AG gazette 203

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Transcript AG gazette 203

AG
GA
Z E TT E
N o 203- 2016
Coloro i quali
sono inclini al compromesso
non potranno mai fare una rivoluzione.
(Kemal Ataturk)
* Se voi non sentite che la cosa che avete
regalato vi manca, vuol dire che non avete
regalato nulla.
Si regala davvero solo quando ci si priva di
una cosa.
* E’ bene essere anziani, ma è male essere
vecchi.
* La notte si pensa meglio, perché la testa
è meno piena di rumori.
(Victor Hugo)
Musical.
I dieci musical con il maggior numero di repliche
(statistica aggiornata al 28 ottobre 2015).
Il fantasma dell’Opera 11.548
Chicago
7,872
Cats
7.485
Il Re Leone
7.454
I Miserabili
6.680
A Chorus Line
6.137
Oh! Calcutta
5.959
Mamma Mia!
5.773
La Bella e la Bestia
5.461
Rent
5.123
NB– Solo i primi tre musical sono ancora in
programmazione
Pianoforti all’asta.
Il 29 settembre 2015 a Londra, all’asta Rock &
Pop di Soteby’s è stato battuto il pianoforte a
coda degli Abba, disegnato dal designer svedese
Georg Bolin. Il Grand Piano, da cui uscirono gli hit
Dancing Queen e Money Money, di proprietà dei
Metronome Studios di Stoccolma dove furono
incise le canzoni, è stato aggiudicato per 1,1 milioni si euro.
D’altra parte lo Steinway con cui John Lennon
compose Imagine, fu venduto nel 2000 per 1,67
milioni di dollari.
PS - Gli Abba, gruppo pop svedese, ha venduto
300 milioni di dischi in tutto il mondo.
Lo champagne
* Secondo alcune versioni l’inventore dello champagne
è il monaco benedettino Pierre Dom Perignon, giunto
all’Abbazia d’Hautvillers nel Champagne nel 1670,
quando le vigne stavano andando in malora a causa
dell’abbandono delle campagne da parte degli ordini
ecclessiastici.
* A Dom Perignon si deve sicuramente la scelta delle
uve per fare lo champagne. (Pinot Noir, Pinot Meunier,
Chardonnay). Dom Perignon è anche lo’inventore del
tappo di sughero con la gabbietta esterna.
* Il metodo. Il metodo classico, o “Champenoise”, segue le seguenti regole: spremitura soffice delle uve,
fermentazione a 20°C per 10-15 giorni. Imbottigliamento con l’aggiunta di zuccheri e lieviti selezionati. Si
ottiene la seconda fermentazione. Dopo un riposo a
10.12°C le bottiglie vengono poste su cavalletti inclinate a 60°. Devono essere ruotate diverse volte al giorno
per staccare il deposito dal fondo e farlo risalire al collo della bottiglia. Sboccatura e rabbocco con sciroppo
di dosaggio, tappatura con sughero speciale, applicazione della gabbietta.
* La rotazione (remuage). Un remueur può ruotare fino
a 50.000 bottiglie al giorno.
* Bottiglie. Nelle cantine sparse per il mondo si stima ci
siano circa un miliardo di bottiglie di champagne.
* Nomi. Se fatto solo con uve bianche si chiama “Blanc
de blancs”. Se fatto con uve solo nere “Blanc de noirs”.
Se c’è scritto “Cuveé” vuol dire che è un misto di uve.
Se l’85% del vino base è di una sola annata lo champagne si può “millesimare”.
* Bollicine. Secondo lo scienziato Bill Lembeck, in ogni
bottiglia di champagne ci sono 49 milioni di bollicine.
* Tappo. Quando salta via il tappo viaggia a 40 km/ora.
* Unesco. I vigneti, le cantine e le maisons della Champagne sono classificati come “ paesaggio organicamente evoluto”. I luoghi simbolo sono l’avenue de
Champagne a Epernay, e tutti i coteaux (i pendii), delle
colline intorno a Epernnay.
* Oscar Wilde. Poco prima di morire si fece servire una
flute di champagne e poi disse: ”Sto morendo al di sopra delle mie possibilità”.
* Coco Chanel. “Bevo champagne in due sole occasioni:
quando sono innamorata e quando non lo sono più”.
* Winston Churchill. L’annata del 1947 dello Champagne Pol Roger fu dedicata allo statista inglese: ne aveva ordinate 20mila bottiglie.
Una famiglia, un marchio. La famiglia: i Taffa - Il marchio : Italo Sport.
La storia comincia nel 1937, quando il trentenne Italo Taffa, esperto ebanista, sbarca a Milano dal paese di origine, Correggioverde, nel Mantovano e realizzando il sogno della sua vita apre in via Nerino, in pieno centro storico, un laboratorio di attrezzi sportivi. Vi venivano realizzati e riparati sci da discesa e da alpinismo, racchette
da tennis e bastoncini da neve in bambù. Il laboratorio, come usava chiamarlo allora, divenne presto luogo di
incontro per gli sportivi, soci del Club Alpino Italiano, del Touring Club Italiano, dello Sci Accademico Italiano e
per i membri della Canottieri Olona e della Canottieri Milano. La pratica degli sport preferiti, tennis, sci e canottaggio, permise a Italo di meglio conoscere le esigenze dei suoi potenziali clienti.
In un periodo di forti tensioni patriottiche, non fu difficile accoppiare il nome del titolare, che ammiccava al nome del Paese, a quello dell’attività; e così nacque il marchio Italo Sport. E venne anche il tempo di adottare un
logo, che venne realizzato dall’amico e notissimo disegnatore Nino Boccasile, autore delle celebri “Signorina
Grandi Firme”.
La guerra non interruppe l’attività dell’azienda, anzi. Grazie ad una partita di tessuto gabardine, di colore carta
da zucchero, cedutagli quasi per caso da un amico, Italo produsse le prime giacche a vento, con cappuccio e una
grande tasca davanti, copiato dal giubbotto degli Inuit, abitanti dell’Alaska. Gli venne dato il nome di Anorak.
Nel dopoguerra il negozio si trasferì in via Lupetta.
Quando nel 1948, le Olimpiadi invernali di St.Moritz rilanciano lo sci, nel laboratorio di via Nerino vennero preparati gli attrezzi di molti degli atleti che parteciparono ai Giochi. Fiore all’occhiello furono gli sci, in legno, preparati per Zeno Colò, vittorioso nella discesa libera delle Olimpiadi di Oslo del 1952. Per le stesse Olimpiadi,
Italo Sport realizzò le divise per la cerimonia inaugurale, pantaloni grigi e giacca azzurra, e l’abbigliamento specifico per la discesa e lo slalom in tessuto elasticizzato. La collaborazione con il CONI continuò fino al 1968, anno
delle Olimpiadi di Grenoble.
Nell’immediato dopoguerra il negozio si trasferì in via Lupetta affiancato negli anni ’50 dai punti vendita di via
Montenapoleone e di Corso Vercelli.
Non c’era solo lo sci: nel 1958 Ardito Desio, Compagnoni, Lacedelli e Bonatti chiesero la collaborazione dell’azienda per completare l’attrezzatura per la spedizione del K2 e, in particolare, per produrre le giacche a vento
imbottite in piuma con trapuntatura quadrata, in colore blu olimpico.
Il clima generale della ricostruzione favorirono l’impegno di Italo e della moglie Gianpaola a far crescere l’azienda. Progressivamente l’azienda si focalizza sul laboratorio tecnico e sulla sartoria. Gianpaola, sebbene giovanissima, diventa l’anima creativa dell’azienda e fa crescere la “sartoria”, coniugando il suo gusto innato, il pragmatismo e la capacità organizzativa. Il successo si consoliderà negli anni successivi con la realizzazione di modelli sportivi unici ed elegantissimi, punto di riferimento per le sportive signore
milanesi.
La morte improvvisa del fondatore nel 1974 non rallentò l’attività della Italo
Sport, che continuò attraverso varie fasi grazie alla fattiva unità di intenti tra
la moglie Gianpaola e le figlie Daniela e Rossella. Nuovi negozi vennero aperti
in varie zone della città. Nuovi articoli sportivi vennero offerti agli appassionati, quali le tavole da windsurf, fin dall’inizio di questa nuova attività sportiva.
A partire dagli anni ’80 e per tutti gli anni ‘90 il panorama delle vendite di articoli sportivi cambiò radicalmente e, con l’ingresso sul mercato dei grandi marchi la figlia Rossella, rimasta da sola al comando dell’azienda, nel 1996 ne decise la cessazione.
Resta il ricordo di una piccola, grande azienda, che ha segnato un momento
importante della vita sportiva e dello stile milanese.
PS - La fotografia riproduce la copertina del libro “Eleganza Tecnica - Performance e stile nelle linee Italo Sport”.
Edizione Skira. Il libro consente di mantenere viva la conoscenza dei milanesi per un patrimonio collettivo relativo all’anima di Milano. Le foto vanno dall’ultima guerra fino agli anni ‘90.
Correva l’anno tra il 427 e il 348 a.C.
Chi se lo ricorda?
Un signore, di professione filosofo, viveva ad Atene e,
facendo il filosofo e quindi avendo praticamente niente
da fare, passeggiava con i suoi discepoli e osservava
quello che accadeva intorno a lui.
Poi un giorno decise di mettere su papiro quello che
aveva teorizzato fino ad allora. Scrisse molti trattati e,
tra questi, La Repubblica. Può essere interessante rileggere quello che è contenuto nel libro VIII, per avere la
conferma che, malgrado siano trascorsi duemila e cinquecento anni, la Rivoluzione francese, la rivoluzione
industriale, l’avvento delle più moderne tecnologie,
l’andata sulla Luna e tante altre cose importantissime,
sia di grande attualità ciò che Platone (ah! dimenticavo
di citare l’autore), scrisse a quel tempo.
“ Quando un popolo, divorato dalla sete della libertà, si
trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano
quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che ,
se i governanti resistono alle richieste dei sempre più
esigenti sudditi, sono dichiarati tiranni. E avviene pure
che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il
padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo
pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i
giovani pretendono gli stessi diritti, la stessa considerazione dei vecchi, e questi, per non parere troppo severi,
danno ragione ai giovani.
In questo clima di libertà, nel nome della medesima,
non vi è più riguardo né rispetto per nessuno.
In mezzo a tanta licenza nasce e si sviluppa una mala
pianta: la tirannia” .
PS - C’è qualcuno, tra i nostri “ laeder ”, che possa
essere interessato a leggere questo box?
Luglio 1989: decine di cittadini della DDR scappavano
lungo il confine austro-ungherese, dopo il segnale
dato dai ministri degli Esteri dei due Paesi: il Muro
cominciò a cadere.
Come nel ’56 magiaro e nel ’68 cecoslovacco, anche
nell’89 Vienna fece solo da sponda agli eventi, ma in
modo significativo.
Forti dell’assicurazione di non ingerenza, secondo la
strategia Sinatra, data da Gorbaciov nel 1988, fin dalla primavera del 1889 gli ungheresi avevano dato iniziato a sferrare colpi sostanziali alla cortina di ferro.
Cominciarono innanzitutto a smantellare unilateralmente la “striscia della morte” lungo il confine austriaco, con la scusa che quelle attrezzature erano
obsolete. “Un’operazione cosmetica” aveva dichiarato, il 6 maggio il ministro della Difesa della DDR al
suo capo Erich Honeker, per tranquillizzarlo. Errore!.
Il 12 giugno l’Ungheria aderì alla Convenzione di Ginevra del 1951, impegnandosi a non rimpatriare rifugiati minacciati di ritorsioni.
Il 27 giugno in un incontro bilaterale austro ungherese i due ministri degli Esteri, Alois Mock e Gyula
Horn , sul confine nei pressi di Sopron, tenaglioni alla
mano, tagliarono pezzi di filo spinato, sotto i flash di
decine di fotografi. Le fotografie della scena vennero
diffuse in tutto il mondo.
Il messaggio arrivò ai cittadini della DDR, che erano
soliti passare le vacanze nella zona: si era aperto un
buco nella cortina di ferro.
A luglio erano decine ogni notte coloro che passavano i canneti lungo il confine vicino al lago di Neusiedl
e nei boschi tra Sopron e il Burgenland, e la macchina
dei soccorsi austriaci funzionava a pieno ritmo.
Ad agosto i fuggiaschi erano centinaia al giorno.
Il 10 settembre l’Ungheria annunciò che avrebbe lasciato espatriare migliaia di villeggianti della DDR ancora titubanti nei campeggi. E un minuto dopo la
mezzanotte aprì i cancelli.
I cittadini tedeschi dell’Est che passarono per Vienna
nei quattro mesi precedenti la caduta del Muro furono stimati, dall’allora ambasciatore tedesco in Austria, in 40mila.
Credenze diffuse.
Gilbert K. Chesterson (1874-1936), diceva che non credendo più in Dio, gli esseri umani secolarizzati si sono
messi a credere a tutto. E infatti, oggi, entrati nell’era
dell’abbondanza di massa, dimenticati i fantasmi della
penuria, rimpinzati di pietanze che un tempo potevano
permettersi solo i signori, voltiamo le spalle, inorriditi,
a salcicce e carni “rosse”, deturpate dall’etichetta cancerogene.
La fotografia della prima pagina illustra
una composizione floreale al ristorante La Caléche - Chamonix
Luoghi da visitare, se avete tempo.
La Libreria Piccolomini- Duomo di Siena
Venne fatta costruire nel 1492 dal cardinale Francesco Piccolomini Todeschini (poi papa Pio III), arcivescovo
di Siena, per custodire il patrimonio librario raccolto dallo zio, papa Pio II.
La libreria si trova lungo la navata di sinistra del Duomo, prima del transetto. Tra il 1502 e il 1507 venne affrescata dal Pinturicchio e allievi, tra i quali Amico Aspertini e il giovane Raffaello Sanzio.
Storia. Su mandato del cardinal Francesco, Vescovo di Siena, a partire dal 1497 Lorenzo di Mariano realizzò
il prospetto marmoreo esterno della Libreria, con le due arcate che incorniciano da una parte la porta d’entrata della cappella e dall’altra un tondo raffigurante San Giovanni Evangelista.
La decorazione venne
affidata al Pinturicchio. Il contratto venne stipulato nel 1502 ed è uno dei rari casi di contratti rinascimentali
di grandi cicli pittorici. Vi si legge che la volta doveva essere decorata a “grottesche” e le pareti contenere
dieci storie della vita di Pio II. Dopo un’interruzione dovuta alla morte del papa Pio III, i lavori vennero ripresi
nel 1506. Il tema della libreria costituì un caso insolito nel Cinquecento, ma da un lato esaltava la potenza del
potere papale, messa in discussione dal Savonarola, dall’altro esaltava il potere del casato dei Piccolomini.
Più tardi, ma in una data imprecisata del secolo XVI, il Cardinal Francesco Bandini Piccolomini fece scolpire il
monumento che si trova sulla parete esterna a sinistra del prospetto marmoreo del Marrina.
La volta. E’ composta da un lungo rettangolo centrale retto da spicchi e pennacchi di volte a crociera. Il
rettangolo centrale è suddiviso in fregi e scomparti geometrici con al centro lo stemma Piccolomini. Negli
scomparti si trovano le Virtù e molti riti pagani. Molto interessante la scena del Ratto di Proserpina.
Le pareti. Sono suddivise in dieci arcate, con finti pilastri decorati a grottesche che compongono una specie
di loggiato. Lo stile delle decorazioni ad affresco si avvicina a quello delle miniature: nitido, con colori brillanti, ricolmo di decorazioni e di applicazioni tridimensionali.
Le pareti raccontano dieci episodi salienti della vita di Enea Silvio Piccolomini. Esse sono:
Parete 1 - Enea Silvio Piccolomini parte per il Concilio di Basilea
Parete 2 - Enea Silvio Piccolomini ambasciatore alla Corte di Scozia
Parete 3 - Enea Silvio incoronato poeta dall’Imperatore Federico III
Parete 4 - Enea Silvio fa atto di sottomissione a Eugenio IV
Parete 5 - Enea Silvio, vescovo di Siena, presenta Eleonora di Portogallo all’Imperatore Federico III
Parete 6 - Enea Silvio riceve il cappello cardinalizio
Parete 7 - Pio II, incoronato Pontefice, entra in Vaticano
Parete 8 - Pio II convoca il Concilio di Mantova
Parete 9 - Pio II canonizza Santa Caterina da Siena
Parete 10 - P io II giunge ad Ancona per dare inizio alla Crociata
Le tre Grazie. La sculture è posta al centro della Libreria. Si tratta di una copia romana antica di un originale ellenico del secolo IV - II a. C. Nel Seicento un rettore scrisse che la scultura era indecente e poco consona a un luogo sacro. Nel XIX secolo Pio IX, in visita alla Cattedrale, le notò e disse che era offensivo vedere
nella sacrestia di una chiesa tre donne nude. In realtà la Libreria non fu mai una sacrestia, ma l’osservazione
del papa non poteva essere ignorata e quindi la scultura finì nel Museo dell’Opera del Duomo. Ritornò in
Duomo per decisione del principe di Napoli, Vittorio Emanuele, sollecitato dalla supplica di un artista russo.
Il fascismo la pensò come il papa e la scultura ritornò al Museo; il 25 febbraio 1934, Ugo Ojetti scrisse sul Corriere delle Sera un articolo intitolato “ Le Grazie in Prigione”. Fu Enzo Carli a riportare le tre Grazie nella Libreria nel 1972. Per evitare sorprese ancorò il piedistallo marmoreo quattrocentesco al pavimento.
La cacciata da Paradiso Terrestre. Si trova sopra la porta della Libreria, opera di autore non certo.
La volta
Parete 1
Parete 3
Parete 2
Parete 5
Parete 4
Parete 8
Parete 9
Parete 10
La pagina economico-finanziaria
John Malone, il “cable cowboy”.
Scenari futuri, ma non troppo.
Sconosciuto al gran pubblico europeo, mister Malone (75 anni), è entrato di prepotenza sulla scena
mondiale con l’acquisto da Ecclestone, per 4,4 miliardi di dollari, del controllo dei circuiti della Formula Uno di automobilismo, attraverso Liberty Media, la sua holding americana già presente nel mondo sportivo con la squadra di baseball Atlanta Braves.
John ha un patrimonio personale di 6,3 miliardi di
dollari e le sue società, operanti nel mondo delle tv e
Internet via cavo, hanno 23 milioni di clienti in oltre
30 Paesi. Sempre nel campo delle tv sportive l’anno
scorso la Discovery Communication, di sua proprietà, ha completato l’acquisizione di Eurosport, che in
Europa manda in onda servizi sportivi, dai tornei di
tennis alle Olimpiadi.
Mister Malone è noto anche per la sua passione per i
cavalli e le sconfinate praterie: è infatti il più grande
proprietario terriero privato degli Stati Uniti, con
8.500 chilometri quadrati di terreni, tra il Maine e il
New Mexico.
Per non farsi mancare nulla, due anni fa ha comprato un castello neogotico in Irlanda, Paese d’origine
della sua famiglia.
PS - E’ aperta la scommessa sui prossimi acquisti di
John, ma che siano almeno da un miliardo in su.
Il 2015 ha segnato, per i produttori di robot, un record assoluto di vendite: secondo la International
Federation of Robotics nel mondo sono state vendute 248 mila unità robotiche, con un aumento del 12%
rispetto al 2014.
Il fenomeno sta cambiando la faccia del mondo del
lavoro, così come l’abbiamo concepito fino a qualche
tempo fa. Se si considera che più di un quarto dei
robot acquistati nel 2015 sono andati in Cina, ciò significa che la “grande fabbrica” dei bassi salari ha
dato il via alla sua rivoluzione tecnologica. Nello stesso tempo imprese occidentali stanno riportando in
Europa e negli USA produzioni dislocate qualche
tempo fa in Oriente o in Paesi a basso costo della
mano d’opera.
Adidas, ad esempio, ha riportato produzioni dall’Asia
in Germania, in fabbriche altamente robottizzate.
Purtroppo ciò significa la distruzione di migliaia di
posti di lavoro tradizionali, e non solo nella bassa
qualificazione, ma anche in molti livelli occupazionali
medio alti.
La soluzione: far fare ai robot i lavori sporchi, noiosi,
logoranti e pericolosi che, specie i giovani, rifiutano;
orientarsi verso quella che viene chiamata la corobotica, con l’opera umana affiancata ed aiutata
dalle macchine.
Ultime dalla Cina.
Qualche numero fa AGgazette segnalava il pericolo che la Cina, dopo anni di crescita tumultuosa ma basata su
investimenti a debito per finanziare attività produttive a basso costo , non potesse correggere la tendenza al
ribasso manifestatasi negli ultimi mesi. In effetti a inizio d’anno, con la Borsa di Shanghai che bruciava miliardi,
l’obiettivo di crescita del 6,5% sembrava impossibile da ottenere.
Ma gli ultimi dati di agosto, pubblicati dall’Ufficio nazionale di Statistica di Pechino, smentiscono il pessimismo
degli economisti occidentali che da anni prevedono una caduta della Cina.
La manifattura è salita, su base annua, del 6,3%, la produzione di energia è cresciuta del 7,8%, le vendite al dettaglio hanno accelerato al 10,6%, guidate dal settore automobilistico salito al 13,1%. I negozi tradizionali, così
come in tutto l’Occidente, faticano, ma le vendite online sono schizzate del 26,7%.
Un indice base dell’economia cinese, il Purchasing manager Index, che misura le aspettative delle aziende, è salito a 50,4 punti, segnale di espansione; il tasso di disoccupazione resta al 5,1%; il valore delle vendite di case, in
otto mesi, è salito del 40%.
Gli investimenti statali sono cresciuti del 20% e i consumi, grazie al crescente fenomeno dell’urbanizzazione, il
più imponente della storia, salgono sempre più. Unico neo: il debito complessivo è salito al 250% del Pil.