L`ange de feu | Opéra de Lyon

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Cultura e Critica del Teatro | Persinsala
Fabrizio
Migliorati
ottobre 21, 2016
La stagione lirica dell’Opéra di Lyon si è aperta con L’ange de
feu, l’opera postuma di Prokofiev per troppo tempo
dimenticata. Una scelta che ha colto nel segno, accolta con
grande entusiasmo tanto dal pubblico quanto dalla critica.
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L’ange de feu possiede una storia travagliata e à baton rompu, quasi un
sentimento speculare alla tematica dell’opera: una follia totalizzante che
abolisce il concetto di proficuità. Nel 1919 Prokofiev scopre il romanzo
eponimo di Valéri Brjusov, pubblicato dodici anni prima sulla rivista Vesy e
inizia a lavorare ad libretto. Ma il concepimento dell’opera sarà difficoltoso
proprio per la situazione nella quale si trova il compositore in quel
momento. Trasferitosi negli Stati Uniti, Prokofiev subisce le critiche e le
ironie dei critici americani dell’epoca. Il compositore decide quindi di
ritirarsi in un piccolo villaggio delle Alpi bavaresi per lavorare
assiduamente all’opera, in particolar modo per quanto riguarda la
partitura. Il lavoro giungerà al termine solo nel 1926 ma la prima
rappresentazione avverrà solo dopo la morte del compositore, nel 1954 al
Théâtre des Champs-Elysées a Parigi, e in francese. La prima
rappresentazione scenica avrà luogo alla Fenice l’anno successivo, sotto la
direzione di Nino Sanzogno e con la regia di Giorgio Strelher, mentre la
prima rappresentazione originale avverrà solo nel 1981 a Praga.
Ruprecht (Laurent Naouri) è un cavaliere di ritorno dalle Americhe e,
deciso a fare tappa in una modesta locanda tedesca, si interroga sulle urla
provenienti dalla stanza adiacente. La regia di Benedict Andrews
immagina questo ascolto e questa follia attraverso la moltiplicazione dei
due personaggi, creando un vortice umano mascherato e inquietante.
Facendo irruzione in essa, il cavaliere scopre una donna, Renata (Ausrine
Stundyte) parzialmente svestita – rappresentata qui come una prostituta (i
costumi i Victoria Behr producono un forte effetto di straniamento durante
tutto lo svolgimento dell’opera) che prega una forza invisibile di lasciarla
in pace. Gettandosi nelle braccia di Ruprecht, Renata lo chiama per nome
e questo terrorizza il cavaliere che si interroga su questa strana magia. La
visione (che appartiene solo a chi la subisce) di Renata ci permette di
sentire immediatamente la temperatura della drammaturgia e si avvicina
pericolosamente all’isteria e all’epilessia. Ruprecht interviene più che
come un cavaliere salvatore, come un esorcista invocato dalla stessa
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posseduta. Renata si trova, dunque, a raccontare la sua visione e la
propria persecuzione/fissazione per questo essere sovrannaturale. Ecco
che la scena diviene una ruota di souvenir dolci e inquietanti,
accompagnati dall’angelo di fuoco, Madiel, solito giocare con lei fino a
quando, la giovane Renata inizia a provare il desiderio di unirsi
carnalmente con lui. La promessa dell’angelo è quella di tornare dopo un
anno, sotto le sembianze umane. Renata crede di ritrovare il suo angelo
nel conte Heinrich con il quale vive un’intensa relazione. Ma Renata verrà
lasciata dal conte e da quel momento ella vive in preda alle allucinazioni.
La locanda non è più il luogo dove sostare tranquillamente, e consigliati da
una veggente (Mairam Sokolova) inviata dalla locandiera (Margarita
Nekrasova), Renata e Ruprecht decidono di partire a Colonia alla ricerca
del conte.
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La scenografia concepita per il secondo atto è quanto di più minimalista e
tagliente vi possa essere e provoca uno slittamento di senso e una non
perfetta aderenza tra il testo e la realizzazione scenica. Colonia è ridotta
ad una lingua di terreno che fende la scena e ciò provoca un effetto affatto
disturbante ed estremamente arricchente. La ricerca del conte è sterile
ma Ruprecht riesce a incontrare il sapiente e mago Agrippa di Netteshein
(Dmitry Golovnin), senza che questi possa rivelargli i segreti della magia.
La scelta di vestire Agrippa come un mago di cabaret ci palesa la chiave di
lettura scenica dell’opera: la discrasia testo-immagine è l’innovazione e la
mescolanza epocale, una linea sensibile lanciata all’interno del tempo che
non rispetta la filologia per aprire l’opera ad una lettura trasversale
incessante.
La follia visionaria di Renata cresce di importanza e di influenza e il povero
Ruprecht è ridotto a schiavo delle minacce e dei desideri della
protagonista. Egli è incitato a sfidare a duello il conte Heinrich ma, alla
vigilia del giorno stabilito, Renata lo implora di lasciarlo vivere poiché egli
è il suo angelo di fuoco. Ruprecht riuscirà a sopravvivere miracolosamente
al duello. Mossa dalla compassione e profondamente colpita dalla
drammatica scena, Renata dichiara il proprio amore per il valente
cavaliere.
L’instabilità decisionale di Renata è la forza dinamica dell’opera, ciò che la
fonda e che la mantiene nella sua tensione. Dopo essersi dichiarata a
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Ruprecht, Renata cambia idea ed è risoluta a farsi suora per scampare al
diavolo (che ora vede in Ruprecht) e per salvarlo dalla dannazione. Si apre
quindi, in mezzo all’opera, uno spazio che accoglie una scena
apparentemente decontestualizzata. Sulla piazza di Colonia, Faust (Taras
Shtonda) e Mefistofele (Dmitry Golovnin) disquisiscono sul carattere fittizio
delle cose umane. Quest’ultimo divora il figlio del padrone della locanda,
facendolo in seguito apparire nel bidone della spazzatura poco più lontano.
La discrasia testo-immagine continua anche qui: se i clienti ordinano vino,
essi ricevono una volgare lattina di birra.
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L’ultimo atto è un crescendo epico e drammatico e la perfetta direzione
dell’orchestra del maestro Kazushi Ono sottolinea veementemente la forza
della partitura di Prokofiev. Le suore de convento formano un coro greco a
due voci che didascalizza i sentimenti e le azioni che si svolgono sulla
scena. L’inquisitore (Almas Svilpa) chiamato per indagare sugli strani
fenomeni che stanno avvenendo nel convento, vestito come un semplice
prete di provincia, interroga le novizie che iniziano a mostrare i segni di
una possessione demoniaca. La follia di Renata si rivela essere una
malattia pandemica che si sparge e che ingloba tutto. Sotto gli occhi di
Faust e Mefistofele, accompagnati dall’impotente Ruprecht, le forze del
male divorano tutto. Il convento è posseduto e l’inquisitore diviene egli
stesso vittima del potere occulto. Egli si rivela l’angelo del fuoco mentre
Renata scompare tra le fiamme del rogo purificatore.
La prima di L’ange de feu si chiude qui, tra gli applausi e i “Bravo”
dell’esigente pubblico lionese, conquistato da quest’opera perfettamente
riuscita.
Le public lyonnais a accueilli avec enthousiasme l’opéra L’ange de
feu de Prokofiev dans la courageuse et audacieuse mise en scène de
Benedict Andrews. Un succès mérité pour un opéra posthume du
compositeur russe qui a inauguré la saison à l’Opéra de Lyon.
Lo spettacolo va in scena:
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Place de la Comédie – Lione
martedì 11, giovedì 13, sabato 15, lunedì 17, mercoledì 19 e venerdì 21
ottobre ore 20.00, domenica 23 ottobre ore 16.00
L’Opéra de Lyon presenta
L’ange de feu
di Sergej Prokofiev
la
opera in cinque atti, 1954 (versione concerto), 1955 (versione scenica)
libretto di Sergej Prokofiev, dall’opera di Valerij Brjusov
in russo
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direzione musicale Kazushi Ono
messa in scena Benedict Andrews
collaborazione artistica alla messa in scena Tamara Heimbrock
drammaturgia Pavel B. Jiracek
decoro Johannes Schütz
costumi Victoria Behr
luci Diego Leetz
direttore dei cori Philip White
Ruprecht Laurent Naouri
Renata Ausrine Stundyte
la locandiera Margarita Nekrasova
la veggente / madre superiora Mairam Sokolova
Jakob Glock Vasily Efimov
Agrippa von Nettesheim / Méphistophélès Dmitry Golovnin
Faust Taras Shtonda
servitore / l’oste Ivan Thirion
inquisitore / Heinrich Almas Svilpa
orchestra e cori dell’Opéra de Lyon
produzione della Komishe Oper de Berlin
www.opera-lyon.com
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Kazushi Ono ©Pierre Maurin
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Ausrine Stundyte ©Schneider Photography
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Laurent Naouri ©Bernard Martinez
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