XXIX Domenica del Tempo Ordinario

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Arcidiocesi Metropolitana di Catanzaro - Squillace
via Arcivescovado, 13
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per l’Omelia domenicale a cura dell’Arcivescovo Mons. Vincenzo Bertolone
XXIX Domenica del Tempo Ordinario / anno C
16 ottobre 2016
“Signore, come vuoi e come sai: abbi pietà”
Introduzione
La cronaca delle ultime settimane fa gridare con maggiore forza la voce del nostro
sdegno e il nostro smarrimento verso il cielo. come può Dio permettere tanto male e
permettere che ci sia tanto orrore e i giovani di questa società sempre più malata e
deviata siano le vittime innocenti e oggetto di da conflitti interminabili?. Di fronte a
tutto questo che senso ha il silenzio di Dio? Ancora una volta dobbiamo fare i conti
con la debole fiammella della nostra fede; e ancora una volta, instancabile, la Parola
di Dio, ci viene incontro per sostenerci, confortarci, farci capire. Così anche in questa
XXIX domenica del Tempo Ordinario, ritorniamo a parlare di fede, ma nella sua
dimensione più intima: nella sua dimensione orante. Infatti, attraverso un linguaggio
semplice ed immediato, quale quello delle parabole, il Divino Maestro ci istruisce
sulle qualità fondamentali della preghiera di fede e da un apparente paradosso matura
la risposta al dilemma di sempre: perché Dio non risponde al grido supplice
dell’oppresso? Due attori sulla scena: una vedova indifesa, ma ostinata nella sua
richiesta di giustizia; e un giudice iniquo, che sfinito accetta di soddisfare la richiesta.
La vedova è simbolo della preghiera di fede, il giudice “iniquo” è controprova del
Giudice giusto, il quale ascolta ed esaudisce nonostante il cumulo di dubbi che gli
scivolano addosso.
Alla ricerca di un senso
Ce lo siamo chiesto spesso in questi giorni: come può Dio permettere la sofferenza, la
guerra, la malattia? E, forse, davanti agli avvenimenti “ingiusti” e “disumani”, che
sono accaduti, la nostra fede è vacillata, o vacilla, è arretrata o arretra. Il dubbio
alberga nel cuore e credere diventa difficile. La sofferenza dell’innocente è e resta la
più grande obiezione alla bontà di Dio, ma sotto ci deve essere una risposta che ci
sfugge. In realtà, la risposta non ci sfugge, semplicemente evitiamo di cercarla.
Diversamente, dovremmo riconoscere che il mondo e l’uomo, quale sono usciti dalla
mente, dal cuore e dalla mente di Dio, non sono le realtà che abbiamo oggi di fronte.
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Infatti, il Signore ha creato il mondo e l’uomo quali capolavori di bellezza infinita e
grande misericordia. Mentre l’uomo ha pensato bene di ridurre se stesso e il mondo a
un cumulo di macerie inquinanti, deturpandone la bontà e la bellezza originarie con i
veleni dell’indifferenza, dell’ingratitudine, dell’odio, dell’egoismo, della
sopraffazione, della speculazione… Di fronte a tutto questo la risposta di Dio è attesa
silenziosa, è fiducia nella possibilità che l’uomo ritornerà alla bontà e alla bellezza
del suo principio. Ed è proprio la fedeltà di Dio nell’uomo che rende l’uomo fedele a
Dio. di fatti, la fede, quella vera, è la certezza che Dio è un Dio che ascolta: è un Dio
fedele. Un Dio che, come abbiamo ascoltato dal salmo, è “nostro custode, è come
l’ombra che ci copre e sta alla nostra destra”. Un Dio che veglia su di noi e ci
protegge. Questa è la risposta all’apparente assenza di Dio: la fede in Lui e in quello
che Egli fa nei nostri confronti. E se anche non vedessimo subito il dispiegarsi della
mano di Dio su di noi, poco importa, giacché a conquistare il nostro cuore è una
parola. Questa parola è un nome, un volto, una persona: quella di Gesù. Gesù è stata
la risposta che Dio ha dato al grido degli uomini. E Gesù sarà sempre la risposta di
Dio ad ogni nostra invocazione. Ecco, chi vede non ha bisogno di null’altro, se non
fissare lo sguardo su Gesù e, facendo memoria delle sue parole e delle sue promesse,
puntare lo sguardo oltre la miseria, il dolore e l’ingiustizia di questo presente, su
quell’orizzonte infinito che dà senso ad ogni cosa e ci fa sperare nonostante tutto. Per
guardare oltre e lottare affinché quell’orizzonte, intravisto e sperato, si avvicini al
mondo trasformandolo radicalmente, occorre però mantenersi sempre su livelli di alta
tensione spirituale. In altri termini è necessario ricorrere in ogni momento della
giornata alla compagnia intima del Padre e del Figlio. Allora la risposta che
pretendiamo da Dio ai mali del mondo, la dobbiamo esigere da noi stessi, perché da
Cristo in poi è l’uomo stesso responsabile dei suoi fratelli e del mondo.
Oranti nell’azione.
La responsabilità a cui è chiamato ogni uomo, ha tuttavia bisogno di essere sostenuta
e incoraggiata, giacché impegnarsi nel mondo, da uomini di fede, è una dura
battaglia. E in questa dura battaglia l’uomo di fede, dinnanzi all’apparente silenzio di
Dio e al reale silenzio degli uomini, deve essere implacabile nella costanza,
ignorando il silenzio dell’indifferenza e dell’attesa; infaticabile nella perseveranza,
sperando nell’ascolto di Dio e degli uomini; estremo nella fedeltà alla certezza di
ottenere quanto invocato con insistenza. Questo è il modo di agire della vedova nella
parabola del Vangelo di Luca: è vittima d’ingiustizia, ma non vittima della
rassegnazione o della disperazione. Il suo coraggio non si incrina e continua a
reclamare il suo diritto di giustizia davanti ad un giudice arrogante e indifferente. La
sua instancabile perseveranza non si infrange di fronte alla porta chiusa, al rifiuto
annoiato, alla reazione stizzita, ma persiste nell’appagare il suo desiderio di giustizia,
di comprensione e di salvezza. Dalla figura di questa povera donna arriva a noi la
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prima lezione di vita: l’uomo che prega è un orante attivo, modello della costanza che
invoca, che spera, che agisce, che ha fede. Dunque, l’uomo di fede non depone mai le
armi, si ostina a tenere le braccia tese verso il cielo e, senza abbandonare il campo di
battaglia – la propria vita e il mondo – continua la sua lotta. Il suo compito non è
forzare il ritardo di Dio, ma rimanere nella corrente, sulla breccia, a forzare l’aurora
di un mondo più giusto. In definitiva, quando si prega il nostro compito non è essere
esauditi, piuttosto, nutriti dalla certezza che il dialogo familiare e intimo con Dio non
cade mai nel vuoto, trovare la forza per non arrendersi, per non abbandonare la lotta,
per restare fedeli nella prova. E se l’agire della vedova è per noi una prima lezione di
vita, paradossalmente ad offrircene la seconda è lo stesso giudice iniquo. Paradossale
perché il giudice è modello dell’agire di Dio: se un personaggio tanto cinico come
quel giudice, finisce con il piegarsi davanti alle suppliche di una umile vedova,
quanto più sarà pronto il Signore, che è giudice giusto, a chinarsi sulle sofferenze
delle sue creature. Tutto ciò è per noi motivo di grande speranza, giacché ci mostra
che Dio non è lontano e indifferente, come crediamo, anzi, più ne invochiamo la
prossimità e l’intimità nella preghiera, più siamo certi che il suo agire, per quanto sia
misterioso e deciso a seguire pensieri e percorsi diversi dai nostri, è sempre votato
alla luce e non certo al baratro del nulla e del male. Proprio in virtù di questa certezza
l’anima orante va e rivà dal suo Signore, perché ama anche il suo silenzio, e se parla
lo fa per amore, se tace lo fa anche sempre per amore. E se anche non dovesse essere
ascoltata o esaudita nella sua richiesta, l’anima orante non se ne curerà, poiché avrà
ottenuto già tanto, tutto: Dio stesso. Queste anime oranti sanno cambiare il mondo,
proprio perché esse lo penetrano con tutta la ricchezza della loro interiorità; lo vivono
in continuo atteggiamento orante, trasformano cioè la preghiera nel loro modo
abituale di essere e di operare. Così i tratti del loro volto assumeranno i tratti del
discepolo di Cristo, presenza visibile dell’amore di Dio. Ciascuno di questi tratti ci
parla: di una purezza di cuore singolare, che non ricerca il compiacimento personale;
di un disinteresse sorprendente per il successo mondano; di una assenza di quella
vanità che fa preferire l’apparire all’essere; di una semplicità che disprezza ogni
doppiezza di intenzione, di sguardo, di parole; di una castità che è libertà da ogni
manipolazione del prossimo. Ma soprattutto, questi volti rendono visibile la
sensibilità di Cristo, perché con Essa si accorda la loro sensibilità. Non ci vuole molto
per essere discepoli, basta essere felici di rimanere sempre tali, con lo sguardo fisso
verso il proprio Signore e Maestro.
Conclusione.
Per la terza lezione sulla fede di questa domenica prendo in prestito le parole di un
monaco del deserto, l’abba Macario. Quando gli chiesero come si dovesse pregare, la
risposta fu: “Non c’è affatto bisogno di perdersi in parole, basta tendere le mani e
dire: “Signore, come vuoi e sai: abbi pietà”. Ma diversi restano per noi i modi della
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preghiera: si prega per supplicare, per promettere, per domandare, per lodare e chissà
per altro ancora. Mentre, su tutto, da cercare è l’intrattenimento con Dio come nostro
Padre”.
Serena domenica
 Vincenzo Bertolone
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