Ralazione Dott.Vinci - movimentosalesianofamigliesicilia
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Transcript Ralazione Dott.Vinci - movimentosalesianofamigliesicilia
INCONTRO FAMIGLIE SALESIANE
MONTAGNA GEBBIA 19/21 Agosto
“la lotta tra il principe azzurro dentro di sé e il marciatore
solitario”
Uno sguardo umano profondo sulle nostre fragilità interiori che possono condizionare le relazioni familiari
1 SUPERBIA
L’atteggiamento del coniuge di essere sufficiente a se stesso, genera la solitudine che lo allontana
dal partner, generando nel suo animo l’idea di essere tanto superiore da non desiderarlo, da non
cercarlo, da non amarlo: per costui, in fondo, amare è segno di debolezza. E’ parte integrante di
personalità che assume la passione di questo sotto forma di autoesaltazione, accompagnata da
egocentrismo, falsa generosità, splendore, seduzione finalizzate ad ottenere l’amore. La fissazione
corrispondente è l’adulazione rivolta verso chi gratifica il loro orgoglio (chi non lo fa è disprezzato)
e rivolta verso se stessi (implica un immagine di sé dilatata). Ciò include: immagine di sé dilatata,
orgoglio, amplificazione del proprio valore e fascino, atteggiamento da principessa egocentrica che
vuole privilegi, cure, attenzioni, necessità di essere amati all’inverosimile.
Il bisogno d’amore tuttavia è orgoglio camuffato attraverso l’essere amato e ci si considera degno di
valore e speciale. Si suppone all’origine di questo atteggiamento una frustrazione amorosa precoce
e dei genitori che non hanno sostenuto il valore del figlio o un genitore lo ha sostenuto a scapito del
coniuge più periferico. Il soggetto usa l’erotismo per avere conferme, desidera il contatto fisico,
nelle relazioni è invadente e possessivo.
Il termine orgoglio si riferisce ad un forte senso di autostima e fiducia nelle proprie capacità, unito
all'incapacità di ricevere umiliazioni e alla gratificazione conseguente all'affermazione di sé, o di
una persona, un evento, un oggetto o un gruppo con cui ci si identifica.
Un'espressione comune, sinonimo di orgoglio, è "avere un'alta opinione di sé".
Nei casi in cui la violenza è controllata, il superbo può addirittura credersi una persona semplice,
non vedendo i danni che fa il suo continuo dimostrarsi superiore. Infatti la sua ansia di apparire
grande gli rende ostili tutti i “sudditi” (cioè coloro che grandi non sono) oppure ne fa degli
impotenti o dei sottomessi passivi alla sua tortura psicologica mentre lo rende ridicolo agli occhi di
chi grande lo è già. Quasi sempre le sue relazioni umane sono temporanee (se la superbia è
mascherata occorre che gli altri se ne accorgano) o comunque superficiali, come accade in quegli
ambienti (come i club “esclusivi”), dove la superbia è una regola di vita e tutti la usano come
ingrediente fondamentale delle relazioni umane.
Spesso con la superbia (tramite frasi, immagini, scritti ecc.) stabiliamo una relazione negativa con
chi ci è intorno, scateniamo una sua reazione, reazione che chiameremo difesa da superbia.
Nessuno attua la difesa da superbia quando leggendo le note sull’autore di un libro scopre che è una
persona valida. Se però lo si incontra per caso in un negozio e questi inizia a sciorinare la sua
biografia, il primo pensiero che ci sfiora è che è superbo. Implicitamente scatta una gara, per cui le
parole del superbo ci appaiono come “vedi, io valgo molto, non so tu, ma io…”. La difesa da
superbia è semplicemente la non accettazione della gara e il superbo sarà emarginato o comunque
guardato con molta freddezza.
Mito del polpo
2 INVIDIA
L’invidia è forse l’unico vizio che non procura piacere. Affonda le sue radici nascoste nel nucleo
profondo di noi stessi dove si raccoglie la nostra identità, che per costituirsi e crescere ha bisogno
del riconoscimento. Il coniuge invidioso non riesce a riconoscere il proprio valore di persona, e la
sua identità si fa sempre più incerta. Per salvaguardarsi, essendo incapace di valorizzarsi, demolisce
la persona del coniuge e di chiunque altro, figli compresi, con cui entra in un’inutile competizione,
per dimostrare che lui solo vale e per riconoscere l’esistenza di sé attraverso il massacro degli altri.
Egli si difende svalutando gli altri, offuscando il coniuge perché lo percepisce migliore di sé.
Favola di biancaneve
3 LUSSURIA
Nel rapporto di coppia accade sovente che ci si dimentica chi è l’altro. Oppure, ancora più grave,
non si è mai saputo, perché è mancata l’educazione al valore fondamentale della persona dell’altro.
Il coniuge lussurioso tende a concentrarsi solo su alcuni aspetti del partner, esclusivamente il corpo
o una parte di questo, che diventano la fonte dell’attrazione erotica, dove la dimensione agapica è
stata estromessa del tutto; del resto della persona come anima, è escluso, cosicché l’interezza,
l’integrità e intangibilità, che è corpo e anima inscindibilmente, è negata. Il corpo viene oggettivato
e la persona spersonalizzata, privata del corpo, che diventa del partner e ne può fare quello che
vuole.
Alla “meccanica” del sesso si associa lo sfarfallio creativo dell’eros che sboccia nella
donazione d’amore. Questo trittico compone la completa e autentica sessualità umana. Scindere
questa trama ideale e accontentarsi solo del primo livello, è quello che noi denominiamo come
“lussuria”. Anche un eros del tutto sganciato da un’intimità d’amore – intimità che rende i due
veramente “una carne sola”, ossia un’unica esistenza e corporeità (secondo il celebre asserto di
Genesi 2, 24) – è ancora un’incompiutezza, una pienezza non raggiunta, una perfezione che aspira
ad attuarsi
Mito di Pigmalione
E’ la figura virgiliana di Pigmalione, re di Tiro, che s’innamora talmente di una statua d’avorio
della dea Afrodite, da desiderare di unirsi ad essa. Il mito ha, però, un esito liberatorio perché la dea
fa vivere la statua, trasformandola in una donna che Pigmalione sposerà. Ben diverso è lo sbocco
del cultore odierno di icone erotiche virtuali: egli in un certo senso si riduce ad aggrapparsi a una
statua, a una cosa, in una forma maniacale di possesso. E’ ciò che è stato rappresentato, ad esempio,
nel film Life size – Grandezza naturale, diretto nel 1974 da Luis Garcia Berlanga con Michel Piccoli
nelle vesti di un dentista parigino che si fa pervenire dal Giappone una donna-bambola di gomma,
anatomicamente completa e appunto di grandezza naturale, innamorandosene follemente e
gelosamente.
4 ACCIDIA
E’ l’atteggiamento di colui che rifiuta di vivere la propria vita con le sue responsabilità, i suoi
pericoli e i suoi dolori. Nella vita familiare la ricaduta è grave, in quanto genera il rifiuto della vita
dell’altro, il disprezzo della bellezza e la negazione della gioia del semplice vivere quotidiano.
L’accidia ha un carattere complesso e confuso: è un miscuglio di pensieri provenienti da forze
diverse. Chi è colpito dall'accidia avverte un senso di disordine e di illogicità in cui si intrecciano
reazioni contrastanti: si detesta tutto ciò che si ha e si desidera ciò che non si ha.
Si percepisce che tutta la propria esistenza perde di tensione, è come allentata in un senso di vuoto,
nella noia e nella svogliatezza, in una incapacità di concentrarsi su una determinata attività, nella
spossatezza e nell'ansia. Viene a mancare un punto di attrazione, un polo che catalizzi tutte le
componenti della persona, e questa perdita di scopo sembra trascinare tutto in un vuoto senza fine.
A causa dell'angoscia e dell'ansietà, la vita appare senza più punti sicuri, senza certezze, come
appoggiata su di una superficie fluttuante. Altri sintomi dell'accidia sono l'indifferenza è
l'instabilità. Questa instabilità si manifesta in diversi modi: dal cambiare casa o lavoro, al fuggire
verso situazioni ritenute ideali; dall'instabilità di umore all'instabilità di giudizio; dall'instabilità nei
rapporti interpersonali alla sfiducia verso se stessi. Anche la ricerca di sempre nuove emozioni e
divertimenti e la paura di lasciare spazi vuoti da impegni sono palliativi di fronte a una situazione
esistenziale che si minaccia vuota e priva di senso. Pascal diceva "Ho scoperto che tutta l'infelicità
degli uomini deriva da una sola causa, dal non saper starsene in pace, in una camera".
Un ultimo sintomo dell'accidia è lo sconforto: l'impossibilità per l'uomo di vedere qualche cosa di
buono e di positivo: tutto viene ridotto al negativismo e al pessimismo. L'insoddisfazione diventa
la modalità normale di affrontare l'esistenza, e spesso anche ogni possibilità di futuro diventa
inimmaginabile.
Una realtà complessa come l'accidia trae origine da numerosi fattori. Tuttavia, una delle cause più
frequenti è l'amore smodato per se stessi, quella passione per se stessi che porta ad essere
prigionieri del proprio io. Questo amore di sé è in fondo il vero idolo che minaccia la nostra vita.
Se l'io è il centro assoluto del proprio mondo, allora si valuta ogni cosa in funzione dei propri
bisogni,
della
propria
idea,
dei
propri
desideri
e
giudizi.
Ci sono inoltre due cause, apparentemente contradditorie, che favoriscono l'accidia, e sono l'ozio e
l'attivismo. L'ozio è la mancanza di occupazioni, di interessi, ma soprattutto una realtà che rende la
vita quotidiana amorfa e trascinata. Davanti ad ogni prerogativa l'ozioso si chiede "a che pro?" e
trasforma la propria vita in un deserto. D'altra parte, lavoro e impegni eccessivi, che disperdono e
creano molti punti di riferimento non collegati tra di loro, possono provocare uno stato di accidia:
ci si è dati un compito al di là delle proprie forze e si crolla.
L'equilibrio, la discrezione e la moderazione permettono di dare una misura alla propria vita e a ciò
che si fa. Si tratta di quella saggezza che nasce dalla consapevolezza dei propri limiti e delle
possibilità che sono in noi, e permette un reale dominio di sé. Molti autori insistono inoltre sulla
necessità di non fuggire di fronte a questa situazione esistenziale. La fuga è infatti l'illusione di
trovare altrove o diversamente una liberazione da questo pensiero. Altri rimedi per l'accidia sono la
pazienza e la stabilità. La stabilità è la capacità di perseverare, di continuare un cammino anche se
si è tentati di interrompere la via che si è intrapresa. E un tempo in cui ci è data la possibilità di
perseverare è il quotidiano: rimanere nel quotidiano, senza "sognare la vita" fuggendo dalla sua
precarietà. Ciò comporta una rinuncia a tutte quelle illusioni che ci appaiono come alternative al
presente; comporta accettare se stessi e l'altro; comporta accogliere le fatiche dei propri impegni o
il peso della comunità in cui siamo inseriti. Per combattere l'accidia, insomma, bisogna ritrovare
uno scopo e riprendere gusto per una vita vera.
AVARIZIA
Il coniuge avaro vive tutto per sé i beni materiali, rifiuta di dividere e, quindi, di condividere con
l’altro: il rifiuto di condividere con l’altro diventa l’essenza della propria anima. Non è capace di
esprimere affettività e di donarla. In famiglia è un tiranno potente, e giustifica il proprio dominio, il
possesso delle cose, di cui lui solo può godere. Egli non si accorge che possedendo con tanta brama,
senza condividere, finisce con l’essere posseduto, perdendo se stesso. Anche qui l’altro diventa
inutile, un peso e una minaccia ai propri beni: è tutto mio, non ti do nulla. Alla fine, l’essere
posseduti trionfa e il suo possedere si sgretola.
E’ insaziabile e senza fondo e diventa posseduto da questo bisogno di possedere tanto che non da scampo
nella coppia alla tirannia del coniuge sotto tante forme: controllo, violenza psicologica, sopraffazione e così
l’avaro calpesta anche quello del prossimo… “E’ tutto mio, solo mio e tu sei una minaccia da controllare, del
proprio coniuge. Vuole tutto per sé, rifiuta di dividere condividere, i figli sono sottomessi a questa logica e
non sa godere né far godere. Non ha mai tempo e nessun interesse per svaghi tempo di coppia, per il bene
della famiglia, nella vita di coppia diviene esigente, inesorabile, crudele, speculando addirittura sulle
necessità e disgrazie altrui” (vedi gli orribili fenomeni dell’usura, delle tangenti, DELLA CORRUZIONE AD
ALTI LIVELLI ecc.). L’avarizia è un vizio freddo e orribile, infernale. L’avarizia fa calpestare anche i doveri e i
vincoli più sacri e cari, come quello della pietà verso i genitori, dell’affetto verso i parenti più stretti. Non è
forse l’interesse e l’attaccamento economico quello che semina liti e contese a tutto spiano, odi implacabili
tra fratelli e congiunti? Basta guardarsi intorno per rendersene conto, anche non molto lontano da noi
(forse anche dentro di noi!). Alla fine il possedere diventa essere posseduti e tutto si sgretola
Ed allora bisogna educare l’essere umano, fin dagli anni determinanti ed orientativi
dell’adolescenza, anzi della stessa infanzia, all’atteggiamento opposto, del dono, del mettersi al
servizio senza calcoli opportunistici, del vivere la propria vita come una opportunità da godere e far
godere. Per esperienza diretta e personale posso affermare che certe vittorie dell’altruismo
evangelico (ottenuto magari facendo leva sul sentimento, sulla compassione per i bambini denutriti
del terzo mondo ecc.) a quell’età possono risultare fondamentali per lo sviluppo susseguente
dell’impostazione cristiana della vita e persino seme di future vocazioni alla consacrazione totale.
“Maria di Betania e Giuda”
6 IRA
Quando si mostra un atteggiamento rabbioso nei confronti del coniuge, significa che in noi c’è
qualcosa di irrisolto, una sorta di disarmonia che genera un odio irrefrenabile e assolutamente
ingiustificato verso l’altro, considerandolo la causa del proprio malessere. In realtà, l’ira nasce da
una profonda inquietudine interiore, da una insoddisfazione per se stesso e per la vita personale. La
capacità introspettiva personale è bandita dalla nostra mente, e le nostre responsabilità diventano le
responsabilità dell’altro, la fonte del nostro malessere è radicata esclusivamente nell’altro. L’altro
viene visto come la causa della nostra infelicità, tanto che ogni azione compita è frutto di una
illimitata intolleranza della presenza stessa dell’altro.
Una distinzione nella manifestazione dell'ira può essere fatta tra "ira passiva" ed "ira aggressiva":
forme, queste, che hanno sintomi caratteristici.
Ira passiva
Può manifestarsi nei seguenti modi:
Elusività: voltare le spalle agli altri, tirarsi indietro e diventare fobico.
Distacco: manifestare indifferenza, tenere il muso o fare sorrisi falsi.
Finta riservatezza: evitare il contatto visivo, spettegolare, minacciare in modo anonimo.
Autosacrificio: essere eccessivamente disponibili, accontentarsi di una seconda scelta,
rifiutare aiuto.
Autobiasimazione: scusarsi eccessivamente, autocriticarsi ed accettare ogni critica.
Ira aggressiva può manifestarsi nei seguenti modi:
Distruttività: distruggere oggetti, ferire animali, rompere rapporti, abusare di droga.
Vendetta: essere punitivi, rifiutare di perdonare, rievocare vecchi ricordi.
Bullismo: intimidire o perseguitare le persone, prendersi gioco di elementi deboli della
società.
Minaccia: spaventare le persone, tenere comportamenti pericolosi.
Esplosività: furia improvvisa, senso di frustrazione, attacco indiscriminato.
Egoismo: ignorare le esigenze altrui.
Sconsideratezza: tenere atteggiamenti pericolosi come guidare troppo velocemente e
spendere denaro sconsideratamente.
Vandalismo: danneggiare opere ed oggetti, compiere atti di teppismo o piromania.
Comportamenti spesso associati al consumo di alcol e droghe.
La forza calma è l’arma più potente a disposizione di un soggetto equilibrato per affrontare i contrasti
con il mondo. Da un punto di vista puramente tecnico è l’impiego giustificato della forza senza ira.
l’ira è la forza degli stupidi.
Non ha senso scontrarsi con gli altri per il gusto di farlo: deve esserci uno scopo e tale scopo non può che
essere la conservazione dei propri diritti all’interno della società per migliorare la qualità della nostra vita.
Notate che l’ultima frase è sostanzialmente costituita da due condizioni: conservazione dei diritti e
miglioramento della qualità della vita
7 GOLA
E’ il peccato nel quale cade colui che decide di non lasciare spazio all’altro nella propria vita.
Abbuffarsi di cibo o bevande rende il corpo del coniuge sazio, di una sazietà che annulla il desiderio
della presenza dell’altro. Lo stato di sazietà, causato da un’ignobile riempimento delle viscere, fa
ritenere di non avere bisogno di altro, dell’altro, sacrificando alla propria sazietà ciò di cui avrebbe
così profondamente bisogno. La sua colpa è di aver rifiutato il cibo più indispensabile,
rappresentato dalla presenza dell’altro che soddisfa veramente e rende felici. Anche qui v’è la
sufficienza a se stesso, in quanto si è portati a credere che solo il cibo materiale possa soddisfare
ogni bisogno personale; anche qui v’è il rifiuto dell’altro, il rifiuto di Dio, che dà da mangiare e
bere, per non avere più fame e sete.
MARIA CARMELA VINCI
Psicologa psicoterapeuta