Domenica XXVII T.O.

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Transcript Domenica XXVII T.O.

Riflessioni (n.243) sulle Letture della XXVII Domenica del T.O. (c)
2 ottobre 2016
A tutti gli Amici in Gesù Nostro Signore e Salvatore
A te che leggi, ti benedica il Signore e ti custodisca nella pace e nella perenne visione del Suo Volto
Perdona Signore e anche voi amici tutti gli errori e le imprecisioni, che involontariamente avrò scritto: queste righe vogliono essere solo una preghiera a Te Padre Misericordioso, a Te Verbo Redentore, a Te Spirito Consolatore. Non avanzo pretese di scienza che non posseggo, esse sono solo bisogno
dell’anima, la preghiera è consolazione e insegnamento.
Le cose che conosco della Verità sono poche, ma voglio parlarne con umiltà e devozione massima per conoscerle meglio. Lo Spirito Santo mi aiuti.
Signore so che Tu non hai bisogno di quello che diciamo di Te, ma queste mie parole saranno utili e benefiche sicuramente a me e forse a qualcuno
che le legge se Tu le arricchirai del Tuo Spirito Santificatore che invoco.
-Nihil amori Christi praeponere-
SIGNORE FACCI DONO DEL TUO SPIRITO SANTO COSÌ CHE IL TUO AMORE E IL TUO VOLERE SI RIVELINO A NOI
Prima Lettura - Dal libro del profeta Abacuc - Ab 1,2-3; 2, 2-4 - Il giusto vivrà per la sua fede.
Fino a quando, Signore, implorerò aiuto
e non ascolti,
a te alzerò il grido: «Violenza!»
e non salvi?
Perché mi fai vedere l’iniquità
e resti spettatore dell’oppressione?
Ho davanti a me rapina e violenza
e ci sono liti e si muovono contese.
Il Signore rispose e mi disse:
«Scrivi la visione
e incidila bene sulle tavolette,
perché la si legga speditamente.
È una visione che attesta un termine,
parla di una scadenza e non mentisce;
se indugia, attendila,
perché certo verrà e non tarderà.
Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto,
mentre il giusto vivrà per la sua fede».
Il Profeta Abacuc si fa interprete del rimprovero
che tanti di noi hanno rivolto e continuano a muovere
al Signore per la Sua apparente indifferenza alle sofferenze umane, anzi peggio! Sembra che le persone peggiori siano quelle cui tutto va sempre bene …! Com’è
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antica questa lamentela , tanto quanto inopportuna.
Anch’io nella mia esistenza quante volte l’ho sentita dire e come si accaloravano e s’indispettivano coloro che
rimarcavano l’apparente ingiustizia. Noi vorremmo vedere le persone per bene i -giusti- vivere una vita felice e prospera, mentre assistere alla rovina dei malfattori: questa era la concezione corrente nel popolo
d’Israele, ma non è così per il Signore che contraddice
l’opinione popolare; ma fa di più, avverte Abacuc di
scrivere chiaramente che:
all’ingiustizia e lo sguardo rivolto in alto della donna esprime proprio
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La figura proposta accanto rappresenta una “Menade danzante” di
Skopas da una copia romana dell’originale greco del 330 a.C. circa e
bene interpreta il sentimento della cultura del tempo e di cui ha parlato secoli prima Abacuc. Le Menadi erano seguaci di Dioniso e la statua proposta fa trasparire quel sentimento di insofferenza e ribellione per la triste condizione umana: immersi nelle sofferenze e lontani
dall’interesse degli dèi che vivono beatamente ed egoisticamente la
loro vita felice, gli uomini si ribellano
tale disagio esistenziale.
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“… soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il
giusto vivrà per la sua fede”.
Dunque Dio ha pensato a tutto e ha avvertito il gregge
con moltissime profezie su cosa sia giusto e cosa no,
confutando spesso le convinzioni umane di comodo.
Non ha mai affermato che le persone buone avranno
una vita felice. La vita di relazione nel genere umano è
molto complessa e complicata dalle distorsioni dei nostri ragionamenti egoistici e allora pensiamo cosa sarebbe se il Signore dovesse intervenire ogni momento
a correggere, a impedire, a premiare e a punire.
Nel Vangelo di Matteo leggiamo a conferma:
“… affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli;
egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.” (Mt 5, 45)
L’impazienza ci fa dire e agire da stolti, perché non
vogliamo intendere che la vita è una prova.
“La pazienza è la virtù dei forti” dice il proverbio; è
la virtù dei saggi, di coloro che sanno accettare le avversità della vita; è la virtù di chi ha fede e crede in una
vita oltre la vita sensibile, la Vita nella Casa del Padre, la
Vita della Giustizia e dell’Amore.
Signore sii paziente con noi che non lo siamo perché Tu sei la Sapienza, la Saggezza,
l’Amore e la Misericordia!
Salmo Responsoriale - Dal Salmo 94 - Ascoltate oggi la voce del Signore.
Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.
Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.
Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere».
Ascoltiamo la Voce del Signore che ci parla solo
per il nostro Bene, solo perché ci vuole accanto a Sé
per l’eternità, perché ha creato la meraviglia
dell’universo proprio e solo per noi. Egli infatti non ha
bisogno di nulla; Egli è l’Assoluto. A Lui noi siamo legati,
come prediletti Suoi Figli, per l’Agape inesauribile a noi
stesso rivolto. Per noi s’è incarnato e ha voluto offrirsi
come Vittima Innocente per riscattare i nostri peccati.
Quante volte dobbiamo ripetercelo? Quando lo capiremo e agiremo di conseguenza? Non mettiamo alla
prova il Signore: è da insensati amanti del rischio di
morte eterna! Teniamo bene a mente che il pentimento non potrà avvenire dopo la morte come abbiamo
letto domenica scorsa del ricco Epulone; dunque ravvediamoci finché siamo in tempo!
Seconda Lettura - Dalla II Lettera di san Paolo apostolo a Timoteo - 2 Tm 1,68.13-14 - Non vergognarti di dare testimonianza al Signore nostro.
Figlio mio, ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante
l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza.
Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me,
che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il
Vangelo.
Prendi come modello i sani insegnamenti che hai udito da me con la fede e
l’amore, che sono in Cristo Gesù. Custodisci, mediante lo Spirito Santo che
abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato.
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Quale
animo nobile traspare dalle Lettere
dell’Apostolo delle Genti! E che forza e sicurezza sono
in lui: solo la Forza dello Spirito Santo può dare tanto
coraggio e tanta certezza in cose che al solo pensiero ci
fanno tremare di paura, di incertezza e di inadeguatezza in ciò che affermiamo. Mi viene in mente
Sant’Agostino quando scrive e si preoccupa tante volte
di sbagliare nelle sue affermazione e nei suoi sottili ragionamenti teologici: eppure anche lui era ispirato nelle meraviglie che scriveva!
“Non vergognarti dunque di dare testimonianza al
Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui”
In questa frase si percepisce il vanto che San Paolo
si fa di essere carcerato e presto condannato a morte
per la Testimonianza inarrestabile più d’una valanga
per la sua piena adesione a Cristo Gesù. Quanti di noi
ne sarebbero capaci? Ne sarei io stesso capace, io che
mi dichiaro Suo discepolo e seguace? Cristo Stesso ha
detto:
“Lo spirito è pronto, ma la carne è debole” (Mt 26,
41)
E altrettanto dobbiamo riconoscerlo anche noi!
Veramente lo Spirito che è in noi e che noi dimentichiamo troppo spesso o, peggio, che soffochiamo sotto
la catasta dei peccati, possiede la Forza, la Carità e la
Prudenza che dice Paolo. Se Lo lasciassimo libero di
agire nel Nome del Signore nulla e nessuno fermerebbe lo slancio divino che possiede e che ci potrebbe infondere nel cuore e nella mente, facendo di noi dei
santi e degli eroi della Fede!
Nella mia tarda età o Signore d’ogni Bene donami la Forza che Tu possiedi e sarò più
forte e invincibile di mille demoni potenti per
far trionfare il Tuo Bene e la Tua Verità
Inarrestabili. Io, Tuo servo inutile Ti offro
quello che di più prezioso posseggo: lo Spirito
che m’hai donato!
Canto al Vangelo - 1Pt 1,25
Alleluia, alleluia!
La parola del Signore rimane in eterno:
e questa è la parola del Vangelo che vi è stato annunciato.
Alleluia.
Dal vangelo secondo Luca - Lc 17, 5-10 - Se aveste fede!
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste
dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando
rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto:
“Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso
quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
Quale creatura umana ha mai detto parole simili a quelle che Gesù Cristo ci ha donato nella Sua
breve ma inesauribile predicazione? Solo Dio poteva
dirle perché sono fuori di ogni schema logico e di
ogni cultura umana! È la nostra incredulità che ci
conduce alla perdizione e ad impostare l’esistenza
sbagliandone il tracciamento e la struttura portante:
se un architetto sbaglia il tracciamento nella costruzione di una casa, deborda verso la proprietà confinante che pretenderà che si rientri nei limiti e saranno guai per lui perché dovrà abbattere quello che ha
edificato. E così se non farà le fondazioni giuste la casa potrà rovinargli addosso, già in costruzione, con
danno enorme per sé e per i malcapitati presenti:
eppure ad alcune delle cose umane si può porre rimedio.
Ma molto peggio avverrà se la nostra vita, come
una casa che si costruisce giorno dopo giorno, mese
dopo mese, anno dopo anno, l’avremo impostata
ignorando non le regole della statica e del diritto, ma
quelle dello Spirito e della Verità, tanto facili da capire quanto difficili da seguire se private del conforto e
della certezza-speranza della Fede! Senza di Essa è
come muoversi al buio totale camminando su uno
strettissimo sentiero sassoso al fianco d’un precipizio
che sappiamo essere lì ma non vediamo… Però non
montiamoci la testa perché abbiamo capito solo alcune cose del profondo mistero di Dio e abbiamo
cercato di operare nella linea della giustezza: quanto
abbiamo fatto è certamente poco o nulla se non
l’arricchiamo dell’amore che Cristo ci ha insegnato a
donare, così siamo solo “servi inutili”.
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di Antonello da Messina
(Antonio di Giovanni de Antonio, Messina, 1429 - 1479)
Figura 1 - San Gerolamo nello studio, 1475; Antonello da Messina; National Gallery of London; olio su tavola, 0,36 x
0,45 m.
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Questa settimana, in occasione della memoria di
San Gerolamo (30 settembre) desidero intrattenermi
su un dipinto molto noto, “San Gerolamo nello studio”,
di un grande pittore vissuto nel secolo XV: Antonello da
Messina.
San Gerolamo è stato un grande studioso delle Sacre Scritture
che tradusse in latino rendendole così accessibili al mondo romano.
Visse tra il IV e il V secolo.
Spesso è rappresentato accanto a un leone perché quando era in
ritiro nel deserto incontrò un leone ferito da una spina alla zampa
che il Santo curò e così la fiera divenne mansueta come un cagnolino
e lo seguì fedelmente ovunque andasse.
Antonio di Giovanni de Antonio, detto Antonello da
Messina, nacque e morì a Messina ma viaggiò molto in
Italia ove conobbe la pittura di diversi artisti del tempo.
Senza meno è stato il maggior artista siciliano del Quattrocento. Ma se ovunque andò apprese qualcosa, di
contrò lasciò sempre un suo segno alle Scuole pittoriche locali, come in quella Veneta ove contribuì alla nascita della Pittura Tonale di cui abbiamo parlato più
d’una volta.
La sua straordinaria abilità fu arricchita
dall’interesse alla pittura italiana dell’epoca per il classico equilibrio e la monumentalità delle figure inserite
razionalmente nello spazio prospettico di matrice pierfrancescana (di Piero della Francesca), ma temperata
dalla pittura fiamminga per il gusto
verso la rappresentazione minuziosa del
particolare nella luce
atmosferica dei paesaggi aperti e degli
ambienti
chiusi.
Spesso la sua attenzione si rivolse al genere della ritrattistica
come nella bellissima
Figura 2 - L'Annunziata;1486; An- Annunziata (figura 2)
tonello da Messina; Palazzo Abache
più
che
tellis, Palermo.
un’immagine sacra
appare proprio come un ritratto di giovane donna.
Alla pittura fiamminga pervenne attraverso le collezioni pittoriche di Alfonso d’Aragona figlio del re di Napoli Alfonso II e del successo che essa ebbe anche in Sicilia.
Geniale l’invenzione di penetrare nel vasto e solenne, nonché articolato spazio chiuso dello studio, con lo
sguardo che si accompagna alla luce che, come un fiume, penetra all’interno concentrandosi sulla figura del
Santo assorto nella lettura degli antichi testi Sacri e
brilla nella lunga teoria delle arcate di un portico rappresentato in profondità sul lato destro della tavola. La
luce all’interno è più vivida che non quella del cielo
stesso o del paesaggio naturale a sinistra che appaiono
dalle finestre del fondo dell’ambiente.
Il portale di pietra è il piano prospettico, la “intercisione” come avrebbe detto Leon Battista Alberti della
piramide visiva; ma il suo non è uno spazio “teorico” alla Piero della Francesca, ma più uno spazio empirico di
derivazione fiamminga. Però se la prospettiva di
quest’ultima pittura rappresentava lo spazio per definire i numerosi oggetti, quella di Antonello usa gli oggetti
per definire lo spazio: in altri termini lo spazio è rappresentabile attraverso gli oggetti che lo occupano.
Il gradino che dà accesso allo studio presenta due
uccelli che si volgono le spalle, una starna a sinistra e
un pavone a destra, oltre a una bacinella di metallo,
senza un significato preciso apparente e quindi forse
solo per dare il senso del vissuto così caro alla pittura
fiamminga. E certamente di derivazione fiamminga è
l’esposizione dei numerosi oggetti di uso domestico
come i vasi di peltro con le piantine ai piedi del Santo, il
gattino accovacciato e poi libri e una miriade di vasi e
oggetti di diversa specie schierati sugli scaffali.
La prospettiva ci mostra un vasto spazio interno pur
adoperando un ridottissimo piano pittorico di soli 36 x
45 centimetri: se non avessi riportato le dimensioni
reali, chi non l’ha mai visto dal vero, non lo penserebbe
certo così piccolo!
A destra, mentre procede pigramente verso il portico, è rappresentato il leone, simbolo, come abbiamo
visto, di San Gerolamo: una presenza viva nella solitudine di quello spazio vuoto, veramente definito dalla
luce.
Ma soffermiamoci un momento anche sulla distribuzione della luce sul lato sinistro: un’ombra netta
proietta il portale di pietra sul pavimento e al procedere dello sguardo verso il fondo essa si va schiarendo
sempre di più fino a giungere in prossimità della finestra dove avviene un’inversione luministica per un fiotto di controluce che avanza verso di noi.
Veramente sorprendente il grande mobile su cui il
Dottore della Chiesa studia e lavora: assomiglia fortemente ai mobili delle camerette per ragazzi delle nostre case moderne. Ma quel grande mobile sembra più
un’architettura dentro un’altra architettura, rendendo
ambigua la funzione del portale arcuato del primo piano ed esaltando in tal modo la complessità e la lettura
dello spazio.
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Il punto di vista prospettico non è ad altezza reale,
ma più alto del naturale, alla stessa altezza del volto del
Santo che è innalzato sulla pedana del mobile e tale
elevazione consente di vedere agevolmente il ricco pavimento decorato. Spazi suggeriti ma che non entrano
nel campo visivo e debordano di lato accentuano
l’aspetto misterioso di quell’architettura, forse allusione ai difficili testi che il dotto cardinale sta interpretando nella traduzione altrettanto difficile.
La vista di profilo del Santo mette in risalto le caratteristiche fisionomiche di una figura che esaminandola
dall’alto verso il basso si espande nell’ampio mantello
cardinalizio, fino ad occupare quasi per intero la pedana del mobile che lo contiene a stento, quasi fornendo
un appoggio insicuro contro la caduta dal dislivello.
Viene da pensare a Caravaggio della Cappella Contarelli
in “San Matteo e l’Angelo” lì uno sgabello su cui poggia
il ginocchio sembra in procinto di far cadere
l’Evangelista; ma non solo tale dettaglio ci riporta a Caravaggio ma anche e soprattutto lo straordinario uso
che fa della luce.
Giorgio Obl OSB
-Nihil amori Christi praeponere02 ott 2016
Questo e altri scritti sono
pubblicati sul sito
www.giorgiopapale.it
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