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Il Malpensante.com
Francesco Santavenere
13/10/2016
Negli ultimi giorni, sul web, impazzano video, post, tweet e commenti vari sulla ormai famosa
risposta del tecnico del Torino Sinisa Mihajlovic ad un giornalista riguardo alle presunte difficoltà di
un calciatore di 22 anni, Benassi nella fattispecie, ad indossare la fascia di capitano.
Credo che tutti voi sappiate di cosa si sta parlando: lo scorso 2 ottobre, al termine dell’incontro
Torino-Fiorentina, il tecnico serbo si presenta, come di consueto, in conferenza stampa per
rispondere alle domande dei giornalisti.
Per farla breve, uno di loro chiede se per Benassi non sia difficile portare la fascia di capitano del
Torino a soli 22 anni.
Mihajlovic, ancor prima che termini la domanda, ha già un piccolo sussulto e prontamente risponde
affermando che “Non è facile alzarsi ogni mattina alle 4, 4 e mezza e andare alle 6 a lavorare tutto il
giorno e non arrivare a fine mese. Questo non è facile. La fascia è un piacere, un orgoglio: lui è una
persona fortunata come tutti noi che facciamo questo lavoro”.
Immediata arriva la reazione, estremamente positiva, da parte dell’opinione pubblica.
Un plebiscito, una vittoria bulgara.
Tutta l’opinione pubblica si schiera dalla parte del tecnico e delle sue parole, piacevolmente
sorpresa dall’umiltà, dalla sensibilità, dalla serietà di un uomo che si rende conto della posizione
privilegiata di cui gode e capisce quindi che la stragrande maggioranza del popolo ha a che fare
quotidianamente con ben altri problemi che non indossare una fascia da capitano di una squadra di
calcio, per giunta lautamente ricompensato.
Alcuni commenti, presi a caso, evidenziano perfettamente questa levata di scudi a favore del
tecnico del Torino, al netto di fisiologici bastian contrari, concentrati più sull’antipatia personale
verso il protagonista di questa vicenda e/o su alcuni suoi comportamenti del passato che non sullo
specifico delle parole in questione:
“Grande Sinisa bel messaggio a tutti quei bambinoni viziati che giocano a calcio e si lamentano
sempre!!!”.
“Fossero tutti così nel calcio andrebbe meglio invece come Bettarini piangono e addirittura dicono
che è dura!!!”.
“Bravo, coerente e serio”.
“Grande Sinisa, pur non condividendo a volte certe sue uscite, lo reputo una brava persona,
spontanea e diretta”.
Quindi Sinisa, che dire?, bello, bravo, bis.
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Io però, perdonatemi, non son mica così convinto.
Sinceramente sono rimasto molto sorpreso dalla mole di complimenti e dall’unanime approvazione
indirizzata verso l’autore di quella che, sinceramente, trovo un’uscita non solo ipocrita e
ruffiana, ma anche non così corretta e veritiera. E qui in realtà il discorso si amplia a dismisura,
andando a toccare quello che da sempre è un argomento inspiegabilmente, almeno per me, molto
sensibile agli occhi dell’opinione pubblica: i privilegi dei calciatori.
Ma andiamo con ordine.
Sinisa Mihajlovic, senza ombra di dubbio, non incarna
lo stereotipo negativo del calciatore, quello tutto veline, Ferrari e tatuaggi.
Anzi, al di là delle opinioni politiche condivisibili o meno, sembra decisamente una persona
intelligente, estremamente informata sulla storia del suo Paese, che ha vissuto in prima
persona il dramma di una guerra sanguinosa e che, certamente, non ha atteggiamenti snob.
Per dire, se le stesse parole fossero state pronunciate da Balotelli sicuramente la reazione
non sarebbe stata la stessa.
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Eppure parliamo in tutti e due i casi di personaggi appartenenti alla stessa “classe”, non molto amati
dal pubblico, con un’infanzia più o meno difficile (certo, Balotelli non ha vissuto una guerra, ma
credo comunque che vivere da persona di colore in Italia non sia affatto semplice). Nonostante ciò,
l’effetto sarebbe stato decisamente diverso.
E qui veniamo alla prima particolarità di questa storia: perché? Perché le stesse parole, pronunciate
da persone diverse ma appartenenti alla stessa “casta”, sortiscono effetti diametralmente opposti?
Ditemelo voi, io non l’ho capito.
Ma tornando a noi, dopo questa piccola digressione, credo comunque sia abbastanza lapalissiano il
fatto che la domanda del giornalista fosse da intendersi contestualizzata all’ambiente calcio ed in
particolar modo al gioco del calcio ad alti livelli.
Cioè, il buon Sinisa avrebbe forse preferito ricevere una
domanda così posta: “premesso che il mondo è, da sempre, attraversato da profonde ingiustizie,
drammi, calamità naturali e che l’uomo, antropologicamente ed intrinsecamente, è naturalmente
portato verso l’infelicità e l’autolesionismo, e considerato inoltre che la condizione sociale e
economica del calciatore medio di Serie A mal si sposa con la descrizione del mondo appena
illustrata, a causa della sua condizione scandalosamente privilegiata rispetto al resto della
popolazione, non credi che in uno sport seguito quotidianamente e costantemente da milioni di
persone in tutto il mondo, dove, solo per rimanere al Belpaese, esistono 3 (tre!) quotidiani a tiratura
nazionale che dedicano dalle 18 alle 25 pagine ogni giorno su quanti peli sono presenti nel culo del
calciatore X o dell’allenatore Y, dove orde di animali si massacrano di botte ogni domenica in nome
di una futile rivalità calcistica, potrebbe a tuo parere essere oggetto di qualche piccola pressione
psicologica, per un ragazzo di soli 22 anni, il fatto di essere insignito di un ruolo di responsabilità
all’interno del suo gruppo di lavoro, dove sono presenti esseri umani simili a lui, con lo stesso status
di persone scandalosamente privilegiate, ma di età più avanzata e quindi teoricamente più mature
ed esperte? Intendiamoci Sinisa, nulla che gli faccia perdere il sonno la notte, però potrebbe questo
fatto farlo andare incontro ad un’impercettibile calo delle performance sportive sul rettangolo di
gioco?”.
Probabilmente questa domanda non avrebbe prodotto la stessa risposta, ma quasi sicuramente
avrebbe comportato una notte in ospedale per accertamenti al malcapitato giornalista.
Ma allora, seguendo lo stesso ragionamento, le stesse persone citate da Mihajlovic, che si alzano alle
4 di mattina, non dovrebbe considerarsi privilegiate rispetto a quelle larghe fette di popolazione
mondiale che vivono al di sotto della soglia di povertà e che spesso non hanno accesso nemmeno
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all’acqua potabile, per tacere di altri servizi primari?
Cioè, per convincermi a mangiare quando ero piccolo, mia madre mi diceva sempre di pensare a
tutti quei bambini in Africa che muoiono di fame, non dovremmo allora tenerne conto sempre,
in ogni situazione di vita quotidiana, anche noi stessi che viviamo con un normale stipendio e
conduciamo una vita magari difficile sotto alcuni punti di vista ma di sicuro anni luce più agiata
rispetto a tante altre persone?
Capite bene che, se entriamo in un ginepraio del genere, vale tutto e il contrario di tutto e
non ne usciamo più.
Di conseguenza, ritengo la risposta del tecnico del Torino assolutamente fuori luogo. Voglio
pensare che il suo scopo principale fosse quello di motivare il giocatore in questione e, da
quel poco che conosco il personaggio pubblico credo proprio sia così, non quello di strappare un
applauso alla comunità tanto ipocrita quanto inutile, buono solo a lavarsi la coscienza e a sentirsi
tutti più buoni senza essere in periodo natalizio.
LO STATUS DEL CALCIATORE
In ogni caso questa vicenda ci offre lo spunto per analizzare quello che, a mio avviso, è il vero fulcro
della questione: l’assoluta, incontrovertibile e feroce condanna verso lo status, sociale ma
soprattutto economico, della figura del calciatore.
Potrei elencarvi decine di figure che mediamente percepiscono guadagni superiori a quelli dei
calciatori, in alcuni casi anche di svariati ordini di grandezza. Non credo, però, che possa servire a
qualcosa, perché in ogni caso, l’unica figura che, agli occhi del pubblico, è meritevole di
qualsiasi condanna morale è sempre e solo quella del calciatore (al netto di quella del
politico che però, va da sé, è fuori concorso).
Su questo punto, se possibile, sono ancor più scettico rispetto al precedente.
Senza entrare nel merito di analisi sociali ed antropologiche, che non sono minimamente in grado di
fare mica per altro, trovo abbastanza spropositata la ferocia con cui l’utente medio si scagli
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contro la figura del calciatore ed in particolare contro il suo stipendio medio. E, si badi
bene, l’attacco proviene anche e soprattutto da persone appassionate di calcio e che quindi
contribuiscono significativamente ad alimentare la spinta verso l’alto degli emolumenti dei Nostri.
Anche questo odio, perché di questo si tratta, lo trovo abbastanza strumentale, ma
sinceramente non riesco a risalire con sicurezza alle cause. Negli anni ho provato a formulare una
teoria, che ovviamente non pretende di essere veritiera e risolutiva.
Detto che molto spesso la nostra mente ha bisogno di
individuare un colpevole, un capro espiatorio che assolva funzioni autoconsolatorie e disinneschi
quindi le nostre piccole grandi frustrazioni quotidiane (no ma le analisi antropologiche non le faccio,
tranquilli), secondo me la figura stereotipata del calciatore si presta perfettamente a tale scopo:
giovane, mediamente non acculturato, dotato di un talento che, se vogliamo, non è poi così
complesso, trattandosi in fondo di saper dare semplicemente 4 calci ad un pallone,
strafottente, cafone, un po’ tontolone.
Insomma, incarna un’ideale di persona esteticamente gradevole, atletico, giovanile, ovvero tutto ciò
che vorremmo essere, misto però a quella bassezza socio-culturale che li rende decisamente umani e
alla nostra portata (anzi, forse nella nostra testa anche un gradino sotto).
Ed è proprio questo mix che, probabilmente, fa impazzire l’utente medio: ma come, questo qui
(metteteci uno a caso tra i calciatori che più odiate), che non sa stare al mondo, che
sembra proprio un disadattato, guadagna tutti questi soldi? Ma stiamo scherzando?
Lo stesso ragionamento non si applica, ad esempio, agli attori: probabilmente perché l’attore, che
innanzitutto si presupponga abbia studiato per diventare tale, viene comunque visto come
appartenente ad un mondo diverso, lontano dal nostro quotidiano.
“Quelli sono artisti, sono un po’ strani”.
Quante volte lo abbiano pensato/sentito dire? Ecco quindi che con loro non scatta lo spirito di
competizione e di autoidentificazione, e di conseguenza quel meccanismo di invidia che porta alla
critica se non proprio all’odio.
Il calciatore, invece, ha alle spalle una tipologia di carriera che più o meno tutti abbiamo provato ad
intraprendere da ragazzi. L’unica differenza è stata che loro non si sono fermati alla terza categoria
ma sono arrivati fin lassù, ma sostanzialmente hanno cominciato come noi, per un po’ di anni
si sono allenati come noi, con gli stessi allenatori, nelle stesse sgangherate società
sportive, sugli stessi improponibili campetti spelacchiati, e così via.
E allora diventa inaccettabile che loro, e solo loro, possano aver avuto fortuna ma soprattutto
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enorme talento per scalare la vetta della fama e della ricchezza, posizionandosi su un piedistallo per
noi totalmente irraggiungibile.
DIAMO QUALCHE NUMERO
In Italia, nella stagione 2013/2014, vi erano 1.073.286 calciatori tesserati per la FIGC, che cubano
più del 25% del totale tesserati delle 45 federazioni nazionali affiliate al CONI, di cui 13.062 operanti
in ambito professionistico (ovvero dalla Serie A alla Lega Pro) [fonte Report Calcio 2015].
Ripeto, su circa un milione di ragazzi che
cominciano a giocare a calcio nel nostro paese, solo 13.000 arrivano almeno in Serie C,
poco più dell’1%.
Nel 2015, poi, i giocatori italiani impiegati nelle 20 squadre della massima serie sono stati circa 200,
pari allo 0,02%: quindi, su 5.000 ragazzi italiani che sognano di diventare campioni, soltanto uno di
loro ce la fa.
Uno su cinquemila.
Sempre con riferimento alla stagione 2013/2014, l’affluenza complessiva di spettatori nel calcio
professionistico è stato pari a 13,1 milioni, senza contare quelli sintonizzati davanti al televisore
(ovviamente molti di più), con un’affluenza media per la sola Serie A di 23.011 spettatori a partita.
È così assurdo allora pensare che, a fronte di una selezione così dura e di un seguito così
importante, quelli che ce la fanno, ovvero i principali attori di questo circo, siano
adeguatamente ricompensati? (aggiungo anche che i ricavi sono commisurati al circolo
economico generato da tutto il sistema: se tutti pagassimo/vedessimo meno calcio, le retribuzioni
calerebbero inevitabilmente. ndADV)
È così assurdo pensare che chi è chiamato a performare settimanalmente di fronte a più di 23 mila
persone debba essere proporzionalmente remunerato? Ve l’immaginate se voi, seduti alle vostre
scrivanie, vi ritrovaste 23 mila persone alle vostre spalle che osservano morbosamente e
vivisezionano ogni vostro click sul mouse, ogni slide in powerpoint che producete, ogni analisi
excel, report, file o pratica che evadete, pronti a saltarvi addosso e ad insultarvi ad ogni piccolo
errore?
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Ecco, pensando a quanto rompete il cazzo al vostro datore di lavoro su aumenti e promozioni per
ogni lavoretto fatto bene, in una situazione del genere quale trattamento economico pretendereste?
Che poi, se la questione vi irrita così tanto, esiste una soluzione tanto semplice quanto efficace,
ovvero smettere di seguire questo sport, ma ovviamente nessuno la prende in considerazione
perché è molto meglio (molto più autoconsolatorio, per riprendere un termine usato
precedentemente) criticare un sistema piuttosto che provare a modificarlo.
Poi per carità, lungi da me prendere le difese di una categoria effettivamente privilegiata e dalla
quale, come tutti voi, non guadagno un centesimo e, anzi, spendo parte del mio normale stipendio
per foraggiarlo, ma sinceramente mi guardo bene dal vomitare rancore addosso a qualcuno
che contribuisce in maniera significativa a riempire una buona fetta del mio tempo libero.
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