Incipit Medie 18

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La gabbia sospesa
Incipit di Mirko Montini
Dicembre 1347.
«Sono innocente. Liberatemi!»
Dalla gabbia di legno, appesa al campanile di San Marco, si spandevano le urla
disperate di Renzo Treporti.
La figlia Giulia, in ginocchio, lo guardava dal basso tremante di paura; le lacrime
sgorgavano con violenza dai suoi occhi color del mare. E chiedeva pietà.
Lui, lassù, ondeggiava con le braccia a penzoloni oltre le sbarre, gridando alla
Serenissima la sua innocenza.
«Figlia, la mia pena è ingiusta!»
Giulia celava sotto un ampio cappuccio nero il volto segnato dal dolore. Non
riusciva a credere che suo padre, gentiluomo onesto e devoto, fosse destinato a
una tremenda fine.
Lorenzo Treporti era un famoso gioielliere, apprezzato nell’intera Repubblica per
la sua stupefacente arte orafa. Ma una notte di dicembre, appena trascorso il Santo
Natale, fu arrestato con la pesante accusa di Portatore della Mortifera Pestilenza.
"Ad finiendam vitam suam in cavea suspensa ad campanile S. Marci in pane et
aqua" le parole dell’ordinanza.
La prigionia nella gabbia spettava agli ecclesiastici colpevoli di omicidio, falso e
bestemmia, ma secondo il Supremo Tribunale, l’orafo era reo di un peccato
maggiore, contro Dio, il Creatore della vita: lavorava e vendeva l’opale, la pietra
iridescente che diffondeva dagli Inferi la Morte nera.
La denuncia partì dal figlio del comandante di una galea proveniente da Messina,
un certo Adolfo Barbanigo, che acquistò da Lorenzo Treporti un girocollo di opale
nobile per la moglie. Non appena indossato, il gioiello iniziò a emanare insoliti
bagliori, destando nella gentil donna un certo stupore e una vanitosa
gratificazione. Purtroppo, in poco tempo, terribili sofferenze invasero prima il suo
corpo e di seguito quello del marito Adolfo. Quando entrambi i consorti esalarono
l’ultimo respiro di vita, l’opale perse la sua cangiante particolarità. Anche nel
figlio erano in atto i sintomi del contagio.
Numerosi altri decessi si susseguirono a macchia d’olio tra i veneziani e, a detta
dei medici, l’opale maledetto di Treporti ne era responsabile.
Il mare di Venezia soffiava sulla città, sferzando la catena che sorreggeva la
gabbia del giustiziato. Il popolo infieriva con parole di spregio contro il
gioielliere.
«A morte l’untore!»
Giulia si sentiva in pericolo in mezzo a quella gente senza un briciolo di pietà,
così si spostò all’ombra del Palazzo Ducale. Camminava avanti e indietro,
l’angoscia nel cuore.
«Sono io» sentì d’un tratto alle spalle. Si voltò e vide Fabrizio, avvolto in un
tabarro scuro. Gli corse tra le braccia, avvolgendolo in un pianto straziante.
«Non disperare, Lorenzo Treporti è innocente. Mio padre sta studiando i corpi dei
rematori che hanno contratto la malattia sulla nave di Barbanigo. La Morte nera
non ha nulla a che vedere con l’opale».
La ragazza sbarrò gli occhi e rimase senza fiato.
«Ne sei certo?» Non fece in tempo a pronunciare altre parole, che perse
conoscenza.
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