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2016/2017

Il pensare adolescente Relazione introduttiva incontro “Il pensare adolescente”. Cagliari 15 ottobre 2016.

[A.Ps.I.A. - Il pensare adolescente]

Una sfida per la clinica psicoanalitica dell' adolescente

A cura del dott. Bachisio Carau

Relazione introduttiva incontro “Il pensare adolescente”. Cagliari 15 ottobre 2016.

Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica per l'età evolutiva. via Paganini, 8,09129 Cagliari - 070 4521186 - [email protected]

Il pensare adolescente

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Il pensare adolescente

Sguardo clinico

Un’articolazione complessa.

Equilibrio narcisistico

L’altro

Conclusioni

Bibliografia

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Il pensare adolescente

L’adolescenza viene considerata, come sappiamo, da vari punti di vista, a partire dalle trasformazioni indotte dalla pubertà, mettendo in primo piano il corpo sessuato e le risonanze emotive legate ai suoi cambiamenti. Resta sullo sfondo, invece, una lettura delle modificazioni e articolazioni possibili del pensiero contestuali alle stesse trasformazioni adolescenziali. Ciò richiede un particolare sguardo allo sviluppo della conoscenza e al significato peculiare che “fa dell’adolescenza il tempo della verbalizzazione del sessuale” (Baranes 1991) in quanto la spinta vaga e indeterminata della pubertà deve trovare una rappresentazione mentale molto complessa e spesso non facile che espone l’adolescente travolgendo l’uso stesso del pensiero e della riflessione. Come osserva Green A.(1983) la pulsione sessuale “è una forza spontanea, che ignora se stessa e che non può diventare una manifestazione pensabile se non per mezzo di una mediazione. Questa mediazione è l’altro, è la rappresentazione” o l’oggetto stesso. Una mediazione che mette a dura prova il narcisismo dell’adolescente e richiede un complesso lavoro fino alla ridefinizione di uno spazio e tempo per pensare i pensieri. Come sappiamo la definizione teorico-clinica di questi processi evolutivi e l'intersecarsi di funzioni a vari livelli, dipende dall’orientamento e dalla concettualizzazione del processo adolescenziale stesso e delle sue trasformazioni. Ogni autore privilegia alcuni aspetti che riflettono un suo particolare orientamento teorico. P. Blos (1979) e subito dopo i Laufer (1984) mettendo in primo piano l'aspetto evolutivo del disagio adolescenziale aprono a interpretazioni diverse. R. Cahn,(1998) pur non sottovalutando l’intuizione dei Laufer sul breakdown evolutivo e il corpo sessuato, va oltre richiamando l’attenzione sulla soggettivazione come processo di creazione di sé, che comprende a pieno titolo anche tutte le operazioni mentali che tendono all’acquisizione di un pensiero personale. Approfondisce, quindi, un processo di differenziazione che permette, a partire dall’esigenza interna di disporre di un proprio pensiero, l’appropriazione del corpo sessuato fino alla disalienazione dal potere dell’altro. Quasi in contemporanea, siamo negli anni novanta, P.Fonagy - M.Target (1993) ridefiniscono, anche loro, il concetto lauferiano, come "breakdown di mentalizzazione" sottolineando il momento critico dell’adolescente come incapacità di mentalizzare per il deterioramento della capacità cognitiva e simbolica, o, meglio, della funzione riflessiva. Dove l’accento si sposta, direi in modo netto, sulla carenza della funzione riflessiva e quindi sull’uso della capacità di pensare. Altri autori fanno riferimenti occasionali in questo senso, senza mai focalizzare, tuttavia, l’intreccio dinamico tra lo sviluppo corporeo, emotivo e lo sviluppo cognitivo in adolescenza che in realtà è più complesso di quanto si pensa. Le trasformazioni adolescenziali viste nella totalità dello sviluppo, infatti coinvolgono a pieno titolo il

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funzionamento del pensiero e tutte le potenzialità cognitive del soggetto. Ne osserviamo spesso le derive sintomatiche nella clinica che non lasciano dubbi sull’intersecarsi specifico con i processi di sviluppo adolescenziale. Il pensare adolescente riflette, dunque, le acquisizioni raggiunte nel processo di sviluppo in termini d’integrazione tra un Sé corporeo, un Sé emotivo e un Sé mentale. Per cui, come osservano vari autori, appropriarsi dei propri pensieri è fondamentale quanto l’appropriarsi dei propri desideri sessuali e aggressivi e aggiungerei, della profonda dinamica emotiva che viene mobilitata, perché è proprio nel lavoro d’integrazione adolescenziale che si scatenano ostacoli interni ed esterni. E’ un lavoro di creazione che dobbiamo pensare sempre in corso d’opera fino alla conclusione, sia pure provvisoria, dell’adolescenza. La discussione di oggi vuole focalizzare questo intreccio per coglierne, in particolare, i luoghi intermedi specie nella dinamica della relazione terapeutica. Con queste considerazioni, comunque, non credo di poter esaurire tutte le implicazioni di questa vasta problematica. Vorrei solo circoscrivere alcuni aspetti rilevanti soprattutto dal punto di vista clinico.

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Sguardo clinico

Il tentativo di Lisa di descrivere il suo stato con qualche ricordo concreto, con appunti su dei fogli o con disegni di volti femminili incompleti, bozzetti astratti, si alterna a un intercalare sofferto, deprimente, con voce alterata: “Non penso niente. Ho il vuoto di pensiero, dentro c’è il vuoto. Ho sentito qualcosa che si è rotto dentro la testa, l’ho proprio sentito non ho niente da dire, è stato improvviso, molto forte. Ora ci sono i farmaci”. Tutto era molto confuso anche per me. Mi coinvolgeva in un’accelerazione senza riferimenti. Unico punto fermo era il vuoto, il vuoto dentro. La ripetizione senza fine dei momenti del crollo si è protratta a lungo, sembrava avesse fermato il tempo in un vuoto senza storia. In un primo momento avevo pensato anch’io a uno stato confusionale, per cui era stata inviata, prima di focalizzare meglio la sua adolescenza. Lisa è una ragazza di 17 anni e mezzo, all’inizio dell’ultimo anno del liceo classico che non frequenta più da tre mesi quando arriva da me. Aveva un legame stretto con un’amica dalle medie, un’intesa profonda: un’amicizia, peraltro, contrastata dai suoi. Apparivano come due poli contrapposti che si completavano a vicenda: l’amica aveva una parte cattiva, lei doveva salvarla, tuttavia solo il dialogo con lei era veramente autentico. Questa intesa si è spezzata e, con essa, il filo del pensiero che la lascia nel vuoto senza senso. Questa è una sintesi stretta di una situazione che riporta in frammenti episodici man mano che le vengono in mente, senza una sequenza logica o temporale. In particolare riesco a ordinare tre episodi significativi.    Ricorda due giorni di euforia: le sembrava di aver raggiunto una sicurezza interna corroborata da un lavoro di filosofia su Kant riguardo la percezione dell’altro nei diversi modi di essere e di esprimersi, che non sono da giudicare. Insiste ancora, con rabbia, di aver capito Kant, ma la professoressa non apprezza il suo lavoro. Uno screzio con l’amica che ruba per l’ennesima volta in casa sua. Glielo fa notare e l’amica protesta con violenza, lei non la vuole più vedere. Infine, durante i due giorni di euforia litiga anche con i suoi che accusa di ipocrisia, sottolineando con rabbia, che solo il dialogo con l’amica era autentico. Questi tre episodi sono il contorno che la porta a uno stato di confusione nel quale si sente persa. Il ricorso immediato ai farmaci forse le ha facilitato la ripresa di qualche contatto con degli amici, ma non più con la sua amica particolare con la quale aveva instaurato una relazione, ininterrotta dalle medie. Iniziata forse come presa di distanza dai legami familiari e relazione esclusiva, che ha un senso evolutivo nella

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prima adolescenza, ma che si rivela asfittica alla fine dell’adolescenza. Diventando, credo un dispositivo d’appoggio, tutt’altro che transitorio, una garanzia narcisistica, un doppio che invece di costituirsi come ricerca e scoperta dell’altro, del quale comunque l’adolescente ha bisogno, si configura come un “altro se stesso” che argina la fragilità di un narcisismo in scacco con il processo adolescenziale. Nella relazione terapeutica si configura subito, nel transfert, questa funzione di appoggio narcisistico che si definisce, tuttavia, come un’area potenziale dove si possono rilanciare anche frammenti confusi di pensieri e parole alla ricerca di un senso, sia pure provvisorio, nella dinamica della relazione. Mi sembrava singolare, e vorrei notarlo subito, come non emerga nel materiale alcun riferimento al sessuale, al corpo o a una qualche esperienza con ragazzi sia pure solo sentimentale. L’amica cambiava spesso ragazzo, lei non ne ha mai avuto e, soprattutto, non le mancava e non ci pensava. Come se la pubertà non avesse lasciato traccia in quel senso. In seguito, ripensando al vuoto interno e alla mancanza di pensieri anche durante la seduta, ricorda che già all’inizio delle medie lei sentiva un certo disagio a tavola con i suoi perché tutti parlavano, esprimevano i loro pensieri, lei non aveva mai niente da dire. Prima di allora era felice e contenta: “ero la più piccola, ho due fratelli più grandi di qualche anno, e tutti mi coccolavano”. Forse come una bambola, non c’è bisogno che si esprima, in fondo non ha bisogni. Una riflessione s’impone proprio in merito al discorso odierno: la pubertà non emerge, sembra del tutto negata o forclusa sul versante corporeo ed emotivo, anche se certamente, questo è già un segnale. Lei richiama solo il particolare a tavola con i suoi che viveva e vive ancora con ansia e vergogna. Questo pone in primo piano la difficoltà di avere un proprio pensiero che potrà realizzare con la pubertà. Non ne parlerà mai con nessuno e può condividerlo solo in seduta dopo molti anni. Il disagio scolastico emerge ora alla fine dell’adolescenza prima, anche se con un po’ d’impegno, riusciva. Non voglio andare oltre nel presentare la dinamica del lavoro con questa adolescente, peraltro molto complesso e articolato, preferisco cogliere solo alcuni spunti di riflessione utili al nostro discorso. Bion W.R. (1972) non fa un discorso specifico sull’adolescenza nella sua teoria del pensiero, in fondo è una visione strutturale la sua anche se tiene conto di una dinamica evolutiva. Voglio citare, tuttavia, un passo molto pertinente in questa situazione. Scrive in Apprendere dall’Esperienza: ”Se la funzione alfa è disturbata e non può operare, le impressioni sensoriali e le emozioni dell’esperienza immediata non vengono trasformate o digerite, in ricordi. Esse rimangono nella mente come fatti indigeriti che chiama elementi beta. Questi non possono essere usati per pensare perché non assomigliano a pensieri, ma a cose in sé da manipolare e sono suscettibili soltanto di evacuazione..”

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L’adolescente deve necessariamente trovare una pensabilità nuova alle trasformazioni in gioco nella pubertà diversamente restano due aree se non in conflitto sicuramente non integrate. In fondo questo è il lavoro del pubertario di cui ci parla Gutton.

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Un’articolazione complessa.

Il corpo e lo sviluppo sessuale si articolano contestualmente con il cambiamento anche nell’uso del pensiero e della conoscenza che, peraltro, è già in un momento di sviluppo con nuove acquisizioni che possono trovare esiti diversi con vari livelli di elaborazione. Nuove acquisizioni che aprono spazi e funzioni mentali sempre più differenziate. Un lavoro cioè che va in due direzioni, queste s’intersecano e s’influenzano a vicenda con una tensione reciprocamente strutturante, quando tutto procede al meglio, per l’intero corso dello sviluppo adolescenziale. E’ fondamentale che la nostra attenzione sia rivolta a entrambi gli aspetti nella loro interazione. Del resto gli stadi di sviluppo dell’intelligenza e del pensiero corrispondono a quelli della maturazione pulsionale. Con la pubertà, come sappiamo dalla psicologia genetica con J. Piaget (1975), (Elsa Schmid (1990) l’adolescente si apre al pensiero formale e astratto che integra gli elementi strutturali dei precedenti periodi. Da sottolineare che J.Piaget vede questi processi nella ricerca, nota cioè il soggetto epistemico in quanto vuole individuare ciò che vi è in comune tra i soggetti mettendo in secondo piano le differenze. Il suo studio, inoltre, è rivolto unicamente alle operazioni del pensiero e non ad aspetti pulsionali ed emotivi e alla loro integrazione. A noi interessa il soggetto individuale costantemente coinvolto nelle dinamiche cognitive, emotive, affettive e pulsionali in rapporto con l’altro. Un pensiero formale, quindi, che investe i meccanismi delle operazioni mentali più che le operazioni stesse. Nella sua forma matura comporta la possibilità di pensare i propri pensieri, come del resto scrive Bion sullo spazio per pensare i pensieri e R. Cahn con la costituzione di un pensiero proprio non alienato nei discorsi parentali ed ha a che fare con la mentalizzazione. Garantisce inoltre un investimento positivo nell’attività di pensare e quindi un uso creativo delle sue potenzialità cognitive. E’ indubbio che questa nuova importante acquisizione mette in discussione i riferimenti organizzatori del pensiero, per così dire familiari fino a quel momento, sconvolgendo l’equilibrio precedentemente raggiunto a livello fisico, pulsionale e cognitivo. In particolare l’equilibrio tra investimenti oggettuali e narcisistici. Una riorganizzazione dei punti di riferimento del pensiero che comprende, quindi, una differenziazione dagli oggetti infantili e l’integrazione della rappresentazione del corpo sessuato. Spesso, per non turbare questi riferimenti certi, si può mantenere il pensiero sotto il potere di una sessualità primaria che paventa la pubertà. Sono i due movimenti insieme che possono permettere all’adolescente di considerare il proprio pensiero come oggetto di pensiero, così come lo intendiamo in una soggettivazione compiuta.

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Tuttavia, si potrebbe pensare che l’accesso al pensiero formale e astratto segni in qualche modo la risoluzione del processo adolescenziale, ma non è sempre così: la riorganizzazione dei punti di riferimento del pensiero è un processo che, spesso, va oltre l’adolescenza proprio come può succedere con la soggettivazione. D’altra parte, il pensiero formale e astratto può essere raggiunto senza trovare un’integrazione con il concomitante sviluppo corporeo ed emotivo dove non appare come un disturbo del pensiero, tutt’altro. Clinicamente ci troviamo spesso con situazioni in cui il pensiero è a servizio di un “evitamento con delle teorie per fare schermo all’impossibilità anche parziale del lavoro dell’adolescenza”. A. Birraux (1990). O, ancora più radicalmente, nell’intellettualizzazione, come ci ricorda A. Freud (1965) che lavora come controllo delle pulsioni con l’aiuto del pensiero, un liberarsi dagli ancoraggi corporei che non da prova di un vero lavoro. Questi aspetti aprono un altro capitolo sull’uso distorto o dissociato del pensiero non meno significativo sul versante clinico come spesso osserviamo anche nel lavoro con l’anoressia. Ripensando al lavoro con Lisa vorrei sottolineare due aspetti, evidenti nella clinica che forse sono presenti in diverse organizzazioni psichiche che evidenziano questo tipo di problematiche.

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Equilibrio narcisistico

Lisa non aveva avuto grosse difficoltà dal punto di vista scolastico prima della crisi. Questo porta a considerare la natura della crisi intervenuta più come un fallimento sul versante narcisistico: una fragilità non più tollerabile. Fino a quel momento tenuta a bada grazie alla relazione con l’amica. Lei recupera, peraltro, relativamente in poco tempo con lo studio l’anno scolastico: fa la maturità e si scrive all’università. Momenti d’ansia, piuttosto frequenti, sono vissuti con il timore di una ricaduta e, insieme, con il bisogno di parlarne in seduta per scongiurare il vuoto. Come ristabilire di volta in volta il delicato equilibrio narcisistico-oggettuale che ormai si gioca all'interno della dinamica terapeutica. Una posizione di garante la mia, un pò sullo sfondo, quale testimone che indica il tentativo-desiderio di assumere in prima persona le sue potenzialità. Il lavoro del pubertario impone una ristrutturazione narcisistica, ed è proprio nelle pieghe di questi rimaneggiamenti che spesso assistiamo al disinvestimento e al crollo più o meno significativo delle funzioni mentali, come in questo caso. “Fino alla paralisi del pensiero e al blocco della fantasia...”. direbbe Jeammet P. (1992). Dal punto di vista clinico, tuttavia, anche se l’adolescente attacca i livelli del pensiero e altre funzioni mentali, non è che la funzione in sé venga destrutturata, ritrovando l’equilibrio narcisistico anche la funzione viene reinvestita.

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L’altro

Tenendo sempre presente la situazione di Lisa e insieme la problematica sull’uso del pensiero si pone un’altra domanda peraltro fondamentale: la riscoperta dell’altro e più in generale dell’alterità dell’altro nella ridefinizione dell’assetto narcisistico. Lisa non poteva fare a meno dell’amica, di un rapporto positivo con lei fino a far tacere i suoi bisogni e quindi evitare i conflitti per mantenere un’equilibrio di natura narcisistica: tutto dipendeva dalla risposta dell’altro. Un’attenzione all’altro per la sua funzione narcisistica, con il costante bisogno di soddisfarlo fino a negare o sopraffare le sue potenzialità cognitive e l’uso stesso di un suo pensiero. Riconoscere un pensiero personale, riflettere sui propri pensieri, un’operazione specifica del pensiero formale, non è possibile, così come diventa problematico, sul versante emotivo, formulare un desiderio proprio se non asservito al desiderio dell’altro. Questi aspetti sono già enunciati nel discorso di P. Aulagnier (1975) quando osserva che l’adolescente deve trovare uno svincolo dal legame narcisistico genitoriale per ridefinire il rapporto con l’altro con tutte le istanze emotive in gioco che trovano una sintesi nel desiderio dell’altro. In un certo senso con l'adolescente bisogna pensare a "uno spazio per ri-pensare i pensieri" prima più o meno embricati nel vincolo narcisistico primario. E’ un lungo lavoro di differenziazione progressiva in uno spazio potenziale, nel linguaggio Winnicotiano, fino alla percezione di Sé nella mente dell’altro.

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Conclusioni

Concludendo, penso che questa ampia e articolata problematica si possa e, forse, si debba considerare da vari punti di vista in una prospettiva multidirezionale, per coglierne la vera natura e il significato particolare nello sviluppo adolescenziale. Avevo in mente, già all’inizio delle riflessioni, un tema particolare che permea molto da vicino le vicissitudini del percorso di Lisa. Come spesso accade, è restato sullo sfondo, come sotto traccia, credo sia utile evidenziarlo meglio perché interpreta situazioni particolari del disagio adolescenziale nell’area del pensiero. E’ la “sublimazione” della quale tutti parliamo sfiorando quà e là la sua dinamica evolutiva senza mai qualificarne il significato clinico nel senso della sua rilevanza economica nel lavoro dell’adolescente. La sublimazione, nella sua “funzione terza” vista soprattutto come area intermedia che mette in contatto con il piacere e il desiderio è un potenziale enorme che l’adolescente può assumere, ridefinire, far suo, proprio nel lavoro del pubertario. Oppure scoprire, direi drammaticamente, che non gli appartiene e se ne vuol liberare, inconsapevolmente, nel liberarsi del potere dell’altro: troppo ingombrante per assumere un’esistenza propria. Che significato dare allora al tormentato interrogativo di Lisa: “Non ho un pensiero mio”. “Ho il vuoto dentro”? Come se per la prima volta sperimentasse un vuoto laddove, prima, tutto era ingombro di qualcosa, non “esattamente” di suo. E’ necessario il vuoto: fa intravedere la vera natura delle funzioni interne che l’adolescente rischia di logorare se non le differenzia e riformula in proprio. Sto parlando di come l’adolescente può ripristinare alcune funzioni quali la sublimazione, prima a servizio di un bisogno nello sviluppo, e forse del desiderio dell’altro per poter pensare e “desiderare” un suo pensiero.

Bachisio Carau

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