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Santa Margherita Maria Alacoque, Vergine
16 ottobre
La memoria di Santa Margherita Maria Alacoque, francese, è legata alla diffusione della devozione del Sacro Cuore, una devozione tipica dei tempi moderni, e promossa infatti soltanto tre
secoli fa, quando soffiò sulla Francia il vento gelido del Giansenismo, foriero della tormenta
dell'Illuminismo.
All'origine della devozione al Cuore di Gesù si trovano due grandi Santi: Giovanni Eudes e Margherita Maria Alacoque. Del primo abbiamo già parlato il 19 agosto. dicendo come questo moschettiere dell'amore di Gesù e Maria fosse il primo e più fervido propagatore del nuovo culto.
Santa Margherita Maria Alacoque, da parte sua, fu colei che rivelò in tutta la loro mirabile profondità i doni d'amore dei cuore di Gesù, traendone grazie strepitose per la propria santità, e la
promessa che i soprannaturali carismi sarebbero stati estesi a tutti i devoti del Sacro Cuore.
Nata in Borgogna nel 1647, Margherita ebbe una giovinezza difficile, soprattutto perché non le
fu facile sottrarsi all'affetto dei genitori, e alle loro ambizioni mondane per la figlia, ed entrare, a
ventiquattro anni, neII'Ordine della Visitazione, fondato da San Francesco di Sales. Margherita,
diventata suor Maria, restò vent'anni tra le Visitandine, e fin dall'inizio si offrì " vittima al Cuore
di Gesù ". In cambio ricevette grazie straordinarie, come fuor dell'ordinario furono le sue continue penitenze e mortificazioni sopportate con dolorosa gioia. Fu incompresa dalle consorelle,
malgiudicata dai Superiori. Anche i direttori spirituali dapprima diffidarono di lei, giudicandola
una fanatica visionaria. " Ha bisogno di minestra ", dicevano, non per scherno, ma per troppo
umana prudenza.
Ci voleva un Santo, per avvertire il rombo della santità. E fu il Beato Claudio La Colombière, che
divenne preziosa e autorevole guida della mistica suora della Visitazione, ordinandole di narrare, nella Autobiografia, le sue esperienze ascetiche, rendendo pubbliche le rivelazioni da lei avute.
"Ecco quel cuore che ha tanto amato gli uomini", le venne detto un giorno, nel rapimento di una
visione: una frase restata quale luminoso motto della devozione al Sacro Cuore. E poi, le promesse: "Il mio cuore si dilaterà per spandere con abbondanza i frutti del suo amore su quelli che
mi onorano". E ancora: "I preziosi tesori che a te discopro, contengono le grazie santificanti per
trarre gli uomini dall'abisso di perdizione".
Per ispirazione della Santa, nacque così la festa del Sacro Cuore, ed ebbe origine la pratica pia
dei primi Nove Venerdì del mese. Vinta la diffidenza, abbattuta l'ostilità, scossa la indifferenza,
si diffuse nel mondo la devozione a quel Cuore che a Santa Margherita Alacoque era apparso "su
di un trono di fiamme, raggiante come sole, con la piaga adorabile, circondato di spine e sormontato da una croce". E’ l'immagine che appare ancora in tante case, e che ancora protegge, in
tutto il mondo, le famiglie cristiane.
Sant' Ignazio di Antiochia, Vescovo e martire
17 ottobre
Dalla data del 1° febbraio, la memoria di Sant'Ignazio Martire è stata riportata ad oggi, data
tradizionale del suo martirio, dal nuovo Calendario ecclesiastico, che la prescrive come obbligatoria per tutta la Chiesa.
Sant'Ignazio fu il terzo Vescovo di Antiochia, in Siria, cioè della terza metropoli del mondo antico dopo Roma e Alessandria d'Egitto.
Lo stesso San Pietro era stato primo Vescovo di Antiochia, e Ignazio fu suo degno successore:
un pilastro della Chiesa primitiva così come Antiochia era uno dei pilastri del mondo antico.
Non era cittadino romano, e pare che non fosse nato cristiano, e che anzi si convertisse assai
tardi. Ciò non toglie che egli sia stato uomo d'ingegno acutissimo e pastore ardente di zelo. I
suoi discepoli dicevano di lui che era " di fuoco ", e non soltanto per il nome, dato che ignis in latino vuol dire fuoco.
Mentre era Vescovo ad Antiochia, l'Imperatore Traiano dette inizio alla sua persecuzione, che
privò la Chiesa degli uomini più in alto nella scala gerarchica e più chiari nella fama e nella santità.
Arrestato e condannato ad bestias, Ignazio fu condotto, in catene, con un lunghissimo e penoso
viaggio, da Antiochia a Roma dove si allestivano feste in onore dell'Imperatore vittorioso nella
Dacia e i Martiri cristiani dovevano servire da spettacolo, nel circo, sbranati e divorati dalle belve.
Durante il suo viaggio, da Antiochia a Roma, il Vescovo Ignazio scrisse sette lettere, che sono
considerate non inferiori a quelle di San Paolo: ardenti di misticismo come quelle sono sfolgoranti di carità. In queste lettere, il Vescovo avviato alla morte raccomandava ai fedeli di fuggire
il peccato; di guardarsi dagli errori degli Gnostici; soprattutto di mantenere l'unità della Chiesa.
D'un'altra cosa poi si raccomandava, scrivendo particolarmente ai cristiani di Roma: di non intervenire in suo favore e di non tentare neppure di salvarlo dal martirio.
"lo guadagnerei un tanto - scriveva - se fossi in faccia alle belve, che mi aspettano. Spero di trovarle ben disposte. Le accarezzerei, anzi, perché mi divorassero d'un tratto, e non facessero come a certuni, che han timore di toccarli: se manifestassero queste intenzioni, io le forzerei ".
E a chi s'illudeva di poterlo liberare, implorava: " Voi non perdete nulla, ed io perdo Iddio, se riesco a salvarmi. Mai più mi capiterà una simile ventura per riunirmi a Lui. Lasciatemi dunque immolare, ora che l'altare è pronto! Uniti tutti nel coro della carità, cantate: Dio s'è degnato di
mandare dall'Oriente in Occidente il Vescovo di Siria! ".
Infine prorompeva in una di quelle immagini che sono rimaste famose nella storia dei Martiri: "
Lasciatemi essere il nutrimento delle belve, dalle quali mi sarà dato di godere Dio. lo sono frumento di Dio. Bisogna che sia macinato dai denti delle belve, affinché sia trovato puro pane di
Cristo ".
E, giunto a Roma, nell'anno 107, il Vescovo di Antiochia fu veramente " macinato " dalle innocenti belve del Circo, per le quali il Martire trovò espressioni di una insolita tenerezza e poesia: "
Accarezzatele, scriveva infatti, affinché siano la mia tomba e non faccian restare nulla del mio
corpo, e i miei funerali non siano a carico di nessuno ".
Sant' Osea Profeta
17 ottobre
Il ‘Martirologio Romano’, ricorda al 17 novembre il profeta Osea, l’ebraico Hoseah, il cui nome
significa “salvato dal Signore”.
Osea apre nella Bibbia la serie dei cosiddetti “Profeti Minori”, ma in realt{ la sua è una testimonianza di alto profilo e si basa su un’esperienza personale e familiare, che viene presa a simbolo
religioso per tutto il popolo ebraico.
Contemporaneo del profeta Amos, Osea visse e operò nel regno settentrionale d’Israele, di cui
era anche originario, nella seconda met{ dell’VIII secolo a.C.; più precisamente predicò al popolo la Parola di Dio, in un periodo di tempo racchiuso tra il 750 e il 754 a.C., mentre si maturava la
rovina di quel regno scismatico (721 a.C.) che si era separato dal regno di Giuda, dopo la morte
di Salomone (931 a.C.).
Figlio di Beeri, Osea scrisse i suoi oracoli profetici al tempo di Ezechia re di Giuda e di Geroboamo II re d’Israele; il libro omonimo consta di 14 capitoli, i cui primi tre, sviluppano la sofferta storia personale e familiare del profeta.
Dietro ordine di Dio, egli sposò una prostituta di nome Gomer, figlia di Diblaim (forse era una
sacerdotessa dei culti della fertilità a sfondo sessuale, del dio Baal dei cananei), dalla quale ebbe
tre figli dai nomi simbolici, il primo Izreel, dal nome della citt{ dove abitavano d’estate i re
d’Israele; la seconda figlia ebbe il nome chiesto da Dio di “Non-amata” e il terzo il nome sempre
dettato da Dio, di “Non-popolo-mio”.
E la situazione familiare di Osea sarà il filo conduttore di tutto il Libro, perché la moglie Gomer,
pur essendo amata dal profeta, dopo qualche tempo riprese a prostituirsi con numerosi amanti,
abbandonando il marito ed i figli; i cui nomi simbolici riflettono la dolorosa situazione familiare.
Ma l’amore di Osea per la moglie infedele, gli fa superare il furore che ne scaturiva, convincendo
Gomer a ritornare in famiglia dove c’era amore e perdono; nel capitolo 3 egli descrive così la ricongiunzione:
[Il Signore mi disse: “V{ di nuovo, ama la donna amata da suo marito, benché adultera, come il
Signore ama i figli d’Israele, benché essi si volgano verso altri dei e amino le schiacciate di uve
passe”. Io dunque me la comprai per quindici pezzi d’argento e una misura e mezza di orzo. Poi
le dissi: “Per un lungo periodo rimarrai al tuo posto con me, non ti prostituirai e non sarai di un
altro e neppure io verrò da te”.
Perché per un lungo periodo i figli d’Israele saranno senza re e senza principe, senza sacrificio e
senza stele… Dopo ciò i figli d’Israele si convertiranno, cercheranno il Signore loro Dio e Davide
loro re, trepidanti accorreranno al Signore e ai suoi beni, alla fine dei giorni].
È evidente il parallelismo tra Dio e il popolo d’Israele, che come una moglie infedele ha provocato le ire del suo Sposo divino; per la prima volta nella Bibbia, Dio viene esaltato come lo Sposo
del suo popolo, perché l’alleanza che lo lega ad esso, è un patto d’amore.
Il profeta Osea nei capitoli successivi, condanna le classi dirigenti d’Israele, i re che hanno fatto
scelte laiche e mondane e i sacerdoti che hanno abbandonato lo zelo, trascurando il loro ministero, portando il popolo alla rovina.
Egli si scaglia contro le violenze e le ingiustizie, soprattutto contro l’infedelt{ religiosa, ma poi il
profeta, con pagine di eccezionale vigore, descrive l’amore di Dio con mirabili accenti di intimit{
e tenerezza, che sebbene tradito, continua vivo e pieno di sollecitudine, al fine di ricondurre a sé
il popolo infedele.
A partire da Osea, la raffigurazione dell’alleanza tra Jahvé e Israele, non sar{ più modellata,
come al Sinai, sulla base di un rapporto tra un re e un suo vassallo, cioè un rapporto ‘politico’ tra
due personaggi; viene invece rappresentata come una relazione d’amore tra due sposi, con aspetti di comunione, spontaneità, intimità; tema che verrà ripreso dai profeti successivi, sia pure in forme diverse, costituendo un simbolismo efficace anche per il Nuovo Testamento.
Al di là del simbolismo, con cui Osea ha scritto il suo oracolo profetico, per richiamare l’infedele
popolo d’Israele, gli studiosi sono concordi nel ritenere vere le disavventure familiari del profeta,
che egli trasfigura facendole diventare una parabola dell’intera vicenda del popolo, che di fronte
all’amore fedele da parte del Signore, la “sposa” Israele, aveva risposto con l’infedelt{
dell’idolatria cananea, definita appunto come prostituzione e adulterio.
San Luca Evangelista
18 ottobre
I medici-chirurghi sono cristianamente sotto la protezione dei Santi Cosma e Damiano, i martiri
guaritori anargiri vissuti nel III secolo e attivi gratuitamente in Siria. Anche altri santi “minori “
sono invocati, specialmente per alcune branche specialistiche come l’oculistica e l’odontoiatria.
Ma il principe patrono della categoria è, senza ombra di dubbio, San Luca evangelista, che una
lunga tradizione vuole originario di Antiochia, tanto da essere denominato “il medico antiocheno”.
Come è noto, tale importante citt{, che corrisponde all’attuale Antakia nella Turchia sudorientale, fu fondata quale capitale del regno di Siria nel 301 a.C.; vi fiorì una numerosa colonia giudaica e fu poi sede di una delle più antiche comunità cristiane. Luca, il cui nome è probabilmente
abbreviazione di Lucano, vi nacque come pagano, ma diventò proselita o quanto meno simpatizzante della religione ebraica.
Egli non era discepolo di Gesù di Nazaret; si convertì dopo, pur non figurando nemmeno come
uno dei primitivi settantadue discepoli. Diventò membro della comunità cristiana antiochena,
probabilmente verso l’anno 40. Fu poi compagno di San Paolo (Tarso, inizio I° secolo/ forse 8
d.C.-Roma, 67 ca.) in alcuni suoi viaggi. Lo si trova con l’apostolo delle genti a Filippi, Gerusalemme e Roma. Sostanzialmente suo discepolo, condivise la visione universale paolina della
nuova religione e, allorché decise di scrivere le proprie opere, lo fece soprattutto per le comunità
evangelizzate da Paolo, ossia in genere per convertiti dal paganesimo. Si incontrò tuttavia anche con San Giacomo il Minore, capo della Chiesa di Gerusalemme, con San Pietro, più a lungo
con San Barnaba e forse con San Marco.
La qualifica di medico attribuita a Luca viene confermata, secondo gli studiosi, dall’esame interno delle sue opere. La sua cultura e la preparazione specifica erano sicuramente note tra le
comunità di cui faceva parte; potrebbe addirittura avere curato la Madre del Signore. Certamente la sua cultura generale e la sua esperienza degli uomini erano piuttosto notevoli. Prove ne
siano lo stile e l’uso della lingua greca nonché la struttura stessa dei suoi scritti: il terzo Vangelo
e gli Atti degli Apostoli. La data di composizione degli Atti viene fatta risalire agli anni 63-64,
quella del Vangelo ad un anno o due prima. Luca coltivava anche l’arte e la letteratura.
Un’antica tradizione lo vuole addirittura autore di alcune “Madonne” che si venerano ancora ai
nostri giorni, come in Santa Maria Maggiore a Roma.
Egli è il solo evangelista a dilungarsi sull’infanzia di Gesù ed a narrare episodi della vita della
Madonna che gli altri tre non hanno riferito. Le fonti della sua narrazione furono i racconti dei
discepoli e delle donne che vissero al seguito di Gesù; quasi sicuramente i Vangeli di Matteo e di
Marco, che lui conosceva. Con la precisione cronologica e spesso geografica con la quale riferì
delle vicende del Vangelo, così egli, insieme a tanta passione, raccontò negli Atti i primi passi
della comunità cristiana dopo la Pentecoste.
Per alcuni studiosi Luca avrebbe scritto parecchio nella regione della Beozia, regione dell’antica
Grecia confinante a sud con il golfo di Corinto e l’Attica. Tale regione fu sede di regni importanti
come quello di Tebe. Per i Greci addirittura l’evangelista sarebbe morto in quei luoghi all’et{ di
ottantaquattro anni, senza essersi mai sposato e senza avere avuto figli. Per altri invece egli sarebbe morto in Bitinia, regione nord-occidentale dell’odierna Turchia.
Per la verità nulla di certo si sa della vita di Luca dopo la morte di San Paolo. Addirittura non si
conosce sicuramente se egli abbia terminato la propria esistenza terrena con una morte naturale oppure come martire appeso ad un olivo. Ovviamente ignoto è il luogo della prima sepoltura.
Vi sono tre città soprattutto che si appellano ad una tradizione di traslazione del corpo
dell’evangelista: Costantinopoli, Padova e Venezia. Sono citt{ quindi intorno alle quali e dalle
quali si diffuse il suo culto. Recentissimi studi avrebbero dimostrato che sue sono le spoglie
mortali, eccezione fatta per il capo, conservate a Padova nella basilica benedettina di Santa
Giustina. In tale città veneta sarebbero giunte per sottrarle alla distruzione degli iconoclasti e là
gi{ nel XIV secolo fu per loro costruita una cappella ed un’Arca, detta appunto di San Luca.
II simbolo di San Luca evangelista è il vitello, animale sacrificale. II 18 ottobre viene celebrata
nella Chiesa universale la sua solennit{, la solennit{ di Colui che Dante ha definito lo “scriba della mansuetudine di Cristo” per il predominio, nel suo Vangelo, di immagini di mitezza, di gioia e
di amore.
Sant' Irene del Portogallo, Martire
20 ottobre
Sono più d'una, nei calendari, le Sante con il nome di Irene. Nome bello nel suono e nel significato, perché deriva dalla parola greca che significa " pace ". La Santa Irene di oggi è una delle più
note, grazie soprattutto a una pittoresca leggenda che ha incontrato grande popolarità in molti
paesi, benché abbia ben poco di verosimile. Narra dunque come Irene, nata nel Portogallo sulla
metà del VI secolo, fosse religiosa in un monastero di vergini consacrate a Dio. Benché modesta
e pudica, ella spiccava tra le consorelle per la sua eccezionale bellezza di lineamenti.
Si innamorò di lei un giovane signore, che più volte la chiese in sposa. Irene gli fece capire come
ciò fosse impossibile, e non per sprezzo o antipatia, ma per restare fedele a un impegno più alto.
Al rifiuto, il giovane, sinceramente innamorato, si afflisse tanto da ridursi gravemente ammalato. Spronata dalla carità, Irene si recò a visitarlo, e lo consolò con parole così ispirate da far presto guarire l'innamorato giovane.
Ma la storia non finì lì. Un religioso indegno, turbato dalla bellezza di Irene, tentò di corrompere
la giovane, sua penitente. Non riuscendovi, egli si vendicò atrocemente. Offrì alla fanciulla una
misteriosa bevanda, e poco dopo Irene mostrò i segni di una prossima maternità.
Lo scandalo dilagò. Lo seppe anche il primo pretendente, il quale, giustamente si ritenne odiosamente beffato. Mandò perciò un sicario per punire la donna, da lui ritenuta menzognera e impudica.
Il sicario recise con la spada la testa di Irene, poi ne gettò il corpo nelle acque di un fiume. La corrente portò il corpo di Irene fino al Tago, poi lo fece arenare presso la città di Scallabis; dove viveva un Abate, zio della fanciulla. Avvertito in visione dell'accaduto, l'Abate si recò in
processione a raccogliere le spoglie dell'uccisa.
Non fu difficile comprovare l'innocenza della fanciulla, Martire senza colpa. La sua vicenda
commosse l'intera città, tanto che da allora venne chiamata, non più Scallabis, ma Santarèm,
cioè " Sant'Irene ".
Abbiamo già detto che questa popolarissima leggenda non ha nessun fondamento reale. La
Santa di oggi, la Santa Irene di Santarèm, altro non è che l'immaginario " doppione " di un'altra
Martire dallo stesso nome.
Sant'Irene, Martire di Tessalonica nei primi secoli, era particolarmente venerata a Scallabis, dove si trovavano alcune sue reliquie. La devozione per l'antica Martire orientale dette corpo alla
leggenda della Santa dallo stesso nome, ma con le fattezze di una fanciulla portoghese. Si volle
insomma rendere più edificante e commovente un esempio di virtù e di eroismo, non però allo
scopo di ingannare i fedeli, ma al contrario per accrescere il loro zelo e ravvivare il loro affetto
per la Santa.
Beato Giuseppe Puglisi, Sacerdote e martire
21 ottobre
Dallo 25 maggio 2013 l’antimafia va in paradiso; anche se il primo a riderne sarebbe proprio lui,
don Pino Puglisi, il prete antimafia per eccellenza, che tuttavia non è stato mai una prete ”anti”,
piuttosto sempre un prete “per”. Le sue umili origini (pap{ calzolaio, mamma sarta) affondano a
Brancaccio, il quartiere palermitano dove nasce il 15 settembre 1937 e sempre ad alta concentrazione di miseria (non sempre solo materiale), di delinquenza, di corruzione. E di mafia. Con la
quale il prete di Brancaccio deve ben presto confrontarsi, perché del suo quartiere finisce nel
1990 per essere nominato parroco. Nei 28 anni precedenti ha ricoperto i più svariati incarichi,
dall’insegnamento alla pastorale vocazionale, dalla direzione spirituale di giovani e religiose alla
rettoria del seminario minore fino all’accompagnamento delle giovani coppie, rivelandosi sempre fine educatore, consigliere illuminato ed incisivo formatore di coscienze, comunque un prete
“rompiscatole”, come ama definirsi, che non lascia tranquilli i suoi interlocutori, sempre stimolandoli ad una maggior autenticità cristiana. Significativi, dal punto di vista pastorale, i suoi otto anni passati nella comunità di Godrano, contrassegnata da una atavica e sanguinosa faida,
che riesce a debellare a colpi di Vangelo e carità, insegnando e inculcando la forza trasformante
della riconciliazione cristiana e del perdono vicendevole. Ritorna a Brancaccio da parroco, umanamente ormai maturo perché oltre la soglia dei 50 anni, ma, soprattutto, pastoralmente ben
collaudato, con uno stile pedagogico e formativo ben definito e una passione per i giovani che
con il tempo è andata aumentando anziché affievolirsi. Sono loro, infatti, a dover essere sot -
tratti, uno ad uno, all’influenza mafiosa, per creare una nuova cultura della legalità e
un’autentica promozione umana, che passi attraverso il risanamento del quartiere, la creazione
di nuove opportunità lavorative, il recupero di condizioni di vita dignitose, ulteriori possibilità di
scolarizzazione. Per fare questo don Puglisi non si risparmia e non esclude alcun mezzo, dalla
predica in chiesa con toni accesi ed inequivocabili alla promozione in piazza di manifestazioni e
marce antimafia che raccolgono sempre più adesioni e che per la malavita locale sono un autentico pugno nello stomaco. In soli tre anni di intensa attività la mafia si vede progressivamente
privata di manovalanza e, soprattutto, di consenso popolare da quel prete che ben presto diventa una sgradita “interferenza” e che raccoglie i giovani in un centro, intitolato al Padre Nostro, dove fa ripetizione ai bambini poveri, destinati a un futuro di disagio o di asservimento alla
potenza dei boss. A tutti ripete che “da soli, non saremo noi a trasformare il quartiere. Noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualcosa, e se ognuno fa qualcosa, allora si può fare
molto…”. Cominciano ad arrivare i primi avvertimenti, le prime molotov e le prime porte incendiate, ma don Pino non è tipo da lasciarsi intimorire: “Non ho paura delle parole dei violenti, ma
del silenzio degli onesti”, denuncia in chiesa. È in questo contesto che viene decretata la sua
condanna a morte da parte dei boss Graviano. I sicari lo avvicinano davanti alla porta di casa il 15
settembre 1993, sera del suo 56° compleanno e lo eliminano con un colpo di pistola alla nuca,
tentando di far apparire l’omicidio come conseguenza di una rapina finita male. È Salvatore Grigoli, quello che ha premuto il grilletto, a ricordare il suo ultimo sorriso e le parole “Me
l’aspettavo”, che dicono come quella morte non sia un incidente di percorso ma un rischio di cui
don Pino era ben cosciente. Quell’assassinio “ci sembrò subito come una maledizione, perché
da allora cominciò ad andarci tutto storto”, riferisce sempre Grigoli, che intanto ha iniziato un
percorso di conversione, imitato alcuni anni dopo dall’altro sicario, Gaspare Spatuzza. Entrambi
attribuiscono il ravvedimento alla loro vittima, da cui sono certi di essere stati perdonati. Dopo
trent’anni la Chiesa riconosce la morte di don Puglisi come martirio “in odio alla fede”, privando
di fatto la mafia di quell’aura di religiosit{, o meglio di devozionismo che alcuni boss hanno ostentato. Chiss{ se a lui non sta un po’ stretta, ora, la nuova qualifica di “beato”, che può rischiare, come qualcuno teme, di trasformarlo in un “santino” più che in un santo, edulcorando
cioè la forza della sua testimonianza. Ma, a ben guardare, non dipende da lui: dipende da noi.
San Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla), Papa
22 ottobre
Karol Józef Wojtyła, eletto Papa il 16 ottobre 1978, nacque a Wadowice, citt{ a 50 km da Cracovia, il 18 maggio 1920.
Era il secondo dei due figli di Karol Wojtyła e di Emilia Kaczorowska, che morì nel 1929. Suo fratello maggiore Edmund, medico, morì nel 1932 e suo padre, sottufficiale dell’esercito, nel 1941.
A nove anni ricevette la Prima Comunione e a diciotto anni il sacramento della Cresima. Terminati gli studi nella scuola superiore Marcin Wadowita di Wadowice, nel 1938 si iscrisse
all’Universit{ Jagellónica di Cracovia.
Quando le forze di occupazione naziste chiusero l’Universit{ nel 1939, il giovane Karol lavorò
(1940-1944) in una cava ed, in seguito, nella fabbrica chimica Solvay per potersi guadagnare da
vivere ed evitare la deportazione in Germania.
A partire dal 1942, sentendosi chiamato al sacerdozio, frequentò i corsi di formazione del seminario maggiore clandestino di Cracovia, diretto dall’Arcivescovo di Cracovia, il Cardinale Adam
Stefan Sapieha. Nel contempo, fu uno dei promotori del "Teatro Rapsodico", anch’esso clandestino.
Dopo la guerra, continuò i suoi studi nel seminario maggiore di Cracovia, nuovamente aperto, e
nella Facolt{ di Teologia dell’Universit{ Jagellónica, fino alla sua ordinazione sacerdotale a Cracovia il 1 novembre 1946. Successivamente, fu inviato dal Cardinale Sapieha a Roma, dove conseguì il dottorato in teologia (1948), con una tesi sul tema della fede nelle opere di San Giovanni
della Croce. In quel periodo, durante le sue vacanze, esercitò il ministero pastorale tra gli emigranti polacchi in Francia, Belgio e Olanda.
Nel 1948 ritornò in Polonia e fu coadiutore dapprima nella parrocchia di Niegowić, vicino a Cracovia, e poi in quella di San Floriano, in città. Fu cappellano degli universitari fino al 1951, quan-
do riprese i suoi studi filosofici e teologici. Nel 1953 presentò all’Universit{ cattolica di Lublino
una tesi sulla possibilità di fondare un’etica cristiana a partire dal sistema etico di Max Scheler.
Più tardi, divenne professore di Teologia Morale ed Etica nel seminario maggiore di Cracovia e
nella Facoltà di Teologia di Lublino.
Il 4 luglio 1958, il Papa Pio XII lo nominò Vescovo titolare di Ombi e Ausiliare di Cracovia. Ricevette l’ordinazione episcopale il 28 settembre 1958 nella cattedrale del Wawel (Cracovia), dalle
mani dell’Arcivescovo Eugeniusz Baziak.
Il 13 gennaio 1964 fu nominato Arcivescovo di Cracovia da Paolo VI che lo creò Cardinale il 26
giugno 1967.
Partecipò al Concilio Vaticano II (1962-65) con un contributo importante nell’elaborazione della
costituzione Gaudium et spes. Il Cardinale Wojtyła prese parte anche alle 5 assemblee del Sinodo dei Vescovi anteriori al suo Pontificato.
Viene eletto Papa il 16 ottobre 1978 e il 22 ottobre segue l'inizio solenne del Suo ministero di
Pastore Universaledella Chiesa.
Dall’inizio del suo Pontificato, Papa Giovanni Paolo II ha compiuto 146 visite pastorali in Italia e,
come Vescovo di Roma, ha visitato 317 delle attuali 332 parrocchie romane. I viaggi apostolici
nel mondo - espressione della costante sollecitudine pastorale del Successore di Pietro per tutte
le Chiese - sono stati 104.
Tra i suoi documenti principali si annoverano 14 Encicliche, 15 Esorta-zioni apostoliche, 11 Costituzioni apostoliche e 45 Lettere apostoliche. A Papa Giovanni Paolo II si ascrivono anche 5 libri:
"Varcare la soglia della speranza" (ottobre 1994); "Dono e mistero: nel cinquantesimo anniversario del mio sacerdozio" (novembre 1996); "Trittico romano", meditazioni in forma di poesia
(marzo 2003); "Alzatevi, andiamo!" (maggio 2004) e "Memoria e Identità" (febbraio 2005).
Papa Giovanni Paolo II ha celebrato 147 cerimonie di beatificazione - nelle quali ha proclamato
1338 beati - e 51 canonizzazioni, per un totale di 482 santi. Ha tenuto 9 concistori, in cui ha crea-
to 231 (+ 1 in pectore) Cardinali. Ha presieduto anche 6 riunioni plenarie del Collegio Cardinalizio.
Dal 1978 ha convocato 15 assemblee del Sinodo dei Vescovi: 6 generali ordinarie (1980, 1983,
1987, 1990; 1994 e 2001), 1 assemblea generale straordinaria (1985) e 8 assemblee speciali
(1980, 1991, 1994, 1995, 1997, 1998 [2] e 1999).
Nessun Papa ha incontrato tante persone come Giovanni Paolo II: alle Udienze Generali del
mercoledì (oltre 1160) hanno partecipato più di 17 milioni e 600mila pellegrini, senza contare
tutte le altre udienze speciali e le cerimonie religiose (più di 8 milioni di pellegrini solo nel corso
del Grande Giubileo dell’anno 2000), nonché i milioni di fedeli incontrati nel corso delle visite pastorali in Italia e nel mondo; numerose anche le personalità governative ricevute in udienza: basti ricordare le 38 visite ufficiali e le altre 738 udienze o incontri con Capi di Stato, come pure le
246 udienze e incontri con Primi Ministri.
Muore a Roma, nel suo alloggio nella Città del Vaticano, alle ore 21.37 di sabato 2 aprile 2005. I
solenni funerali in Piazza San Pietro e la sepoltura nelle Grotte Vaticane seguono l'8 aprile.