La nuova disciplina dei costi black list: l`Agenzia delle entrate

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Fiscalità internazionale
Circolare n. 39/E del 26 settembre 2016
La nuova disciplina dei costi black list:
l’Agenzia delle entrate indica la strada
per gestire i periodi 2015 e 2016
di Carola Cerbini e Antonio Parasiliti Collazzo
La disciplina dei costi black list, contenuta nell’art. 110, commi da 10 a 12-bis, del T.U.I.R. è stata, di recente, oggetto di un importante processo di riforma. In particolare, il regime di presunzione relativa di indeducibilità di tali costi per gli anni di imposta fino al 2014 è stato sostituito, per il periodo di imposta
2015, da un regime di deducibilità nei limiti del c.d. valore normale dei beni o servizi acquistati, per poi
cedere il passo, a valere dal 2016, ad un regime di deducibilità integrale dei medesimi componenti negativi di reddito. Ed è proprio su tali modifiche che l’Agenzia delle entrate, con la circolare n. 39/E del 26
settembre 2016, è intervenuta, fornendo importanti chiarimenti. Tra le questioni interpretative risolte, si
segnala l’applicabilità delle sanzioni per le violazioni commesse con riguardo ai periodi di imposta anteriori al 2016.
1. Premessa
Tra le novità normative d’interesse in tema di fiscalità internazionale, introdotte dalla Legge 28
dicembre 2015, n. 208 (nel prosieguo, in breve,
Legge di stabilità 2016), spicca l’abrogazione
tout court dell’art. 110, commi da 10 a 12-bis,
del T.U.I.R. (1) disciplinante le speciali regole di
deducibilità delle spese e degli altri componenti
negativi di reddito sostenute da parte di un soggetto residente per acquistare beni o servizi da
fornitori localizzati in Paesi a fiscalità privilegiata (c.d. costi black list), con effetto a partire
dal 1˚ gennaio 2016.
Prima dell’entrata in vigore della menzionata disposizione, che ha soppresso la speciale disciplina di deducibilità dei costi black list, a cui il legislatore fiscale ha da sempre riservato (2) una
(1) Abrogazione ad opera del comma 142 dell’art. 1 della
Legge di stabilità 2016.
(2) La sua formulazione originaria era stata introdotta con
l’art. 11, comma 12, della Legge 30 dicembre 1991, n. 413.
(3) “Disposizioni recanti misure per la crescita e l’interna-
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trattazione ad hoc nell’ambito del reddito d’impresa, la disciplina in commento era già stata
interessata da due recenti interventi normativi
molto importanti; trattasi dell’art. 1, comma
678, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190 (nel
prosieguo, in breve, Legge di stabilità 2015) che
ha previsto delle modifiche riguardanti l’ambito
territoriale di applicazione della disciplina di limitazione della deducibilità dei costi black list e
dell’art. 5, commi 1 e 4, del D.Lgs. 14 settembre
2015, n. 147 (3) (nel prosieguo, in breve, Decreto internazionalizzazione) che ha disposto rispetto al 2014, una modifica all’art. 110, commi
da 10 a 12-bis, del T.U.I.R., con effetto per l’anno di imposta 2015. Ad opera di tali novità normative tra il 2015 e il 2016 si sono, dunque,
succeduti tre diversi regimi, i cui passaggi più
critici sono stati affrontati e chiariti nella circo-
zionalizzazione delle imprese”, emanato nell’ambito dell’attuazione dell’art. 12 della Legge 11 marzo 2014, n. 23, “Delega al
Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo,
trasparente e orientato alla crescita”.
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Nel regime in vigore fino al periodo di imposta 2014, il comma 10 dell’art. 110 del T.U.I.R.
prevedeva una presunzione relativa di indeducibilità dei costi black list che, ai sensi del
successivo comma 11, poteva essere superata
fornendo alternativamente la prova che: i) le
imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva (c.d. prima esimente); ii) che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico (c.d.
seconda esimente) e che le stesse hanno avuto
concreta esecuzione.
Per effetto delle disposizioni contenute nel Decreto internazionalizzazione (4), nel periodo di
imposta 2015, la disciplina dei costi black list
viene radicalmente modificata e sostituita da un
nuovo regime secondo cui: i) ai sensi del comma 10 dell’art. 110 del T.U.I.R. (5), la deducibilità dei costi in questione è riconosciuta fino a
concorrenza del corrispondente valore normale del bene o servizio acquistato, determinato ai sensi dell’art. 9 del T.U.I.R., senza che la
stessa sia più subordinata, come per il passato,
alla dimostrazione alternativa delle due circostanze esimenti e fermo restando la concreta
esecuzione dell’operazione; ii) oltre tale limite
del valore normale, il successivo comma 11 (6),
stabilisce che i costi black list sono deducibili se
viene fornita la prova della c.d. seconda esimente.
Ed è proprio con riguardo alla deducibilità dei
costi black list nei limiti di questo nuovo parametro del valore normale che l’Agenzia delle entrate, nella circolare n. 39/E/2016, si è pronunciata affermando che l’onere di dimostrare la
congruità del costo dedotto rispetto al valore
normale dei beni o servizi acquistati grava sul
contribuente. Ne consegue, dunque, che la deduzione dei costi black list nei limiti del valore
normale non è ammessa in via automatica ed
immediata.
Tale scelta interpretativa è stata adottata coerentemente con la ratio della norma, in quanto
in sede di iter di formazione del Decreto internazionalizzazione il Governo non ha accolto
l’osservazione formulata dalla VI Commissione
Finanze della Camera dei Deputati circa l’opportunità di inserire la seguente formulazione
“che i costi si ritengono sostenuti al valore normale, salvo prova contraria”.
Inoltre, nella circolare in commento, in linea
con le prescrizioni contenute nell’art. 110, comma 10, del T.U.I.R., secondo cui “le spese e gli
altri componenti negativi ..., che hanno avuto
concreta esecuzione, ... sono ammessi in deduzione nei limiti del loro valore normale ...”, è
stato precisato che le operazioni di acquisto di
beni o servizi effettuate nei confronti di un fornitore black list devono avere avuto concreta
esecuzione. La conseguenza di tale ultima considerazione è che la prova dell’esecuzione dell’operazione va fornita anche in caso di valore
normale. Va da sé che nell’ipotesi in cui l’operazione sia priva di tale requisito il costo black list
non sarà ammesso in deduzione.
Per quanto riguarda l’eventuale parte eccedente il valore normale del bene o servizio acquistato, il legislatore ne ammette il riconoscimento fiscale a condizione che il contribuente sia in
grado di dimostrare che l’operazione effettuata
corrisponda ad un effettivo interesse economico. Tale circostanza rimane l’unica esimente
in vita a seguito delle modifiche apportate dal
Decreto internazionalizzazione, da utilizzarsi
(4) Il Decreto internazionalizzazione persegue l’obiettivo
principale di rendere il nostro Paese maggiormente attrattivo e
competitivo per le imprese, italiane o estere, che intendono
operare in Italia (cfr. Relazione illustrativa allo stesso Decreto).
(5) L’art. 110, comma 10, prevede che “Le spese e gli altri
componenti negativi derivanti da operazioni, che hanno avuto
concreta esecuzione, intercorse con imprese residenti ovvero
localizzate in Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati
sono ammessi in deduzione nei limiti del loro valore normale,
determinato ai sensi dell’art. 9. Si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori individuati con Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, in ragione della mancanza
di un adeguato scambio di informazioni”.
(6) L’art. 110, comma 11, del T.U.I.R. prevede che “Le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le operazioni
poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico
e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione”.
lare n. 39/E del 26 settembre 2016. In particolare, al fine di agevolare la comprensione dell’evoluzione normativa di tale disciplina, che si è
completata con la totale abrogazione dell’art.
110, commi da 10 a 12-bis, del T.U.I.R., l’Agenzia delle entrate, in primis, ha riorganizzato in
un unico documento la disciplina in parola applicabile fino al periodo di imposta 2014, per
poi procedere ad una disamina puntuale delle
diverse regole fiscali da applicare rispettivamente per gli anni di imposta 2015 e 2016, anche
con riguardo agli aspetti sanzionatori, ai controlli e alla c.d. lista degli Stati o territori a fiscalità privilegiata.
2. Dalla indeducibilità relativa
alla deducibilità ordinaria
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solo con riguardo all’eccedenza extra valore
normale.
Relativamente, invece, al momento in cui il
contribuente deve fornire “le prove predette”, il
legislatore ha stabilito espressamente nell’ultima parte del comma 11 dell’art. 110 (7) del
T.U.I.R., che allo stesso sono concessi 90 giorni
per il contraddittorio preventivo prima dell’adozione dell’avviso di accertamento.
Sul punto, la circolare in commento chiarisce
che le prove predette non riguardano solo la dimostrazione da parte del contribuente dell’esimente dell’interesse economico, ma anche la
prova della congruità del costo al corrispondente valore normale. In altre parole, a parere dell’Autorità fiscale, anche la dimostrazione del
valore normale del bene o servizio acquistato
mediante una transazione con un Paese black
list avviene in sede di controllo.
Tale ultima affermazione è in linea con i lavori
della Commissione da cui emerge la volontà
che la prova del valore normale debba essere in
capo allo stesso contribuente.
Inoltre, ove l’Amministrazione finanziaria non
ritenga valide le prove addotte, la stessa procederà alla emissione di un avviso di accertamento motivato a rettifica della parte eccedente il
valore normale.
Infine, il legislatore ha previsto, per il solo periodo di imposta 2015, la possibilità per il contribuente di dimostrare l’interesse economico
dell’operazione al fine della deduzione della eccedenza dei costi black list sostenuti, mediante
la presentazione di una nuova tipologia di interpello c.d. probatorio.
Nella circolare n. 39/E/2016, è stato, altresı̀,
chiarito che ai fini della prova dell’interesse economico, devono essere valorizzate le eccezionali
condizioni o circostanze che rendono le transazioni non comparabili sul mercato da un punto
di vista soggettivo o oggettivo, che in quanto tali
giustifichino un valore eccedente il normale.
Inoltre, precisa l’Agenzia delle entrate, in linea
con i principi generali che presiedono la determinazione del reddito d’impresa, la deduzione
dei costi black list fino a concorrenza del valore
normale è ammessa, in primis, nel rispetto dei
requisiti della competenza, inerenza ed oggetti-
(7) Ai sensi dell’art. 110, comma 11, del T.U.I.R. è previsto,
altresı̀ che “L’Amministrazione, prima di procedere all’emissione dell’avviso di accertamento d’imposta o di maggiore imposta, deve notificare all’interessato un apposito avviso con il
quale viene concessa al medesimo la possibilità di fornire, nel
termine di novanta giorni, le prove predette. Ove l’Amministrazione non ritenga idonee le prove addotte, dovrà darne specifi-
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va determinabilità del costo. Dopo aver individuato l’esistenza di tali criteri base ai fini della
rilevanza fiscale del costo dal reddito d’impresa,
il contribuente per una corretta deducibilità,
dovrà tener conto di eventuali limitazioni specificatamente prescritte dall’ordinamento tributario per quella tipologia di componente negativo
che lo stesso contribuente intende portare in deduzione.
A valere dal periodo d’imposta successivo a
quello in corso al 31 dicembre 2015, il legislatore fiscale con la Legge di stabilità 2016 abroga
l’art. 110, commi da 10 a 12-bis, del T.U.I.R. Il
primo effetto di tale eliminazione, spiega l’Agenzia delle entrate, è il riconoscimento della
deducibilità integrale dei costi sostenuti con
controparti black list non appartenenti al medesimo gruppo societario (8), sempre nel rispetto
delle regole ordinarie dettate dal T.U.I.R.
3. Obblighi dichiarativi:
periodo d’imposta 2015 e 2016
Nella circolare n. 39/E/2016, è stata affrontata
anche la tematica dell’obbligo della separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei
costi black list, a seguito delle modifiche apportate alla disciplina in commento nel corso
del 2015 e del 2016, rispettivamente dal Decreto
internazionalizzazione e dalla Legge di stabilità
2016.
Nel regime vigente fino al 2014, era previsto
l’obbligo di segnalare separatamente nella dichiarazione dei redditi i costi black list sostenuti, pena l’applicazione del comma 3-bis dell’art.
8 del Decreto legislativo n. 471/1997, che sanziona l’inadempimento del mancato obbligo di
segnalazione in misura pari al 10% delle spese
non segnalate, con un minimo di 500 ed un
massimo di 50.000 euro.
Anche nel periodo di imposta 2015, il legislatore mantiene il menzionato obbligo e, in caso
di inadempimento dello stesso, anche l’applicabilità della relativa sanzione.
Con riguardo a tale aspetto, l’Autorità fiscale, al
fine di assicurare un trattamento coerente con
le prescrizioni normative contenute nell’art.
110, comma 11, del T.U.I.R., in vigore per l’an-
ca motivazione nell’avviso di accertamento. A tal fine il contribuente può interpellare l’Amministrazione ai sensi dell’art. 11,
comma 1, lett. b), della Legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo
Statuto dei diritti del contribuente”.
(8) Per queste continuano ad applicarsi le regole in materia
di transfer pricing.
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no di imposta 2015 (9), ha affermato che l’obbligo di evidenziare separatamente i costi black list
nella dichiarazione dei redditi è previsto sia per
la parte relativa al valore normale del bene o
servizio acquistato, nonché per la parte eventualmente eccedente tale limite.
Fatto questo intervento, il Fisco si è pronunciato anche sulla corretta applicazione delle sanzioni ritenendo, conseguentemente, che il mancato rispetto di tale adempimento comporta l’irrogazione della relativa sanzione - in misura pari al 10% delle spese non segnalate, con un minimo di 500 ed un massimo di 50.000 euro - sia
con riguardo all’importo del valore normale non
indicato separatamente che con riferimento alla
quota della parte eccedente tale limite. Infine,
nella circolare in commento è stato sottolineato
che, per indirizzare i controlli verso operazioni
che meritano una maggiore soglia di attenzione,
l’adempimento in parola sussiste anche in presenza di un parere positivo ad un interpello probatorio.
A decorrere dal 1˚ gennaio 2016, nella circolare in commento viene chiarito che l’abrogazione
della disciplina dei costi black list comporta l’ulteriore effetto della eliminazione dell’obbligo di
separata indicazione nella dichiarazione dei
redditi dei menzionati costi e l’inapplicabilità
della relativa sanzione.
Quest’ultima misura contenuta nel comma 3-bis
dell’art. 8 del D.Lgs. n. 471/1997, spiega il Fisco,
pur non essendo stata oggetto di abrogazione
esplicita, si deve ritenere implicitamente abrogata a partire dal 1˚ gennaio 2016.
4. No al favor rei per le sanzioni
Tra i dubbi interpretativi di maggiore rilievo, in
materia di costi black list, ai quali la circolare n.
39/E/2016 ha dedicato una trattazione ad hoc, si
segnala la questione sull’applicabilità o meno,
per i periodi d’imposta anteriori al 2016, delle
sanzioni riguardanti sia la dichiarazione infedele (art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 471/1997), sia
l’omessa separata indicazione nella dichiarazione dei costi stessi (art. 8, comma 3-bis, del
D.Lgs. n. 471/1997).
Come poc’anzi detto, a seguito della soppressione del regime speciale di deducibilità dei costi
(9) Ai sensi del secondo periodo dell’art. 110, comma 11,
del T.U.I.R. è prescritto che: “Le spese e gli altri componenti
negativi deducibili ai sensi del primo periodo del presente
comma e ai sensi del comma 10 sono separatamente indicati
nella dichiarazione dei redditi”.
(10) Sul tema, cfr., tra gli altri, G. Consolo, “Costi ‘black
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black list e del conseguente obbligo di separata
indicazione in dichiarazione, non è avvenuta la
contestualmente eliminazione della disposizione che sanziona l’inadempimento al predetto
obbligo.
Tale mancanza di coordinamento ha fatto sorgere dubbi sulla corretta applicazione delle disposizioni sanzionatorie con riferimento ai
periodi d’imposta anteriori al 2016. Una parte
della dottrina (10) si è schierata a sostegno dell’inapplicabilità di tale sanzione, anche per il
passato, chiamando in causa il principio del favor rei. Ricordiamo che tale principio, secondo
cui “salvo diversa previsione di legge, nessuno
può essere assoggettato a sanzioni per un fatto
che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile ...”, trova la sua collocazione nel nostro sistema tributario nell’art. 3,
comma 2, delle disposizioni generali in materia
di sanzioni amministrative per le violazioni di
norme tributarie, di cui al D.Lgs. n. 472/1997.
Con riferimento a tale nodo interpretativo l’Agenzia delle entrate prende posizione sostenendo che, per i periodi di imposta pregressi al
2016, non opera l’applicazione del principio del
favor rei, con la conseguente applicabilità delle
sanzioni per eventuali violazioni commesse in
tali anni.
Tale scelta interpretativa, supportata anche da
una recente decisione della Corte di cassazione
(cfr. sentenza n. 6651 del 21 gennaio 2016), è
maturata a seguito di una lettura combinata
dell’art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 472/1997, secondo cui il principio generale del favor rei può
essere derogato dal legislatore e della norma
transitoria contenuta nell’art. 1, comma 144,
della Legge di stabilità 2016 (11), secondo cui
l’abrogazione della disciplina dei costi black list
si applica a decorrere dal periodo d’imposta
successivo a quello in corso al 31 dicembre
2015.
Il Fisco, dunque, nonostante l’abrogazione della
normativa sulla deducibilità dei costi black list,
contenente, peraltro, gli adempienti da assolvere, non ha ritenuto applicabile il principio del
favor rei, in quanto ha preso atto della volontà
espressa dal legislatore, di applicare pro futuro
l’abrogazione della disciplina in questione.
list’, ravvedimento operoso e principio del ‘favor rei’”, in Corr.
Trib., n. 24/2016, pag. 1911.
(11) Ai sensi del comma 144 è previsto che “le disposizioni
di cui ai commi 142 e 143 si applicano a decorrere dal periodo
d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015”.
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Ed è proprio in virtù di tale ragionamento che
l’Amministrazione finanziaria ritiene che le violazioni - relative alla separata indicazione dei costi
black list, nonché quelle per la dichiarazione infedele, qualora tali costi fossero considerati indeducibili o parzialmente indeducibili, per mancata
prova dell’esimente - commesse precedentemente
al 2016 siano da ritenersi ancora perseguibili.
In un’ottica sistematica, infine, nel documento
di prassi in commento è stata rammentata la
possibilità concessa al contribuente, per effetto
della nuova disciplina del ravvedimento, di regolarizzare gli errori o le omissioni anche dopo
la constatazione della violazione (12).
5. Efficacia temporale delle modifiche
relative all’ambito territoriale
Un’altra fattispecie esaminata nella circolare n.
39/E/2016 è quella relativa alle modifiche riguardanti l’ambito territoriale di applicazione
della disciplina di deducibilità dei costi black
list, avvenuta nel corso del 2015.
Più precisamente, l’art. 1, comma 678, della
Legge di stabilità 2015 ha modificato i criteri di
individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata
adottati fino a quel momento, restringendo il
campo d’azione ai Paesi c.d. opachi, ovvero a
quelli che non consentono un adeguato scambio
di informazioni con l’Italia.
Fino al periodo di imposta 2014, gli Stati rientranti tra i Paradisi fiscali interessati al regime
in parola erano inclusi in un elenco contenuto
nel D.M. 23 gennaio 2002 che era stato redatto
sulla base dei seguenti criteri: livello di imposizione sensibilmente inferiore a quello vigente in
Italia, mancanza di un adeguato scambio di informazioni o altri criteri equivalenti.
Per effetto della Legge di stabilità 2015, il citato
D.M. 23 gennaio 2002 è stato riformulato, con
la conseguenza che nel periodo di imposta 2015
la mappa delle black list cambia volto.
Al fine di dare attuazione alla menzionata modifica legislativa, nel 2015 sono stati emananti
due decreti ministeriali (13) che hanno espunto
dal D.M. 23 gennaio 2002 tutti gli Stati o territori che avevano in essere un accordo bilaterale
(i.e. Convenzioni contro le doppie imposizioni o
TIEA - Tax Information Exchange Agreement) o
multilaterale (i.e. Convenzione multilaterale sulla mutua assistenza amministrativa in materia
(12) Art. 13 del D.Lgs. n. 472 del 18 settembre 1997.
(13) Si tratta del D.M. 27 aprile 2015 (pubblicato in G.U. n.
107 dell’11 maggio 2015) che ha espunto dalla black list 21 Sta-
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fiscale OCSE/Consiglio d’Europa) con l’Italia, a
prescindere dal livello di tassazione ivi vigente.
L’Agenzia delle entrate, nel documento di prassi
in commento, ha rivolto una particolare attenzione al momento di efficacia di tali modifiche,
prendendo posizione sul fatto che la disciplina
antielusiva in esame si applica alle operazioni
commerciali effettuate con i Paesi espunti dalla
lista di cui al D.M. 23 gennaio 2002 fino al giorno precedente l’entrata in vigore del relativo Decreto modificativo.
Vale a dire che i seguenti Stati o territori: Alderney (Isole del Canale), Anguilla, ex Antille Olandesi, Aruba, Belize, Bermuda, Costarica, Emirati Arabi Uniti, Filippine, Gibilterra, Guernsey
(Isole del Canale), Herm (Isole del Canale), Isola di Man, Isole Cayman, Isole Turks e Caicos,
Isole Vergini britanniche, Jersey (Isole del Canale), Malesia, Mauritius, Montserrat, Singapore, si considerano ancora Paesi black list per le
operazioni con gli stessi sostenute entro il 10
maggio 2015, mentre Hong Kong, è, invece,
considerato black list fino al 29 novembre 2015.
La scelta interpretativa del Fisco di dare rilevanza al momento temporale della effettuazione
dell’operazione, ai fini dell’applicazione della
disciplina antielusiva, risiede nella circostanza
che nella disciplina in parola è sempre richiesta
l’avvenuta esecuzione dell’operazione, quale requisito imprescindibile al fine di evitare una
condotta elusiva.
Ciò a differenza della disciplina CFC dove rileva
la situazione finale al momento della chiusura
dell’esercizio del soggetto estero.
Infine, sempre in tema di territorialità dei Paradisi fiscali, la circolare n. 39/E/2016 ha chiarito
che, dal 1˚ gennaio 2016, a seguito dell’abrogazione della menzionata speciale disciplina dei
costi black list, ad opera della Legge di stabilità
2016, la lista dei Paradisi fiscali, anche se non
formalmente abrogata, perde conseguentemente ogni valenza.
In altre parole, l’ultimo effetto a seguito dell’abrogazione dall’art. 110, commi da 10 a 12-bis,
del T.U.I.R. è una mappa delle black list che arriva “fino ad esaurimento”.
6. Ulteriori chiarimenti
La circolare n. 39/E/2016 è intervenuta anche
sui rapporti intercorrenti tra la normativa CFC
ti o territori e del D.M. 18 novembre 2015 (pubblicato in G.U.
n. 279 del 30 novembre 2015) che ha eliminato dalla black list
Hong Kong.
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rule e la disciplina dei costi black list, che hanno subı̀to parziali cambiamenti, rispetto al periodo di imposta 2014, ad opera delle modifiche
apportate dal Decreto internazionalizzazione alla disciplina antielusiva dei costi black list.
Il legislatore fiscale, anche per l’anno d’imposta
2015, mantiene valido il principio secondo cui
la CFC rule non trascina la disciplina antielusiva
dei costi black list.
Quindi, spiegano i tecnici del Fisco, in caso di
assenza delle esimenti previste nell’art. 167,
comma 5, del T.U.I.R., anche per l’anno 2015
nulla cambia rispetto al passato, in quanto troverà applicazione la tassazione per trasparenza
del reddito estero in capo al socio residente,
con conseguente deducibilità dei costi black list
derivanti da operazioni intercorse con la medesima partecipata estera (a prescindere dal parametro del valore normale).
Nel caso, invece, in cui ricorrano le esimenti di
cui all’art. 167, comma 5, del T.U.I.R., ai fini
della deducibilità del costo eccedente il limite
del valore normale, bisognerà valutare il ricorrere delle condizioni per l’eventuale disapplicazione dell’art. 110, comma 10. Tuttavia, osserva
l’Autorità fiscale, a differenza del passato non è
più possibile considerare sufficiente l’interpello
favorevole in merito all’esimente di cui all’art.
167, comma 5, lett. a), del T.U.I.R.
Tale scelta operata nella circolare è ricollegabile
alla circostanza che nella formulazione della disciplina dei costi black list - vigente nel periodo
di imposta 2015 - ai fini della deducibilità dell’eccedenza del valore normale dei menzionati
costi viene eliminato, rispetto al periodo di imposta 2014, il riferimento alla c.d. prima esimente, ossia alla prova dello svolgimento di
un’attività commerciale effettiva da parte del
fornitore black list.
Seguendo tale ragionamento, nel documento
di prassi in commento è stato affermato che,
qualora il soggetto residente abbia ricevuto un
parere positivo alla disapplicazione della
disciplina CFC - che ricordiamo si basa sulla
dimostrazione dello svolgimento di un’attività
commerciale effettiva da parte del fornitore
black list o alternativamente su quella che dalle partecipazioni non consegue l’effetto di lo-
calizzare i redditi in Stati o territori a regime
fiscale privilegiato - ai fini della deducibilità
della parte eccedente il limite del valore
normale dei beni o servizi acquistati da un
soggetto partecipato estero black list è necessaria la dimostrazione dell’unica circostanza esimente rimasta in vita, ovvero che l’operazione
de qua corrisponda ad un effettivo interesse
economico. Viene cosı̀ superato quanto precedentemente affermato con la circolare n.
51/E/2010, in merito alla valenza della prima
esimente di cui all’art. 167, comma 5, lett. a),
del T.U.I.R., anche ai fini della deducibilità dei
componenti negativi derivanti da transazioni
commerciali intercorse con Paesi black list. In
un’ottica di trattazione sistematica dell’argomento, nella circolare n. 39/E/2016, è stato sottolineato che il parere favorevole rilasciato per
beneficiare della deducibilità oltre il valore
normale dei costi black list (fornendo la prova
dell’unica esimente rimasta in vigore per l’anno 2015, ossia la sussistenza di un interesse
economico all’operazione) non ha alcun rilievo
ai fini della disciplina CFC, stante appunto la
diversità dell’esimente relativa a detta disciplina.
L’Amministrazione finanziaria, nella menzionata circolare n. 39/E/2016, infine, si è occupata anche di un annoso problema che, nel periodo di vigenza della disciplina speciale di limitazione dei costi black list, ha animato il dibattito
dottrinale e giurisprudenziale; trattassi della
questione sulla compatibilità del regime di deducibilità dei costi generati da operazioni con
soggetti domiciliati in Stati a bassa fiscalità
con la clausola di non discriminazione contenuta nelle Convenzioni stipulate con detti
Stati.
Il menzionato principio di non discriminazione
è enunciato nell’art. 24, par. 4, del Modello di
Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni (14). Si ricorda che, in applicazione di tale
norma, le spese sostenute nei confronti di un residente dell’altro Stato contraente debbono essere ammesse in deduzione alle stesse condizioni che sarebbero applicabili qualora la controparte fosse residente nel medesimo Stato dell’impresa acquirente/committente.
(14) Tale clausola prevede che “Fatta salva l’applicazione
delle disposizioni del paragrafo 1, dell’art. 9, paragrafo 6 dell’art. 11 o del paragrafo 4 dell’art. 12, gli interessi, i canoni e le
altre somme pagate da un’impresa di uno Stato contraente ad
un residente dell’altro Stato contraente, sono deducibili, ai fini
di determinare gli utili imponibili di detta impresa, alle stesse
condizioni in cui sarebbero deducibili se fossero pagati ad un
residente del primo Stato. Parimenti i debiti che un’impresa di
uno Stato contraente ha nei confronti di un residente dell’altro
Stato contraente saranno deducibili, ai fini della determinazione del patrimonio imponibile di tale impresa, nelle stesse condizioni in cui sarebbero deducibili se fossero stati contratti nei
confronti di un residente del primo Stato”.
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Sinergie Grafiche srl
Approfondimento
Fiscalità internazionale
Negli anni, una parte della dottrina (15) e alcune pronunce giurisprudenziali (16) avevano evidenziato il conflitto tra le due disposizioni, ritenendo valida la prevalenza della clausola di non
discriminazione rispetto alla normativa antielusiva, in virtù della supremazia della norma convenzionale rispetto a quella domestica.
Nel documento di prassi in commento, si ritiene
che non esista alcun conflitto tra le due normative; pertanto, l’Agenzia delle entrate prende posizione sulla piena compatibilità tra la disposizione convenzionale di non discriminazione
e la disposizione antielusiva domestica. Tale
compatibilità è da intendersi valida indipendentemente dalla circostanza che vi sia o meno nel
testo della Convenzione un esplicito riferimento
all’assenza di ogni limitazione all’applicazione
delle disposizioni interne per prevenire l’evasione e l’elusione fiscale. Nella stessa direzione,
precisano i tecnici del Fisco, si è pronunciata la
Suprema Corte (17), secondo cui la disposizione
antielusiva domestica e il principio di non discriminazione contenuto nella Convenzione
non sono tra loro in rapporto antinomico.
Le ragioni che hanno condotto il Fisco ad operare tale scelta interpretativa sono da ricercare
in una lettura sistematica del Commentario
del Modello OCSE; in particolare il paragrafo
75 del Commentario, all’art. 24, e il paragrafo
9.5 del Commentario, all’art. 1, stabiliscono, rispettivamente che: i) il principio di non discriminazione non impedisce allo Stato di prevedere obblighi informativi aggiuntivi, come a parere dell’Amministrazione finanziaria può essere
nel caso di specie la richiesta della normativa
domestica di dimostrare le circostanze esimenti
e l’obbligo di segnalazione dei costi black list
nella dichiarazione dei redditi; ii) sussiste il
principio guida di negare i benefici convenzionali se lo scopo principale di una transazione è
quello di ottenere una posizione e trattamenti
fiscali più favorevoli contrari allo scopo delle
norme convenzionali.
Infine, è importante sottolineare che la scelta
operata dall’Agenzia delle entrate trova supporto anche nel principio contenuto al paragrafo
23 del Commentario all’art. 1 del citato Modello
OCSE che, in materia di Controlled Foreign
Companies, riconosce la legittimità della pretesa
impositiva derivante dall’applicazione delle norme antiabuso rispetto alle norme convenzionali
(compreso il principio di non discriminazione),
fino a quando tale potestà impositiva sia limitata ai propri residenti.
(15) Sul tema, cfr., tra gli altri, M. Bargagli - M. Thione,
“Costi ‘black list’ e clausola pattizia di non discriminazione: i limiti del bilateralismo convenzionale”, in Corr. Trib., n.
34/2014, pag. 2652.
(16) Cfr. Comm. trib. prov. di Milano, 13 dicembre 2012, n.
294/5/2012.
(17) Cfr. Cass., 23 febbraio 2010, n. 4272.
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