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Giovedì 20 Ottobre 2016
PRIMO PIANO
Il centrosinistra, confermata Milano e presa Varese, pensa a come conquistare il Pirellone
Lombardia, sfida pd Gori-Martina
Per Ambrosoli sono i candidati giusti per battere Maroni
DI
GIOVANNI BUCCHI
P
otrebbe arrivare proprio
da una storica roccaforte della Lega Nord come
Bergamo l’uomo capace
di mettere il centrosinistra nelle
condizioni di vincere per la prima volta le elezioni regionali in
Lombardia. Al Nazareno a Roma stanno
già iniziando a ragionarci, anche se le urne
sono in programma
soltanto nella primavera del 2018 e quindi
c’è tutto il tempo per
fare e disfare le candidature. Ma quei due
nomi pronunciati due
giorni fa da Umberto Ambrosoli sulle
pagine del Corriere di
Milano non sono stati
messi lì a caso.
Anche perché sono due
nomi di peso, di cui già si
parla da tempo nei corridoi del
Pirellone e non solo. Si tratta
di Giorgio Gori, l’ex manager
Mediaset renziano fin nel midollo e ora sindaco di Bergamo, e di
Maurizio Martina, il ministro
delle Politiche agricole nativo di
Calcinate nel bergamasco, esponente di punta del Pd lombardo
e soprattutto dell’ala di sinistra
della maggioranza renziana (a
lui si deve la nascita del comitato referendario Sinistra per il Sì
pensato per togliere truppe alla
minoranza dem).
e a Martina, si sono fatti i nomi
del vicesegretario nazionale del
Pd Lorenzo Guerini, già sindaco di Lodi e braccio destro di
Matteo Renzi nella gestione del
partito, e dell’attuale segretario
dem in Lombardia Alessandro
Alfieri, che può rivendicare di
aver confermato Milano e aver
strappato Varese
al Carroccio. Ma
Ambrosoli, probabilmente non
a caso, ha voluto restringere il
cerchio su Gori
e Martina, l’uno
renziano della
prima ora, l’altro
prima bersaniano poi passato
nell’alveo del preGiorgio Gori e Maurizio Martina
mier-segretario
seppure da una
trambi originari della provincia posizione più autonoma.
Entrambi comunque ben
di Bergamo, il candidato con le
carte in regola per condurre il introdotti negli ambienti che
contano dell’economia e della
partito a una storica vittoria.
Quelli di Gori e Martina politica bergamasca, milanese
non sono però gli unici nomi e lombarda più in generale.
Gori è stato tirato in balusciti; la girandola di voci e
indiscrezioni su presunte inve- lo a tal punto da aver dovuto
stiture è partito già da qualche smentire un suo attuale intemese, con un notevole anticipo ressamento alla candidatura
considerato che si parla di ele- a governatore dopo che il capozioni fissate tra un anno e mez- gruppo della Lega a Bergamo,
zo. Ma se già si inizia a parlarne Alberto Ribolla, ha presentato
adesso, significa che la posta in un’interrogazione chiedendo
gioco è alta. Oltre a Gori (che conto delle continue voci che
come riportato da ItaliaOggi un lo darebbero disponibile alla
mese fa ha detto di conoscere corsa per il Pirellone, mettendo
bene le priorità della Regione) quindi in secondo piano il suo
Secondo l’ex sfidante di Roberto Maroni, quell’Ambrosoli
pronto a lasciare lo scranno in
consiglio regionale per presiedere la nuova Bpm nata dalle
fusioni degli istituti di credito
di Milano, Verona e Mantova,
potrebbe essere proprio uno tra
questi due esponenti del Pd, en-
CARTA CANTA
Massimo Segre entra
nel settore orafo
DI
ANDREA GIACOBINO
D
alla finanza al business dell’oreficeria. Massimo Segre, famoso commercialista torinese da sempre vicino a Carlo De Benedetti, apre una nuova attività
imprenditoriale. Nel capoluogo piemontese davanti
al notaio Silvia Lazzaroni è stata infatti costituita la Omnia
Valenza, una società per azioni che vede tre soci paritari ciascuno col 33,3%: lo stesso Segre, la commercialista Emanuela
Congedo e Danilo Alagi, un imprenditore attivo nel web. La
newco, oltre ad attività legate ai servizi edp, ha come oggetto
precipuo «l’ideazione, fabbricazione, produzione e commercializzazione di oggetti di oreficeria, argenteria, orologeria e simili; in
genere di qualsiasi oggetto prezioso volto ad adornare persone
e/o ambienti», ma anche «l’acquisto, al fine di rivendita alla
propria clientela, di oro e pietre preziose».
Segre è stato nominato presidente e Alagi amministratore delegato della società che anche nel nome si riferisce
alla storica capitale italiana dell’oreficeria, Valenza, appunto.
Omnia Valenza ha già fatto partire un sito web dove si definisce
attrice della «nuova era dell’oreficeria» che si presenta sul mercato della gioielleria come «braccio destro» degli imprenditori
orafi in ambito gestionale con software specifici per il settore
preziosi, nella contabilità e controllo di gestione, nel marketing
strategico e operativo, nel web in ogni sua veste, nell’organizzazione commerciale di vendita, nella consulenza finanziaria
e amministrativa altamente qualificata.
impegno per Bergamo. «Faccio
il sindaco con piacere e con il
massimo impegno, come credo
chiunque possa testimoniare.
Non ho quindi mai pensato di
candidarmi ad altri ruoli» ha
replicato a stretto giro il primo
cittadino. Il 2018 è lontano, meglio lavorare nell’ombra prima
di uscire allo scoperto.
IN CONTROLUCE
La morte della commedia all’italiana è dovuta al fatto che, dagli anni
Ottanta, i registi non sono più riusciti a capire il paese in cui vivevano
i nostri occhi è sempre stata una prerogativa del genere, come del resto del
polar francese o dei racconti polizieschi
americani». Ma ecco che d’un tratto il
un certo punto, nel corso depaese diventa incomprensibile, e non
gli anni settanta, tramontac’è più modo di raccontarlo in presa
ta l’Italia di Guardie e ladri,
diretta, attraverso Alberto Sordi, Vitdei Soliti ignoti, dell’Armata
torio Gasmann, «Capannelle» e Folco
Brancaleone e d’Una vita difficile, il
Lulli, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi
paese diventa inenarrabile. Getta la
e le altre maschere da comspugna anche la commedia all’itamedia.
liana, che per vent’anni aveva
La crisi della commedia all’italiana e la crisi
Non c’è neanche più
raccontato (e messo in ridicolo) i
modo di ricostruirne la
difetti e le (rare) virtù degl’italiadell’Italia in cui viviamo da quasi quarant’anni,
storia
prossima e remota,
ni. Dopo il Sessantotto – quando
e che, in tutto questo tempo, a parte le solite
sempre sub specie coml’Italia passa da Alberto Sordi e
guerre
civili
per
fi
nta,
non
ha
combinato
niente.
media, come nei CompaTotò a Nanni Moretti, dall’«arte
Un’Italia dove i magistrati s’illudono di farla
gni, nella Grande guerra,
d’arrangiarsi» al birignao marxleda padroni, le riforme non si fanno o si fanno
nell’Armata Brancaleone,
ninista e politically correct, dalle
o come nei grandi film di
male, i talk show impazzano, la politica si dà
tragiche domeniche al mare del
Luigi Magni, da Nell’anno
Sorpasso alla contestazione stual bunga-bunga o alla guerra contro i vaccini
del Signore a In nome del
dentesca e al terrorismo – raccone non solo le fiction televisive ma anche i film
tare il paese «diventa sempre più
Papa Re: a nessuno, semplisono recitati da cani. È un’Italia zoticona,
difficile».
cemente, importa più nulla
da barzelletta senza parole: l’Italia ½ Pippa
Qualche anno più tardi, a
dell’Italia, della sua storia
degl’incapaci, degli sfigati e degl’improvvisatori
raccontare l’Italia del «rifluse delle sue storie, Monicelli,
so» (come si diceva negli anni
di questo particolare scacco,
ottanta) e poi del berlusconismo,
è stato forse la vittima più
saranno i film dell’Ispettore Monnezza, «d’alcune derive scollacciate, pur nelle illustre: non c’è un solo film memorabile
di Diego Abantantuono, dei cinepa- sue notevoli differenze e negli sbalzi (tutti dignitosi, naturalmente, però quanettoni, delle fiction televisive fasulle e qualitativi, è stata a lungo il termome- si tutti visti e subito dimenticati) tra
mal recitate. Gli autori delle classiche tro della società, fornendo di film in film quelli da lui firmati dagli anni ottanta
commedie all’italiana (a cominciare delle fotografie della realtà italiana. in avanti. Un borghese piccolo piccolo,
da Mario Monicelli, che racconta il L’attenzione a quanto accadeva sotto del 1976, l’ultimo dei suoi grandi film,
DI
A
DIEGO GABUTTI
suo cinema nella Commedia umana,
una lunga intervista rilasciata a Sebastiano Mondadori nel 2005, oggi
utilmente ristampata dal Saggiatore)
improvvisamente non capiscono più in
che paese vivono. Fino alla metà degli
anni settanta «la commedia all’italiana» era «un gran calderone dove c’è di
tutto. Con l’eccezione», dice Monicelli,
è uno sguardo da brivido sull’Italia
che sta trasformandosi in qualcosa di
cupo, di feroce. Un horror sociologico,
come certe opere dei fratelli Cohen.
Nessuno, nemmeno Monicelli, girerà
film altrettanto coraggiosi e inquietanti
negli anni a venire.
Ma proprio il racconto di questo
tramonto, improvviso e definitivo, della commedia all’italiana, morti i suoi
autori (Monicelli è scomparso nel 2010)
e i suoi interpreti, è un ulteriore racconto sull’Italia, quella in cui viviamo
da quasi quarant’anni, e che in tutto
questo tempo, a parte le solite guerre
civili per finta, non ha combinato niente. Un’Italia dove i magistrati s’illudono di farla da padroni, le riforme non
si fanno o si fanno male, i talk show
impazzano, la politica si dà al bungabunga o alla guerra contro i vaccini e
non solo le fiction televisive ma anche
i film sono recitati da cani. È un’Italia
zoticona, da barzelletta senza parole:
l’Italia ½ Pippa degl’incapaci, degli sfigati e degl’improvvisatori.
Mario Monicelli, La commedia
umana. Conversazioni con Sebastiano Mondadori, il Saggiatore
2016, pp. 342, 24,00 euro, eBook
10,99 euro.
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