Il futuro del gas in Russia e in Asia Centrale. Alla ricerca di una

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N°48 – OTTOBRE 2016
Il futuro del gas in Russia e in Asia Centrale.
Alla ricerca di una nuova strategia
www.bloglobal.net
OPI Research Paper
Osservatorio di Politica Internazionale (OPI)
© BloGlobal – Lo sguardo sul mondo
Milano, ottobre 2016
ISSN: 2284-0362
Autore
Oleksiy Bondarenko
OPI Research Fellow. Dottore magistrale in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Universita degli Studi di
Bologna (sede di Forlì) con una tesi in History of Soviet Union’s and Russian Foreign Policy, dal titolo “Russia e Cina,
tra partnership strategica e rivalità in Asia Centrale”. I suoi studi hanno come oggetto di ricerca la storia, la cultura,
la lingua e soprattutto la politica interna ed estera dell’Unione Sovietica e della Russia.
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Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma:
O. Bondarenko, Il futuro del gas in Russia e in Asia Centrale. Alla ricerca di una nuova strategia, Osservatorio di
Politica Internazionale (OPI), Research Paper N°48, Milano, ottobre 2016.
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I porti di Chabahar e Gwadar al centro dei “grandi giochi” tra Asia Centrale e Oceano Indiano, Osservatorio di Politica
Internazionale (Bloglobal – Lo sguardo sul mondo), Milano 2014, www.bloglobal.n
INTRODUZIONE
Nonostante una netta e rapida trasformazione, il mercato degli idrocarburi rimane
ancora uno dei principali fattori nella politica internazionale. L’energia è divenuta, a
cavallo tra il Ventesimo e il Ventunesimo secolo, uno dei principali strumenti di competizione geopolitica a livello mondiale, andando ad affiancare il tradizionale potere
militare e quello economico degli Stati. In questo contesto la Russia rappresenta un
attore principale all’interno della mappa energetica euroasiatica, oltre che anello di
congiunzione tra Europa, Caucaso, Asia Centrale e Orientale. Secondo i dati di U.S.
Energy Information Administration (EIA) la Federazione Russa è tra i primi dieci Paesi
con le maggiori riserve di greggio [1], nonché il primo produttore mondiale con oltre
10 milioni di barili prodotti al giorno nel 2015 [2]. I dati sono però ancora più imponenti nel settore del gas naturale dove Mosca, grazie agli ingenti giacimenti situati in
Siberia e nell’Estremo Oriente, detiene il primato sia delle riserve conosciute, sia
quello dell’esportazione, d’avanti a Qatar e Norvegia. Le riserve stimate nel sottosuolo
russo rappresentano un quarto delle riserve mondiali totali finora note, mentre solo
di recente, grazie all’innovazione dello shale gas, gli Stati Uniti hanno superato la
RISERVE STIMATE DI GAS NATURALE (01.2015) – FONTE: US ENERGY INFORMATION ADMNISTRATION (EIA)
Questi dati statistici restituiscono però un’immagine solo parziale della complessità
geopolitica del mercato energetico mondiale che appare in rapida trasformazione.
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Federazione Russa nella quantità di gas naturale prodotto.
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L’importanza ed i modelli della domanda e dell’offerta globali e del processo di produzione e distribuzione sono sottoposti a continuo mutamento, restituendo una visione del mercato degli idrocarburi in rapida evoluzione. Secondo uno studio di John
Mitchell, Valérie Marcel e Beth Mitchell sul futuro dell’industria petrolifera e del gas
naturale, grazie alla costante applicazione di nuove e sempre più moderne tecnologie
e al crescente investimento di capitali, la base delle risorse energetiche dei Paesi
sviluppati è destinata ad essere convertita sempre maggiormente verso le riserve
rinnovabili. Ma il mercato degli idrocarburi è soggetto anche a processi di mutamento
nei modelli di consumo. Secondo alcuni dati statistici riportati nello studio, la richiesta
di prodotti petroliferi per il trasporto in Europa e negli Stati Uniti, che rappresenta
attualmente oltre la metà della domanda, è destinata a calare drasticamente nei
prossimi decenni (circa il 30%), con inevitabili conseguenze sulle valutazioni geopolitiche legate alla questione della sicurezza di approvvigionamento [3]. Se l’importanza del petrolio appare destinata a calare, non vale lo stesso per il gas naturale.
Una serie di fattori ci restituiscono, infatti, un quadro differente. La rapida espansione
e globalizzazione del mercato del gas, sia in forma standard sia liquefatta (GNL), e
dei sistemi di stoccaggio e trasporto (hub di rigassificazione e gasdotti), rappresentano una risposta a previsioni di una crescita della domanda per i futuri decenni. Il
gas naturale rappresenta infatti un ponte di collegamento relativamente pulito e poco
costoso tra le fonti energetiche maggiormente inquinanti (come il carbone) e quelle
rinnovabili (che necessitano ancora ingenti investimenti tecnologici), ma anche una
soluzione maggiormente sicura per i Paesi (come ad esempio il Giappone) che stanno
avviando un lento processo di abbandono dell’energia nucleare. L’analisi di John Mitchell comporta di conseguenza importanti valutazioni geopolitiche. Nel suo complesso, infatti, nei futuri decenni il mercato degli idrocarburi sarà principalmente trainato non più dai Paesi del cosiddetto “blocco occidentale”, ma da quelli in via di sviluppo, con il continente asiatico destinato ad assumere una posizione dominante per
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gli esportatori di gas e petrolio.
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PARTE I
DALLA CRISI ECONOMICA A QUELLA UCRAINA.
LE CONSEGUENZE PER IL MERCATO DEL GAS RUSSO
I recenti shock in politica internazionale hanno avuto importanti conseguenze sul
mercato degli idrocarburi in generale e su quello del gas naturale in particolare. La
crisi economica del 2008, l’imponente e quanto mai incerta rivoluzione dello shale
gas americano e la recente crisi ucraina sono stati tutti elementi che hanno avuto
un’importante influenza sul mercato e sulle strategie degli Stati nel settore energetico. La Russia, in qualità di principale produttore ed esportatore di gas naturale e
come conseguenza della sua politica estera, è stato l’attore maggiormente colpito
dalla recente trasformazione dell’ambiente internazionale.
MERCATO EUROPEO ↴
Una delle principali conseguenze della crisi economica del 2008 è stata, ad esempio,
un declino nella domanda europea per il gas naturale. Sebbene le ripercussioni sulla
russa Gazprom siano state relativamente mitigate dal netto calo nel flusso del gas
nordafricano e dall’espansione di alcuni mercati asiatici (come quello giapponese in
seguito all’incidente di Fukushima del 2011), le previsioni per il breve periodo non
prevedono un ritorno a livelli pre-crisi prima del 2020 [4]. Quello europeo è destinato
comunque a rimanere il principale mercato per gli idrocarburi russi e, insieme ai Paesi
dell’ex Patto di Varsavia e la Turchia, costituisce ancora la gran parte dell’export di
QUOTE DI ESPORTAZIONE DI GAS RUSSO PER DESTINAZIONE – FONTE: US ENERGY INFORMATION ADMINISTRATION
(EIA)
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gas naturale via pipeline e oltre il 90% del totale.
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La domanda stagnante del continente europeo non rappresenta in sé il principale
problema per gli interessi energetici della Federazione Russa. Il fitto intreccio tra
considerazioni economiche e quelle politiche ha reso la trama dei rapporti energetici
tra Mosca e Unione Europea, dipendente per il circa 30% del suo fabbisogno energetico dalla Russia, ancora più complessa. Dal punto di vista commerciale la crescente
competizione rappresentata soprattutto dal GNL e la decrescente competitività della
Gazprom, ulteriormente evidenziata dal lento esaurimento dei vecchi giacimenti e
dagli alti costi di produzione di quelli nuovi, ha reso il gas russo meno allettante per
il mercato europeo. Secondo numerose analisi economiche, in effetti, queste logiche
puramente commerciali hanno aperto negli ultimi anni una crescente forbice tra il
prezzo di mercato (spot hub-based price) in Europa, stabilito principalmente in base
all’incontro tra domanda e offerta, e quello determinato dai contratti lungo temporali
e legati al prezzo del petrolio (oil-linked). Il crescente divario tra i due indicatori e la
decrescente competitività della Gazprom hanno costretto la compagnia russa a cercare di adattare, negli ultimi anni, la propria strategia alle mutate esigenze e pressioni
del mercato europeo. A partire dal 2008 una serie di arbitrati internazionali hanno,
in effetti, aperto la fase di rinegoziazione di alcuni contratti con diversi clienti, trasformando la precedente strategia della massimizzazione dei prezzi in un approccio
più flessibile. Infatti, pur accettando la migrazione di alcuni contratti verso la fluttuazione in base ai prezzi di mercato, la Gazprom ha mantenuto numerosi accordi su
base lungo-temporale (oil-linked), praticando una serie di sconti per adeguare i prezzi
dei principali cliente alle mutate esigenze economiche internazionali [5]. Altro fattore
interessante è stato quello dell’introduzione di una strategia di prezzi flessibile non
solo in base alla fluttuazione del mercato, ma anche in considerazione del partner
stesso. Il mercato europeo ha iniziato a differenziarsi così anche a seconda del leverage negoziale del Cremlino, con una variabile determinazione dei prezzi fatta sulla
base del mix di importazioni energetiche del singolo Paese partner e della sua dipen-
PREZZO PAGATO DAI PAESI EUROPEI PER IL GAS RUSSO AL 2013 – FONTE: RADIO FREE EUROPE RADIO LIBERTY
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denza da Mosca.
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Proprio questo elemento è diventato il punto di congiunzione tra la strategia politica
e quella economica della Gazprom, rallentando il definitivo adattamento del mercato
energetico europeo ad un sistema basato sui prezzi di mercato, anche se, sottolinea
James Henderson, in prospettiva futura non mancano logiche economico-commerciali
secondo le quali la Gazprom potrebbe effettivamente beneficiare «dell’adozione di
una strategia basata sui prezzi competitivi, anche se questo significa una loro riduzione»[6].
Dal punto di vista politico, le tensioni tra Russia e Ucraina nel 2006 e 2009, e soprattutto l’annessione della Crimea e la guerra ibrida nel Donbass, hanno profondamente
minato la fiducia dei partner europei, costringendo Bruxelles a considerare con massima priorità la questione della diversificazione dei canali di approvvigionamento
energetico. Proposto dalla Commissione Europea nel 2007 e entrato in vigore nel
settembre del 2009, il Terzo Pacchetto Energetico (Third Energy Package) rappresenta il principale tentativo verso la liberalizzazione del mercato europeo spinto da
motivazioni politiche ed economiche. Lo scopo primario di limitare il dominio di un
singolo attore statale (Gazprom) sulle vie di transito e all’interno dei singoli mercati
nazionali è spinto principalmente dai crescenti attriti tra Mosca e le cancellerie occidentali, sempre più preoccupate nel vedere il gas divenire uno degli strumenti della
politica estera del Cremlino. Da un punto di vista economico, invece, la legislazione
europea punta a una deregolamentazione del mercato che dovrebbe portare, secondo
i suoi sostenitori, una maggiore competizione e, di conseguenza, un passaggio al
sistema dei prezzi di mercato con minori vincoli per i Paesi consumatori.
MERCATO CSI ↴
La guerra e le dispute politiche con l’Ucraina, iniziate durante la presidenza di Viktor
Yushenko (crisi del 2006 e 2009) e proseguita con Viktor Yanukovich a causa delle
difficoltà di Kiev di far fronte agli alti prezzi del contratto con Gazprom, hanno avuto
l’effetto di ridurre in maniera sostanziale la quantità della fornitura del gas russo
anche all’interno della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), minando in parte uno
dei principali strumenti di influenza geopolitica nelle mani del Cremlino. L’Ucraina, il
principale importatore di gas naturale russo tra gli Stati della CSI, ha drasticamente
ridotto la domanda già a partire dal 2008, raggiungendo il minimo storico nel 2014 a
Come si evince dal grafico, la quantità del gas russo fornito a Kiev è scesa dai quasi
60 miliardi di metri cubi per anno a meno di 15 miliardi. Secondo alcune stime, in
termini economici il dimezzamento del mercato all’interno della CSI degli ultimi sette
anni ha comportato un calo dei ricavi per la Gazprom di circa il 20%, considerando i
concomitanti alti prezzi del petrolio fino all’ultimo trimestre del 2014
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causa del conflitto politico-militare con Mosca.
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EXPORT GAZPROM NEI PAESI CSI - FONTE: OXFORD INSTITUTE FOR ENERGY STUDIES: NG 102
Come si evince dal grafico, la quantità del gas russo fornito a Kiev è scesa dai quasi
60 miliardi di metri cubi per anno a meno di 15 miliardi. Secondo alcune stime, in
termini economici il dimezzamento del mercato all’interno della CSI degli ultimi sette
anni ha comportato un calo dei ricavi per la Gazprom di circa il 20%, considerando i
concomitanti alti prezzi del petrolio fino all’ultimo trimestre del 2014.
La crisi del mercato europeo e il netto calo della domanda proveniente dalla CSI
hanno causato così un eccesso di offerta, formando quella che viene definita “la bolla
del gas” e costringendo la Gazprom a restringere la produzione in maniere innaturale
attraverso il rallentamento dello sviluppo e dello sfruttamento dei grandi nuovi giacimenti in Siberia Occidentale e nella penisola di Yamal.
PIVOT TO ASIA ↴
Una parziale soluzione alle problematiche sul versante occidentale è rappresentata
Strategia Energetica della Federazione Russa del 2009 e formalmente rinnovata nella
primavera del 2014 [7]. Nonostante il miliardario accordo con la Cina, siglato nel
maggio 2014, abbia simbolicamente inaugurato la cooperazione tra Mosca e Pechino
nel settore del gas naturale dopo decenni di lente trattative, è importante notare
come la costruzione del nuovo gasdotto progettato (Power of Siberia) difficilmente
avrà un impatto decisivo sui problemi relativi alla sovrapproduzione. Secondo il
progetto iniziale, infatti, il gasdotto sarà rifornito dai nuovi giacimenti in Siberia
Orientale e non da quelli occidentali sviluppati di recente (come nella penisola di
Yamal) che rischiano di rimanere senza sbocco verso il mercato internazionale. Il vero
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dalla cosiddetta strategia statunitense del “pivot to Asia”, promossa già dalla
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vantaggio del complesso intreccio di rapporti energetici con Pechino si trova piuttosto
nella sua valenza geopolitica. L’apertura di un nuovo, potenzialmente smisurato
mercato rappresenta un’arma di pressione (bargaining chip) nei confronti dei partner
europei in un periodo in cui il potere negoziale della Gazprom vis-à-vis con Bruxelles
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appare in netto declino.
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PARTE II
PREZZI E SANZIONI. UN NUOVO PROBLEMA
Le attuali difficoltà della Russia e della Gazprom, causate da una serie di congiunture
economico-sistemiche generali, sono senz’altro aggravate dal confronto geopolitico
con Stati Uniti e Unione Europea. A partire dalla primavera del 2014 l’introduzione di
diversi round di sanzioni contro compagnie e individui vicini al Cremlino, hanno avuto
un impatto significativo sulle capacità di finanziare ed implementare nuovi progetti
nel settore energetico. A questo va aggiunto il vertiginoso calo dei prezzi del greggio
che nell’ultimo anno ha subito una svalutazione pari a circa 60% del suo valore precedente. Le conseguenze sui ricavi della Gazprom sono più che evidenti. Secondo
un’analisi di James Henderson e Tatiana Mitrova, sebbene sia particolarmente difficile
avere dati precisi, il trend generale indica che nel biennio 2015-2017 l’utile medio
della compagnia petrolifera sarà di circa 30% inferiore rispetto al biennio 2012-2014,
mentre il suo margine operativo lordo rischia una contrazione del 50% [8]. Come
sottolinea ancora Henderson, in condizioni normali tali difficoltà sarebbero potute essere perlomeno mitigate attraverso il ricorso al mercato internazionale dei capitali in
attesa della ripresa dei prezzi del greggio, ma le sanzioni hanno reso questa strada
difficilmente percorribile. Anche se la Gazprom non è stata il principale target delle
sanzioni, che hanno colpito molto più duramente Rosneft e Novatek, la riluttanza dei
maggiori istituti finanziari occidentali scaturita da considerazioni di tipo politico ed
economico, ha ridotto drasticamente anche il suo accesso al mercato dei capitali [9].
Appare sempre più difficile che i numerosi progetti e piani d’investimento messi in
preventivo dalle principali compagnie petrolifere russe, che riguardano lo sfruttamento dei nuovi giacimenti e l’ampiamento del sistema di gasdotti, possano trovare
spazio di realizzazione.
Le difficoltà del settore energetico non riguardano, però, solo le compagnie del settore. Il problema, infatti, assume dimensioni maggiori con conseguenze per l’intero
sistema economico del Paese se si prende in considerazione la struttura stessa
dell’economia russa, fortemente legata agli idrocarburi come principale fonte del budget. Infatti, se appena vent’anni fa i proventi dell’industria petrolifera e di gas natuvalore ha raggiunto quasi il 50% del totale, rappresentando altresì oltre il 65% delle
esportazioni complessive. Secondo diverse analisi, la struttura stessa dell’economia
russa è rimasta praticamente invariata, presentando numerosi elementi della cosiddetta “Dutch disease”, concetto secondo il quale un’economia basata principalmente
sullo sviluppo delle risorse naturali presenta una significativa involuzione del settore
industriale e manifatturiero [10].
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rale (e di prodotti correlati) costituivano il 2-3% del bilancio federale, nel 2014 il
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PROSPETTIVE PER IL FUTURO ↴
Pur prendendo in considerazione le crescenti difficoltà del mercato europeo e la traballante posizione politica della Federazione Russa all’interno di esso, il futuro ruolo
del gas naturale russo nel fabbisogno energetico del continente sembra destinato a
rimanere di primaria importanza. Secondo un’attenta analisi di Anouk Honoré per
Oxford Institute for Energy Studies [11], sebbene nel breve periodo la domanda rimarrà con ogni probabilità stagnante, prendendo in considerazione un lasso di tempo
più ampio tali indicatori sono destinati a variare. Esaminando la domanda aggregata
dei 28 Paesi dell’Unione, delle repubbliche balcaniche e della Turchia, il fabbisogno
energetico è destinato a crescere soprattutto tra il 2020 e il 2030, per raggiungere
un totale di 594 miliardi di metri cubi/anno (contro gli odierni 476 miliardi), tornando
a livelli simili al periodo antecedente alla crisi finanziaria. Tenendo in considerazione
che l’andamento della produzione energetica interna tradizionale (Olanda, Norvegia)
sembra destinato a una certa stagnazione e che le prospettive legate allo shale gas
non potranno contribuire significativamente a migliorarla, le importazioni di gas naturale tenderanno ad aumentare progressivamente. I piani economici della Gazprom
si intrecciano, però, anche con considerazioni di carattere geopolitico e con la diminuzione di fonti alternative di approvvigionamento per l’Europa. La costante instabilità della regione nordafricana, dove Libia, Algeria e Egitto hanno rappresentato negli
ultimi anni un’importante fonte energetica, e la crescita della loro domanda interna
hanno minato notevolmente la loro posizione di partner affidabili. Nonostante la recente scoperta di una serie di grandi giacimenti offshore nel Mediterraneo Orientale,
come il Leviathan nelle acque israeliane o quello lo Zohr1 al largo delle coste egiziane,
che richiedono tra l’altro ingenti investimenti, sembra difficile prevedere che la regione, con la parziale eccezione dell’Algeria, possa rappresentare nel medio periodo
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una fonte energetica significativa per i Paesi europei.
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PARTE III
LA STRUTTURA DEL SETTORE ENERGETICO RUSSO
L’importanza del settore energetico sull’economia nazionale ha dirette ripercussioni
sulla sua struttura e regolamentazione e sui complessi rapporti tra pubblico e privato
all’interno del mercato nazionale ed internazionale. I cardini della legislazione nazionale in materia si basano sulla “Legge federale sulle risorse del sottosuolo della Federazione Russa” del 1992 che regolamenta lo sfruttamento e la concessione delle
licenze per le aree del sottosuolo considerate di importanza federale, sia sulla piattaforma continentale sia nelle acque territoriali [12]. Secondo la legge, le zone che
contengono almeno 50 miliardi di m3 di gas naturale sono ritenute di “interesse speciale” per la Federazione e il loro sfruttamento ha determinati vincoli. Solo entità
legali russe possono ricevere concessioni, ad esempio, e il governo può decretare
delle restrizioni particolari alle compagnie che, pur essendo registrate regolarmente
in Russia, sono possedute in parte o interamente da investitori stranieri. Le restrizioni
sono ancora più significative per le aree situate sulla piattaforma continentale (come
quelle recentemente sotto esplorazione nella regione artica) dove solo entità o joint
venture con almeno cinque anni di esperienza e possedute per almeno 50% + 1 dallo
Stato possono ricevere la licenza necessaria per attività di esplorazione ed estrazione
[13]. La partecipazione di compagnie e capitali stranieri è generalmente limitata a
singoli progetti attraverso joint venture con entità russe (che detengono la maggioranza e la licenza), regolate tramite speciali shareholders agreements in cui l’entità
straniera detiene il 33,33%. I cosiddetti production sharing agreements (PSA) invece,
concessi da Mosca nei primi anni Novanta, sono regolati ora da un’apposita legge del
1996 che ne limita fortemente la possibile stipulazione. Attualmente, infatti, sono in
funzione solo tre PSA (concordati prima del 1996) relative ai progetti Sakhalin 1-2 e
Khariaginskiy.
I PRINCIPALI PRODUTTORI ↴
Come conseguenza della vigente legislazione in materia, a prima vista il mercato di
gas naturale in Russia potrebbe essere considerato come un sistema monopolistico
principale produttore di gas naturale sul mercato (circa 490 miliardi di m3/a), controllato per il 50,1% dallo stato (38,4% direttamene, mentre la restante percentuale
tramite Rosneftegaz e Rosgazifikatsiya) [14]. La Gazprom detiene, in effetti, il monopolio sul Sistema Unificato di Approvvigionamento di Gas nella parte europea della
Russia (Unified Gas Supply System – UGSS), nonché la licenza per lo sviluppo dei più
grandi giacimenti nel Paese. Per quanto riguarda la UGSS, si tratta del più grande
complesso per il trasporto del gas al mondo, con 168.000 chilometri di gasdotti, 25
impianti di stoccaggio sotterraneo e oltre 200 stazioni di compressione. Lo status
della compagnia è rafforzato dalla “Legge sull’approvvigionamento di gas”, che indica
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dominato dalla maggiore compagnia del settore, la Gazprom. Si tratta, infatti, del
10
la società come responsabile del rifornimento di gas in Russia e degli obblighi internazionali del Paese [15].
SISTEMA UNIFICATO DI APPROVVIGIONAMENTO DI GAS (UGSS) DELLA RUSSIA EUROPEA CONTROLLATA DA GAZPROM
– FONTE: GAZPROM
Anche se il dibattito sulla liberalizzazione del settore energetico, aperto ormai da
diversi anni, non ha avuto effetti significativi sulla legislazione, alcuni passi sono stati
fatti in questa direzione. Alcune compagnie indipendenti nel 2012 hanno avuto, ad
esempio, accesso al controllo di segmenti delle vie di transito (UGSS), potendo di
conseguenza vendere il proprio gas al di fuori degli accordi con la Gazprom. Pur non
minando il suo dominio sul mercato internazionale (la Gazprom rimane l’unico esportatore verso l’estero), alcuni competitor si sono affacciati sull’altrettanto importante
settore interno, muovendo lentamente il monopolio verso un sistema di tipo oligopolistico. Novatek (circa 50 miliardi di m3/a), Rosneft (principale produttore di petrolio
– circa 40 miliardi di m3/a di gas) e Lukoil (15 miliardi di m3/a) hanno guadagnato
negli ultimi anni accesso al mercato regionale costituendo in alcune di esse una vera
framework legale concepito in favore della Gazprom che lascia numerose zone grigie,
non sono obbligati a vendere ai prezzi regolamentati (a differenza di Gazprom) e
possono applicare sul mercato interno tariffe variabili a seconda dei costi di trasporto.
COMPETIZIONE NEL SETTORE GNL ↴
Se l’esportazione di gas via pipeline rimane esclusivo monopolio di chi possiede la
rete di gasdotti, la Gazprom, un certo livello di competizione si è instaurato negli
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e proprio posizione dominante. Gli attori indipendenti, infatti, pur muovendosi in un
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ultimi anni all’interno del mercato del GNL. Ottenuto attraverso la depurazione, raffreddamento (-160 °C) e condensazione del gas naturale, il gas liquefatto rappresenta l’unica alternativa percorribile al trasporto via pipeline. Il processo di trasformazione, infatti, comporta una riduzione del volume del gas di circa seicento volte,
permettendo di trasportare ingenti quantità a costi relativamente ridotti attraverso
apposite navi metaniere e facilitandone lo stoccaggio. La trasformazione del gas, sperimentata nei primi decenni del Novecento per scopi prevalentemente militari, implica
però ingenti investimenti nei complessi impianti di liquefazione (situati nei pressi dei
giacimenti di estrazione) e di rigassificazione, processo necessario per fruire del gas
naturale dopo il suo trasporto o lo stoccaggio.
Alcuni emendamenti alla legge sull’esportazione, approvati dal governo nel dicembre
2013, hanno avviato un lento processo di pre-liberalizzazione, permettendo teoricamente a compagnie indipendenti, nonostante una sempre rigida selezione, di accedere direttamente al mercato internazionale del GNL. Proprio quest’ultimo rappresenta, infatti, un’importante opportunità di diversificazione del export per il Cremlino,
oltre che una possibile arma di pressione su Cina e i principali mercati europei e CSI.
Il gas naturale liquefatto è destinato specialmente al mercato asiatico, dove i principali consumatori di idrocarburi come Giappone, Corea del Sud e Taiwan sono difficilmente accessibile attraverso i sistemi di trasporto tradizionali (gasdotti). Lo sviluppo
del settore, ancora significativamente in ritardo, potrebbe teoricamente aprire le
porte verso nuovi importanti mercati, promuovere lo sviluppo di regioni strategicamente importanti (come l’Estremo Oriente e l’Artico) e aggiungere un certo livello di
potere negoziale nelle difficili relazioni con Pechino.
In Russia è attualmente funzionante solo un giacimento di GNL (Sakhalin-2) la cui
esplorazione è stata resa possibile grazie a massicci investimenti stranieri, solo successivamente acquisiti (50%) dalla Gazprom. Sakhalin-2, infatti, è uno di quei progetti che rispondono alle condizioni di PSA, che garantiscono a investitori stranieri
(dopo che quest’ultimi hanno recuperato il capitale investito per esplorazione e sviluppo) una percentuale sulla produzione totale del giacimento. Altri progetti, come
quello del gas liquefatto nel Baltico, non hanno avuto finora altrettanto successo e
sono stati abbandonati nel loro stadio iniziale per mancanza di fondi e difficoltà nella
loro esplorazione. Nondimeno la recente parziale liberalizzazione del settore ha favolicenze per lo sviluppo di giacimenti e la successiva esportazione di gas ricavato.
Importanti lavori di esplorazione nella penisola di Yamal sono stati avviati da Novatek
con la partecipazione di Total e CNPC, mentre il progetto di Sakhalin-1 GNL è portato
avanti da Rosneft e ExxonMobile (di recente posticipato di almeno due anni).
Nonostante una politica più attiva da parte del governo, i risultati rimangono solo
parziali per svariati motivi. Le sanzioni hanno reso particolarmente difficile reperire
finanziamenti per i progetti ad alto contenuto tecnologico, mentre il basso prezzo del
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rito un certo livello di competizione tra Gazprom, Novatek e Rosneft per accaparrarsi
12
petrolio ha indubbiamente modificato la postura strategica del Cremlino e delle compagnie petrolifere, rendendo i progetti che hanno un ampio impatto finanziario molto
meno appetibili nel breve periodo. Altri fattori di carattere geopolitico hanno influito
sullo sviluppo di alcuni progetti. Non si può non notare che i potenziali acquirenti del
gas naturale liquefatto russo nella regione asiatica sono tutti stretti alleati degli Stati
Uniti. Corea del Sud, Giappone e Taiwan si sono dimostrati particolarmente riluttanti
ad assumere impegni commerciali con Mosca in un periodo particolarmente incerto a
livello internazionale. Il futuro del GNL in Russia rimane quindi particolarmente incerto, con molti progetti già posticipati e altri che rischiano di essere abbandonati
Research Paper, N°48– ottobre 2016
definitivamente.
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PARTE IV
LA FINE DEL MONOPOLIO RUSSO
Regione particolarmente importante per riserve e produzione di idrocarburi, l’Asia
Centrale rimane il fulcro di strategie energetiche di diversi attori. La Russia, economicamente e politicamente l’attore dominante nel quadrante centroasiatico e caucasico anche dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, ha visto ridursi notevolmente
il proprio potere di influenza e conosce ora un periodo di stagnazione anche nei rapporti energetici, da sempre centrali nelle relazioni con gli attori regionali.
MAPPA POLITICA DELL'ASIA CENTRALE – FONTE: UNITED NATIONS MAP
tiene circa il 4% delle riserve mondiali di greggio e oltre il 7% di gas naturale [16].
Le maggiori riserve di petrolio si trovano in Kazakistan nei giacimenti di Karacheganak, Tengiz e Kashagan, mentre il Turkmenistan (sesto per riserve gasifere a livello
mondiale) detiene le principali riserve di “oro blu”, situate tra la regione caspica e
l’entroterra, dove si trova l’immenso giacimento di Galkynysh, il secondo al mondo
per dimensioni.
Research Paper, N°48– ottobre 2016
Secondo alcune recenti stime la regione centroasiatica (includendo l’Azerbaijan) de-
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Nonostante le sue immense potenzialità e la crescente importanza nel settore energetico, la regione rimane ancora ai margini della geopolitica mondiale. Numerosi ostacoli di tipo endogeno rimangono ad ostruire la possibile crescita a livello internazionale di potenze energetiche come Kazakistan e Turkmenistan. Uno dei principali freni
è rappresentato dalle generali difficoltà che compagnie occidentali, le uniche con potenziale tecnologico di primo livello, trovano affacciandosi sul mercato centroasiatico.
Un sistema politico altamente centralizzato unitamente alla generale debolezza di
istituzioni nazionali accompagnate da un sistema legale incerto e politicamente diretto, ha rappresentato negli ultimi decenni uno dei principali ostacoli agli investimenti stranieri nel settore energetico locale. Un ruolo importante è giocato anche
dalla complessa posizione geografica della regione. Pur trovandosi strategicamente
tra Europa, Russia e Cina, i principali produttori degli idrocarburi (Azerbaijan, Turkmenistan e Kazakistan) non possiedono uno sbocco sul mare (landlocked states),
mentre l’Uzbekistan, potenzialmente un importante produttore di gas naturale, è
l’unico stato insieme al Liechtenstein ad essere circondato da stati che a loro volta
non hanno sbocco sul mare (double landlocked). Senza diretto accesso al trasporto
marittimo, i gasdotti e oleodotti sono così i principali mezzi di trasporto delle risorse
energetiche verso i mercati internazionali. La complessità orografica del territorio e
la necessità di attraversare diversi confini statuali, però, hanno reso la realizzazione
di pipeline molto più complessa ed economicamente onerosa. Infatti, pur essendo
tutti firmatari della Energy Charter Treaty, il “protocollo sul trasporto” della Carta è
rimasto lettera morta e manca ancora un framework legale a livello internazionale
che possa regolare le numerose dispute tra gli Stati, molti dei quali produttori di
idrocarburi e con pochi incentivi a favorire diretti concorrenti nell’accesso al mercato
internazionale. Altro grande limite allo sviluppo infrastrutturale della regione è rappresentato da una serie di dispute territoriali che hanno avuto l’effetto di minare
fortemente la cooperazione tra vicini, costringendo numerosi progetti ad affrontare
percorsi alternativi per bypassare regioni contese.
ALL’INSEGNA DELLA DIFFICILE DIVERSIFICAZIONE ↴
Nonostante numerose problematiche ed un ruolo ancora importante di Mosca negli
affari regionali, sarebbe un errore considerare l’Asia Centrale come zona di esclusiva
influenza della Federazione Russa. Anche se dopo la dissoluzione dell’Unione Sovieiniziative sia su base bilaterale che multilaterale, l’élite politica locale ha lottato per
mantenere un certo livello di indipendenza politica ed economica, privilegiando, a
seconda del momento, un partner piuttosto che un altro. La Russia, infatti, detiene
ancora un accesso privilegiato al mercato regionale e può contare sul proprio “soft
power” e su importanti legami in materia di sicurezza, ma ha lentamente perso un’influenza diretta sugli affari politici ed economici interni. In effetti, se sotto l’aspetto
politico quella della multivettorialità è stata un’importante componente della strategia
un po’ di tutti gli stati centroasiatici, i legami infrastrutturali ereditati dal passato
sovietico hanno sensibilmente limitato i margini di manovra nel settore energetico.
Research Paper, N°48– ottobre 2016
tica il Cremlino ha cercato di mantenere rapporti privilegiati attraverso una serie di
15
INFRASTRUTTURE ENERGETICHE (GREGGIO E GAS) DELLA REGIONE CASPICA - FONTE: US ENERGY INFORMATION
ADMINISTRATION (EIA)
Il principale ostacolo alla piena indipendenza della regione è stato l’alto livello di integrazione della rete di gasdotti e oleodotti con il vicino russo. Trovare nuovi partner
e investimenti mantenendo i rapporti commerciali e politici con il Cremlino, diversificando così le vie di accesso al mercato internazionale degli idrocarburi, è diventato
uno dei principali obiettivi dei regimi regionali, dal quale dipende non solo la loro
indipendenza economica, ma anche quella politica. Fino a pochi anni fa, infatti, Mosca
e del gas centroasiatico e caspico, fattore che gli permetteva di avere un forte ascendente politico sui regimi locali. Se nel settore del greggio questo dominio è stato in
parte rotto da Azerbaijan e Kazakistan ancora negli anni Novanta, gli esportatori di
gas naturale sono rimasti dipendenti da Gazprom ben più a lungo, trovando nella
Cina una via di diversificazione solo nell’ultimo decennio. I primi ad affacciarsi in Asia
Centrale, al di fuori delle russe Transnef, Rosneft e Lukoil, sono state la britannica
British Petroleum (BP) e le statunitensi Chevron e ExxonMobil. Ingenti investimenti
sono stati fatti nello sviluppo del complesso di giacimenti petroliferi Azeri-Chirag-
Research Paper, N°48– ottobre 2016
esercitava un monopolio praticamente assoluto sulle vie di esportazione del greggio
Gunashli (ACG) e quelli di Tengiz e Korolev in Kazakistan.
16
Il trasporto del greggio azero verso il mercato internazionale viene ora garantito non
solo tramite la Russia e il Mar Nero (Baku-Novorossiysk pipeline) ma anche da altri
oleodotti. Il Baku-Tbilisi-Ceyhan (BTC) sviluppato su iniziativa della BP e inaugurato
nel maggio 2005, trasporta principalmente il greggio azero (con una parte di quello
kazako) verso le coste meridionali della Turchia, mentre il porto di Supsa in Georgia
riceve il greggio attraverso la linea Baku-Supsa. Anche il Kazakistan si è in parte
affrancato dal sistema integrato degli oleodotti russi ai quali accede tramite la bretella
Uzen-Atyrau-Samara. I giacimenti di Tengiz e Kashagan sono ora collegati all’oleodotto Kazakhstan-China e Atyrau-Novorossiysk. Frutto di almeno un decennio di trattative, quest’ultimo è gestito dalla Caspian Pipeline Consortium ed ha la particolarità
di essere l’unico oleodotto che attraversa il territorio russo a non essere gestito completamente dalla società statale Transneft.
GAZPROM, LENTO RIORIENTAMENTO STRATEGICO ↴
La compagnia statale russa ha mantenuto un ruolo cruciale nello sviluppo del settore
del gas naturale in Asia Centrale. Il sistema di rapporti bilaterali con i produttori
instaurati negli anni e l’assenza di partner ed investitori occidentali, ha permesso a
Gazprom di esercitare la propria posizione di monopolio per gran parte dell’ultimo
decennio. Il primo gasdotto alternativo al sistema controllato da Mosca è entrato in
Research Paper, N°48– ottobre 2016
PRINCIPALI PIPELINE CASPIO E ASIA CENTRALE - FONTE: US ENERGY INFORMATION ADMINISTRATION (EIA)
17
funzione, infatti, solo nel 2009, collegando i giacimenti turkmeni con le regioni occidentali della Cina. Attraversando il Turkmenistan, Uzbekistan e Kazakistan, la Central
Asia-China Gas Pipeline, rappresenta ora la principale alternativa ai gasdotti gestiti
dalla Russia, oltre che un importantissimo canale di sbocco per gli idrocarburi regionali verso il mercato asiatico.
I nuovi rapporti tra i regimi locali e Pechino non rappresentano però solo la conseguenza geopolitica della crescente competizione tra Russia e Cina in Asia Centrale,
ma anche un importante segnale dei macromutamenti del mercato internazionale del
gas naturale. Prima della metà del passato decennio la posizione regionale e il monopolio infrastrutturale della Gazprom avevano permesso di sfruttare il gas centroasiatico per proporre prezzi scontati ad alcuni Paesi dell’ex blocco sovietico come
Ucraina e Bielorussia. Venduto a prezzi obbligatoriamente bassi, il gas turkmeno serviva a soddisfare, infatti, il crescente consumo interno della Federazione Russa e la
fornitura sovvenzionata ai regimi politicamente vicini al Cremlino.
Import russo di Gas Naturale dall'Asia
Centrale
70
Miliardi Metri Cubi
60
50
40
AZERBAIJAN
30
TURKMENISTAN
20
UZBEKISTAN
10
KAZAKISTAN
0
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
Variazione import gas dal 2007 al 2013
IMPORT RUSSO DALL'ASIA CENTRALE – DATI: GAZPROM
quella europea e l’aumento dei prezzi del greggio, hanno reso questa strategia meno
attrattiva. Non sorprende infatti che a partire dal 2009 l’importazione del gas centroasiatico sia drasticamente calata in concomitanza con la rinegoziazione dei prezzi
e dei volumi tra la Gazprom e Türkmengaz e la crisi politica che ha portato alla momentanea sospensione dei rapporti energetici nel 2009. Pur rimanendo importante
per ragioni prevalentemente geopolitiche (mantenere influenza nella regione), il gas
turkmeno ha perso il suo valore aggiunto dal punto di vista economico a causa dei
recenti mutamenti del mercato internazionale. Le recenti difficoltà economiche della
Gazprom, colpita dai bassi prezzi del greggio e da numerosi problemi finanziari,
Research Paper, N°48– ottobre 2016
La crisi finanziaria del 2008, la conseguente stagnazione della domanda interna e di
18
hanno fatto il resto. Nel bel mezzo della crisi ucraina, infatti, la Russia ha acquistato
solo 4 miliardi di metri cubi di gas naturale dalla Türkmengaz, andando ben al di sotto
dei numeri precedentemente concordati. Il recente annuncio della completa sospensione dell’acquisto del gas turkmeno per tutto il 2016, appare non solo come un modo
per limitare il surplus di produzione interna, ma anche come mossa strategica per
promuovere una rinegoziazione dei prezzi d’acquisto adeguandoli all’attuale realtà
del mercato europeo ed internazionale. Appena qualche mese fa, infatti, nel luglio
2015 la Gazprom aveva presentato un’istanza alla Corte d’Arbitrato Internazionale di
Stoccolma per la revisione dei prezzi pagati alla Türkmengaz.
Pur essendo stata recentemente soppiantata dai rapporti commerciali tra Ashgabat e
Pechino, la Russia rimane comunque un importante partner energetico per il Turkmenistan, considerate le sue limitate capacità di accesso al mercato europeo. I vettori
della strategia russa in Asia Centrale e nel Caspio rimangono, in effetti, principalmente quelli che si sono andati a consolidare già nell’ultimo decennio. Consapevole
di aver perso il monopolio energetico regionale e di doversi giocoforza adeguare alla
complessa realtà geopolitica internazionale, il Cremlino non ha ostacolato l’ingresso
cinese, preferendo che il gas caspico fluisse verso est piuttosto che verso ovest. Il
principale obiettivo è rimasto, infatti, quello di limitare i progetti di diversificazione
dell’Unione Europea, per la quale la regione del Mar Caspio rimane una delle principali
risorse.
È da inquadrare proprio in quest’ottica l’ostinata opposizione da parte di
Mosca nei confronti di progetti di cooperazione tra UE e regimi locali, come l’idea della
Research Paper, N°48– ottobre 2016
costruzione del gasdotto Trans-Caspico.
19
PARTE V
CASE STUDY: TURKMENISTAN,
IL GIGANTE DEL GAS TRA SOGNI E REALTÀ
Uno dei Paesi politicamente più chiusi della regione, il Turkmenistan è di gran lunga
il principale attore nel settore del gas naturale. Secondo le recenti statistiche del Oil
and Gas Journal, riportate da U.S. Energy Information Administration (EIA), le sue
riserve provate di gas naturale ammontano a 7.504 miliardi di metri cubi, collocando
il Turkmenistan al sesto posto della classifica mondiale per riserve e al quindicesimo
per la produzione totale nel 2014 [17]. Nonostante un alto consumo interno, la crescente capacità produttiva permette al Paese di esportare gran parte del gas naturale
estratto dai giacimenti situati nelle acque del Mar Caspio e nelle regioni interne del
Paese, dove si trova il più grande deposito dell’Asia Centrale.
SERVICE, ENERGY INFORMATION ASSOCIATION
Considerato un regime fortemente autoritario e fanalino di coda nel Democracy Index
dell’Economist Intelligence Unit, il Turkmenistan è stato guidato per un ventennio da
Saparmurat Niyazov, al potere dal 1985 fino alla morte avvenuta nel 2006. È stato
proprio Niyazov a condurre il Turkmenistan attraverso i difficili anni della transizione
e a beneficiare delle ingenti risorse naturali ed infrastrutturali del Paese ereditate dal
passato sovietico. Dal punto di vista politico durante il suo ventennio al comando, il
Research Paper, N°48– ottobre 2016
PRINCIPALI GIACIMENTI DI GREGGIO E GAS NATURALE IN TURKMENISTAN – FONTE: CASPIAN INTERACTIVE MAP
20
primo Presidente del Turkmenistan indipendente ha instaurato un forte regime autoritario, inaugurando un vero e proprio culto della sua personalità, spartendo pragmaticamente i gangli vitali dello Stato tra i vari clan regionali e consolidando, in politica
estera, relazioni prioritarie con Mosca. Pur mantenendo gli equilibri interni praticamente invariati, il successore di Niyazov, Gurbanguly Bardimukhammedov, ha avviato
un nuovo corso nella proiezione esterna del Turkmenistan. In carica dal 2006 e rieletto con circa 97% di preferenze nel 2012, Bardimukhammedov ha ampiamente beneficiato del crescente interesse che nuovi attori hanno dimostrato alle ingenti risorse
naturali del suo Paese e del generale calo dell’influenza regionale del Cremlino.
I PRINCIPALI PARTNER ENERGETICI: RUSSIA ↴
Senza accesso ad un mare aperto, la quasi totalità del gas turkmeno deve viaggiare
attraverso la rete di gasdotti posseduti dai suoi vicini per raggiungere il mercato internazionale, garantendo a quest’ultimi un più alto potere negoziale con Ashgabat.
Una delle principali vie di esportazione è rimasta, infatti, il sistema della Central Asia
Center, una rete di gasdotti che collega le regioni centrali del Paese con la Russia.
L’acquisto del gas turkmeno da parte della Gazprom per tutti gli anni Novanta avveniva sulla base di prezzi fissi, pagati per metà in cash e per l’altra metà in beni di
consumo per il mercato locale. Solo a partire dal 2003 i due attori concordarono di
adeguare i prezzi ai livelli di mercato, con possibilità di rinegoziazione annuale. La
presunta esplosione di un tratto del gasdotto e la sospensione del transito del gas
verso la Russia nel 2009, i nuovi negoziati e la recente nuova sospensione dell’acquisto da parte della Gazprom, rappresentano periodi di adeguamento strategico dei due
attori alla situazione del mercato energetico internazionale. Nonostante un netto calo
della quantità di gas naturale importato da Gazprom, la Russia rimane ancora un
attore di primo livello nella strategia energetica di Ashgabat. Mosca rappresenta
l’unica possibile via di transito verso il mercato europeo, ma anche il principale contributore al budget turkmeno, dato che una buona parte delle importazioni cinesi
servono a coprire il debito contratto per la costruzione del nuovo gasdotto, mentre il
flusso economico da Teheran è rappresentato principalmente da beni e servizi che
altrimenti il Turkmenistan sarebbe costretto ad acquistare [18].
I PRINCIPALI PARTNER ENERGETICI: CINA ↴
dagli anni Novanta le risorse energetiche turkmene sono diventate particolarmente
ambite anche dai più grandi attori regionali e sub-regionali come Teheran, Islamabad
e New Delhi. Il principale partner economico di Ashgabat, però, è divenuto Pechino.
La Cina, infatti, è il principale investitore straniero nel settore, nonché l’unico che ha
avuto accesso alla partecipazione dello sfruttamento dei principali giacimenti onshore
del Paese (PSA nel progetto Bagtyiarlyk). Costruita su iniziativa dalla China National
Petroleum Corporation (CNPC), la Central Asia-China Pipeline (inaugurata nel dicembre 2009) rappresenta attualmente, con le sue tre linee parallele, la principale via di
Research Paper, N°48– ottobre 2016
Stretto tra il Mar Caspio, il Kazakistan, l’Uzbekistan, l’Afghanistan e l’Iran, a partire
transito del gas turkmeno, con una capacità destinata a crescere dagli iniziali 30 ai
21
60 miliardi di m3/a. Attraversando i territori di Uzbekistan e Kazakistan e connettendosi con il gasdotto cinese East-West nella città di Horgos nella regione autonoma
uigura dello Xinjiang, il gasdotto rappresenta uno dei principali progetti ingegneristici
dell’Asia Centrale e dovrebbe essere destinato a trasportare in futuro anche il gas
uzbeko e kazako. Nonostante il crescente volume degli affari con Pechino, numerosi
osservatori continuano a sottolineare che la posizione negoziale di Ashgabat rimane
piuttosto debole, soprattutto in concomitanza con i difficili rapporti con Mosca. Anche
se il prezzo pattuito con la Cina rimane ignoto, si può facilmente immaginare che
esso sia ben al di sotto di quello di mercato anche a causa degli ingenti prestiti (oltre
8 miliardi di dollari) che Pechino ha elargito per la modernizzazione dell’intero sistema
infrastrutturale del Turkmenistan [19]. Sostituire il ruolo dominante di Mosca con
quello di Pechino non sembra il migliore degli affari per Ashgabat.
I PRINCIPALI PARTNER ENERGETICI: IRAN ↴
Oltre a Russia e Cina altro importante partner è rappresentato da Teheran. Il primo
gasdotto (Korpeje-Kordkuy) che collegasse i due vicini fu costruito nel 1997 e finanziato per oltre il 90% dall’Iran. Secondo l’accordo della durata di 25 anni, il 35% dei
circa 8 miliardi di m3/a che fluiscono verso la regione settentrionale della Repubblica
Islamica sono destinati a ripagare gli investimenti iraniani per la costruzione dell’infrastruttura. Un secondo gasdotto (Dauletabad–Sarakhs–Khangiran) è stato comple-
IRAN - PRINCIPALI GIACIMENTI DI GREGGIO E GAS NATURALE. FONTE: THE UNIVERSITY OF TEXAS, AUSTIN,
PERRY-CASTAÑEDA LIBRARY MAP COLLECTION
Research Paper, N°48– ottobre 2016
tato più recentemente, nel 2010, e ha una capacità pari a 12 miliardi di m3/a [20].
22
Nonostante l’export verso l’Iran rappresenti teoricamente una delle principali alternative al transito verso la Cina e la Russia, numerosi dubbi rimangono sull’effettiva
capacità del mercato iraniano di assorbire crescenti quantità di gas turkmeno. Teheran possiede ingenti riserve di gas, stimate in oltre 34.008 miliardi di metri cubi, che
lo collocano subito dietro la Russia nella classifica mondiale. Molte di queste riserve
rimangono ancora non sviluppate (circa 85%) a causa delle difficoltà che il regime ha
trovato nel finanziare progetti e reperire le necessarie tecnologie a causa delle sanzioni internazionali. Pur rappresentando ancora circa il 90% delle importazioni, il
flusso di gas turkmeno è diminuito drasticamente negli ultimi anni a causa delle difficoltà economiche iraniane e delle numerose dispute sul prezzo. Se fino al 2011 il
vicino meridionale assorbiva circa il 30% del export totale del Turkmenistan, la quota
si è ridotta sensibilmente negli anni successivi e costituisce ora solo il 10%.
Pur rimanendo particolarmente importante per far fronte al consumo interno e alle
necessità energetiche della regione industriale nord-orientali del Paese, dove le infrastrutture energetiche risultano ancora sottosviluppate, il gas proveniente dal Turkmenistan potrebbe ben presto rappresentare solo una parte marginale del settore
energetico iraniano. La recente abrogazione delle sanzioni internazionali che avevano
colpito duramente il settore degli idrocarburi della Repubblica islamica, potrebbe permetter un più agevole accesso ai finanziamenti e alle tecnologie occidentali, facilitando lo sviluppo di numerosi giacimenti inutilizzati e trasformando il Paese in una
vera e propria potenza regionale del gas naturale. Sebbene queste prospettive non
siano raggiungibili nel breve periodo, la possibile trasformazione dell’Iran da uno dei
principali partner in un rivale rappresenta una preoccupante minaccia per le strategie
energetiche di Ashgabat.
PROSPETTIVE PER IL FUTURO: INDIA E PAKISTAN (TAPI) ↴
Un possibile strumento per la diversificazione delle fonti di export del gas turkmeno
è rappresentato dal mercato sud-est asiatico e dai grandi consumatori energetici
come India e Pakistan. La storia del gasdotto in grado di collegare i giacimenti centroasiatici con l’immenso mercato indiano risale alla prima metà degli anni Novanta.
Il progetto del collegamento trans-afghano, ora conosciuto come Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India (TAPI) è stato discusso per la prima volta nel 1993 e fu
Corporation. Sostenuto anche dall’americana Unocal, tra il 1996 e il 1997 fu creato il
primo consorzio (CentGas) per la costruzione del gasdotto e firmati alcuni accordi
preliminari. Soffocato dal dilemma afghano, dove i talebani avevano conquistato la
capitale nel settembre 1996, nonostante una serie di negoziati con le nuove autorità
di Kabul, il progetto perse definitivamente il supporto degli Stati Uniti dopo gli attentati all’Ambasciata USA di Nairobi del 1998. L’interesse per il gasdotto e il necessario
avvallo americano, attore dominante in Afghanistan, è rinato solo nella seconda metà
dello scorso decennio, quando sono stati formalmente siglati una serie di accordi
Research Paper, N°48– ottobre 2016
proposto all’allora presidente Nyiazov dalla compagnia petrolifera argentina Bridas
23
bilaterali tra India, Pakistan, Turkmenistan e Afghanistan con il forte sostegno intermediario da parte della Banca Asiatica per lo Sviluppo (ADB). Anche se la costruzione
del gasdotto è stata ufficialmente lanciata nel dicembre scorso su forte spinta di Ashgabat, che si è assunto il ruolo di leader del nuovo consorzio (51%), permangono
moltissimi dubbi sulla sua effettiva realizzazione.
In primo luogo rimane in forte dubbio la copertura finanziaria del progetto che, partendo dal giacimento di Galkynysh si svilupperà per circa 1.735 chilometri con una
capacità media di 33 miliardi di m3/a. I prezzi bassi degli idrocarburi, le difficoltà
economiche del Turkmenistan e l’assenza di chiari investitori disposti ad assumersi il
rischio di un progetto che verrà a costare circa 10 miliardi di dollari (di recente si è
parlato della possibile partecipazione della compagnia con sede a Dubai, Dragon Oil),
aspetti, secondo l’analisi di Catherine Putz è in dubbio l’effettiva convenienza del progetto nell’ottica della diversificazione delle rotte commerciali del Turkmenistan [21].
In effetti, gli oneri finanziari potrebbero essere effettivamente eccessivi e le modalità
concordate con gli investitori eccessivamente svantaggiosi per Ashgabat.
Altro importante ostacolo è rappresentato dal percorso stesso del gasdotto. Come si
può ben vedere dalla cartina, esso dovrà attraversare una delle zone più instabili della
regione, tra la provincia di Herat, Farah, Helmand e Kandahar. L’Afghanistan, infatti,
Research Paper, N°48– ottobre 2016
rimangono i principali ostacoli alla realizzazione del TAPI. Considerando questi
nonostante le rassicurazioni dei sostenitori del progetto, pone il principale dilemma
24
in merito alla sicurezza del TAPI. Nonostante il governo afghano controlli la maggior
parte del territorio nazionale, proprio le province di Helmand e Farah registrano una
massiccia presenza di Talebani e gruppi affiliati ad al-Qaeda che rischiano di minare
la sicurezza della regione e la concreta realizzazione delle infrastrutture legate al
gasdotto. Non è un caso che, negli stessi giorni in cui Bardimukhammedov annunciava l’inizio della realizzazione del progetto, un gruppo di Talebani prendevano d’assalto l’aeroporto internazionale di Kandahar, mettendo in risalto, qualora c’è ne fosse
bisogno, la fragilità delle forze di sicurezza afghane [22].
Prendendo in considerazione le problematiche di tipo economico ed i rischi in termini
di sicurezza connessi, appare evidente che la recente accelerazione di un progetto
rimasto sulla carta per oltre vent’anni ha motivazioni di tipo politico-strategico. Il
ritorno dell’Iran sul mercato internazionale degli idrocarburi come attore paritario,
rappresenta, infatti, la principale minaccia per i progetti di diversificazione di Ashgabat. Non dovrebbe stupire, in effetti, che proprio dopo il recente disgelo tra Teheran
e Washington, l’India abbia iniziato ad irrigidire la propria posizione nelle trattative
per il futuro prezzo del gas turkmeno, mentre un dialogo si è nuovamente aperto
sull’asse New Delhi-Teheran in ottica di un miglioramento dei rapporti bilaterali anche
in orbita energetica (si parla con più insistenza di un gasdotto sottomarino Iran-India). La fretta di Bardimukhammedov e di Turkmengaz nell’avviare il progetto prima
che le condizioni geopolitiche possano mutare irrimediabilmente sono sostenute, sebbene per ragioni differenti, anche da Washington. Come affermato da James McBride
per il Council on Foreign Relations, il TAPI rappresenta la principale iniziativa americana nella loro strategia per la regione centroasiatica, e soprattutto per l’Afghanistan
[23]. Secondo la Casa Bianca la stabilità e la sicurezza afghana dopo anni di guerra
non possono essere garantite solo tramite l’impegno militare del governo di Kabul,
ma necessitano principalmente di una forte crescita socio-economica del Paese. Fare
dell’Afghanistan il fulcro e zona di transito degli scambi economico-commerciali garantirebbe, in quest’ottica, non solo una crescita economica interna, ma anche una
maggiore interconnessione e cooperazione regionale.
PROSPETTIVE PER IL FUTURO: UNIONE EUROPEA (TANAP E TAP) ↴
Altro possibile partner commerciale nel settore energetico è rappresentato
biente internazionale e la crisi di rapporti con Mosca a causa della guerra in Ucraina,
hanno costretto Bruxelles ad accelerare i piani di diversificazione dell’approvvigionamento con lo scopo di ridurre la dipendenza dalla Russia. Un primo successo in questo
senso si è registrato con la definitiva morte del progetto Gazprom del South Stream
che, attraversando i fondali del Mar Nero, avrebbe dovuto collegare il Corridoio Meridionale del sistema di gasdotti della Federazione Russa con l’Europa meridionale ed i
Balcani. La crisi dei rapporti tra Mosca ed Ankara ha fatto ben presto cadere nel
dimenticatoio anche il progetto alternativo del Turkish Stream, proposto in fretta e
furia dal Cremlino come alternativa per il transito del gas verso l’Europa meridionale.
Research Paper, N°48– ottobre 2016
dall’Unione Europea. Come si è già accennato in precedenza, il mutamento dell’am-
25
All’ombra di questo duplice fallimento va sottolineato che l’obiettivo primario dei progetti non era quello di aumentare la dipendenza europea dal gas russo, dato che le
strutture esistenti sono più che sufficienti per il trasporto dei volumi di cui l’Europa
necessita, ma piuttosto quello di ampliare il vantaggio geopolitico e strategico della
Gazprom nel mercato, bypassando le regioni più problematiche e rendendo ridondanti
i piani di diversificazione promossi da Bruxelles. La vittoria strategica dell’Unione,
celebrata simbolicamente con l’inaugurazione della costruzione del Trans-Anatolian
Gas Pipeline (TANAP) nel marzo 2015 e con il progetto del Trans Adriatic Pipeline
(TAP), apre nuovi scenari anche per la regione centroasiatica e il Turkmenistan in
particolare. Infatti, se la capacità iniziale dei due gasdotti, soprattutto del TAP (10
miliardi di m3/a), permetterà di sfruttare solo il gas proveniente dal giacimento azero
di Shah Deniz II, il loro ampliamento negli anni successivi, già messo in preventivo,
potrà servire, in via teorica, a trasportare gli idrocarburi dell’Asia Centrale. Proprio in
questa ottica, Turchia e Turkmenistan hanno già siglato un accordo che permetterà
ad Ashgabat di accedere al TANAP.
PROGETTI TANAP E TAP – FONTE: US ENERGY INFORMATION ADMINISTRATION (EIA)
Anche in questo caso, però, il Turkmenistan rischia di non vedere realizzarsi i propri
per il gas centroasiatico. In primo luogo, nonostante i proclami, la rete di gasdotti
attraverso la Turchia e l’Adriatico hanno una capacità tale da non permettere una
vera e propria diversificazione per Ashgabat. La quantità di gas turkmeno che potrà
fluire attraverso il TANAP e il TAP, anche dopo l’ampliamento della loro capacità iniziale, sarà comunque minima rispetto alla massiccia produzione dei principali giacimenti turkmeni e ai legami con Pechino. Ma il principale ostacolo è sempre rappresentato dalla geografia. Per poter accedere direttamente alle infrastrutture indirizzate
verso l’Europa bypassando la Russia, l’unica soluzione rimane la costruzione di un
gasdotto trans-caspico. Proprio su questo progetto rischiano di spegnersi i sogni della
Research Paper, N°48– ottobre 2016
sogni. Sono almeno due, infatti, i principali ostacoli all’apertura della via occidentale
26
Turkmengaz. Oltre alla dubbia convenienza economica dell’idee, sostenuta politicamente da lungo tempo da Europa e Stati Uniti, rimane ancora sul tavolo negoziale lo
status legale del Mar Caspio e la ferma opposizione di Russia e Iran (appoggiati tacitamente dall’Azerbaijan), che continuano ad associare ad un collegamento trans-caspico l’inevitabile perdita di influenza politico-economica a livello regionale.
Per superare questi ostacoli sarà necessario riprendere un concreto dialogo con i cinque Paesi che si affacciano sul Caspio, oltre che prospettive economiche più allettanti,
legate indissolubilmente ai prezzi internazionali del greggio. Nonostante l’onerosa costruzione di un gasdotto interno (East-West pipeline) che collega il giacimento di
Galkynysh con le sponde orientali dal Mar Caspio, il Turkmenistan sembra destinato
a rimanere economicamente orientato verso est, dove la Cina ha rappresentato
nell’ultimo decennio l’unica vera alternativa all’interdipendenza infrastrutturale con
Research Paper, N°48– ottobre 2016
Mosca.
27
PARTE VI
CONCLUSIONI
All’ombra della complessa congiuntura internazionale, pur subendo le ripercussioni
della politica estera del Cremlino e la crescita di nuovi attori energetici, la Federazione
Russa e la statale Gazprom rimangono i principali attori della geopolitica energetica
europea e centroasiatica. Nonostante il fallimento di numerosi progetti di carattere
internazionale e le difficoltà economiche interne, infatti, il gas russo è destinato a
rimanere la principale fonte di approvvigionamento per numerosi attori dell’Unione
Europea anche per gli anni a venire. Le attuali sfide necessitano, però, un vero e
proprio riorientamento strategico da parte del principale produttore di gas naturale a
livello mondiale, il cui ruolo nell’arena internazionale dipende anche dalla sua capacità
di rispondere alle crescenti sfide in ambito energetico. In parte inevitabile, considerando anche gli aspetti puramente geografici, il rafforzamento del vettore asiatico,
con la Cina come attore principale, rappresenta solo una parte di questa strategia.
Legata a numerosi aspetti che rimangono incerti, come la realizzazione del gasdotto
Power of Siberia, il prezzo concordato con Pechino e la domanda interna del vicino,
la tanto attesa apertura del mercato cinese ha assunto caratteri più politici che economici. La perdita di una fetta della domanda europea e dello spazio post-sovietico e
la crescente importanza del GNL e dello shale gas, che stanno conquistando lentamente parte del vecchio continente, rimangono ancora le principali sfide allo storico
dominio della Gazprom. Sebbene la postura russa nel mercato internazionale del gas
naturale rimanga ancora dominante, il lento sgretolarsi del suo monopolio in Europa
e in Asia Centrale rappresenta un segnale significativo e sarà senz’altro destinato a
riconfigurare il cuore della sua strategia per i futuri decenni. Le conseguenze significative più evidenti si dipanano in due direzioni. Nella sua proiezione esterna, la Gazprom ha mostrato negli ultimi anni una maggiore flessibilità e una certa disponibilità
a rinegoziare prezzi e contratti con i partner europei, abbandonando, seppur solo in
parte, la decennale pratica degli accordi lungo-temporali su base take or pay. Gli
aspetti più significativi riguardano, però, le nuove dinamiche interne alla Federazione
Russa dove il ruolo dell’industria del gas non deve essere sottostimato. Si sta assistendo, ad esempio, ad una massiccia riconfigurazione di progetti e investimenti,
guidata da forze interne ed esterne, ma soprattutto alla nascita di un certo livello di
interno guidata dall’alto, che sembra destinata a trasformare il sistema dall’attuale
monopolio in un oligopolio. Pur non avendo accesso al mercato internazionale, infatti,
attori come Novatek e Rosneft stanno conquistando progressivamente terreno in
quello regionale interno, sfruttando le possibilità di accesso a settori di nicchia come
quello del GNL.
Research Paper, N°48– ottobre 2016
competizione nel settore. Si tratta però di una lenta apertura artificiale del mercato
28
La cartina di tornasole dell’andamento del settore energetico è rappresentata però
dalla fine del dominio russo in una regione strategicamente vitale come l’Asia Centrale. Pur potendo ancora contare su importanti fattori strutturali come la condivisione di importanti infrastrutture e del passato comune, il ruolo regionale di Mosca
sembra in declino, anche se l’unico attore che può effettivamente competere rimane
Pechino. Nonostante un certo avvicinamento politico, infatti, rimangono ancora numerosi gli ostacoli (alcuni dei quali abbiamo cercato di esaminare nell’elaborato) che
impediscono a Unione Europea e Stati Uniti di giocare un ruolo centrale nella geopolitica dell’energia in Asia Centrale. La geografia è senz’altro uno di questi, ma continua
ad avere un peso decisivo anche l’assenza di una strategia coerente e il necessario
capitale politico-economico per realizzarla. Il principale successo di Bruxelles in ottica
energetica rimane il rapporto privilegiato con l’Azerbaijan che ha portato l’élite politica europea a chiudere più di una volta gli occhi sul carattere autoritario del regime
di Ilham Aliyev.
Come si è lasciato volutamente intendere sopra, lo stesso discorso potrebbe valere
anche se da un’analisi macro regionale ci si concentra su un attore come il Turkmenistan, il principale produttore (dopo la Russia) di gas naturale in Eurasia. Relativamente stabile e senza segnali significativi che possano far immaginare una prossima
transizione di tipo politico, il Turkmenistan ha cercato, con alterni successi, di trarre
il massimo vantaggio dall’interesse per le sue risorse energetiche dei vari attori internazionali. La Cina è divenuto ben presto l’attore dominante nonché l’unico capace
di investire con successo nel Paese, rafforzando il vettore orientale della politica
estera di Ashgabat. I rapporti con la Russia, nonostante un lento offuscamento dell’influenza del vicino, sono rimasti però al centro dell’attenzione nel settore energetico,
dove i vecchi legami consolidati durante il periodo sovietico e nei primi anni dell’indipendenza rimangono ancora fulcro delle relazioni bilaterali. Come si è potuto vedere
dalla recente interruzione dell’acquisto del gas turkmeno da parte della Gazprom,
infatti, nonostante la sua politica multivettoriale, è il Turkmenistan che ha ancora più
bisogno della Russia, e non viceversa. La politica regionale occidentale è rimasta nel
frattempo stagnante e incapace di indirizzare in proprio favore la strategia di diversificazione di Ashgabat. I progetti delle nuove vie di transito verso ovest, rimangono,
nella loro forma attuale, incompleti e sostanzialmente marginali per le prospettive di
diversificazione turkmene, mentre il ritorno sul mercato internazionale di Teheran
tra nuove prospettive e vecchie opportunità la Russia rimane un partner essenziale
con cui fare i conti.
Research Paper, N°48– ottobre 2016
accende nuove rivalità a livello regionale. Il futuro del gas rimane in bilico, mentre
29
NOTE ↴
[1] Total Primary Energy Production 2013, US Energy Information Administration (EIA).
[2] Crude Oil Proved Reserves 2016, US Energy Information Administration (EIA).
[3] J. Mitchell, V. Marcel and B. Mitchell, What Next for the Oil and Gas Industry?, The Royal
Institute of International Affairs, London, October 2012.
[4] A. Honoré, The outlook for Natural gas demnad in Europe, The Oxford Institute for Energy
Studies (OIES), June 2014.
[5] J. Henderson, Gazprom. Is 2016 the Year for a Change of Pricing Strategy in Europe?,
Oxford Institute for Energy Studies (OIES), January 2016.
[6] T. Fairless & G. Steinhauser, EU Files Formal Charges Against Gazprom for Abuse of Dominant Position, The Wall Street Journal, April 22, 2016.
[7] Energy Strategy Of Russia - For The Period Up To 2030, APPROVED by Decree N° 1715-r
of the Government of the Russian Federation, Ministry of Energy of the Russian Federation, 13
November 2009.
[8] J. Henderson & T. Mitrova, The Political and Commercial Dynamics of Russia’s Gas Export
Strategy, The Oxford Institute for Energy Studies (OIES), September 2015.
[9]
http://www.themoscowtimes.com/business/article/sanctions-push-foreign-lending-to-
russian-companies-to-5-year-low/503231.html.
[10] T. Mitrova, The Geopolitics Of Russian Natural Gas, Rice University’s Baker Institute Center for Energy Studies, February 2014.
[11] A. Honoré, The outlook for natural Gas demand in Europe, The Oxford Institute for Energy
Studies (OIES), June 2014.
[12] Legge federale sulle risorse del sottosuolo della Federazione Russa, 21 febbraio 1992,
http://www.rg.ru/1995/03/15/nedra-dok.html.
[14] http://www.gazprom.com/investors/stock/.
[15] Legge federale sull’approvvigionamento di gas della Federazione Russa, 31 marzo 1999,
http://faolex.fao.org/cgi-bin/faolex.exe?rec_id=036131&database=faolex&search_type=link&table=result&lang=eng&format_name=@ERALL.
[16] Proved of Reserves Natural Gas 2016, US Energy Information Administration (EIA).
[17] Turkmenistan, US Energy Information Administration (EIA), July 2016.
Research Paper, N°48– ottobre 2016
[13] Tax and Legal Guide to the Russian Oil & Gas Sector, Deloitte, 2012.
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[18] A. Dubnov, A New Russian Turn to Turkmenistan?, Carnegie Moscow Center, February
18, 2016.
[19] C. Putz, Russia’s Gazprom Stops Buying Gas from Turkmenistan, The Diplomat, January
6, 2016.
[20] M. Brill Olcott, The Geopolitics of Natural Gas - Turkmenistan: Real Energy Giant or Eternal
Potential?, Harvard University’s Belfer Center, December 2013.
[21] C. Putz, Turkmenistan Gears Up to Break Ground on TAPI, The Diplomat, December 10,
2015.
[22] Afghan Taliban kill dozens at Kandahar airport, BBC, December 9, 2015.
[23] J. McBride, Building the New Silk Road, CFR Backgrounders, Council on Foreign Relations
A cura di
OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
Ente di ricerca di
“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”
Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale
C.F. 98099880787
www.bloglobal.net
Research Paper, N°48– ottobre 2016
(CFR), May 25, 2015.
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