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Ascolto e condivisione della Parola di Dio
XXIX Domenica del Tempo Ordinario - anno C
Es 17,7-13a; 2Tm 3,14-4,2; Lc 18, 1-8
Dal Vangelo secondo Luca
18,1-8
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In quel tempo Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare
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sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né
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aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli
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diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma
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poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa
vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a
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importunarmi”». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E
Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà
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forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio
dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Meditando la Parola ascoltata
Il contesto.
Gesù è in cammino verso Gerusalemme e sta attraversando la Galilea e la Samaria. Sono terre ostili che egli
attraversa guarendo (cfr. Lc 17,11-19 i dieci lebbrosi), dialogando (cfr. Lc 17,20. 22ss il dialogo con i
discepoli), annunciando il Regno (cfr. Lc 17,20-21) e istruendo (cfr. Lc 17,22-18,1). In questi brani possiamo
riconoscere un Gesù che attraversa la vita normalmente, senza sottrarsi a difficoltà o conflitti, nemmeno
quando questi sono posti chiaramente allo scopo di screditare la sua persona e la sua opera di annuncio.
La parabola che la liturgia oggi ci propone viene narrata da Gesù proprio in risposta ad uno di questi
momenti. Alcuni farisei gli hanno domandato quando verrà il Regno di Dio e questa domanda diventa
l’occasione per istruire i discepoli circa le caratteristiche del tempo che precede la manifestazione del Figlio
dell’Uomo.
Se, infatti, «il regno di Dio è in mezzo a voi» (Lc 17,21) come realtà operante, la manifestazione del Figlio
dell’uomo va attesa anche nel susseguirsi di eventi non sempre comprensibili all’animo umano («prima è
necessario che egli soffra molto e venga rifiutato da questa generazione» Lc 17,25).
vv.1 pregare sempre, senza stancarsi mai.
La comunità a cui Luca si rivolge è forse scoraggiata dall’attesa prolungata del ritorno del Signore e questo
potrebbe essere il motivo del cappello introduttivo dell’evangelista.
Perché continuare a pregare se Dio non ascolta, non esaudisce le nostre richieste? A fronte di questa che, a
tutti gli effetti, è la tentazione di non credere più, di non fidarsi più di Gesù e del suo messaggio, Luca
sottolinea la necessità di pregare sempre e di farlo senza stancarsi.
Quest’ultima espressione è tipica del linguaggio paolino1 ed è un’esortazione a non cedere allo
scoraggiamento che naturalmente e umanamente ci abita quando le nostre parole rimangono inascoltate.
Forse è anche un incoraggiamento a non preoccuparsi tanto della forma della preghiera. Una parola detta
nella stanchezza risulterà imperfetta ma certo più efficace, per il semplice motivo di aver cercato la forza di
dirla.
L’insegnamento che Gesù rivolge ai suoi, lo rivolge anche a noi, figli di un tempo in cui la logica del “tutto e
subito” sembra essere prassi consolidata. Ci incoraggia a pazientare contemplando, ad attendere rendendo
occhi e cuore attenti a quanto ci circonda, a perseverare anche quando le nostre preghiere, il nostro agire
sembrano rimanere sterili.
Nelle nostre giornate, riusciamo a riservarci degli spazi per la preghiera, per l’ascolto delle sorelle e dei
fratelli, per le relazioni?
1
Cfr. 2Tes 3,13; 2Cor 4,1.16; Gal 6,9; Ef 3,13
vv.2 in una città viveva un giudice.
Quest’uomo, lo dice il nome stesso, dovrebbe trovare la sua missione nel custodire ed esercitare la giustizia.
Ci troviamo davanti, però, un uomo che fa unicamente ciò che ha voglia di fare. È incurante di tutto e di tutti
e l’unico criterio di scelta è…se stesso.
È questo atteggiamento che lo allontana decisamente dalla sua vocazione, lo rende un giudice ingiusto. Chi
non segue altro che se stesso, chi, vive, come lui, senza Dio e senza gli altri non si preoccupa della giustizia; il
suo unico scopo è condurre un’esistenza serena.
vv.3 in quella città c’era anche una vedova.
Le vedove, insieme agli orfani e agli stranieri rientrano in quella categoria di persone che il Signore Dio
protegge con particolare cura («il Signore protegge i forestieri, egli sostiene l'orfano e la vedova» Sal 146,9)
perché vivono in una condizione di grande miseria. In questa parabola è posta in opposizione alla figura del
giudice. Lui forte, sicuro di sé, lei debole, senza appoggi. Sembra una partita persa in partenza, tutto sembra
essere a sfavore della donna.
Qui, però, emerge la prima caratteristica della vedova: andava continuamente da lui. Certo la condizione di
necessità in cui si trova è quanto trasforma una richiesta formale in una richiesta insistente, che “scoccia”.
Sembra che la donna non perda occasione per far valere le sue ragioni e lo fa con la dignità di chi sa che sta
chiedendo qualcosa di lecito. Non implora giustizia, in un certo senso la ordina: «Fammi giustizia contro il
mio avversario». E lo fa con la certezza che il silenzio del giudice non rimarrà tale per sempre.
Quando ci rivolgiamo al Signore, lo facciamo timorosi o con l’audacia dei figli che sanno che l’amore del
Padre non lascerà cadere il loro grido?
Entriamo nella preghiera con la certezza assoluta che saremo esauditi nei tempi e nei modi che il Signore
riterrà più utili per noi?
vv.5 dato che questa vedova mi dà tanto fastidio.
Il verbo utilizzato nel testo greco per dire il fastidio del giudice andrebbe tradotto con l’espressione “colpire
sotto gli occhi”. L’insistenza della vedova colpisce il bersaglio, sembra quasi metterlo all’angolo costringendo
il giudice ad agire.
La donna debole è diventata, grazie alla sua insistenza perseverante, la parte forte di fronte alla quale anche
colui che è incurante di tutto e di tutti cede e prende posizione.
Viene quasi naturale fare memoria, qui, delle parole di Paolo: «quando sono debole, è allora che sono forte»
(2Cor 12,10) che, insieme all’atteggiamento della vedova, sembrano volerci invitare alla perseveranza che
sfida anche la debolezza con la certezza dell’ascolto.
I momenti di debolezza, di fragilità sono spesso motivo di scoraggiamento. Crediamo che proprio questa
condizione di mancanza ci rende più vicini a Dio Padre perché crea in noi un vuoto che può essere riempito
dal Suo amore? Crediamo che le nostre debolezze sono occasioni perché si manifesti nella nostra vita la forza
di Dio?
vv.7-8 Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti? …farà loro giustizia prontamente.
Il paragone che propone Gesù è chiaro: se persino un uomo come il giudice ingiusto, di fronte alla richiesta
perseverante della vedova, compie quanto gli viene richiesto, come potrà Dio, che è giustizia, rimanere
sordo al grido dei suoi figli?
È importante sottolineare che l’evangelista Luca attribuisce a Gesù, all’inizio del versetto 6, il titolo di
“Signore”, un titolo post-pasquale: un’indicazione precisa che ci rimanda all’autorevolezza
dell’insegnamento di fronte al quale ci troviamo.
«Io vi dico…» dice Gesù, cioè «siatene certi, ve l’assicuro…».
È un’affermazione e una garanzia. Se lui, che è il Signore, dice questo, non possiamo dubitare, nemmeno di
fronte ad un intervento che, secondo i nostri parametri, è in ritardo. Dio interverrà nei tempi e nei modi che
riterrà opportuni per noi.
Oltre alla perseveranza nella preghiera, questo brano invita alla fede che non si preoccupa di sapere quando
verrà esaudita la richiesta o con quali modalità. La vedova non suggerisce al giudice come farle giustizia né
dà un termine di scadenza; chiede nella certezza che la sua richiesta sarà accolta ed esaudita. E questo
accade.
Commentando il capitolo 17 del vangelo di Luca Charles de Foucauld scrive: « Le nostre preghiere sono
sempre esaudite; se talvolta sembrano non esserlo, è perché o erano troppo poco ferventi, il loro poco calore
ha loro impedito di salire fino al tuo trono… Oppure senza carità per il prossimo: pregandoti non esaudivamo
i tuoi figli, non perdonavamo ai tuoi figli… O troppo poco umili: il loro orgoglio ha dato loro un odore
insopportabile ed ha impedito loro di essere ammesse davanti a te…Oppure troppo poco fiduciose: dopo le
tue promesse, la nostra mancanza di fede è per te un insulto…O troppo poco ripetute: vuoi che con fede, con
fiducia, con la certezza di essere esauditi, ti si chieda, richieda, senza pace né tregua, fino a che veniamo
esauditi […] Talvolta anche le nostre preghiere sembrano non essere state esaudite e in realtà lo sono state in
un modo molto più perfetto di quanto noi lo chiedessimo; ti chiediamo una cosa mediocre, ci esaudisci, non
donandocela, ma donandocene una di molto superiore: ti chiediamo la guarigione del corpo di una persona,
tu ci esaudisci supremamente accordandoci non questa guarigione, ma quella della sua anima: ti chiediamo
la vita temporale per qualcuno, ci esaudisci supremamente accordandoci per lei, non la vita quaggiù, ma una
morte santa e la vita nel cielo… Come sei buono, mio Dio, come sei buono ad esaudirci sempre, sempre,
quando ti chiediamo con fervore, umiltà, fede, carità, costanza, nel nome di Gesù, di esaudirci, o
accordandoci ciò che chiediamo, o accordandoci meglio di ciò che ti chiedevamo… Come sei divinamente
buono!»2.
Il Signore ci aiuti a pregare sempre, senza stancarci, con la certezza che Egli non esaudisce tutti i nostri
desideri ma compie tutte le Sue promesse.
Sorella Francesca Q.
M/390, su Lc 17,5-6, in C. DE FOUCAULD, L’imitation du Bien-Aimé. Méditations sur les Saints Évangiles (2),
Nouvelle Cité, Montrouge 1997, 88-91.
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