Gloria BARTOLI - Fondazione Tor Vergata Economia

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Gloria Bartoli
Le banche possono finanziare la crescita?
Gruppo dei 20, 16/9/2016
L’ipotesi delle relazioni iniziali (Paganetto, Montanino e Bagella) è che banche e Stato nelle
condizioni odierne dell’ Area Euro non possono finanziare la crescita. Le soluzioni proposte
spaziano dalle misure per far ritrovare stabilità al sistema bancario, da Atlante a Bad Bank alla
spagnola, a interventi sulla domanda di fondi da parte delle imprese, allo sviluppo del mercato dei
capitali europeo come alternativa al settore bancario.
Purtroppo, con la creazione dell’Unione Bancaria, la possibilità di usare i fondi dell’ESM per
ristrutturare il settore bancario è venuta meno perché superata dalla Bank Resolution and
Recovery Directive e dal regolamento per il processo di risoluzione. Qualsiasi intervento dello
Stato, anche solo per fornire garanzie, viene considerato “aiuto di Stato” proibito, come abbiamo
riscontrato nelle lunghe negoziazioni tra Tesoro e Commissione Europea per le banche italiane in
difficoltà.
I più cinici dicono che basta resistere un minuto più di Deutsche Bank per ritrovare aperto il canale
dell’aiuto di Stato a livello europeo. Ma nel caso si volessero cambiare in modo permanente le
regole europee esistenti, bisogna chiedersi se concentrarsi su queste norme dell’Unione Bancaria
oppure puntare a modificare le regole di utilizzazione dell’European Stability Mechanism. Questo
strumento per la stabilizzazione ha una capacità di prestito di 500 miliardi di euro (l’Italia ha
versato più di 14 miliardi, che sono andati ad accrescere il nostro debito pubblico). La NON
utilizzazione di questo fondo è assicurata da una governance che richiede l’unanimità per ogni
programma di aggiustamento e il voto di alcuni parlamenti dell’Area Euro. Ciò significa che le
condizioni del prestito sono decisi non solo da tecnici, ma anche da politici, per esempio del
parlamento tedesco.
La Bundesbank ha suggerito a luglio di estendere le competenze dell’ESM alle prospettive
economiche, la sostenibilità del debito e il fabbisogno finanziario dei paesi richiedenti aiuto.
Compiti finora gestiti dalla Troika composta da EC, ECB e IMF. Inoltre, in questa proposta, l’ESM
dovrebbe monitorare il programma di aiuti e negoziare tra il governo e i creditori eventuali
ristrutturazioni del debito.
Data la sostanziale sotto-utilizzazione dell’istituzione, è comprensibile che si pensi a suoi impieghi
alternativi: visto che le crisi sovrane sembrano scongiurate per il futuro prevedibile, mentre la crisi
del sistema bancario europeo non lo è affatto, sarebbe preferibile allargare nuovamente le
competenze dell’ESM alle crisi bancarie, almeno fino a quando il Single Resolution Fund finanziato
dalle banche stesse non avrà la consistenza necessaria. Poiché è noto come le crisi bancarie
possono trasformarsi in crisi sovrane (e viceversa) il mandato di evitare crisi sistemiche dell’ESM si
applicherebbe come previsto alla sua fondazione.
Nello Stato dell’Unione 2016 pronunciato da Juncker, un ruolo importante per la crescita è
rappresentato dall’accelerazione e completamento del mercato unico dei capitali per fornire
alternative di finanziamento agli investimenti. Le misure che possono essere finalizzate
rapidamente riguardano la cartolarizzazione, per liberare risorse nelle banche fino a 100 md di
euro, e l’armonizzazione delle norme sul prospetto. IL Parlamento Europeo e il Consiglio
dovrebbero approvare entro il 2016 le proposte per il venture capital e gli investimenti sociali.
Altrettanto urgente sarebbe la modernizzazione e armonizzazione dell’insolvenza e
ristrutturazione delle imprese, che è prevista, ma manca ancora una proposta in merito della
Commissione.
In Italia le iniziative per favorire l’investimento con capitale azionario piuttosto che debito si sono
moltiplicate dal 2012, così come gli incentivi per start-up fino a far dire che oggi esistono più fondi
per start up che start up con progetti credibili.
Non si tratta solo di un problema di offerta di fondi, anche se la stretta creditizia permane per le
piccole e medie industrie, anche quelle con impeccabili storie creditizie: dal lato della domanda, le
imprese familiari esitano a mettersi sul mercato dei capitali per i motivi esposti da Bagella nella
sua relazione, ma anche per i motivi ripetuti tutti gli anni dal Doing Business della Banca Mondiale:
in particolare, i conflitti di competenza amministrativa ostacolano gli investimenti pubblici e privati
mentre una giustizia civile che neppure si avvicina agli standards dei paesi avanzati (vedi studio
OCSE 2013) rende rischioso il management e la governance delle imprese, grava sui costi di
gestione e scoraggia anche gli investimenti esteri.
A sua volta questa mancanza d’investimenti abbassa la produttività, la crescita potenziale così
come la crescita effettiva, aumentando i rischi di crisi finanziaria connessa a un rapporto debito
pubblico/PIL crescente per via del calo del numeratore.
E’ un circolo vizioso che si ripete da anni e dal quale possiamo uscire solo con le riforme strutturali
che abbiamo cominciato a fare sia nel campo strettamente economico - jobs act, liberalizzazioni
nel mercato dei beni, anche se non ancora in quello delle professioni e altri servizi- che nel campo
amministrativo, giuridico e istituzionale.
Per riassumere, il mercato unico dei capitali è ancora lontano e non solo le banche non sono
capaci di finanziare la crescita anche in presenza di una politica monetaria iper - espansiva, ma la
debolezza strutturale delle stesse è un fattore di rischio ulteriore per la crescita e quindi per
l’aggravamento del debito pubblico. L’utilizzo dell’ESM per prevenire, non solo rappezzare, crisi
sistemiche sarebbe quindi opportuna.