Gli italiani sopravvissuti a Matthew Vivi grazie ai tetti in

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Gli italiani sopravvissuti a Matthew: “Vivi grazie ai tetti in
cemento. Aiutateci o sarà l’apocalisse”
Haiti, il racconto di padre Miraglio: “Mancano cibo e medicine e viviamo nell’incubo del colera. L’80% delle case è
stato raso al suolo”
LAPRESSE
09/10/2016
MATTEO BORGETTO
«Un ciclone dalla forza inaudita e mai vista ha devastato la città e l’entroterra. Peggio del terremoto. La popolazione è in
ginocchio. E si sono già registrati i primi casi di colera». Padre Massimo Miraglio, 51 anni, camilliano di Borgo San
Dalmazzo (Cuneo), è responsabile dal 2006 della missione a Jérémie, trentamila abitanti nell’omonima regione a Sud di
Haiti. Dal 7 settembre l’hanno raggiunto Renato Gastaldi e Giamberto Viara, volontari, entrambi pensionati (abitano
a Chiusa Pesio e Pianfei) con un passato da impresario edile e idraulico, per aiutarlo nella costruzione di un ospedale.
Saltate le comunicazioni dopo l’uragano, di loro non si avevano notizie da martedì. L’altra notte, padre Massimo è riuscito
a telefonare ai genitori e rassicurarli: «Siamo sani e salvi. È stato terribile, ma stiamo tutti bene».
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E sta bene anche Marco Di Liddo, 33 anni, di Alba (fratello di Elena, vicesindaco della città) che all’arrivo del tornado
si trovava a Jacmel, dove dal 2014 lavora come cooperante di una società di solidarietà di Parigi.
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Ieri mattina, quando a Jérémie era ancora notte, padre Miraglio ha risposto lanciando un appello: «Aiutateci, qui manca
tutto: acqua, cibo, medicinali». E ha raccontato la notte vissuta alla missione, mentre l’uragano Matthew causava morte
e distruzione sull’isola caraibica. «Sapevamo del suo arrivo e ci siamo barricati in casa, che è costruita molto bene, ma
non immaginavamo che sarebbe stato così forte. La gente ricorda un uragano nel 1950, ma che non aveva causato grossi
danni. Invece abbiamo assistito, impotenti, a dodici ore di tempesta terrificante. Sono rimaste in piedi soltanto le
pochissime strutture in cemento armato. L’80% delle case, che sono per lo più baracche in lamiera e legno, sono state
scoperchiate o rase al suolo. Non c’è più un albero in piedi, tutte le coltivazioni devastate. Questa gente vive solo di
agricoltura e ora ha perso tutto». La missione e l’ospedale? «Siamo sulla collina e il tornado ci ha colpiti in pieno. I tetti
della nostra casa, del magazzino e del centro sanitario spazzati via, l’acqua ha allagato tutto. La nostra chiesa non
esiste più».
Drammatico il bilancio delle vittime (900 nell’isola, destinate a salire), dei feriti e delle persone che hanno bisogno
di assistenza umanitaria: 350 mila, secondo l’Unicef per l’America Latina e i Caraibi, che stima anche 4 milioni di bambini
a rischio per l’acqua contaminata. «Se non si affronta subito il pericolo del colera sarà un’apocalisse - riprende padre
Miraglio -. A Jérémie sono morte una decina di persone, ma tantissimi i feriti dalle lamiere e altri oggetti che volavano
dappertutto. Grazie a Dio il momento peggiore del tornado è arrivato tra le 4 e le 5 del mattino: c’era già un po’ di luce,
molti hanno potuto ripararsi nelle case resistenti, altrimenti sarebbe stata una carneficina. Nell’entroterra, purtroppo,
centinaia di vittime e tanti villaggi sono isolati, raggiungibili solo a piedi».
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A livello di collegamenti, ieri è stata riaperta la strada tra la capitale Port-Au-Prince e Jérémie. «Alcuni elicotteri
hanno sorvolato la città e sono arrivati dei camion. Spero che stiano preparando la logistica per far arrivare acqua, cibo,
medicine. Avevamo un piccolo magazzino di farmaci e li stiamo distribuendo, ma gli antibiotici e gli antinfiammatori
sono quasi finiti. E speriamo che non ricominci a piovere, sarebbe un disastro: qui basta un po’ di vento e acqua per
far saltare il telefono».
Per i primi interventi di soccorso e assistenza sono subito necessari 6 milioni di euro. L’Unicef e i Camilliani di Torino
hanno aperto due conti correnti per le donazioni. «L’unica possibilità per risollevare il Paese sono gli aiuti dall’estero conclude padre Miraglio -. Questa tragedia dimostra tutta l’impotenza dello Stato haitiano: non era preparato e non ha gli
strumenti per affrontare l’emergenza».