affettuosità estesa anche ai
minori”, rispetto ai quali il nuovo compagno
aveva “un comportamento di confidenza e
amorevolezza”. Niente da fare, quindi, per
l’ex marito, che, perdente, è stato costretto a
pagare anche le spese processuali.
Teatri di Seta
mette
in scena
l’integrazione
LA COMPAGNIA TEATRALE,
DAL 2010, È IMPEGNATA
SULLA TEMATICA
DELL’INCLUSIONE DEL DIVERSO
Lorenzo Maresca, un anno da pesciolino
Quando sarà grande e vedrà questa preziosa foto - i giornali
cartacei saranno una rarità da collezione - in cui sorride al
mondo e occhieggia alla vita, Lorenzo Maresca, nato il 18
ottobre 2015 nella fiera Irpinia, in una domenica pizzicata
dal freddo ma con un sole prodigioso, dovrà sapere che la
festa del suo primo vero compleanno, organizzata da
mamma Lucrezia e papà Giampiero, aveva un tema ben
preciso: gli animali. Scelta fortemente voluta dalla famiglia
perché quando scalciava nella pancia, dalle ecografie
sembrava un gioioso “pesciolino”, nome con cui tutti lo
chiamavano. Quando Lorenzo guarderà il mondo da un
altro punto di vista e vorrà ritrovare il piccolo Lorenzo, dovrà
sapere che a un anno d’età era un pasticcino di burro che
voleva che la pappa gli venisse data con il giusto ritmo, che
amava battere le mani, fare i versi del cavallo e del pesce,
parlare a telefono con i bisnonni, chiamare qualsiasi cosa,
animata o inanimata, “mamma”o “momma” e soprattutto
ridere infinitamente nell’ascoltare la sigla di «Un posto al
sole» e giocando con zia Lidia.
«Una ciocca di capelli,
una vecchia chiave che
aveva perduto la sua
porta, una pipa che
aveva perduto la sua
bocca, il nome di qualcuno ricamato su un
fazzoletto, il ritratto di
qualcuno in una cornice ovale. Queste e altre
cose e cosette erano
avvolte fra i vestiti nelle
valigie degli esiliati, in
ognuna ci stava un
mondo», in questo
passo di un racconto di
Galeano c’è tutta la
storia che Teatri di Seta,
associazione culturale
di ricerca e produzione
teatrale, ha inteso
costruire: una storia di
contaminazione culturale, di scoperta dell’altro, di conoscenza del
diverso. Attraverso
«Atelier Teatrali Territoriali», realizzato dall’Assessorato alla Cultura
del Comune di Napoli,
finanziato dal MIBACT
e patrocinato dalla
Fondazione «Eduardo
De Filippo», Teatri di
seta ha creato un laboratorio gratuito «Di.Verso Terra di Mezzo»
rimodulando uno
spettacolo già prodotto
e messo in scena dalla
regista Pina Di Gennaro e dalle attrici Elisabetta Bevilacqua, Marina Cavaliere, Serena
Lauro, Francesca Ponzio e Alessandra Mirra.
Gli incontri, rivolti a
italiani e migranti, che
hanno preso il via il 24
ottobre, si terranno
ogni lunedì e giovedì
dalle 18:30 alle 20:30
fino a dicembre con
una performance finale
allo spazio «Piazza
Forcella». L’intento di
questo laboratorio è
unire alla pratica teatrale un percorso
di integrazione, consapevolezza e crescita
comunitaria.
(Per info e
iscrizioni:[email protected] oppure
3393248394)
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
(29)
MOVIDA&RELAX
Gusti giusti
di Fabio Tempesta
PANE & PROSCIUTTO,
IL COVO DEI SAPORI
Artico, gelato «live»
Dopo il successo di pubblico e
critica a Milano, ha inaugurato a
Napoli, il 20 settembre scorso, Artico
Gelateria, store partenopeo nel
cuore del quartiere Vomero, in via
Giambattista Ruoppolo 93. A credere
nel progetto Artico sono stati Davide
Martino, Marcello Della Gatta, Mario
Salvati e Vincenzo Lanna, quattro
giovani imprenditori con il talento
della tenacia che hanno deciso di
puntare sul brand milanese, guidati
dall’esperienza trentennale dei
maestri gelatieri diretti da Maurizio
Poloni, pronti a far conoscere ai
napoletani non solo l’alta qualità
degli ingredienti utilizzati, ma so-
prattutto un mix originale di profumi
e sapori che hanno rivoluzionato la
concezione del gelato artigianale.
Crema di mascarpone e zenzero
fresco, crema di ricotta di bufala con
composta di fichi e noci, pistacchio
salato, e ancora crema di caffè e
milinga: queste sono solo alcune
delle innovative ricette che Artico
propone in rotazione oltre ai grandi
gusti classici. Imperdibile, poi, è il
contatto emozionale con le 32 varianti e “sfumature” del cioccolato
tra cui è possibile, ad esempio, degustare il cioccolato al tabacco e rhum,
e il sorprendente cioccolato bianco
con zafferano e rabarbaro.
La qualità del gelato Artico è data
dalla scelta delle materie prime con
la totale assenza di conservanti e
Ogm nonché di coloranti e aromi
artificiali. La grande novità del metodo di produzione Artico si racchiude
nel laboratorio a vista, in modo da
poter osservare come gli ingredienti
vengano trasformati in gelato e la
tradizione diventi arte. Non è un
caso, infatti, che Artico ha lanciato
anche a Napoli il primo gelato artigianale “live”, realizzato “in diretta”
con un procedimento di lavoro che
non prevede l’utilizzo di scorte in
cella per assicurare un gelato sempre
fresco, naturale e genuino. (s.d.m.)
Mercurio, doppia festa a Villa Domi
Prendi una location d’eccezione, Villa Domi, che col suo
fascino antico si specchia dall’alto nel Golfo di Napoli;
prendi una serata tra bollicine, sorrisi e volti noti della
platea teatrale e cinematografica napoletana, e il party
ideale è fatto. Doppia occasione, lo scorso 16 settembre,
per festeggiare sotto le stelle: il compleanno dell’attrice
Marianna Mercurio e la carrellata di premi che il film
“Due euro l’ora” (in cui la Mercurio ha recitato) continua a racimolare. Per l’occasione si sono ritrovati mem-
Bella gente
Claudio Cerchietto
Cerchietto, ovvero Ciro Cacciola, ha
recensito il mondo underground e
quello dei club in qualità di
giornalista. Di notte è soprattutto
un dj, uno dei migliori dj in
circolazione, che nel 2013 ha vinto
il Premio Facenight. La sua mission
è giocare con la musica, divertirsi e
divertire con playlist improbabili
per non dire impossibili. La sua
forza è la creatività e la simpatia
contagiosa. Nei suoi djset la
filosofia del jukebox si traduce in
una maratona radiofonica durante
la quale mixa electropop e rumore,
(30)
bri del cast e della troupe del lungometraggio: il regista
Andrea D’Ambrosio, gli attori Massimo De Matteo,
Patrizia Di Martino, Alessandra Mascarucci, il montatore Giogiò Franchini. In clima di festa, tra gli invitati,
anche: l’attore Gianni Ferreri, i registi Luigi Russo e
Alfredo Mazzara, il pugile Patrizio Oliva, le Sex and the
Sud e Enzo Fischetti da Made in Sud, i cantanti Monica
Sarnelli e Massimo Masiello, l’agente cinematografico
Marianna De Martino.
A via Bisignano 6, nell’epicentro della
movida di Chiaia, c’è «Pane&Prosciutto»,
uno dei luoghi più esclusivi a Napoli per
gli amanti dei taglieri. Un wine bar, piccolo e caldo, delizioso «covo dei sapori»
fortemente voluto dall’imprenditore
Peppe Bevere, vulcanico padrone di
casa che, ogni sera, accoglie, insieme al
suo staff, chi desidera intraprendere un
viaggio «dolce e salato».
Il wine bar ha un’architettura volutamente rustica in cui la pietra grezza e il
design semplice creano un ambiente informale, e al tempo stesso molto raffinato, dove è possibile tra luci soffuse e
musica di qualità gustare vere prelibatezze, nate nel segno della tradizione dei
«ricordi d’infanzia» rivisitati con sapienza
in chiave gourmet. L’ampia varietà dei
taglieri, la qualità sopraffina dei salumi e
dei formaggi, l’ottima carta dei vini e
delle birre, i buonissimi cocktail, la
grande dinamicità tra lo spazio, seppur
contenuto, del locale e l’esterno hanno
consentito a «Pane&Prosciutto» di scalare, in breve tempo, la «eat parade» partenopea che a Chiaia propone tanti
ritrovi dai «gusti giusti».
Se a tutti questi elementi si aggiunge
anche l’ospitalità di Peppe Bevere e dei
suoi compagni di ventura, non c’è da meravigliarsi del successo del locale dove,
dentro o fuori, ci si sente sempre «a
casa» e, soprattutto, si percepisce
l’amore per la professione, la semplicità
e la voglia di condividere una passione.
di Tommy Totaro
funk e 80’s, house classic e disco
bambina, jazz e original
soundtrack. Insomma un cocktail
vincente, visti i grandi risultati
ottenuti.
Chicca Fusco
Tanto brava quanto affascinante,
modella ed event manager, ha
CHIAIA MAGAZINE • OTTOBRE/NOVEMBRE 2016
prodotto con il fotografo di moda
Salvio Parisi uno dei party più
ambiti e copiati della città dal titolo
«Fly-Away». In molti attendono il
suo ritorno sui migliori dancefloor
cittadini e non possiamo che
augurarci di rivederla a breve per
gustarci il suo splendore.
Pierluigi Scatola
Lo abbiamo visto come giuria
tecnica al Premio Facenight di
quest’anno: è un producer manager
2.0, proprietario della struttura
CommonGround e organizzatore di
grandi successi ed eventi siglati
DROP agency.
Tina Lepre
Storica lady dell'intrattenimento
notturno italiano: visionaria,
eclettica, instancabile,
ha fatto la storia del club e
continua a fare club e a vivere le
notti del divertimento con
Arte Dinamika.
EXIT
Diamo i numeri
Napoli ospitale
465
sono i migranti
arrivati domenica
23 ottobre a Napoli
a bordo della
motovedetta
«Gregoretti»
e scortati dalla
Guardia Costiera.
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Sorrentino incolla alla TV
953
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! mila spettatori hanno
visto «The Young
Pope», la nuova serie
diretta dal
napoletano Paolo
Sorrentino che ha
battuto «Gomorra» e si
aggiudica il record
assoluto di ascolti.
PROSSIMO NUMERO «SPECIALE NATALE»
- NEL
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sono i metri che
separano la zona del
crollo di un soffitto
da una delle sale
operatorie
dell’Ospedale dei
Pellegrini di Napoli,
nel cuore della
Pignasecca.
500
è la storica macchina
della Fiat ferma in via
Battistello Caracciolo.
Un ingegnoso
napoletano
ha pensato di legarla
con una catena ad
una ruota rafforzata
con il cemento.
Apple&Napoli, è realtà
600
giovani si stanno
formando per
diventare
sviluppatori di app
all’IOS Academy
della Apple a San
Giovanni a Teduccio
inaugurata
lo scorso 6 ottobre.
A CHIAIA MAGAZINE
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DOVE PUOI TROVARCI
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