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NEWSLETTER 41-2016
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NOTIZIE DALL’EUROPA, DAL MONDO
E… DAL TAMISO
Questa settimana parliamo di:

REPORT RaiTre, EcorNaturaSì e la Cooperativa El Tamiso,
o “SI PUÒ FARE!” – Festival dell’economia e delle relazioni sociali a Mira il 14-15-16 ottobre prossimi,
 Grano canadese importato in Europa: è un rifiuto speciale!!,
 Luca Mercalli a Piombino Dese: Ecologia integrale,
o Cambiare: cosa, come e perché,

Aria fuorilegge a Padova,
o Bruciare rifiuti: Il Cementificio di Monselice diventa Inceneritore,
 Isola dell’Abbà ancora in pericolo: come salvarla?,
 Opere abusive lungo l’idrovia Padova-Venezia,
o I segni invisibili della crisi,

L’Europa impone un rigore che non è salutare,
o Il coraggio di dire NO al cambiamento,
 Kivalina/Alaska, isola condannata dal clima e dalla miniera,
 Venti potenze in declino e senza idee per lo sviluppo
futuro,
o La tutela del suolo diventi priorità,

Pensavo fosse miele… e invece era sciroppo,
o Continua la disinformazione sull’olio di palma,
 Merendine ricche di zuccheri e grassi: In Italia mancano gli
studi sui consumi reali,
 I pesticidi sulla frutta restano anche dopo averla
lavata e sbucciata,

Fame e terra:basta ipocrisia!!,
o L’Agenda della Salute di Terra Nuova per ottobre,
 Nuovi appuntamenti del BioTour 2016.
Buona lettura!!!
REPORT RAI TRE – LUNEDÌ 10 OTTOBRE: IL BIOLOGICO IN ITALIA
... Siamo i primi in Europa. Sessantamila imprese in Italia fanno biologico, nel 2015 il
fatturato è stato di 4,3 miliardi di euro, 18 milioni di famiglie in Italia comprano prodotti
biologici. Quattordici sono gli enti che controllano le imprese che fanno biologico, a
loro volta controllato da un ente unico, sopra il quale vigile il
ministero. Siamo in una botte di ferro…
… inizia così la trasmissione di Milena Gabanelli di lunedì 10
ottobre…
** guarda QUI il promo della trasmissione **
Qui di seguito riportiamo alcune considerazioni sul tema da
parte del presidente di EcorNaturaSì, e, di seguito, un breve
appunto di Franco Zecchinato:
Lettera aperta di Fabio Brescacin, Presidente di EcorNaturaSì
Dopo quasi un secolo di agricoltura “alternativa”, o ecologica che dir si voglia (il corso base
di agricoltura biodinamica risale al 1924, quando ancora l’uso della chimica in agricoltura
era solo agli inizi), nessuno può negare l’assoluta necessità di un sistema agricolo che
rispetti la natura e assicuri un cibo salubre ai consumatori.
Il sistema biologico e biodinamico garantisce tutto questo. Negli anni sono stati fatti infiniti
sforzi e sono maturate eccellenti esperienze per fare un prodotto che rispetti la salute e la
fertilità della Terra e la salute delle persone.
Purtroppo, anche in questo caso, come in altri nella vita, alcune realtà, spinte dalla brama
di denaro, o a volte per mancanza di competenza tecnica e di forte motivazione interiore,
hanno preso con troppa superficialità, e in alcuni casi anche con intenzioni non sane, le
opportunità offerte da questo settore.
La possibilità di queste falle, e magari a volte qualche leggerezza nei confronti dei controlli,
non inficia che il cuore di tutto quello che viene fatto nell’ambito dell’agricoltura biologica
e biodinamica, da migliaia di persone in tutto il mondo e da quasi cento anni, sia, non solo
sano, ma anche l’unico vero modo per rispondere alle necessità di una Terra sempre più
impoverita ed avvelenata dall’agricoltura convenzionale e alla necessità di avere a
disposizione per tutte le persone un cibo, che non sia fonte di malattia, ma di salute e di
vita….. continua QUI la lettura
§§§
… EcorNaturaSì ci considera un loro "pericoloso" competitore commerciale. Nonostante
il nostro fatturato credo sia inferiore di un 20 volte ...... sarà perché operiamo anche
noi nel Veneto Orientale, o perché una certa mentalità monopolista ci è estranea, o
perché in tanti anni di impegno ci siamo guadagnati una discreta reputazione. Ci
piacerebbe collaborare invece, e Brescacin lo sa bene, sul piano della qualità e della
"politica" del biologico, ma evidentemente certe logiche mercantili lo impediscono di
fatto, peccato.
Detto questo pubblichiamo volentieri questa lettera aperta di Fabio, assolutamente
condivisibile nei contenuti. Le truffe accadono e accadranno, in parallelo con la crescita
del mercato biologico, e con l'entrata di soggetti che niente hanno a che vedere con i
valori fondanti la nostra esperienza di agricoltori e cittadini responsabili. Ed è
importante che vengano smascherate e che se parli, pur con qualche inevitabile rischio
televisivo.........
Franco Zecchinato - Cooperativa agricola El Tamiso
**torna al sommario**
SI PUÒ FARE! – FESTIVAL DELL’ECONOMIA E
DELLE RELAZIONI SOLIDALI
COMUNE DI MIRA -- Provincia di Venezia
14-15-16 ottobre 2016
Una grande fiera mercato, un caffè letterario, uno spazio
teatrale, un laboratorio del riciclo e del recupero. Sarà
tutto questo, e molto altro ancora, “Si può fare!”, il
Festival delle Economie e delle Relazioni Solidali in
programma dal 14 al 16 ottobre 2016 in Villa dei Leoni e
in Riviera Silvio Trentin a Mira.
L’evento sarà organizzato da associazione AERES, AIAB
Veneto Onlus e Comune di Mira con la collaborazione di
Eco Topis. Per tre giorni proporrà incontri, dibattiti e
tante altre iniziative legate a temi come terra e cibo,
energia e ambiente, mobilità e territorio, consumi e
riuso, lavoro e democrazia.
Interverranno esperti del settore, giornalisti di livello
nazionale e artisti di grande richiamo.
(** scaricate QUI il programma completo
dell’evento)
I BIGLIETTI SONO DISPONIBILI ANCHE PRESSO
LA COOPERATIVA EL TAMISO: NEI BANCHI
AMBULANTI DI PADOVA E VENEZIA ED ALLO
STAND NEL MERCATO ORTOFRUTTICOLO DI
PADOVA!!!
Piazza IX Martiri – 30034 MIRA (VE)
Tel. 041.5628211 – Fax 041.422023
Internet: www.comune.mira.ve.it - Email: [email protected]
(da Si può fare Mira! – ottobre 2016)
**torna al sommario**
“IL GRANO CANADESE CHE ARRIVA IN EUROPA È UN
RIFIUTO SPECIALE CHE FINISCE SULLE NOSTRE TAVOLE”
Lo racconta il noto micologo pugliese, Andrea Di Benedetto, che, da anni, si occupa
dei problemi del grano duro e di micotossine.
Questo ‘regalo’ lo dobbiamo all’Unione Europea che,
dal 2006, in seguito alle pressioni delle lobby,
consente l’arrivo, con le navi, di grani duri che in altre
parti del Mondo vengono smaltiti come rifiuti tossici.
Il problema vale per tutti i consumatori europei ma,
in particolare, per gli italiani: soprattutto per gli
abitanti del Sud Italia che, in media, tra pasta, pane,
pizze, dolci ingeriscono ogni anno 130 chilogrammi di
derivati del grano.
Da qui l’aumento di malattie: Morbo di Crohn, Parkinson, Autismo e altre patologie
autoimmuni. E anche la Gluten sensitivity/Sensibilità al glutine, scambiata per Celiachia.
Che pasta, pane, pizze, semola per cus cus, merendine e dolci arrivano sulle nostre tavole? I
Nuovi Vespri, già da qualche tempo, batte su questo argomento.
Abbiamo parlato del glifosato contenuto nel grano duro che arriva dal Canada. E
delle micotossine. E di come difenderci dai prodotti avvelenati – parliamo sempre di derivati
del grano – che ci sono in giro: per esempio, dove acquistare la pasta e come fare a individuare
un pane fatto con grano che contiene micotossine. Oggi offriamo ai nostri lettori un
approfondimento: un’intervista con Andrea Di Benedetto, un micologo (la micologia è la
branca delle scienza naturali che studia i funghi) che, da anni, si occupa dei problemi legati al
grano duro che circola in Italia.
Per fare il punto della situazione sui prodotti derivati dal grano duro inquinati e anche per fare
ulteriore chiarezza su quella che Saverio De Bonis – uno dei protagonisti di GranoSalus – ha
chiamato “la prova delle fettina di pane”. Il quadro che emerge dalla chiacchierata che abbiamo
fatto con Di Benedetto è a dir poco inquietante.
“Partiamo da una semplice considerazione – ci dice il micologo Di Benedetto -: un grano che
ha viaggiato molto deve costare di più. Invece, con riferimento al grano duro che arriva dal
Canada, avviene l’esatto contrario: alcune partite di grano duro costano poco. Questo ci
dovrebbe fare riflettere”.
Qualche riflessione l’abbiamo fatta anche noi sul glifosato contenuto nel
grano duro che arriva dal Canada…
“E avete fatto benissimo. Ma ci sono altri problemi, non meno gravi, legati alla presenza di
micotossine. E’ il caso del cosiddetto DON, acronimo di Deossinivalenolo. La presenza di
questa micotossina nei mangimi prodotti e commercializzati in Canada, in una quantità oltre a
mille ppb (sigla che sta per parti per miliardo-ndr), crea seri problemi agli animali monogastrici,
che non progrediscono nella crescita”.
Che cosa sta cercando di dirci?
“Dico che l’Unione Europea, nel 2006, in seguito alle pressioni delle lobby, ha fissato il limite di
questa micotossina a 1750 PPB”.
Si riferisce al grano duro destinato all’alimentazione umana?
“Certo. Stranamente nell’Europa unita tutto il grano duro che in Canada non si potrebbe
utilizzare nemmeno per gli animali si dà… all’uomo. Si tratta, con queste percentuali di DON,
di un grano che, di fatto, è un rifiuto tossico e speciale, che dovrebbe essere smaltito con certi
costi. Un prodotto che, invece, finisce sulle tavole dei consumatori europei”.
Ci faccia capire: invece di pagare per smaltire questo grano avvelenato
dalle micotossine lo portano qui in Italia?
“Precisamente. Lo portano con le navi – il vostro blog ne ha più volte parlato – che approdano
in tanti porti del nostro Paese. Questo grano duro pieno di DON viene miscelato con i nostri
grani duri – parlo dei grani duri del Sud Italia che hanno un contenuto di DON pari a zero – e
poi viene utilizzato per produrre pasta, pane, pizze, dolci e via continuando”.
Ma è una follia!
“E’ uno scandalo che va avanti da anni. Ricordo quando in Puglia arrivarono i signori da Parma.
Allora noi operatori agricoli eravamo convinti che erano giunti da noi per rilanciare il grano duro
pugliese e, in generale, del Sud Italia. Invece avevano altri progetti”.
Come ci ha detto De Bonis, a causa del grano duro canadese al glifosato
e alle micotossine, il Sud Italia ha abbandonato circa 600 mila ettari di
seminativi.
“Per l’appunto. E la storia va ancora avanti. Le navi cominciano a scaricare grano duro
canadese, ogni anno, intorno a metà aprile, e proseguono fino ai primi di giugno”.
Lei ci sta dicendo che tantissimi derivati del grano duro che circolano in
Italia e in Europa – pasta, pane, dolci – vengono prodotti con grani duri
che dovrebbero essere considerati rifiuti speciali?
“Purtroppo è così”.
Come possiamo difenderci?
“Non è facile difendersi. Io non mangio più pasta. A meno che non ne conosca la provenienza:
se è prodotta con il nostro grano duro – grano duro del Sud Italia, che come detto prima è
esente da micotossine – la mangio. Qualunque altro tipo di pasta la evito”.
Quindi lei non mangia la pasta prodotta dai grandi marchi italiani?
“Assolutamente no”.
… continua QUI la lettura dell’articolo
(da I Nuovi Vespri – settembre 2016)
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LUCA MERCALLI MERCOLEDÌ 12 OTTOBRE A PIOMBINO DESE (PD)
§§§
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CAMBIARE. COSA, COME, PERCHÉ.
Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o
pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far
valere la mia volontà e il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo?
*Antonio Gramsci
Alla fine di ogni mio intervento pubblico c’è una domanda che – pur con toni o sfumature
diverse a seconda dei casi – non manca mai. E’ una specie di appuntamento fisso. Essa suona
più o meno così: d’accordo, tu sei uscito dal sistema e predichi il cambiamento su base
principalmente soggettiva, ma se questo cambiamento non avverrà su larga scala, magari
tramite una forza sociale organizzata, non pensi che le tue restino solo parole?
Questo tipo di argomentazione nasce purtroppo dalla palude morale in cui è sprofondata
l’Italia nel corso del Dopoguerra e attecchisce nel cono d’ombra del senso di civiltà di
moltissime persone. Questo argomento, in altre parole, è un inconfessabile ma solidissimo alibi
per nascondere la propria indolenza. O, il che è addirittura peggio, per derubricare a niente la
propria responsabilità diretta.
Il cambiamento è sempre e soltanto prima di tutto un atto individuale. Se non altro,
perché la cellula primordiale di ogni consorzio umano è sempre e soltanto l’individuo.
Ribaltando per una volta a nostro favore, mutatis mutandis, l’illusorio dogma neoliberista
della ricaduta favorevole (“il perseguimento dell’interesse individuale produce ricadute
benefiche
sull’intera
collettività“),
possiamo
benissimo affermare
che
l’approccio sociocentrico di ogni individuo si traduce nel miglioramento del tessuto sociale (che
si rifletterà a sua volta sul benessere soggettivo).
Nel momento stesso in cui il cambiamento viene invece delegato (tramite i meccanismi dello
stesso ordinamento democratico, per esempio), non si può più parlare di cambiamento, ma
solo di un astuto disimpegno. Proprio a questo proposito, mi destano compassione e
tenerezza tutti quegli intellettuali, filosofi e opinionisti vari che costruiscono intere carriere
sulla implacabile condanna di questo sistema, sfruttando però – guarda caso – proprio i dorati
pulpiti che quello stesso sistema mette a loro disposizione (e magari ricevendone più o meno
lauti compensi): una “dissidenza” insomma che, almeno alle mie assuefatte narici, puzza molto
di calcolo, opportunismo e convenienza mediatica.
Guarda caso, il 99% delle persone che questo sistema lo criticano solo a parole, non offre mai
– dico mai – argomenti e proposte concretamente praticabili sul cosa fare dopo. Non una nuova
visione dell’orizzonte. Non un sogno realmente generativo. Non un’idea. Non un diverso
modello culturale a cui ispirarsi. Non un singolo progetto. Niente di niente. Solo una capillare e
autoportante decostruzione dell’esistente (magari rievocando cliché del passato),
esclusivamente funzionale al più disarmante e inapplicabile vuoto pneumatico. Un vuoto reso
certamente polarizzante da belle parole e seducenti invettive. Ma totalmente inutile da un punto
di vista pratico.
A nulla serve ricordare l’invito gandhiano ad essere in prima persona il cambiamento che si
vorrebbe vedere nel mondo. A nulla serve il sollecito di Martin Luther King a sentirsi
orgogliosi di essere disadattati. A nulla serve il tentativo di persuadere che, applicando
queste esortazioni alla lettera, il mondo miracolosamente cambia davvero, se non altro perché
lo si percepisce cambiato. E lo si percepisce cambiato perché, una volta usciti dalle sue
subdole seduzioni consumistiche, le maglie che ci separano dal contesto esterno magicamente
si allargano. E, tramite queste maglie allargate, l’energia che passa “da” e “verso” il sistema
circostante ne cambia strutturalmente i connotati, facendocelo percepire come effettivamente
modificato.
E se una cosa la percepiamo cambiata, per noi “è” cambiata. Ma l’efficacia di questa
spiegazione – lo so bene, in quanto molti anni fa io stesso ero animato dallo stesso scetticismo
– è preclusa a quei “prigionieri” capaci soltanto di appendere nuovi gerani alle sbarre delle loro
celle, magari rinfacciando pure a chi ne è uscito la bellezza della propria condizione di
schiavitù. Prigioni di comfort, le chiamo io.
Il cambiamento richiede coraggio, ma parlandone con tutti quelli che hanno intrapreso questo
difficile percorso – statene certi – si riceverà un’identica risposta: ci voleva molto più coraggio
a restare dov’ero prima. In questi due anni sono stato invitato e ho conosciuto comunità di
cohouser, ecovillaggi, facilitatori, progettisti energetici, geologi, downshifter, coworker,
orticoltori, biologi, permacultori, homeschoolers, formatori, naturopati, microcreditori e
finanziatori etici, amministratori, imprenditori sociali e tantissime altre professionalità che,
attivamente impegnate nella realizzazione di stili di vita autenticamente sostenibili, stanno
realizzando – ignorati dai circuiti mediatici mainstream – l’ossatura della società
neovernacolare che ci attende.
Non sarà un caso se, proprio mentre scrivo, mi segnalano che BNG, banca olandese a
partecipazione pubblica, ha appena emesso un bond di un miliardo a otto anni, destinato a
finanziare le associazioni locali di social-housing maggiormente sostenibili:
un esempio di come l’iniziativa locale sia in grado di attirare risorse o, come diceva Gandhi, di
cambiare il mondo. E questo, grazie a persone che sono partite da se stesse. Rischiando
qualcosa del loro. Intercettando le onde giuste e consorziandosi. Condividendo sogni e saperi
a livello micro comunitario. Generando quel tessuto sociale inclusivo, partecipato e prepolitico
che, solo, può sconfiggere questa farsa di Crisi.
Affronteremo
concretamente
il COME cambiare
nelle
due
edizioni
del
workshop “Scollocarsi oggi: un percorso concreto di cambiamento”, che si
terranno rispettivamente il 15-16 ottobre a ISASCA (Cuneo) e il 29-30 ottobre a
PANTA REI (Perugia).
(da Low Living High Thinking – ottobre 2016)
ARIA FUORILEGGE A PADOVA
**torna al sommario**
La stagione estiva, quella più favorevole alle concentrazioni di ozono, si è conclusa e
la Legambiente traccia il consuntivo sulla presenza di questo inquinante nell’aria che
respiriamo. E’ stata una brutta estate per l’inquinamento da ozono.
Il valore per la protezione della salute umana dall’Ozono è stato superato per 40
giorni, certo meno dei 53 del 2015, ma più dei 31 giorni del 2014.
Va ricordato che per legge non possono essere più di
25 all’anno i giorni di superamento del limite. Quello
che però va sottolineato è che dal 2004 (cioè da
quando ARPAV fornisce i dati sul limite per la
protezione umana), Padova ha sempre superato il
limite annuale: in altre parole l’aria della nostra città è
consecutivamente fuorilegge da 13 anni.
Per quanto riguarda le località monitorate dall’ARPAV
in
provincia, Este
registra
36
giorni
di
sforamenti, Santa Giustina in Colle 28, Cinto Euganeo
44.
Dall’inizio dell’anno ad oggi, se si considerano i 40
giorni di sforamento del limite per la protezione umana dall’ozono, e i 38 giorni di sforamento
del limite giornaliero del Pm10 – polveri sottili (avvenuti in inverno e che in autunno
puntualmente riprenderanno) totalizziamo 78 giorni di aria inquinata su 200. In pratica più di
un 1 giorno su 3. Ozono d’estate e Pm10 negli altri mesi ripropongono con forza, alla città ed
all’Amministrazione, lo smog come grande problema ambientale e sanitario.
Gli interventi per diminuire il volume del traffico, fonte primaria dello smog, appaiono ancora
ampiamente insufficienti. La ventilata proroga della pedonalizzazione del comparto piazze non
è che una goccia nel mare, come pure il giusto, ma timido, rilancio del car-sharing.
E intanto via San Francesco rimane aperta al traffico, mentre la pioggia di multe ai ciclisti, che
si spostano senza inquinare, di certo non aiuta: quando verrà fornita loro una viabilità sicura
ed adeguata, in modo da incentivare i padovani a lasciare l’auto a casa ed inforcare la bici?
La cementificazione diffusa e le grandi inutili opere come lo stadio al Plebiscito, per di più senza
un’adeguata pianificazione della mobilità alternativa all’auto, aumenteranno ancor più
congestione, traffico e smog conseguente. Invece a Padova bisognerebbe diminuire di almeno
un quarto i circa seicentomila spostamenti giornalieri di persone e merci su auto e furgoni.
Un modo per farlo sarebbe quello di intervenire per favorire il trasporto pubblico utilizzando
metà dei 12 milioni annui provenienti delle multe degli autovelox, per implementare il servizio.
Legambiente lo chiede da tempo: con quella cifra si pagherebbero circa due milioni di chilometri
di corse in più, con una crescita del servizio del 33%.
Lucio Passi, portavoce Legambiente Padova
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§§§
… ora le ultimissime sull’inceneritore di Monselice:
Bruciare rifiuti! Il cementificio pronto a diventare
inceneritore
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§§§
… e sulla nostra Provincia:
Isola dell'Abbà ancora in pericolo:
come salvarla?
**torna al sommario**
§§§
Opere abusive lungo l'idrovia, a quando la rimozione?
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da Ecopolis Newsletter di Legambiente Padova – ottobre 2016)
I segni invisibili della crisi
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§§§
L'Europa impone un "rigore"
che non è salutare
**torna al sommario**
§§§
Il coraggio di dire “no al
cambiamento!”, e sì alla
trasformazione
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§§§
L’ultimo appello di Kivalina,
l’isola condannata dal clima e dalla miniera
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§§§
Venti potenze in declino e senza un’idea etica di
“sviluppo”
**torna al sommario**
(da Altreconomia – ottobre 2016)
LA TUTELA DEL SUOLO DIVENTI PRIORITÀ
Simile a una colata lavica, il cemento nella nostra
penisola avanza in maniera lenta ma inesorabile.
Basti ricordare che tra il 2013 e il 2015 il consumo
di suolo ha interessato altri 250 km quadrati di
territorio.
È l’Ispra a certificare come ogni secondo si perdano in
maniera irreversibile 4 metri quadrati di suolo: un trend in
rallentamento, ma che continua senza sosta a intaccare
aree naturali e agricole.
Dagli anni Cinquanta il consumo di suolo ha investito circa 21mila km quadrati di superficie
italiana, pari all’estensione dell’Emilia Romagna.
A Terra Madre Salone del Gusto sono stati l’ex Ministro dell’Agricoltura Mario Catania e la
Senatrice Laura Puppato a fare il punto su un tema che non si può più ignorare, nemmeno in
termini di costi. Sommando la mancata produzione agricola e forestale e i danni ambientali si
arriva a una stima tra i 538,3 e gli 824,5 milioni di euro, pari a 36-55mila euro per ogni ettaro
consumato. Solo nel settore primario, la conversione dei suoli agricoli ha comportato una
perdita di circa 420 milioni di euro nel periodo tra il 2012 e il 2015.
In Senato è all’esame un disegno di legge sul contenimento del consumo di suolo che la Camera
ha già approvato a luglio. Sebbene la definizione sia limitata e soggetta a eccezioni (l’attuale
DDL conteggerebbe come consumo di suolo solo 115 dei 250 km quadrati sottratti tra il 2013
e il 2015), ha il merito di riconoscere il suolo come bene comune e di limitarne l’uso nell’ottica
europea del “consumo zero”.
Anche in Europa qualcosa si muove. Una rete di 300 organizzazioni ha lanciato la campagna
People4Soil (www.salvailsuolo.it), presentata a Terra Madre Salone del Gusto da Carlo
Petrini, per arrivare a una direttiva europea sui suoli: l’obiettivo è raccogliere un milione di
firme per avvalersi del diritto di iniziativa dei cittadini europei (Ice) e richiedere un intervento
di Bruxelles. Non c’è più tempo da perdere. La tutela del suolo deve essere messo
nelle agende in tutti gli stati, senza se e senza ma, e senza pressioni di lobby varie.
§§§
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PENSAVO FOSSE MIELE… E INVECE ERA SCIROPPO
Il miele non si raccoglie più, si fabbrica. Per lo meno in Cina.
Basta sciroppo a base di riso, un po’ di polline e l’aroma giusto
per la varietà richiesta. A informarci è Diego Pagani, presidente
di Conapi. Il fatto è che «Nel 2016 è crollata la produzione a
causa dei cambiamenti climatici e dell’uso dei pesticidi, e l’annata
si preannuncia la peggiore da 35 anni a questa parte. Di
conseguenza i prezzi aumenteranno e con loro anche il rischio
delle frodi».
Prima di parlarvi delle adulterazioni facciamo un passo indietro e
spieghiamo perché non c’è più miele. Anzi del perché non ci sono più api.
Ne abbiamo parlato più di una volta, ma ricordarlo male non fa. Le api
muoiono, a causa di inquinamento, pesticidi e deforestazione.
In Cina sono spariti il 95% degli alveari: questo non significa soltanto che c’è meno miele
(poco male se viene sostituito con un buonissimo lo sciroppo di riso condito di aromi), ma che
milioni di contadini sono costretti a impollinare a mano per sostituire gli insetti.
Perché se non ci sono le api che impollinano i fiori, i frutti non nascono. Credo che abbiate tutti
presente la logica. (Qui avete più info su tema Non ci sarà più da mangiare). Le ricerche si
moltiplicano e tutte confermano quanto noto da anni: i pesticidi non fanno bene alle api.
La pubblicazione dell’ultima risale allo scorso agosto, si tratta di uno dei primi studi ad
analizzare gli impatti a lungo termine dei neonicotinoidi (in un lasso di tempo che va dal 1994
al 2012). Ha analizzato 62 specie di api selvatiche e i cambiamenti rispetto ai modelli di
coltivazione di colza, una delle principali fonti di polline per questi insetti, ben irrorata di
neonicotinoidi. Ebbene, stando ai risultati della ricerca, questi ultimi sono i responsabili della
diminuzione del 7% della distribuzione delle api, circa la metà della diminuzione totale. Una
percentuale che sale al 10% nel caso delle api che vivono sulle coltivazioni di colza.
Torniamo in Italia e all’annus horribilis del miele. «La situazione è molto grave, con una
produzione completamente azzerata per il miele d’acacia in Piemonte e nel Triveneto e per
quello di agrumi in Sicilia. Le conseguenze? Il miele italiano scomparirà dai supermercati e quel
poco che ci sarà avrà prezzi rincarati in media del 20%» informa Conapi.
E qui si inserisce la frode, come ci spiega Pagani: «La contraffazione a base di sciroppo di riso
è difficile da scoprire perché gli zuccheri contenuti sono talmente simili a quelli naturali del
miele che anche con le analisi isotopiche – le più specifiche previste, ndr – è complicato
smascherarla». Se ciò non bastasse Pagani aggiunge che «mentre i sistemi usati per adulterare
il miele cambiano in continuazione, quelli analitici sono sempre un passo indietro». Te pareva.
Lo spazio Let it Bee a Terra Madre 2016
Ma anche gli amici bulgari si danno da fare per rimediare a questa
carenza: «Capita che il miele in Bulgaria venga tagliato con
sciroppo di zucchero. L’adulterazione avviene in due modi: o
viene miscelato al prodotto finale oppure viene usato per
alimentare le api durante il raccolto. Per fortuna oggi è
praticamente routine fare questa verifica ed è più semplice
verificare se al miele sia stato aggiunto zucchero».
Ma come entra questo falso miele in Italia, anzi in Europa?
Operatori compiacenti e maglie troppo larghe di alcune frontiere:
«La triangolazione – aggiunge il presidente Conapi – è la classica
operazione attraverso la quale un miele extracomunitario entra
illegalmente in un paese membro e diventa comunitario. Purtroppo per quello cinese la Spagna
resta una porta troppo aperta ma anche Belgio e Inghilterra dovrebbero avere controlli più
stretti».
Che fare? Ovviamente «Rafforzare i controlli sarebbe già una bella mossa» conclude Pagani. E
noi, come scegliamo? Semplice, occhio alla provenienza, e meglio ancora se
conosciamo l’apicultori di persona. Credetemi ce ne sono molti di più di quanto voi
possiate immaginare e sono sicura che troverete chi fa il miele che vi garba di più.
Ora che l’inverno è alle porte, un bel gioco potrebbe essere sbizzarrirvi in
degustazioni a fine pasto con gli amici.
(da Slow Food – ottobre 2016)
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Olio di palma: continua la disinformazione con
interviste su Corriere.it, Wired.it, agenzie stampa e
altri media
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Troppe merendine ricche di zuccheri, grassi e
calorie. In Italia mancano studi sui consumi reali.
Perché nessuno li vuole fare?
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I pesticidi sulla frutta restano anche dopo averla lavata
e sbucciata. Secondo l’indagine francese l’80% dei
campioni è contaminato
**torna al sommario**
(da Il Fatto Alimentare – ottobre 2016)
Fame e terra: basta ipocrisia
Il problema della fame nel mondo è dovuto
all’insufficiente produzione alimentare, che non riesce
a star dietro alla costante crescita demografica? No:
«La fame è causata dal fatto che grandi imperi
detengono l’80% dei terreni del mondo e sono tutte
monocolture». Ecco chi ha le idee chiare.
(da Il Cambiamento – ottobre 2016)
**torna al sommario**
… concludiamo la settimana con l’Agenda della salute di ottobre, proposta
da Terra Nuova, ricordandovi di segnare nella vostra Agenda i prossimi due
appuntamenti previsti dal BioTour 2016:
e
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Buona lettura e buon fine settimana