Terre promesse - Bussole rotte

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Recensioni teatrali | Teatro.Persinsala.it
Caterina
Orsenigo
ottobre 13, 2016
Tra il 23 e il 25 settembre alla Civica Scuola d’arte drammatica Paolo
Grassi sono andati in scena gli spettacoli di Bussole Rotte, un progetto
ideato da Giampiero Solari che unisce, in un percorso sull’immigrazione,
studenti diplomandi e neo diplomati di diverse accademie e scuole di
teatro in Europa.
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I giovani artisti di diverse scuole europee (Westminister e Theater503 di
Londra, Theaterademie August Everding di Monaco e FDU di Belgrado) si
sono incontrati per una prima fase di lavoro a marzo, durante la quale
sono state analizzate opere di autori importanti dei paesi facenti parte del
progetto, relativi appunto al tema dell’immigrazione. A questo primo
momento son seguiti tavoli di discussioni e sessioni d’informazione
sull’argomento, più specifico, dell’immigrazione in relazione all’Europa. Gli
allievi drammaturghi hanno poi sviluppato un testo ciascuno sul tema
Flussi migratori verso l’Europa.
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Da qui nascono undici microgrammi di 20 minuti circa sui quali sei registi
si sono adoperati assieme agli scenografi di Brera, altro partner
fondamentale del progetto. Gli attori sono stati selezionati attraverso
bando pubblico e ogni spettacolo è stato seguito da tutor sia di
drammaturgia che di regia. L’intervento di tutte queste maestranze e
figure prifessionali, oltre alla disponibilità della Paolo Grassi, ha permesso
al progetto Bussole Rotte di andare in scena una prima volta a luglio,
dopo un periodo di prove, e in seguito di replicare a settembre restituendo
al publico un viaggio itinerante per gli spazio della Civica Scuola di Teatro
Paolo Grassi attraverso ogni microdrammi.
Come parlare direttamente del tema dei migranti senza cadere nella
retorica? Probabilmente è impossibile. Ogni discorso diretto, ogni
tematizzazione di ciò che sta accadendo è già di per sé un atto retorico.
Prendiamolo quindi nel buon senso del termine, senza preoccuparci del
modo di rappresentare un soggetto di realtà così complesso e vivo. Quale
retorica è possibile e come funziona?
Tra i lavori più interessanti, quelli che più sono riusciti a superare il
buonismo e a servirsi in maniera sottile e mirata della giusta ironia
abbiamo Se il segnavento fa due giri… , un intelligente dispositivo
drammaturgico scritto da Katharina Forster e diretto da Jovana Tomic. Due
personaggi, due attori, nascondendo a stento una sfuriata di coppia che
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intuiamo fuori scena, si presentano davanti al pubblico come a una
conferenza stampa il cui spinoso tema sono le decisioni da prendere in
materia di immigrazione. Dietro ai due attori-displomatici, uno schermo
televisivo che riporta le frasi salienti dei loro discorsi – frasi rubate da
discorsi ufficiali dei grandi capi di stato, tecnocrati e massime cariche
istituzionali di questo progetto incerto che si chiama Europa.
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Man mano che il tempo scorre, l’assurdità delle posizioni, quella di lui
pragmatico-economica, quella di lei moralistico-umanitaria, diventano più
accanite. La tensione ideologica cresce, così come quella sessuale. Gli
spettatori divengono testimoni di questa lite di coppia, trasformando una
conferenza stampa ufficiale nello spettro di una puntata di Forum. Gli
spettatori, da giudici-giornalisti, diventano pubblico televisivo, giudici di
una dispute di coppia. Così, il grande dibattito ideologico tra l’accettazione
dell’altro come risorsa, potenziale e ricchezza di un paese, e lo straniero
che peserà sulle spalle di uno Stato, che complicherà le cose, che costerà
ai cittadini, si riduce a questo: una lotta erotico-sessuale, che mostra
quanto le due posizioni non fossero altro che modi di difendere e
affermare un potere, il proprio. E in questa sfida di poteri, mostrare chi è il
più forte è fondamentale. Non importa davvero di cosa si stia parlando. E
questa sfida è eccitante, aperta a capovolgimenti sadomasochistici, a
ricatti, a promesse. In questo gioco erotico del potere, le due parti si
ritrovano evidentemente d’accordo. La conferenza stampa si trasforma in
una combattimento a colpi di cibo, in cui i tavoli imbanditi da aperitivo
fungono da barricate. Così le questioni si risolvono in un assalto erotico dei
due partner sulle macerie alimentari. Bella la metafora, bello
l’accostamento, molto efficace il dispositivo teatrale usato per analizzare i
discorsi dei potenti.
Sempre di potere si parla in un altro episodio, diretto da Antonio Pinnetti e
scritto da Rodolfo Ciulla: Salta il confine. Questa volta le dinamiche di
potere prendono la chiave della mise en abîme. Le vediamo, le
percepiamo nel gioco sadico che i tre protagonisti espongono al nostro
sguardo. Siamo in uno studio televisivo, sull’isola di Lampedusa. Qui si
sbarca, si approda come in una casella di un gioco in scatola. Quale sarà la
prossima mossa? Tornare indietro di tre caselle o proseguire verso il Nord
Europa? Una valletta inquietante, bambola manipolante e manipolata, è il
primo segno di un potere subìto, di una donna-oggetto, cresciuta per
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prestare servizio al gioco sadico di cui siamo testimoni. Un giovane
egiziano, interpretato da Stefano Cordella, è rinchiuso in una gabbia e
subisce un quiz nel quale la posta in gioco sono tutti i suoi risparmi, e che
gli consentirà di continuare il viaggio o di tornare indietro. Come un
animale costretto, il giovane, accetta la sfida, che include, tra le prove, il
cantare Un italiano di Toto Cotugno sotto l’attacco di getti di liquidators.
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La tensione e il fastidio sono palpabili anche nel pubblico. La violenza
subita, quella delle parole del presentatore, che ignora e modifica il nome
del giovane egiziano, quella incarnata dalla valletta, quella iscritta nel
desiderio del migrante di vincere la sfida e accedere al livello successivo.
Tutta questa acredine distillata nei caratteri dei personaggi è la forza della
regia di Antonio Pinnetti, che sottolinea il meccanismo perverso del gioco
televisivo, facendolo girare su se stesso, fino a esplodere in uno rischioso
scontro fisico tra l’egiziano e il conduttore. Testimone dell’irruzione della
violenza reale è la valletta, che se ne va sbattendo la porta non appena le
telecamere saranno spente. Testimoni sono tutti gli occhi incollati al
televisore che immaginiamo e che sono evocati dal conduttore. Testimoni
siamo, infine, noi stessi. Di quel dietro le quinte in cui l’egiziano avrà
conquistato la celebrità grazie al suo atto ribelle e sarà quindi costretto a
ripresentarsi tutti i giorni allo stesso programma televisivo. Gli ascolti
contano.
Gli spettacoli sono andati in scena
Civica Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi
Via Salasco 4, 20136 Milano
dal 23 al 25 settembre h. 19.00
Terre promesse – Bussole rotte
progetto ideato da Giampiero Solari
sito ufficiale
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