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PRIMO PIANO
Giovedì 13 Ottobre 2016
Che saliranno del 4,1% nel pil, mentre gli Usa e la Ue solo dell’1,6% e l’Italia 0,8%
Tirano solo i paesi emergenti
Costa d’Avorio, Etiopia, Kenya e Tanzania sono in testa
I
DI
UGO BERTONE
l mondo rallenta, a partire
dagli Stati Uniti che, complice l’incertezza elettorale, hanno ridotto il tasso
di crescita del Pil dal 2,2%
all’1,6%, lo stesso dell’Unione
europea, frenata dall’Italia
che si limiterà a un risicato
0,8%. Le note più lievi arrivano dai Paesi emergenti, in
grado di salire al 4,2% (contro
il 4,1% di sei mesi fa). Grazie
al loro contributo la crescita
dell’economia nel 2016 arriverà al 3,1%, circa il doppio del
rialzo dell’Occidente.
Dall’assemblea del Fondo monetario internazionale (Fmi) emerge un pianeta sempre meno condizionato
dall’emisfero settentrionale.
Da pochi giorni lo yuan partecipa a pieno titolo al paniere
dei diritti speciali di prelievo,
al fianco di dollaro, euro e
sterlina. La banca degli investimenti promossa da Pechino
continua a riscuotere adesioni
(l’ultima è quella del Canada)
nonostante l’opposizione di
Washington e Tokyo. Certo, la
Cina rallenta nel tentativo di
passare senza troppi traumi
da una struttura votata all’industria a un’economia basata
sui servizi. In cambio, accelera l’India, +7,1%, affiancata
dall’Indonesia. New Delhi,
sotto la spinta di Modi, si candida a nuova locomotiva per
il sud del mondo. «Chiedetevi
- ha scritto in un messaggio
rivolto ai pakistani - perché
noi indiani vendiamo software
in tutto il mondo mentre voi
esportate solo terroristi».
Ma il quadro è un po’
ovunque in costante evoluzione. L’Argentina ha archiviato il peronismo e si ripropone
come una meta ideale per gli
investimenti. Il Brasile, dopo
la cacciata di Dilma Roussef,
torna ad accelerare dopo una
crisi terribile. Rialza la testa
anche la Russia, grazie alla tenuta dei prezzi del petrolio e
ai successi politici, in assenza
di una leadership americana.
Perfino nella penisola arabica
si fa strada il vento del cambiamento: l’offerta più robusta e più attesa del 2017 sarà
il collocamento delle azioni
di Aramco, la cassaforte del
petrolio saudita che sarà parzialmente privatizzata. Per
non parlare dell’Iran, che si
riapre al mondo con una popolazione per due terzi sotto
i trent’anni e immense potenzialità, anche grazie agli
sterminati giacimenti di gas
e petrolio.
Insomma, al di là
dell’orizzonte ingessato
dell’Unione europea e delle incognite del voto Usa, il
mondo va avanti. Come troppo spesso tendiamo a dimenticarci in Occidente, limitando
la nostra finestra sul pianeta
ai problemi posti dall’immigrazione. Ma il pianeta è
ben più ricco di occasioni e
di esperienze che richiedono
anche la nostra partecipazione, ma offrono opportunità.
Esemplare in questa cornice
il caso dell’Africa, a noi nota
solo per i barconi in arrivo a
Lampedusa. L’emergenza c’è,
inutile negarlo. Ma è lo specchio di una società in movimento, che merita di essere
aiutata nella fase del decollo. Un’analisi più profonda
indica che molte cose possono non essere così negative
come sembrano, per due ragioni fondamentali. La prima:
sebbene la crescita media sia
calata, alcune economie africane negli anni recenti sono
cresciute favorevolmente. In
effetti, il Pil aggregato è stato
trascinato in basso dal 2010
dalla crescita barcollante dei
paesi esportatori di petrolio e
dalle crisi connesse con la sicurezza nel Sahel e nel Nord
Africa; ma nel resto dell’Africa la crescita del Pil ha accelerato, dal 4,1% del 2000-2010
al 4,4% del 2010-2015.
La seconda: l’Africa sta
subendo una profonda trasformazione di lungo periodo,
caratterizzata da una rapida
digitalizzazione, dall’urbanizzazione e dalla crescita
della popolazione in età lavorativa, che nel 2034 supererà
la forza lavoro della Cina e
dell’India. Questa tendenza
demografica può sbloccare la
crescita economica tramite
un progresso della diversificazione economica, e sostenere l’industrializzazione.
Di fatto, i paesi africani oggi
ad alta crescita - che comprendono la Costa d’Avorio,
l’Etiopia, il Kenya e la Tanzania - hanno già realizzato
un progresso sostanziale nel
ridurre la loro dipendenza
dall’esportazione di materie
prime, a favore del commer-
cio, dell’investimento e dei
consumi interni. E molti paesi
a più bassa crescita potrebbero indirizzarsi su un sentiero
simile. Una nuova ricerca da
parte del McKinsey Global
Institute (Mgi) mostra che la
spesa da parte dei consumatori e delle imprese africane
realizza già 4.000 miliardi di
dollari. Per il 2015 la spesa
privata potrebbe raggiungere i 5.600 miliardi di dollari
- 2.100 miliardi da parte delle
famiglie e 3.500 da parte delle
imprese.
Insomma, il terreno è
fertile. In questa cornice
è importante che il Continente non perda i suoi talenti
più promettenti, un rischio
denunciato dal Fondo monetario internazionale: la Gran
Bretagna, così proterva nella
promessa di chiudere le frontiere, assorbe ogni anno migliaia di medici e infermieri
in arrivo dal Continente nero.
Al contrario, merita sottolineare la sfida della sempre più
vituperata Commissione Ue.
Jean-Claude Juncker ha
annunciato lo stanziamento di
3,35 miliardi di euro di risorse
provenienti dal bilancio Ue e
dal Fondo europeo di sviluppo nella speranza di arrivare
a mobilitare fino a 44 miliardi
di euro di investimenti grazie
a un sistema di garanzie innovative a copertura degli
investimenti privati. La cifra,
se gli Stati faranno la loro
parte, potrebbe raddoppiare
a 88 miliardi: a ben cercare le
buone notizie non mancano.
Per fortuna.
IlSussidiario.net
SCOVATI NELLA RETE
IN CONTROLUCE
Nel monumentale diario di Emma Goldman (Emma la rossa) la cronaca,
giorno per giorno, disastro dopo disastro, della rivoluzione comunista
DI
A
DIEGO GABUTTI
ll’inizio, tra la fine dell’Ottocento e la Grande guerra,
la rivoluzione era un’idea
nuova nel mondo (come
la felicità, secondo Saint-Just,
era un’idea nuova in Europa). Con
l’avvento dei totalitarismi, che della
rivoluzione erano le manifestazioni pratiche dopo decenni di teoria,
l’idea invecchiò in fretta.
Ebrea, nata nel 1869 nella Lituania dei progrom antisemiti,
emigrata a vent’anni in America,
operaia, scrittrice prolifica, Emma
Goldman attraversò l’età della
rivoluzione attraverso tutte le sue
stagioni, dalla primavera all’inverno. Giovanissima, si votò all’idea
della rivoluzione frequentando i
circoli populisti di San Pietroburgo,
dove la sua famiglia era emigrata
nel 1881. Era la grande stagione
del movimento rivoluzionario russo, che proprio quell’anno aveva
realizzato il suo programma politico terrorista - decapitare lo stato
autocratico - uccidendo Nicola I, lo
zar. Anche in Europa e in America,
dove contemporaneamente stavano
muovendo i primi passi i sindacati e
i partiti riformisti, era in corso una
sorta di jihad rivoluzionaria, con gli
anarchici in prima fila.
Seguaci di Bakunin, che ispirava (insieme a Marx) anche i
nichilisti russi, gli anarchici europei e americani liquidavano con
bombe e pugnali presidenti eletti
di repubbliche democratiche, oltre
che re e regine (uccisero anche la
principessa Sissi, imperatrice d’Austria e futura eroina hollywoodiana,
e fu un po’ come assassinare Bambi). Emma Goldman e Aleksandr
Berkman, suo «compagno di vita
e d’ideali» come si diceva allora,
decisero di partecipare alla festa
uccidendo Hanry Clay Frick, presidente della Carnegie Steel Company, che aveva mandato «trecento
uomini armati» contro i lavoratori
in sciopero, i quali lasciarono sul
terreno, «in riva al fiume Monongahela», «sedici persone, tra cui un
bambino, e ferendone molte altre».
Toccò a Berkman sparare. Frick fu
soltanto ferito, e il suo attentatore
trascorse i successivi quattordici
anni in un penitenziario mentre
Emma viaggiava per il mondo diventando una grande oratrice, una
scrittrice ispirata, una bandiera
dell’anarchismo. Studiò da infermiera a Vienna, seguì le conferenze di Sigmund Freud e, da brava
nichilista, lesse fino a strafogarsi
le opere di Nietzsche. Femminista, anticipò la sex revolution degli
anni sessanta praticando «il libero
amore» (sempre come si diceva allora). Berkman uscì dal penitenziario in tempo per schierarsi con i
pacifisti, a fianco di Goldman, nella
prima guerra mondiale. Espulsa dagli Stati Uniti, raggiunse la Russia
leninista, tifando dapprima per Lenin, ma subito disamorandosi della
dittatura dei commissari del popolo,
di cui sarebbe stata fino alla morte, nel 1940, una nemica giurata.
Era in Germania quando Hitler e
le sue bande armate marciavano al
passo dell’oca verso il cancellierato.
Scrisse articoli contro Mussolini.
Conobbe Bertrand Russell. Ammiratrice (ricambiata) di George
Orwell, fu in Spagna durante la
guerra civile, dove si schierò come
sempre contro i fascisti e i comunisti.
Non fu una grande teorica.
Nessun anarchico (nemmeno Bakunin) fu mai un teorico. Ma scrisse
un libro eccezionale: la sua autobiografia, Vivendo la mia vita, un’opera
monumentale (ne esiste un’edizione
italiana in quattro volumi, La Salamandra 1980-85 e Zero in Condotta 1993). Era la storia, giorno dopo
giorno, disastro dopo disastro, della
rivoluzione - un’idea nuova che era
presto invecchiata in Europa e nel
mondo.
Max Leroy, Emma la rossa.
La vita, le battaglie, la gioia
di vivere e le disillusioni di
Emma Goldman, la «donna più
pericolosa d’America», Elèuthera 2016, pp. 224, 16,00 euro.
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