La rassegna di oggi

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RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – martedì 18 ottobre 2016
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)
L’allarme della Caritas: «Più poveri tra i giovani» (Piccolo)
Dietrofront di Zaia: il Friuli non si tocca (M. Veneto)
La Ue boccia la rete idrica regionale. Maxi multa da 66 milioni all’anno (Piccolo)
Internet veloce, si accelera: in tutte le case entro il 2017 (M. Veneto)
I saldi non funzionano più. Regione pronta a cambiare (M. Veneto)
«Università, stop alla giostra dei test» (Gazzettino)
CRONACHE LOCALI (pag. 8)
Atenei più forti senza doppioni. Serracchiani: bisogna fare rete (M. Veneto Udine)
Dipendenti comunali pronti allo sciopero: «Servono più risorse» (M. Veneto
Udine)«Infermiere di quartiere, operazione elettorale e costosa» (M. Veneto Pordenone)
Porcia, vigili sotto organico. Le opposizioni si mobilitano (Gazzettino Pordenone
Italia Marittima “balla” nella crisi dei container (Piccolo Trieste, 2 articoli)
Wärtsilä vara la sala controllo “da remoto” (Piccolo Trieste)
All’Acquario restano solo due dipendenti (Piccolo Trieste)
Operaio morto in cava, una condanna (Piccolo Trieste)
Settore nautico in ostaggio del dragaggio impossibile (Piccolo Gorizia-Monfalcone
Dal Cup unico all’Isonzo. Sbloccati 10 milioni del Gect (Piccolo Gorizia-Monfalcone
Mattarella, in sospeso l'omaggio agli infoibati (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Cara, prorogata la gestione. La coop Minerva resta in sella (Piccolo Gorizia-Monf.)
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ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE
L’allarme della Caritas: «Più poveri tra i giovani» (Piccolo)
di Gianpaolo Sarti - Contrordine. La povertà non è più solo un problema per i “vecchi”, o per le
persone di mezza età che hanno perso il lavoro. Ma è anche, anzi soprattutto, una bestia nera per i
giovani. È il Rapporto 2016 della Caritas italiana a segnalare un’altra sfaccettatura di un fenomeno
che sembra ricalcare pari pari lo zoppicante mercato occupazionale. Il primo inquietante dato è
quello dell’esercito di un milione e 582 mila famiglie indigenti su un totale di quasi 4,6 milioni di
cittadini. È il numero più alto dal 2005. Il dossier, subito dopo, segnala la nuova spina del fianco del
Belpaese: l’avanzata degli under 35 in serie difficoltà economiche. Il problema incide per il 10,2%
tra i 18-34enni, per l’8,1% tra i 35-44 e così via, diminuendo fino al 4% tra gli over 65. Il problema,
dunque, si focalizza in particolare tra le nuove generazioni che si affacciano al mondo del lavoro. Il
Friuli Venezia Giulia, dove le Caritas diocesane hanno in carico ben 3.024 casi (dato
sostanzialmente stabile negli ultimi due anni), conferma il trend. In termini assoluti, la fascia 18-30
è passata dalle 533 alle 841 persone assistite. Sono spesso le donne italiane molto giovani a bussare
alle porte dei Centri di ascolto diocesani di Trieste, Udine, Gorizia e Pordenone. «Purtroppo è così rileva il direttore dell’ente del capoluogo, don Alessandro Amodeo - tante volte abbiamo a che fare
con giovani coppie che devono mantenere un bambino. E con tanti ragazzi che non hanno
un’occupazione». Ciò si spiega, ripercorre il poderoso studio della Caritas, con il fatto che la
persistente crisi del lavoro ha penalizzato e sta ancora penalizzando soprattutto chi è alla ricerca di
un primo impiego. O chi, più adulto, è rimasto di colpo senza il posto. Ma c’è un ulteriore elemento
che gli operatori e i volontari dei 1.649 centri disseminati sul territorio devono registrare: se a
livello nazionale il peso degli stranieri che domandano aiuto continua a pesare di più (57,2%), nel
Mezzogiorno gli italiani sono ormai in fase di sorpasso, visto che rappresentano il 66,6%. Rispetto
al genere, per la prima volta risulta esserci una sostanziale parità di presenze tra uomini (49,9%) e
donne (50,1%), a fronte di una lunga e consolidata prevalenza delle donne. L’età media delle
persone che si sono rivolte ai centri, annota ancora il dossier, è 44 anni. Tra i beneficiari dell’aiuto
prevalgono le persone coniugate (47,8%). I bisogni più frequenti sono perlopiù di ordine materiale.
Spiccano i casi di povertà economica (76,9%) e di disagio occupazionale (57,2%). Non trascurabili,
tuttavia, anche i problemi abitativi (25,0%) e familiari (13,0%) e sono frequenti le situazioni in cui
si cumulano due o più ambiti problematici. Tornando al focus regionale, è soprattutto la diocesi di
Udine a dover fronteggiare il maggior numero di casi: sono 1.085 gli indigenti intercettati dai Centri
di ascolto; seguono Trieste con 925, Concordia-Pordenone con 611 e, infine, Gorizia con 403.
Complessivamente gli stranieri rappresentano il 65,5% dell’utenza totale. Un dato su cui incide
notevolmente il numero di richiedenti asilo che si sono appoggiati ai centri come prima porta
d’accesso ai servizi del territorio, in attesa di essere inseriti nelle strutture di accoglienze dedicate. Il
report nazionale, alla questione migranti, dedica un’attenzione particolare: nel corso del 2015 i
profughi e i richiedenti asilo in fuga da contesti di guerra che si rivolti alla Caritas sono stati 7.770.
Si tratta per lo più di uomini (92,4%), con un’età compresa tra i 18 e i 34 anni (79,2%), provenienti
soprattutto da Stati africani e dell’Asia centro-meridionale.
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Dietrofront di Zaia: il Friuli non si tocca (M. Veneto)
di Mattia Pertoldi - Indietro tutta, il Fvg non verrà accorpato – nel caso in cui il “Patto del Nord”
dovesse prima o dopo diventare realtà costituzionale – con Veneto e Trentino-Alto Adige. Dopo i
mal di pancia di Forza Italia del Fvg, infatti, il governatore leghista del Veneto Luca Zaia fa marcia
indietro e spiega come non abbia «alcuna intenzione di toccare la Specialità». Il presidente, nel
dettaglio, spiega che il patto siglato con i colleghi Roberto Maroni e Giovanni Toti «rappresenta
soltanto un’ipotesi di lavoro» e di volersi impegnare «in prima persona a modificare il testo stesso
nel quale è fissato il limite minimo di 1,5 milioni di abitanti» indispensabile per evitare di finire
nella “tagliola” istituzionale pensata dai tre governatori. «Nessuno può pensare – ha precisato Zaia
– che nel momento in cui contesto una riforma pensata per creare un Paese centralizzato sul
modello greco io voglia affossare la Specialità delle Regioni virtuose. Io sostengo il concetto di “più
Autonomia per tutti” e su questa strada dovrebbero muoversi anche i friulani». Come? Non
appoggiando il sì al referendum, bensì chiedendo più competenze “copiando” il Veneto. «La
riforma blinda Trento, Bolzano e la Sicilia – ha concluso Zaia – che, di fatto, vivono già come delle
repubbliche autonome all’interno del Paese, ma non Fvg, Valle d’Aosta e Sardegna. Ai friulani dico
di cominciare davvero a battersi per ottenere nuove competenze. Anzi, visto il grado di Specialità
che già possiede, la Regione avrebbe potuto già muoversi in questa direzione, ma d’altronde con
una giunta succube del Governo Renzi capisco bene che sia stato impossibile. Adesso, però, è
arrivato il momento di reagire. Votando no a dicembre e mutuando da noi veneti l’idea di un
referendum regionale – non a caso impugnato da palazzo Chigi – per pretendere che anche al Fvg
venga garantito lo stesso livello di Specialità di cui godono Trento e Bolzano». A fare eco a Zaia,
poi, ci ha pensato anche Massimiliano Fedriga. «L’Autonomia è un valore imprescindibile – ha
respinto –. La posizione ufficiale della Lega è quella di Salvini e del sottoscritto: nessuno può
toccare la Specialità del Fvg, ma, anzi, dobbiamo batterci perché tutte le Regioni diventino
Autonome». Quanto al “Patto del Nord”, poi, il segretario regionale del Carroccio sostiene che «è
un’iniziativa di tre governatori, non della Lega o di Forza Italia» e che comunque «come mi ha
confermato anche Maroni si tratta di una semplice ipotesi di lavoro che verrà modificata a seconda
delle esigenze dei singoli territori in nome della nostra storia federalista». E se sull’argomento è
intervenuta anche la consigliera regionale Barbara Zilli sostenendo che «l’utilizzo virtuoso che negli
anni il Fvg ha fatto della propria Specialità dovrebbe essere preso ad esempio dalle altre Regioni,
non criticato», Fedriga deve invece difendersi dagli attacchi della segretaria regionale del Pd
Antonella Grim. «L’Autonomia si tutela con i fatti e non a chiacchiere – ha detto –. Ci chiediamo
cosa intenda fare ora Fedriga davanti all’ennesima tentazione di alcuni suo compagni di partito e
governatori di indebolire la nostra Specialità a favore del lombardo-veneto». Dura la replica del
capogruppo leghista alla Camera. «Grim è imbarazzante – ha risposto – e dimostra non soltanto di
non capire nulla di politica, ma di non sapere nemmeno quello che accade nella politica italiana.
Grim, se non si facesse dettare i comunicati stampa da piazza Unità, saprebbe, infatti, che a
Montecitorio, con l’avallo del Governo, è stato approvato un ordine del giorno del Pd che prevede
la macroregione del Nordest con la fine della nostra Specialità. E vorrei tanto sapere come ha difeso
Grim, in questi anni, l’Autonomia. Appoggiando il Padoan-Serracchiani che ha colpito la nostra
Specialità al cuore?».
La Ue boccia la rete idrica regionale. Maxi multa da 66 milioni all’anno (Piccolo)
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Internet veloce, si accelera: in tutte le case entro il 2017 (M. Veneto)
di Mattia Pertoldi - La Regione preme sull’acceleratore per superare il digital divide e garantire a
tutti i Comuni del Fvg la copertura ad alta velocità delle rete internet, quantomeno sino al cosiddetto
ultimo miglio cioè al netto della tratta di cavo che connette le centrali telefoniche agli utenti finali
su cui la giunta non può intervenire. Fino a questo momento, infatti, sono stati tre gli avvisi
pubblicati dalla giunta e che hanno interessato una buona parte di territorio. Il primo ha riguardato
la dorsale sull’asse Udine-Codroipo e quella lungo le Valli del Natisone (per un totale di circa 100
chilometri di copertura), seguito dal bando riservato agli operatori sulla tratta Udine-Pordenone,
Udine-Tarvisio, Medio Friuli e Valli del Torre (180 chilometri) e, infine, quello di 400 chilometri di
lunghezza dedicata con particolare attenzione alla montagna e alle aree rurali. Tre operazioni che
hanno permesso di “cablare” una porzione consistente di Fvg, ma non ancora la sua totalità. Ecco,
allora, che entro la fine di quest’anno sarà pubblicato il bando di gara per l’area montana e
pedemontana del Pordenonese e quello per la Bassa friulana e l’Isontino, mentre per l’inizio del
2017 è in programma l’avviso pubblico nelle zone in cui i lavori tecnici sono in via di ultimazione e
cioè la Bassa pordenonese e i Comuni della provincia di Trieste. «Ricordo che come Regione non
possiamo portare – ha spiegato l’assessore alle Infrastrutture e Territorio Mariagrazia Santoro –
fisicamente la connessione nelle case delle persone dalle singole centraline, perché non siamo
operatori di telefonia, ma stiamo cercando di fare tutto il possibile per completare le dorsali di
connessione e, quindi, facilitare al massimo i collegamenti dell’ultimo miglio». Il tutto, come
accennato, è ovviamente riferito alla banda larga a favore dei privati, ma una buona notizia arriva
anche per le zone industriali del Fvg viste le sette manifestazioni di interesse, presentate da
altrettanti operatori telefonici, arrivate negli uffici di Trieste in relazione ai tre avvisi pubblicati a
settembre da giunta e Insiel, per la cessione della fibra ottica regionale. «Siamo una delle
pochissime regioni italiane a possedere una rete pubblica ad alta velocità – ha continuato Santoro –
e questo ci consente di sperimentare con successo la collaborazione con i privati per supportare la
digitalizzazione delle nostre aziende». I bandi, entrando nel dettaglio, sono diretti alla gestione della
fibra ottica per il distretto industriale della sedia, quello dell’agroalimentare, i consorzi per lo
sviluppo dell’Alto Friuli, Ditedi, Cism, Csia e l’Exit. L’operazione della Regione prevede la messa
a disposizione degli operatori a un canone calmierato – all’interno delle aree industriali la fibra
viene ceduta a 1,5 euro per metro di cavo posato, mentre la fibra che va dal municipio alla zona
industriale vale 0,15 centesimi per metro di singola fibra – l’infrastruttura realizzata per incentivare
la loro presenza e garantire l’erogazione dei servizi a imprese e attività produttive.
Complessivamente sono 2 mila 166 le aziende insediate nei distretti industriali che beneficeranno
del servizio di banda larga. «Siamo molto soddisfatti dei risultati raggiunti – ha spiegato il
presidente di Insiel Simone Puksic – anche in considerazione dell’elevato numero di aziende che
beneficeranno di questo importante servizio fondamentale per la competitività delle imprese».
L’aggiudicazione avverrà entro l’inizio del 2017 e le aziende insediate potranno beneficiare dei
sevizi offerti dagli operatori di telecomunicazioni presumibilmente già nel corso dell’anno. Per il
futuro, infine, il prossimo avviso, che sarà pubblicato a breve, riguarderà l’ultimo lotto
comprendente il distretto del mobile, quello del coltello, della componentistica e termoelettromeccanica, Ponte Rosso, il consorzio per il nucleo di industrializzazione della Provincia di
Pordenone e quello dello Spilimberghese oltre al Cosint.
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I saldi non funzionano più. Regione pronta a cambiare (M. Veneto)
di Michela Zanutto - La Regione è pronta a cambiare la legge sui saldi. Ma a tracciare la strada deve
essere la categoria. Di sicuro Confcommercio sta pensando di uniformare le date rispetto al contesto
nazionale, ma questa è soltanto la punta dell’iceberg di un progetto più ampio che potrebbe
diventare organico a breve, entrando a fare parte del ddl sul commercio che andrà in Aula a
novembre ed è già stato approvato dalla giunta. «Sui saldi deve esserci una proposta forte della
categoria, non possiamo andare a un’imposizione da parte del legislatore senza avere trovato prima
una quadra all’interno di Confcommercio. Noi ribadiamo che saremmo pronti immediatamente ad
approvare un atto legislativo su questo tema, e penso ad esempio al ddl sul commercio che andrà in
aula a meta novembre, per cui ci sono ancora spazi per piccole correzioni», ha spiegato il vice
presidente e assessore alle Attività produttive Sergio Bolzonello parlando ieri dalla sede della
Regione durante la presentazione del focus sul terzo trimestre 2016 realizzato da Confcommercio in
collaborazione con Format research. «I saldi non vanno male in termini assoluti, ma è importante
uniformare le date in tutta Italia – ha osservato Guido Fantini, direttore regionale di Confcommercio
–. Sarebbe bello sospendere anche le promozioni pre saldi, ma credo che questo sia impossibile». Il
presidente di Confcommercio Fvg, Alberto Marchiori, punta a «trovare antidoti per evitare che le
città si spopolino e si desertifichino di attività». A dire che il sistema dei saldi così com’è non
funziona sono gli stessi commercianti. Nei mesi estivi del 2016 le vendite al dettaglio hanno fatto
registrare un sensibile calo, sia in valore sia in volume. Tale flessione è imputabile ai prodotti non
alimentari, le cui vendite scendono dello 0,5%. Rispetto a luglio 2015 le vendite sono calate
complessivamente dello 0,2% in valore e dello 0,8% in volume. I dati sui consumi rispecchiano
l’altalenante andamento della stagione dei saldi estivi 2016, chiusasi con esiti al di sotto delle attese.
Lo sconto medio praticato dalle imprese del commercio al dettaglio del Fvg negli ultimi saldi estivi
si è attestato attorno al 32% ed è risultato sostanzialmente invariato il numero di visite nei negozi
rispetto alla passata stagione. In generale, gli esercizi commerciali hanno fatto registrare un piccolo
decremento degli incassi (mediamente -0,3%): tre negozi su quattro hanno registrato una media
scontrino uguale a quella dell’estate 2015, solo il 4% ha riscontrato un incremento, oltre il 20% un
decremento. Alla luce di ciò, il 31% degli esercenti ritiene ancora utili i saldi così come
regolamentati oggi. Di contro, il 43% riterrebbe utile una revisione dell’attuale sistema, mentre uno
su quattro si mantiene su posizioni neutre (si tratta di posizioni comprensibili alla luce
dell’andamento non positivo della stagione). Complessivamente in regione alla fine 2016, Format
research stima che saranno nate 5 mila 908 nuove imprese: 4 mila 380 del terziario, mille 528 negli
altri settori di attività economica, come ha spiegato il direttore scientifico della società Pierluigi
Ascani. Allo stesso tempo si prevede la cessazione di 6 mila 266 imprese: 3 mila 953 del terziario, 2
mila 313 negli altri settori di attività economica. Il saldo tra nuove iscrizioni e cessazioni sarà
dunque ancora negativo.
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«Università, stop alla giostra dei test» (Gazzettino)
Antonella Lanfrit - Lo studio universitario «non deve essere la ricerca di un terno al lotto», ma «una
ragionata sintesi tra doti e inclinazioni individuali e attese del mercato». Inoltre, per evitare gli
abbandoni - la media italiana è del 45% al primo anno - «ritengo che sarebbe bene puntare di più
sull'orientamento (ci sono purtroppo corsi di laurea che fanno marketing in concorrenza fra loro) sui
tutor e sull'autovalutazione in modo che i ragazzi sappiano a cosa vanno incontro». Debora
Serracchiani, a margine del confronto sulle criticità e le prospettive dell'Università promosso dalla
Flc-Cgil, affronta da vice segretario nazionale del Pd alcuni delle questioni spinose che vivono
studenti e famiglie alle soglie dell'Università: tentare diversi test d'ingresso in contemporanea,
sperando che qualcuno «vada dritto»; test che sembrano garantire sempre meno il diritto allo studio;
un tasso d'abbandono stellare.
«No, così non va bene», risponde decisa Serracchiani pensando ai giovani che si arrovellano su più
test. «Le conseguenze negative - sottolinea - sono evidenti anche dai numeri degli abbandoni, ormai
una piaga quasi storica dell'università italiana e non nascono con il test d'ingresso». Sul da farsi per
cambiare ha idee puntuali: «Credo che - considera - dovremmo aiutare gli studenti e le famiglie ad
approcciarsi meglio all'università. Talvolta, alla base di questi tentativi c'è ancora una concezione,
probabilmente non più adeguata ai nostri tempi, del titolo di studio come passpartout per la
promozione sociale». Contro gli abbandoni, inoltre, «c'è la necessità di ragionare su come investire
di più e meglio nel personale docente: è la difficile questione del turnover».
Serracchiani ammette, tuttavia, che «c'è stato e c'è tuttora un dibattito sul rapporto tra test d'ingresso
e diritto allo studio». Considera, però, che «in tutta Europa, e non solo, ci sono i test di ingresso.
Ricordo che sono stati introdotti in Italia per tentare di sanare situazioni di sovraffollamento e
perché si è voluto evitare di creare un numero di figure professionali che non sarebbe mai stato
assorbito dalle necessità del pubblico o del privato». Nel confronto con il segretario nazionale Flc
Francesco Sinopoli, il responsabile università della Flc Fvg Sergio Zilli e il segretario regionale del
sindacato Villiam Pezzetta, Serracchiani ha assicurato di considerare «l'Università uno degli asset
più importanti per definire l'attrattività dell'Fvg, oltre che un vero nutrimento per la nostra
autonomia». In settimana il sistema universitario Fvg incontrerà a Roma i ministri all'Istruzione e
Sviluppo economico insieme agli atenei di Trento e Bolzano.
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CRONACHE LOCALI
Atenei più forti senza doppioni. Serracchiani: bisogna fare rete (M. Veneto Udine)
di Giulia Zanello - Una rete universitaria regionale in grado di fare massa critica, capace
d’integrarsi, utilizzare al meglio le risorse e specializzarsi, evitando sovrapposizioni e doppioni. È
questa, in sintesi, la “ricetta” per cercare di combattere il grave declino che da diversi anni ha
colpito il mondo accademico, ritornando così a competere con gli altri Paesi europei. A trattare il
delicato tema, durante il dibattito “Quale università per quale Paese?” organizzato ieri all’università
da Flc Cgil, la presidente della Regione e vicesegretario nazionale del Partito Democratico Debora
Serracchini, incalzata dalle domande del segretario nazionale di Flc Cgil Francesco Sinopoli e
Sergio Zilli esponente Flc e membro del Tavolo di coordinamento tra le università della regione.
Che l’università italiana sia “malata” non è una novità, costretta a fare i conti – nello scenario
nazionale come sul territorio locale – con consistenti tagli, minori finanziamenti alla ricerca, sempre
meno laureati e un rapporto studenti/docenti sempre più alto, atenei a rischio chiusura, un diritto
allo studio per pochi “eletti” e tagli al personale anche tecnico amministrativo. Ma la cosa grave è
che oggi si rischia, ha spiegato Zilli, oltre a un impoverimento sociale, «una progressiva
marginalizzazione degli atenei regionali, penalizzati da una politica nazionale che privilegia i grandi
poli universitari, in particolare quelli del triangolo Venezia-Bologna-Milano, creando, di fatto,
università di serie A e serie B e incrementando il divario tra nord e sud». Sottolineando come il
sistema universitario rappresenti comunque uno degli asset fondamentali per l’attrattività della
regione, Serracchiani ha evidenziato come questa forma di collaborazione esista già sul territorio.
«Il sistema universitario regionale deve mettersi sempre più insieme per fare massa critica, in
continuità con un lavoro già portato avanti tra le Università di Trieste e Udine e la Sissa. Un
protocollo che non solo ci rafforza e permette di investire al meglio sul nostro capitale umano – ha
aggiunto – ma anche di esercitare la nostra autonomia». Nell’annunciare l’incontro con i ministri di
Università e Ricerca, Stefania Giannini, e dello Sviluppo economico Carlo Calenda, in agenda
questa settimana, Serracchiani ha accennato anche al documento che sarà loro consegnato,
presentato assieme alle Province e agli atenei di Trento e di Bolzano, in cui si precisa che il Fvg si
muove su ambito regionale e intende procedere su questa strada, «ma vorremmo che ci venisse
riconosciuto e fossimo premiati per quel lavoro che già spontaneamente abbiamo avviato». Il
confronto, al quale erano presenti tra gli altri il rettore dell’università Alberto Felice De Toni, il
segretario generale della Cgil Fvg Villiam Pezzetta e l’assessore regionale, già rettore
dell’Università di Trieste, Francesco Peroni, è stato poi occasione per sollevare altri tasti dolenti,
dal numero di docenti persi dal 2008 (250 complessivamente tra Udine e Trieste) alla crescita di
ragazzi che, per mancanza di sostegno, sono costretti a rinunciare allo studio per arrivare, infine, al
taglio dei finanziamenti alla ricerca. Se è vero che la prossima legge di stabilità, come anticipato da
De Toni, vedrà un incremento di 300 milioni del fondo di finanziamento ordinario alle università
che attualmente si attesta attorno ai sette miliardi, il piano del Governo su Industria 4.0 lascia
perplessi i due esponenti del sindacato. «Il rapporto con il manifatturiero deve restare centrale, ma
bisogna incrementare gli investimenti diretti sul sistema universitario, mentre una politica basata
prevalentemente sulle partnership con l’industria finirebbe per accentuare gli squilibri già forti tra le
università», ha osservato Sinopoli. Fondamentale per Serracchiani, invece, il ragionamento con le
imprese, dove si concentra una parte della ricerca universitaria. «Il tema dell’ingresso di una parte
di privato nel pubblico nella massima trasparenza – ha chiarito – è una delle sfide che dobbiamo
affrontare».
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Dipendenti comunali pronti allo sciopero: «Servono più risorse» (M. Veneto Udine)
Più risorse e modifica dei regolamenti attuativi per le progressioni orizzontali, eliminazione delle
indennità per specifiche responsabilità ma, soprattutto, una chiara posizione sul contratto decentrato
integrativo che dal 31 dicembre del 2012 è scaduto e non risulta a oggi rinnovato. Senza
dimenticare la spinosa questione delle Unioni territoriali intercomunali, per le quali si chiede lo
slittamento al 1 gennaio 2018 anziché 2017 per l’entrata in vigore della nuova riforma degli enti
locali che interesserà anche la polizia locale. Sono questi i punti sollevati ieri in sala Ajace durante
l’assemblea delle organizzazioni sindacali Cisal e Ugl (Unione generale del lavoro), che saranno
sottoposti oggi alla delegazione trattante del Comune. E, se non verranno ascoltati, i dipendenti
sono pronti a proclamare nuovamente lo stato di agitazione senza escludere la possibilità di arrivare
allo sciopero. Lo scorso 3 ottobre le due sigle sindacali hanno chiesto alla delegazione – ora
presieduta da Carmine Cipriano – la costituzione di tavoli separati. «Una richiesta – spiega il
segretario regionale Cisal enti locali Fvg Beppino Fabris – giustificata dal fatto che Cisl, Uil e Cgil
hanno cambiato rotta su aspetti unitariamente condivisi, per le inconciliabili distanze soprattutto con
Uil, che in una fase in cui si ricercava una soluzione comune ha agito per conto proprio, e le
condizioni caotiche in cui opera la delegazione». Cisal e Ugl chiedono dunque maggiore chiarezza e
trasparenza, come hanno osservato ieri anche Guerino Napolitano, segretario Ugl, Bruno Bertoni,
dirigente Ugl e Michele Tomaselli dirigente Cisal, sulla ripartizione delle risorse del fondo annuo
che nel 2015 non è stata sottoscritta dai due sindacati anche per l’utilizzo improprio, dicono i
sindacalisti, di alcune somme. Dopo lo stato di agitazione proclamato ad agosto dall'intera categoria
dei lavoratori ecco che a oggi una parte dei dipendenti è pronta a dissociarsi nuovamente dai
colleghi. «Vogliamo un'idea chiara e non fumosa su come viene gestito il fondo e a quanto
ammonta – precisa Fabris –, e non firmeremo quello del 2016 se non cambieranno le condizioni».
Per quanto concerne le indennità, è già stata inviata una segnalazione alla Corte dei conti per la
verifica dei 55mila euro già erogati, com’è anche stata indirizzata al Comune una diffida per il non
corretto inquadramento della polizia locale. Infine, sulle Unioni, Cisal e Ugl vogliono far slittare la
data dell'entrata in vigore: «Il contratto regionale così com’è – conclude Fabris – non è pronto a
recepire le regole delle Uti, vogliamo maggiori clausole di salvaguardia». (g.z.)
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«Infermiere di quartiere, operazione elettorale e costosa» (M. Veneto Pordenone)
«L'infermiere di quartiere è un doppione e non serve». L’attacco alla amministrazione comunale
arriva dalla funzione pubblica della Cgil che critica il nuovo servizio, inaugurato nei giorni scorsi a
Torre: una sede municipale decentrata con ufficio anagrafe, servizi sociali e infermiere di quartiere
garantito dalla Aas 5. «Non entro nel merito dei servizi offerti dal Comune – afferma Pierluigi
Benvenuto – ma l’infermiere di quartiere non serve a niente. Esiste già un servizio di infermiere a
domicilio sette giorni su sette e dodici ore al giorno: chi ha bisogno di medicazioni o prelievi può
rivolgersi a questa figura, che segue anche i pazienti oncologici». Aggiunge il sindacalista che «non
si capisce a cosa serva questo ambulatorio infermieristico: chi può muoversi può andare al distretto,
e a Pordenone ci sono tre sedi. Chi non può, ha a disposizione il servizio domiciliare. Già oggi (ieri
per chi legge ndr) è aperto con l'unica infermiera in servizio nel pomeriggio – sottolinea Benvenuto
–, che è la stessa che svolge l’attività domiciliare. Deve distogliere un’ora da questa importante e
impegnativa attività per andare in questo ambulatorio che non capiamo a che cosa serva"»
L’infermiera, sottolinea il referente della Cgil, deve anche rispondere alle telefonate per i pazienti
seguiti a domicilio «ma per un’ora deve sospende tutto. Non si possono organizzare nuovi servizi,
oltretutto inutili, senza personale – aggiunge l’esponente sindacale –. Non si possono distrarre
risorse da risorse già carenti per dare una risposta politica a una iniziativa da campagna elettorale. E
per fare un doppione». Oggi intanto dalle ore 15.30, alla bastia del castello di Torre, si terrà la
seconda assemblea pubblica organizzata in ogni distretto dal sindacato dei pensionati Spi Cgil e
dalla Cgil sul tema della sanità dal titolo “Che cosa c’è, che cosa manca: la parola ai cittadini”.
Donatella Schettini
Porcia, vigili sotto organico. Le opposizioni si mobilitano (Gazzettino Pordenone)
Opposizioni mobilitate sulla questione della carenza di organico della polizia locale. Dopo la
mozione discussa nell'ultimo consiglio comunale, infatti, tutte le forze di minoranza - a eccezione
del solo Movimento 5 Stelle - hanno chiesto che sia convocata entro ottobre una commissione per
discutere appunto della situazione del Comando e delle possibili soluzioni. Al centro della mozione
- bocciata dal Consiglio con otto voti favorevoli e 14 contrari - c'era la carenza di organico del
Corpo, che dal 5 settembre scorso può contare solamente su otto agenti suddivisi in due turni, ai
quali si aggiunge il comandante Luciano Sanson. Otto vigili che, ricorda la mozione, dovrebbero far
fronte a una lunga serie di incombenze, per un'utenza di circa 15.350 abitanti. Di qui la richiesta,
sottoscritta da Gruppo misto, Fratelli d'Italia, Nuovo centrodestra e Forza Italia e poi respinta dalla
maggioranza, di assegnare al più presto almeno un impiegato amministrativo alla polizia locale, in
modo da permettere di liberare un'unità da poter dislocare sul territorio, e contemporaneamente di
attivarsi in tempi rapidi per aumentare l'organico della polizia locale purliliese. Sul secondo punto,
in realtà, qualcosa si era già mosso, proprio in corrispondenza dei giorni in cui era stata presentata
la mozione: la Giunta aveva infatti approvato alcune integrazioni al Piano triennale del fabbisogno
del personale, e in particolare era stato dato il via libera all'assunzione - attraverso un bando di
mobilità esterna - di un nuovo agente di polizia municipale.
«Una decisione - aveva fatto sapere l'esecutivo - espressione della volontà dell'amministrazione di
garantire sempre maggior efficienza al corpo di polizia locale e una presenza sul territorio ancora
più capillare. Oltre a un adeguato monitoraggio del traffico e delle violazioni al Codice della strada,
un più completo organico darà la possibilità di elaborare progetti di maggiore respiro in diversi
ambiti, fra i quali non secondarie sono le attività di controllo sul conferimento dei rifiuti e di
educazione stradale per i ragazzi delle scuole di Porcia». Lara Zani
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Italia Marittima “balla” nella crisi dei container (Piccolo Trieste)
di Silvio Maranzana - L’azienda minimizza o addirittura smentisce, ma in Passeggio Sant’Andrea
tra i dipendenti di Italia Marittima (l’ex Lloyd Triestino) che è l’unica compagnia italiana di
trasporto container, la pressione sta salendo perché molti temono che la “barca” sia tornata a
ballare. Due sono gli eventi negativi che si sono accavallati in questi ultimi mesi: la crisi mondiale
del settore che tra l’altro sta facendo fallire la sudcoreana Hanjin shipping, settima società al mondo
del comparto, e il passaggio ai figli dell’impero che fino al 10 gennaio scorso, giorno della morte,
era stato di Yung-Fa Chang: il gruppo taiwanese Evergreen di cui la stessa Italia Marittima fa parte
e che comprende anche Evergreen marine corporation di Taiwan, Evergreen marine United
Kingdom e Evergreen marine Singapore. «È stato riferito ai dipendenti che il costo del lavoro nella
sede di Trieste sfora il budget riprogrammato dai figli del fondatore - spiega Michele Cipriani,
segretario Uiltrasporti - e di conseguenza potrebbe anche venir proposto un rimpasto tra gli organici
nelle tre sedi europee del Gruppo: Londra, Amburgo e Trieste. Ma per un triestino doversi trasferire
in una di queste due città europee, non è certo come andar a lavorare a Monfalcone». Più rilassata la
reazione di Renato Kneipp, segretario di Fit-Cgil: «Abbiamo chiesto un immediato incontro con il
presidente Pierluigi Maneschi, ma ci è stato risposto che non vi è alcun problema pressante per gli
organici e che sono state semplicemente mal interpretate alcune frasi pessimistiche pronunciate da
un manager cinese. Data l’assenza di urgenza, potremo tranquillamente confrontarci con l’azienda
nell’incontro che si svolgerà come ogni anno a inizio dicembre». Lo stesso Maneschi (che tra l’altro
è anche il terminalista del Molo Settimo, oltre che proprietario della società Greensisam proprietaria
dei primi cinque magazzini del Porto vecchio) assicura che «non muterà alcun assetto interno alla
compagnia». In questo senso, a far fede, vi sarebbe una lettera inviata nei giorni scorsi da Taiwan a
Trieste dal vicepresidente del Gruppo. Secondo le cifre fornite dal sindacato, attualmente in
Passeggio Sant’Andrea lavorano 160 dipendenti italiani e 20 cinesi. «Nessun ridimensionamento
sebbene anche nel 2015 Italia Marittima abbia chiuso un bilancio in rosso per 60 milioni di euro»,
specifica Maneschi che aggiunge anche che «il Gruppo Evergreen sta accusando perdite nel
bilancio generale, come del resto tutte le principali compagnie di container del mondo». In effetti, a
60 anni dalla sua nascita, il mercato dei container sta attraversando la più grande crisi della sua
storia anche perché, con il crescente gigantismo, c’è molto più spazio sulle navi rispetto ai container
da trasportare. Essendoci più offerta che domanda si è arrivati all’overcapacity. Le compagnie che
resistono stanno reagendo in due modi. Il primo è la fusione che recentemente ha riguardato la
tedesca Hapag-Lloyd, la cilena Csav e l’araba Uasc. Il secondo è la creazione di alleanze tra
imprese concorrenti: la più importante vede assieme la danese Maesrk e la svizzera Msc.
Dentro il porto è operativa l’Agenzia del lavoro
Ha cambiato rotta la gestione del lavoro nel Porto di Trieste. Dal primo ottobre infatti è divenuta
operativa l'Agenzia per il lavoro portuale, a seguito della sottoscrizione degli accordi individuali per
i 111 lavoratori interessati, provenienti dalla Deltauno e dalla Minerva Servizi. Si tratta di uno
strumento promosso dall'Autorità di sistema portuale «per stabilizzare il mercato del lavoro al suo
interno - spcifica una nota - migliorare la tutela dei lavoratori, risolvendo situazioni di precarietà
(come quelle relative al fallimento della Cooperativa Primavera), e dotare lo scalo di una moderna
struttura di gestione del lavoro temporaneo, con una piena collaborazione fra soggetti pubblici e
privati. «Si è voltato pagina - ha commentato il neopresidente dell’Authority, Zeno D’Agostino guardando a un futuro basato sulla professionalità, la produttività e la sicurezza del lavoro. Le
risorse umane per noi sono importanti quanto le infrastrutture. È questa la nostra idea di sviluppo, e
questo tipo di indicatori devono essere inseriti nella valutazione della performance dei porti, al pari
delle statistiche. I numeri positivi dei traffici non bastano, se non c’è crescita dell’occupazione.
Mentre in molti scali italiani ed europei, il lavoro sembra essere elemento di conflitto, qui è indice
di “unione”». Il clima di collaborazione è stato sottolineato anche da Mario Sommariva, segretario
generale dell’Authority, che ha assunto anche la presidenza dell’Agenzia e ha voluto ringraziare
aziende, organizzazioni sindacali e lavoratori per la collaborazione ricevuta, parlando dell’Agenzia
stassa come di «un modello che può essere esportato e adattato anche negli altri scali italiani».
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Wärtsilä vara la sala controllo “da remoto” (Piccolo Trieste)
di Massimo Greco - Avaria su una nave da crociera in Mediterraneo? In panne il motore di una
centrale che produce energia elettrica in Mozambico? Una volta si sarebbe dovuto mobilitare la
base zonale e sarebbe occorso del tempo per venire a capo dell’intoppo. Adesso invece Sos Bagnoli.
Perché da alcuni giorni è possibile svolgere un primissimo intervento, sia di prevenzione che di
emergenza, su alcune centinaia di motori Wärtsilä sparsi tra Europa meridionale e Africa, mediante
il nuovo “Contract Centre” in funzione nello stabilimento di Bagnoli. Una sala-controllo “da
remoto”, attiva 24 ore su 24 lungo l’intera settimana, riservata ai clienti del gruppo che abbiano
sottoscritto un contratto di assistenza pluriennale. In grado di connettersi alle sale-macchina di tutte
le installazioni marine e terrestri dell’area geografica monitorata, ovvero, nel caso di Bagnoli,
Europa meridionale e Africa. Più probabile che si tratti di una criticità marina nel caso sud-europeo,
maggiori probabilità invece di un problema terrestre nei grandi spazi africani. È la settima salacontrollo allestita a livello internazionale da Wärtsilä per seguire i clienti più affezionati alla
distanza di migliaia di chilometri: le altre sono a Vasa (Finlandia), Fort Lauderdale (Usa, Florida),
Quito (Ecuador), Manaus (Brasile), Dubai (Penisola arabica) e Chennai (India). L’innovativo
inserimento appartiene al comparto “service”, che insieme alle applicazioni marine e terrestri
costituisce l’ampio fronte del business Wärtsilä. Anzi, in questo momento di debole committenza di
motori nuovi, proprio l’articolata proposta di assistenza rappresenta un fondamentale sollievo per i
conti della multinazionale finlandese. Ricordiamo che è triestino il capo mondiale del comparto,
Pierpaolo Barbone, e che l’attuale responsabile della costola italiana di Wärtsilä, Guido Barbazza,
proviene dal “service”. Ed è ovviamente soddisfatto di annunciare il varo della struttura. Il
funzionamento della sala, in considerazione della particolarità operativa richiesta, presuppone uno
staff di sicura esperienza: a Bagnoli una decina di tecnici si alterna davanti ai monitor, che
raccolgono i dati (allarmi, eventi, azioni, parametri di conduzione) trasmessi dai software (elaborati
in casa) installati sui motori attraverso canali comunicativi Gsm. «Il business sta cambiando osserva il responsabile del “contract centre” triestino, Emanuela Rusconi - la competizione con i
nostri concorrenti passa anche attraverso decisioni prese con rapidità e qualità». L’attività di una
sala-controllo sofisticata come questa - spiega ancora Rusconi - ha una spiccata finalità preventiva,
di gestione del rischio.
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All’Acquario restano solo due dipendenti (Piccolo Trieste)
«Senza decisioni drastiche non si può iniziare a parlare di riordino della rete museale cittadina».
Non ha usato mezzi termini l’assessore alla Cultura e sport Giorgio Rossi, nella seduta della Quinta
commissione che ha affrontato il nodo della carenza di personale all’Acquario, una questione che,
ha sottolineato, interessa in maniera molto pesante tutti i musei cittadini. Rossi ha ricordato che è in
corso un’analisi della rete museale, che deve portare al riordino previsto da norme regionali.
Riordino necessario a sua volta per una classificazione dei musei, anche in vista dell’assegnazione
di contributi. L’assessore non si è fermato qui. Ha anzi rincarato la dose affermando che «il
problema sta nella gestione dei musei». Prima del riordino della rete vanno quindi affrontati, sempre
secondo Rossi, tre aspetti, a cominciare dal personale e dal mansionario, «creando una figura unica
per la manutenzione e la gestione delle collezioni, che permetta una flessibilità degli organici tra un
museo e l’altro». Secondo punto imprescindibile, uniformare le funzioni relative alla cassa e alla
sorveglianza del pubblico. E poi c’è l’aspetto degli orari, che l’assessore ha definito «una tragedia
greca» e sul quale sta studiando una proposta. Le questioni sollevate da Rossi sono scaturite, come
detto, dal problema del personale dell’Acquario, sollevato dal consigliere Antonio Lippolis (Lega
Nord) e affrontato dalla commissione presieduta da Manuela Declich (Forza Italia), presente anche
l’assessore alle Risorse umane Michele Lobianco. Lippolis ha rilevato come l’Acquario, che
registra 50mila accessi all’anno, abbia un organico di sole quattro persone, due delle quali se ne
andranno tra novembre e dicembre. I loro contratti hanno infatti una durata di sei mesi, essendo uno
un lavoratore “socialmente utile” e l’altro di “pubblica utilità”, ed entrambi non possono essere
rinnovati. Osservando che a novembre si rischia la chiusura dell’Acquario, appunto per carenza di
personale, Lippolis ha dunque chiesto agli assessori Rossi e Lobianco di trovare altre persone
competenti per coprire questi due posti. «Evitiamo - ha sottolineato - di sostituirli con altri precari».
Immediata la risposta dell’assessore Lobianco: «L’Acquario continuerà a rimanere aperto, anche se
situazioni di criticità come questa sono diffuse in tutte le strutture comunali». Posto che i lavoratori
socialmente utili e quelli di pubblica utilità non possono essere assunti dal Comune, l’assessore ha
precisato che la risposta al problema sta «nella “dotazione” dell’Area educazione, cultura, sport e
ricerca, che dispone di 1.020 persone, alla quale si potrà attingere». Una decisione sarà comunque
presa in tempi ragionevoli. «Per risolvere il problema - ha precisato Lobianco - stiamo studiando
anche l’opportunità di risposte diverse». (gi.pa.)
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Operaio morto in cava, una condanna (Piccolo Trieste)
Il mortale infortunio sul lavoro avvenuto nella cava Duino Scavi data in concessione alla “Aurisina
Quarry srl”, nell’omonima località carsica nel novembre 2011 costato la vita all’operaio Renato Del
Fabbro e il ferimento del collega Goran Subotic è tornato alla ribalta della cronaca giudiziaria con la
sentenza della Corte d’appello. Corte che ha confermato un’assoluzione e ha sovvertito il verdetto
riguardo il secondo imputato, condannandolo dopo la sua assoluzione in primo grado. I giudici
d’Appello hanno nuovamente assolto, per non avere commesso il fatto, Silvano Sambo, difeso
dall’avvocato Giovanni Borgna del Foro di Trieste. Geologo libero professionista Sambo, nato a
Gorizia nel 1939, all’epoca dei fatti rivestiva il ruolo di direttore dei lavori della cava di “Aurisina
Quarry”. È stato condannato invece in Appello a 7 mesi e 3 giorni Ervino Leghissa, uno dei due
legali rappresentanti della società “Aurisina Quarry” - difeso dall’avvocato Paolo Pacileo del Foro
di Trieste - che in primo grado era stato assolto. La sentenza di assoluzione, emessa in primo grado
dal giudice per le indagini preliminari il 9 maggio 2014, era stata impugnata dal pubblico ministero
Carlo Sciavicco, che aveva chiesto dieci mesi e venti giorni di reclusione. Nella vicenda era stato
coinvolto anche Ennio Leghissa, all'epoca dei fatti sorvegliante della cava di Aurisina, che all’inizio
del processo aveva patteggiato dieci mesi e venti giorni. Ennio Leghissa era assistito dall'avvocato
Geniale Caruso del Foro di Udine. Era stato proprio lui a disporre, per quella tragica mattinata
d’autunno, la concomitanza di due lavori nel sito della cava, fattore che aveva poi innescato
l’incidente. Da una parte aveva indicato a Del Fabbro e Subotic di provvedere nella parte a valle
della cava per far ripartire un macchinario immobilizzato, dall’altra nella zona a monte dei due
lavoratori aveva lui stesso provveduto con un altro mezzo meccanico a movimentare terra e massi
che avrebbero dovuto concorre a formare una sorta di terrapieno in preparazione a ulteriori attività
di estrazione. Proprio uno dei massi, sfortunatamente, aveva oltrepassato la sorta di sicurezza
prevista, colpendo in pieno e uccidendo Del Fabbro. Un frammento di roccia aveva invece centrato
alla testa il suo collega, dipendente di un’altra azienda, lasciandolo ferito, per fortuna non
gravemente. La contemporaneità delle due attività, che come accertato dai giudici non avrebbe
dovuto coesistere, era stata avviata «senza che la presenza di cartelli o disposizioni di carattere
generale (questi sì nella corresponsabilità di Ervino Leghissa) potessero prevalere sugli ordini
giornalieri e puntuali di Ennio Leghissa». D’altra parte Giovanni Borgna, avvocato difensore di
Silvano Sambo in merito alla sentenza, ha dichiarato “a caldo”: «Siamo soddisfatti che anche la
Corte d’appello abbia riconfermato “pienamente” le ragioni del dottor Silvano Sambo, direttore
della cava, che ha sempre mantenuto una condotta rispettosa delle norme per la sicurezza sul lavoro
e per la sicurezza del cantiere». La magistratura ha infatti stabilito che l’incarico di Sambo, pur
implicando il compito di predisporre il Piano di sicurezza (il cosiddetto Dss, Documento di
sicurezza e salute), non prevedeva la presenza quotidiana sul luogo di estrazione. La sentenza ha
stabilito, alla luce delle relative indagini, che «dal terrapieno dove ha sciaguratamente operato
Ennio Leghissa non era prevista alcuna “discarica”, per tale intendendosi la volontaria
precipitazione di materiale lapideo o terroso dall’alto verso il fondo della cava».
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Settore nautico in ostaggio del dragaggio impossibile (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Giulio Garau - Poche settimane fa un cliente russo salpato da Monte Carlo Yachts con un 105
piedi mentre cercava di uscire dal canale Est Ovest, che dal polo nautico del Lisert sbocca davanti al
Villaggio del Pescatore, si è incagliato e ha subito gravi danni alla carena. «La Monte Carlo Yachts
ha difficoltà tutti i giorni. Non riusciamo a pianificare le uscite in mare con i nostri clienti - dice
Attilio Bruzzese - quest’anno ci sono stati molti problemi con le consegne. Ha un impatto
importante con i clienti. Abbiamo difficoltà con le barche sopra gli 80 piedi. Per non parlare della
criticità della sicurezza». Ma è andato peggio alla Mmgi Shipyard, Bianco Domingo racconta di
«averci rimesso» due eliche di un 44 metri, ma «anche la carena e le pinne stabilizzatrici. Tutti
danni a carico dell’azienda che ha dovuto ripararli dopo che l’imbarcazione si è arenata all’uscita
del Timavo. Non si contano gli incagli delle imbarcazioni, non più soltanto quelle a vela, la sabbia
sta riempiendo il fondale e per uscire ormai bisogna fare come nell’800 con le tavole della marea. È
da due anni che non si fa un dragaggio, il progetto “strutturale” per scavare almeno 14mila metri
cubi di fanghi e costruire barriere sottomarine per impedire gli insabbiamenti è stato bocciato da
Arpa e Soprintendenza. Nemmeno il nuovo decreto appena pubblicato dalla Gazzetta ufficiale del
ministero dell’Ambiente per «semplificare» i dragaggi e la materia ambientale (in Italia qualsiasi
materiale scavato diventa rifiuto) risolverà il problema della prossima stagione. Gli operatori si
dovranno accontentare di un “progetto stralcio” del Consorzio industriale, a causa dei divieti
ambientali, con minimi intervento di manutenzione sui punti più “difficili” del canale e grandi
dubbi su quanto si potrà fare all’entrata del Villaggio del Pescatore. Qualche anno fa si era scavato
10mila metri cubi con una spesa di 400mila euro (e i fanghi riversati in mare) sono anni che non si
interviene e ora al massimo si potrà dragare 5-7mila metri cubi portando la profondità media del
fondale a 2,95 metri per una larghezza di appena 22, con enormi costi di smaltimento per i fanghi
che non potranno essere riversati in mare. La Regione ha confermato i dragaggi e i fondi: per ora
340mila euro. Ma il Csim ha fatto sapere che ne serviranno almeno altri 500-600 mila a causa dei
paletti ambientali e normativi. Costi incredibili ai quali bisogna sommare la convenzione da oltre
80mila euro siglata con l’Arpa per le analisi del fondale. Lo hanno capito molto bene gli operatori
che si sono riuniti ieri per chiedere invano una soluzione “strutturale” al Marina Lepanto dove sono
state invitate, assieme al Csim, la presidente della Regione Debora Serracchiani e l’assessore
regionale all’Ambiente Sara Vito. C’erano tutti i vertici di marina e cantieri del Polo del Lisert, le
società nautiche della zona e del Villaggio del Pescatore, dalla Polisportiva San Marco alla Laguna.
Oltre 800 addetti, 24 attività per non parlare delle società nautiche e sportive, almeno 2500 posti
barca tra Monfalcone e Duino. Un’economia del mare che ha tra i suoi fiori all’occhiello Monte
Carlo Yachts e lo stesso Marina Lepanto e che viene messa a rischio dalle norme ambientali sui
dragaggio, severissime in particolare al Lisert a causa del Sic. «C’è una programmazione degli
interventi con stanziamenti, faremo i dragaggi e gli interventi straordinari» ha assicurato
Serracchiani cercando di far vedere il bicchiere “mezzo pieno”. Ma nell’incontro supportato dalle
slides del Csim preparate dal direttore Giampaolo Fontana giunto con il presidente Enzo Lorenzon,
la stessa presidente, con l’assessore Vito, ha dovuto ammettere le difficoltà ambientali. «Stiamo
cercando di recuperare il tempo perduto, siamo consapevoli dell’importanza del settore e tentiamo
di semplificare programmando. Ma come sapete bene la materia dei dragaggi è la più complicata
che esista. Alcuni interventi sono stati possibili grazie al coraggio-incoscienza di alcuni dirigenti.
Non ci sarà il progetto ambizioso sperato, il problema resterà e faremo manutenzione continua».
Dal Cup unico all’Isonzo. Sbloccati 10 milioni del Gect (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
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Mattarella, in sospeso l'omaggio agli infoibati (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain - Il sindaco Romoli sperava di riuscire a portare a casa il risultato. Subito. Ma la
trasferta di ieri a Roma per definire i dettagli della visita del Presidente della Repubblica Mattarella
a Gorizia (programmata per il 26 ottobre) è servita per «mettere i ferri in acqua». La partita che il
primo cittadino spera di vincere è di riuscire a inserire nel programma della visita anche una sosta e
una commemorazione al Lapidario, il monumento del Parco della Rimembranza che riporta, incisi
nella pietra, i nomi dei 665 deportati dai partigiani titini che furono poi fucilati o infoibati. «Sarebbe
un segnale importante», dice. «Da più parti, in città, è stato chiesto e auspicato che il Presidente,
oltre a rendere omaggio ai caduti della Prima guerra mondiale, renda omaggio anche a questo
monumento che ricorda una pagina tragica della nostra storia. Per il momento - spiega il sindaco
Ettore Romoli - il protocollo non lo prevede ma sto insistendo con lo staff presidenziale affinché
venga inserito anche questo momento commemorativo. Insomma, l’argomento è stato tenuto in
sospeso ma non demordo». Di questo e di molto altro si è parlato ieri a Roma. Il sindaco Romoli ha
incontrato, infatti, alti funzionari del Quirinale per definire nel dettaglio il programma della visita
del Capo dello Stato a Gorizia e a Doberdò del Lago, oltre a Trieste. Assieme a lui il prefetto
Isabella Alberti. «Rispetto al programma sin qui noto, non ci sono grandi evoluzioni. Il Presidente fa sapere Romoli - arriverà a Gorizia dopo l’alzabandiera a Trieste. Verrà ricevuto dal prefetto e dal
sottoscritto al Parco della Rimembranza dove deporrà una corona. Poi, raggiungerà il teatro Verdi».
Nella riunione di ieri è stato reso noto anche il titolo dell’incontro con Mattarella. Sarà: “L’Europa,
luogo di superamento dei conflitti in occasione del centenario dell’unione di Gorizia all’Italia”.
Facile immaginare che, nel suo discorso, ci saranno accenni alla collaborazione transfrontaliera. Il
coordinatore del corso di Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche, Georg Meyr tratteggerà
un excursus storico degli avvenimenti che hanno interessato queste zone dalla prima guerra
mondiale a oggi. «La città - fa sapere Romoli - non sarà blindata ma ci sarà un accurato ma discreto
controllo da parte delle forze dell’ordine. Sarà una festa per la città e per i cittadini». Rispetto al
programma originario è stato inserito anche il nome del sindaco di Nova Gorica Arcon: pure lui sarà
presente al teatro. Terminato l’incontro al “Verdi”, il Capo dello Stato scoprirà a Doberdò del Lago
il monumento dedicato alle vittime slovene della Grande Guerra. L’arrivo di Mattarella in città è
una conseguenza dell’incontro cordialissimo che Romoli ebbe con lo stesso Presidente della
Repubblica nella Capitale lo scorso 26 luglio. Nell’occasione, come si ricorderà, si parlò
principalmente degli eventi locali legati alla Grande guerra ma anche dei futuri sviluppi
internazionali dell’area isontina, legati ai progetti del Gruppo europeo di cooperazione territoriale
(Gect), formato dai Comuni di Gorizia, Nova Gorica e Sempeter Vrtojba. In sintesi, il concetto
formale, dal forte valore simbolico, rintracciabile nei resoconti dell’incontro romano, è che al
Goriziano è stata riconosciuta una specifica cifra distintiva dall’attuale Capo dello Stato: essere
passati da una difficile storia segnata da due guerre mondiali e dalla presenza del confine a un
futuro fatta di aperture e collaborazioni con il vicino Est europeo, molte dalle quali ancora da
sviluppare, ma con alle spalle un lungo e riuscito percorso di pacificazione. Concetti che, molto
probabilmente, Mattarella ribadirà il 26 ottobre prossimo nel suo intervento al teatro Verdi dove ci
sarà anche il presidente della Repubblica di Slovenia, Borut Pahor.
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Cara, prorogata la gestione. La coop Minerva resta in sella (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Non si conoscerà prima del 6 dicembre il destino della gestione del Cara di Gradisca. È una corsa a
ostacoli che si disputa tutta nelle aule di tribunale quella che attende nelle prossime settimane la
Prefettura di Gorizia, che dovrà affrontare ben due ricorsi contro il provvedimento di
aggiudicazione - datato 12 agosto - dei servizi interni al centro richiedenti asilo al raggruppamento
temporaneo d'imprese formato da Senis Hospes, capofila di Potenza, e Domus Caritatis, di Roma.
Alla prima opposizione, presentata dalla coop giunta terza nella gara d'appalto, vale a dire l'impresa
sociale veneta Nova Facility di Treviso (già Nova Marghera), si aggiunge infatti anche quello
dell'azienda classificatasi al secondo posto della graduatoria. Ovvero l'ente gestore uscente, la coop
isontina Minerva di Savogna. I cui legali hanno già messo a segno un punto non da poco: sono
infatti riusciti a ottenere dal Tribunale amministrativo regionale (presidente Umberto Zuballi) il
congelamento dell'iter di affidamento alla Senis Hospes. L'immediata conseguenza è la proroga
della gestione targata Minerva sino alla data di pubblicazione della sentenza anziché al 31 ottobre,
quando sarebbero scaduti i termini di quella che è già la seconda prorogatio al contratto fra
Prefettura e coop isontina dopo quella della scorsa primavera. Ma su cosa si basano, nel merito, i
ricorsi? Nel mirino c'è quello che il legale dell'azienda di Savogna, Roberto Paviotti, definisce
"macroscopica illogicità" nell'andamento dell'appalto. L'offerta economica presentata dalla cordata
potentino-romana sarebbe ritenuta sin troppo concorrenziale per essere attendibile. Sotto la lente vi
sono i pasti: per l'erogazione quotidiana di colazione, pranzo e cena, Senis Hospes indica una
somma complessiva annua di 272.801 per 202 ospiti. Un costo giornaliero, insomma, di 3,70 euro
pro die e pro capite. Altrettanto contestato è il ribasso su altri servizi come la pulizia dei locali e
l'igiene ambientale (smaltimento rifiuti speciali, disinfestazione, derattizzazione, mantenimento
delle aree verdi) con "appena" 1.600 euro annui. Minerva e Nova Facility, ciascuna con il proprio
iter, vogliono vederci chiaro e contano dunque su una revoca dell'assegnazione al binomio Senis
Hospes/Domus Caritatis, società quest'ultima i cui dirigenti si erano visti coinvolti nell'inchiesta
nota alle cronache come "Mafia Capitale". Più staccate nella graduatoria d'appalto, dietro a Minerva
e Nova Facility, erano giunte altre due contendenti, ovvero il consorzio temporaneo d'impresa
rappresentato dal colosso francese Gepsa (Oltralpe gestisce i penitenziari, in Italia il Cie di via
Corelli a Milano) con l'azienda Acquarinto di Agrigento, e la napoletana Matrix. Interesse da tutta
Italia e persino dall'estero, dunque, per un appalto che evidentemente "ingolosisce" nonostante la
gara indetta dall'ufficio territoriale di Governo preveda una durata della gestione solo per un anno,
con una "torta" da oltre 2 milioni e mezzo di euro. «Noi andiamo avanti per la nostra strada,
convinti di avere lavorato con trasparenza e nell'interesse della collettività - ha commentato il
viceprefetto vicario di Gorizia, dottor Antonino Gulletta - ma attendiamo serenamente i
pronunciamenti del Tribunale amministrativo regionale. Ricordo però una volta di più che la gara
d'appalto premia per legge l'offerta più vantaggiosa, non quella più economica. Questo significa che
in un appalto come questo si va a scegliere l'ente gestore fra le imprese che presentano il migliore
rapporto fra proposta tecnica e finanziaria». Il bando è redatto sulla base di una ricettività teorica di
202 ospiti (quindi relativa al solo Cara e non all'ex Cie attualmente occupato da altrettanti ospiti, ma
ritenuto soluzione esterna d'emergenza, anche se di fatto da tempo immemore non è più tale) e una
"base d'asta" - il costo giornaliero a ospite di 35 euro. Luigi Murciano
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