FLOP ACT - Gruppo PDL – Berlusconi Presidente – Forza Italia

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FLOP ACT
Gli articoli di Belpietro (La Verità)
e Di Vico (Corriere della Sera)
19 ottobre 2016
a cura del Gruppo Parlamentare della Camera dei Deputati
Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente – Forza Italia
E RENZI PERDE LA VOCE
FINE DELLE FAVOLE, MENO OCCUPATI E PIÙ LICENZIATI
Maurizio Belpietro (La Verità)
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Fino a ieri sera non si segnalavano tweet del presidente del Consiglio, tuttavia il
silenzio via web non deve essere mal interpretato. Essendo impegnato in un viaggio
istituzionale, ossia in una merenda alla Casa Bianca prima che Barack Obama faccia
le valigie, è probabile che Matteo Renzi non abbia ancora potuto prendere visione
degli ultimi dati sul mercato del lavoro rilasciati dall`Inps.
Dunque, l’assenza di commenti non deve indurre in affrettati giudizi. Se il premier
tace dopo mesi in cui si è dimostrato assai loquace di fronte al più piccolo segno di
crescita delle assunzioni non è perché annichilito dai dati negativi, ma in quanto
occupato da gravosi appuntamenti oltreoceanici. Il viaggio in America, studiato fin nei
dettagli per consentire al capo del governo di godere della luce riflessa
dell`uscente presidente Usa nell`ora più difficile del referendum sulla nuova
Costituzione, lo ha assorbito completamente, al punto di non consentirgli di riflettere
sugli ultimi drammatici dati occupazionali.
Le cifre diffuse dall`ente presieduto da Tito Boeri, del resto, lasciano poco spazio ai
commenti.
E RENZI PERDE LA VOCE
FINE DELLE FAVOLE, MENO OCCUPATI E PIÙ LICENZIATI
Maurizio Belpietro (La Verità)
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Che cosa si può aggiungere di fronte al crollo delle assunzioni e all`impennata dei
licenziamenti per giusta causa? Che postille apporre scorrendo la corsa senza fine dei
voucher, ossia di quei ticket che si comprano in tabaccheria per pagare a ore chi è
ingaggiato per svolgere i lavori più umili e meno garantiti? Altro che #lavoltabuona,
uno degli hashtag più graditi dal presidente del Consiglio.
Meglio lanciare #lavoronero, perché di questo in gran parte si tratta, e il boom si
registra principalmente in alcune regioni meridionali, ossia in terre in cui sono forti il
caporalato e la criminalità. Lo storytelling renziano, di fronte ai numeri, perde ogni
aggancio alla realtà. «L`Italia è ripartita», «Siamo nel gruppo di testa dell`Europa»,
«L`economia è in ripresa»: tutte frasi che ora appaiono per quel che sono, ossia prive
di senso.
Nonostante il Jobs Act, i contratti a tempo indeterminato (che poi, dopo la
cancellazione dell`articolo 18 per i nuovi assunti, non hanno più ragione di essere
chiamati così) in 8 mesi sono crollati del 32,9 per cento. Nel frattempo, i
licenziamenti per giusta causa o `per motivi economici sono aumentati del
31 percento.
E RENZI PERDE LA VOCE
FINE DELLE FAVOLE, MENO OCCUPATI E PIÙ LICENZIATI
Maurizio Belpietro (La Verità)
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Giù anche le trasformazioni dei contratti precari in contratti stabili: meno
35,4 per cento. E stimo assunzioni, solo un quarto sono da considerarsi fisse. Senza
dire dei quasi 100 milioni di voucher utilizzati da gennaio ad agosto. Insomma, se i
dati dell`Inps dovevano indicare la ripresa della crescita economica, finisce che
testimoniano l`esatto contrario.
E soprattutto documentano che la riforma del mercato del lavoro non ha avuto alcun
effetto sul mercato del lavoro. Semmai, come da più parti segnalato, il boom di
assunzioni registrato Io scorso anno è dovuto alla decontribuzione, ossia al generoso
sconto garantito dallo stato sui versamenti previdenziali. Ma finita la pacchia
(quest`anno il beneficio è stato ridotto ai minimi termini) sono finite anche le
assunzioni. Creare quei posti di lavoro, allo Stato, è costato molto, ma il molto ha
prodotto poco o nulla. In particolare, non ha consentito di dar vita a posti stabili, che
ai giovani permettessero di pianificare il proprio futuro.
Viste dopo due anni di rodaggio, le misure del governo Renzi in materia economica
appaiono dunque inefficaci. Propaganda e poco altro. Il Pil è cresciuto più per i soldi
messi a disposizione dal governatore Bce che per quelli generati in casa e
l`occupazione è salita solo per l`aiuto di Stato.
E RENZI PERDE LA VOCE
FINE DELLE FAVOLE, MENO OCCUPATI E PIÙ LICENZIATI
Maurizio Belpietro (La Verità)
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Ma come tutte le droghe, una volta svanito l`effetto Draghi e fondi pubblici, resta solo
un gran mal di testa e la certezza che nulla è cambiato. È con questo bilancio che
Renzi, il 4 dicembre, si presenterà agli elettori. E per quanto stupefacente sia
l`accoglienza di Obama, alla fine sul voto conterà la realtà dei posti di lavoro e
dell`economia. Perché in Italia i disoccupati votano. Mentre Barack, anche se
disoccupato, no.
I NUMERI FRAGILI DEL LAVORO
Dario Di Vico (Corriere della Sera)
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Aveva ragione la Banca d’Italia pochi giorni fa a sostenere, nel suo bollettino
economico, che l’occupazione dei dipendenti è tornata ai livelli pre Crisi (2008)
oppure bisogna dar per buono il quadro tracciato ieri dall’Inps che indica un
2016 horribilis per la creazione di nuovi posti di lavoro? La domanda è legittima
e molti lettori se la porranno.
La risposta purtroppo è complessa e rimanda alle diverse metodologie seguite
dalle varie «agenzie». Via Nazionale considera e somma nei suoi dati anche il
lavoro irregolare degli immigrati, l’Inps fornisce dati di flusso sui nuovi contratti
accesi. Ricordiamo poi che l’Istat procede monitorando lo stock di occupazione. Il
risultato è un puzzle di numeri difficilmente decifrabile che chiama i comunicatori
a esercitare un ruolo che — per usare la terminologia Rai — è di «servizio
pubblico». Nel piccolo cerchiamo di evitare che il cittadino comune, leggendo i
responsi delle agenzie istituzionali, si ritragga confuso e che gli stessi numeri
accrescano i decibel di una lotta politica, come quella italiana, già vocata alla
rissa. Tolto a Cesare ciò che gli va tolto, è giusto però concentrarsi sui dati
dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps e cercare di trovare il bandolo della
matassa.
I NUMERI FRAGILI DEL LAVORO
Dario Di Vico (Corriere della Sera)
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La sostanza è che l’occupazione è cresciuta con una certa intensità nel 2015 per
effetto dei generosi incentivi governativi che hanno fortemente sostenuto «il ciclo»
ovvero una ritrovata propensione delle imprese a stabilizzare la forza lavoro che
prima veniva utilizzata usando tutti gli strumenti della flessibilità. Quando però
gli incentivi sono stati ridotti — proprio perché costosi — la tendenza a stipulare
contratti a tempo indeterminato si è ridotta e di molto, come ci dicono i dati di
ieri. Le aziende non hanno trovato più convenienza e hanno frenato anche perché
nel frattempo sono aumentati gli elementi di incertezza riguardanti sia la stabilità
politica italiana sia l’andamento del commercio internazionale. Di fronte a queste
due novità il Jobs act è come se fosse rimasto all’improvviso nudo, dimostrando
così tutte le sue fragilità.
Ci è capitato già di dire che alla ripresa dopo le ferie si notava tra gli
imprenditori qualche elemento di rassegnazione, mitigato in parte da alcune
assemblee confindustriali (Bergamo e Milano) che hanno vantato la forza dei
rispettivi territori e dall’annuncio del Piano Industria 4.0. Ma è chiaro che in
questo momento le imprese non stanno pensando ad assumere o comunque a
stabilizzare il lavoro intermittente.
I NUMERI FRAGILI DEL LAVORO
Dario Di Vico (Corriere della Sera)
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I dati dell’Inps lo spiegano dove segnalano la secca riduzione del flusso di
contratti a tempo indeterminato. Molto dipenderà dall’impatto che la legge di
Bilancio avrà sul mood degli imprenditori e dagli sviluppi internazionali, certo è
che gli incentivi per l’occupazione dimostrano tutta la debolezza della «politica
economica per bonus», che il premier Matteo Renzi ha difeso ancora nell’ultima
conferenza stampa di sabato 15.
Cosa può fare nel frattempo il Jobs act per evitare di apparire impotente? Può
affrontare con maggior vigore la concretizzazione delle politiche attive del
lavoro che, in assenza di incentivi molto generosi, rappresentano l’arma più
giusta. Sappiamo che le nostre carenze in questo campo risalgono alla notte dei
tempi e che ci siamo acconciati pro bono pacis a considerare l’esperienza di
Garanzia Giovani un primo test di funzionamento, laddove purtroppo è stato un
mezzo flop. Ma comunque è da questo test che bisogna ripartire e occorre farlo
con il massimo della responsabilità pubblica.
I NUMERI FRAGILI DEL LAVORO
Dario Di Vico (Corriere della Sera)
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Una campagna di rilancio di una politica attiva che tocchi le famiglie e i giovani
può servire a ricucire un rapporto lacerato. Lo stesso ragionamento è valido per i
nuovi strumenti di ricollocazione che diventano ancora più necessari adesso che il
flusso della flessibilità in uscita (licenziamenti per giusta causa) è, in virtù delle
norme previste dal Jobs act, più sostenuto che negli anni passati.
Se poi nel frattempo Istat, Inps e Banca d’Italia volessero unificare le metodologie
di monitoraggio del mercato del lavoro — come annunciato ancora una volta
l’altro ieri dal presidente Istat, Giorgio Alleva — non potremmo che gioirne.