una comunità senza gratitudine

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Transcript una comunità senza gratitudine

Luca 17,11-19 | XXVIII TO 2016-10-09
una comunità senza gratitudine
Una comunità senza speranza urla: “Abbi pietà di noi”.
Una piaga si è posta sul nostro sentiero e chiede la nostra attenzione. Da anni siamo
chiamati ad ascoltare diverse grida d’aiuto, siamo invasi e tendiamo a vedere senza
lasciarci coinvolgere, a sentire il dolore senza cedere alla commozione.
Nell’episodio del Vangelo i dieci lebbrosi sono guariti mentre vanno dai sacerdoti, i
migranti invece vagano smarriti in cerca di un posto per ritornare a vivere.
Nella fiducia di un cambiamento iniziamo il nostro cammino. La vita è un andare, un
infangarsi, con momenti di gioia e altri di pianto, un camminare verso una meta o un
perdersi, superando le difficoltà fino a giungere alla fine. Durante il cammino ci sono
momenti in cui bisogna intervenire subito, prima di scorgere il viso piagato e sanare il
dolore. Ogni richiesta ha bisogno di un dono, l’altro è senza risorse, debilitato. Non
accettiamo l’ingiustizia, la deprivazione, lo sfruttamento, la tortura, ferite che sentiamo nel
tremore del nostro corpo. Rifiutiamo il male e potremo così gioire nel saper rispondere alle
debolezze con l’offerta della nostra gratitudine. Solo chi ha sofferto ha la consapevolezza
di una realtà che può soffocare, solo chi è stato nella depressione e/o nella deprivazione
conosce la fatica di vivere.
Davanti al dolore scatta un’urgenza, un bisogno d’amore, un desiderio di ridare speranza a
chi soffre; in quest’anelito, inizia un percorso, un cammino d’incontri, uno scambio portato
avanti con cuore attento. Allora benché invasi, potremo essere impegnati a curare, a dare
affetto, a offrire qualcosa che possa alleggerire il peso di coloro che soffrono sulla strada
del loro smarrimento e della nostra insicurezza.
L’obiettivo è quello di non far perdere la fiducia; non possiamo permettere che l’altro cada
nella solitudine, nel vuoto del nostro tempo, nel buio che impedisce il cammino. La ferita
dell’altro può essere la mia, la sua vergogna mi denuda, la violenza lascia tracce sulla mia
pelle; i senza speranza sono la comunità ferita del nostro corpo.
Se vivo nell’indifferenza, perdo la speranza.
L’amore vero è immediato e toccante, spontaneo e intimo. La guarigione inizia attraverso
un contatto e una risposta fiduciosa; il primo passo è credere alla parola, a quel punto il
male inizia a recedere, il secondo è sentire con il cuore e in questa vibrazione la speranza
ritorna alla luce.
Lo straniero che torna indietro intuisce che la guarigione non viene dai sacerdoti.
L’autorità concederà un permesso di soggiorno, un campo dove stare momentaneamente
e in futuro una scuola per i giovani, ma la sicurezza non viene dall’osservanza delle regole,
la guarigione avviene attraverso il contatto con una persona che permette di trasformare il
malessere in una nuova possibilità di vita. La piaga è sanata dall’amore e anche il nostro
cuore sarà purificato nell’andare con l’altro.
Il racconto del Vangelo rileva un ulteriore aspetto: tutti i lebbrosi che si sono messi in
cammino sono stati purificati, sono stati recuperati dalle acque, ma uno solo ha aperto il
cuore alla gratitudine, solo uno va in cerca dello sguardo d’amore che lo ha guarito. Nella
guarigione la ferita è sanata, ma solo nella gratitudine si riacquista la fiducia, solo nello
scambio c’è la verità di ogni incontro. La sorgente della vita è dunque il saper avere
fiducia, l’essere capaci di donare con un cuore aperto e nella gratitudine del bene ricevuto
dimorare nella pienezza della vita. Solo ritornando alla sorgente della nostra vita potremo
come il samaritano riavere un cuore pacificato.
Vittorio Soana