Sassari ha cambiato il basket italiano

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«Sassari ha cambiato il basket italiano»
Incontro con coach Dan Peterson, a Nuoro per un seminario di management
di Pietro Rudellat
» NUORO
Chiacchierare con Dan Peterson è come aprire uno scrigno
e scoprire una lunga serie di
gioielli da custodire gelosamente. L'ottantenne coach nato neU'Illinois regala perle di
saggezza, aneddoti e ricordi di
un basket romantico, ma traccia anche la via per i manager
ai quali si rivolge nel seminario promosso dal Centro Formazione Management del Terziario in collaborazione con la
Confcommercio di Nuoro e
Ogliastra e curato da Gianluca
Deriu.
«Allenatori e manager hanno un legame molto stretto dice con la sua inconfondibile
voce - entrambi devono saper
gestire uomini, motivarli e relazionarsi con loro. L'unica differenza è che il manager di
un'industria non ha il pubblico in tribuna, gli arbitri e il tabellone, ma alla fine della stagione deve sempre rendere
conto delle sue vittorie o delle
sue sconfitte».
Dopo aver allenato Michigan State e l'università del Delaware, nel 1971 Peterson divenne capo allenatore della
nazionale del Cile. Il suo arrivo
in Italia è del 1973, alla guida
della Virtus Bologna, chiamato dall'avvocato Porelli. A Bologna Peterson ha vinto uno scudetto e una Coppa Italia. Ma
sua carriera divenne folgorante a Milano, alla guida dell'
Olimpia con la quale dal '78
all'87 vinse 4 scudetti, 2 Coppe
Italia, una Coppa Korac e una
Coppa dei Campioni.
«Era un basket diverso - racconta Dan Peterson - a quei
tempi contava moltissimo l'insegnamento tecnico oltre che
la gestione del gruppo. Io allora potevo contare su un gruppo di italiani e 2 stranieri. Avere più stranieri non vuol dire
avere squadre più forti. Oggi
per effetto della legge Bosman
e con l'arrivo dei procuratori il
basket è cambiato profondamente. È diventato più atletico, più tattico, più lento e quindi meno bello. Sono sicuro che
squadre come l'Olimpia, Cantù, Varese, Pesaro, Bologna degli Anni 80 potrebbero giocare
senza problemi anche oggi e
puntare in alto. Oggi ogni anno diventa l'anno zero e invece servirebbe una grande continuità per costruire squadre
vincenti. Non si può fare un
passo di 10 metri, ma si possono fare 10 passi di un metto e
si arriva sempre a 10 metti,
senza rischiale di farsi male. A
Milano ho avuto con me giocatori per 9 anni come D'Antoni,
Boselli, Gallinari, e per nove
anni lo stesso vice allenatore, il
general manager, il preparatore atletico, il segretario anche
loro sempre per 9 anni. Questa
è continuità e Questo consente
SERIE A
di arrivare al successo».
Una delle squadre di successo nel basket italiano oggi è la
Dinamo. Che valore ha lo scudetto vinto dalla formazione
sassarese?
«Lo scudetto di Sassari ha
cambiato la geopolitica del
basket italiano. Quel successo
ha dimostrato che ognuno
può realizzare il suo sogno. É
uno scudetto storico, frutto
del grande lavoro del presidente Sardara e del coach Sacchetti. Quello scudetto è stato vinto grazie al gioco di Sassari, ma
anche grazie alla grande coesione fra squadra e società».
Parliamo della nazionale.
«Se Messina avesse avuto sette-dieci giorni in più a disposizione l'Italia sarebbe andata alle Olimpiadi. Purtroppo ha dovuto fare i conti con un Datarne stanco dalle mille battaglie
in Eurolega e in Turchia, con
Gallinari e Belinelli non a posto fisicamente e con qualche
altro problema. Io mi auguro
che Messina resti alla guida
della nazionale per portare
avanti il suo lavoro con continuità».
Coach, qua! è stato il giocatore più forte che ha allenato?
« Mike D'Antoni senza dubbio, poi Bob Mcadoo e Dino
Meneghin. Grandi giocatori e
grandi uomini».
Grazie Coach l'intervista è finita: mamma butta la pasta.
La lezione di Dan Peterson al seminario di management a Nuoro
SERIE A