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Sabato 27 Agosto 2016 Corriere della Sera
BS
Cultura
 Tempo libero
Antologica
L’Aab ricomincia
da Franceschi
Sabato 3 settembre alle ore 18,
nella sede dell’Associazione
Artisti Bresciani in vicolo delle
Stelle n. 4, verrà inaugurata la
mostra antologica delle opere
del pittore Eliseo Franceschi, dal
titolo Una vita con l’arte. I lavori
esposti coprono il lungo periodo
di attività dell’artista, dal 1954
ad oggi. Eliseo Franceschi è nato
nel 1928 a Paese (Treviso). Nel
1947 si è trasferito a Brescia per
lavoro; dal 1950 al 1960 ha
frequentato il gruppo dei pittori
bresciani “innovatori” e per tre
anni i corsi della scuola d’arte
dell’AAB. Nel 1960 ha aperto il
suo studio di restauro, dove ha
svolto l’attività fino al 1995,
quando ha ripreso a dipingere.
Particolare importanza ha avuto
l’invito ad esporre al Concorso
nazionale di pittura di La Spezia.
Ha partecipato a mostre a
Brescia, Palazzolo, Parma.
ANNIVERSARI 40 ANNI FA IL LIBRO «NÈ DIO NÈ CAPITALE»
Fra le croci
La tomba di
Karl Marx nel
cimitero di
Highgate, fra le
croci dei
defunti di fede
cristiana. Il libro
«Né dio né
capitale. Marx,
marxismo e
religione» del
filosofo
Luciano
Parinetto
venne
pubblicato
quarant’anni fa
L’autore
 Luciano
Parinetto
(Chiari, 19342001) è stato
un filosofo
italiano. Ha
insegnato
filosofia morale
all’Università
degli studi di
Milano. Nella
sua opera
convergono
tanto lo studio
delle filosofie
orientali che
influenze di
pensatori sia
classici, come
(Eraclito,
Nietzsche e
Marx), sia
contemporanei
della filosofia
occidentale,
(quali Deleuze
e Guattari). È
considerato
uno degli
interpreti
eterodossi del
marxismo in
Italia.
Particolarmente importanti
sono state le
sue analisi sulle
persecuzioni
dei movimenti
ereticali e sulla
stregoneria. È
stato anche
critico musicale
L’anticonformista
I
l 1976: un anno che, filosoficamente, segna una
svolta nella cultura italiana. Nel giro di pochi mesi, vedono la luce: «Quale
socialismo?» di Norberto Bobbio e «Krisis. Saggio sulla crisi
del pensiero negativo da
Nietzsche a Wittgenstein» di
Massimo Cacciari.
Due opere che investigano
la crisi del marxismo che pur
pareva in Italia egemone dopo
le vittorie elettorali del Partito
comunista: Bobbio evidenziando l’inesistenza di una teoria marxista dello Stato e
l’impossibilità di una conciliazione tra il pensiero Marx e la
liberal-democrazia, Cacciari
mostrando come Nietzsche e
il pensiero negativo ponessero
domande ineludibili sui fondamenti del sapere non viste
dal marxismo.
Due libri che mettevano in
discussione in particolare modo la tradizione gramsciana.
Nello stesso anno esce il libro
di Luciano Parinetto «Né dio
né capitale. Marx marxismo e
religione» (Contemporanea
edizioni).
Un testo dove il filosofo bresciano — morto nel 2001 dopo
trent’anni di insegnamento
dalla cattedra di Filosofia morale all’università Statale di Milano — metteva in discussione
alcuni luoghi comuni della
vulgata marxista.
In particolare: 1) Marx non
era affatto un ateo: la critica
della religione come alienazione dell’uomo non si limitava, come fa l’ateismo classico,
a negare l’esistenza di Dio, ma
mirava ad affermare una forma di vita dove l’uomo realizzasse le sue potenzialità stori-
Luciano Parinetto
dissacrò il dialogo
marxisti-cristiani: un
antifondamentalismo
nuovamente attuale
che che facessero venir meno
il bisogno di religione; 2) poiché l’antropologia affermata
da Marx è materialista — l’uomo è l’insieme dei rapporti sociali che costruisce —, non ha
alcun senso parlare, come facevano in quegli anni buona
parte della cultura comunista
ed esponenti del cattolicesimo, del dialogo tra marxismo
e cristianesimo: le immagini
dell’uomo sottese sono agli
antipodi. L’una, quella cristiana, fondata sul peccato originale, l’altra, quella marxiana,
negatrice dell’idea stessa di
peccato originale. Una notazione che paradossalmente
coincideva con quanto da anni
affermava il filosofo cattolico
Augusto Del Noce; 3) Il pensiero di Marx è utopico proprio
perché tende alla realizzazione
di una società non alienata,
senza alcun rimando ultraterreno.
Il volume di Parinetto, proprio perché filologicamente
rigoroso, contribuiva a suo
modo a metter in crisi la tradizione del marxismo italiano,
ritornando al volto utopico di
Marx. Un volto che se da un lato, per Parinetto, sganciava
Marx dal fallimento del comu-
nismo sovietico, dall’altro lato
lo ricongiungeva a una tradizione dialettica che Parinetto
avrebbe, con coerenza, ricostruito negli anni successivi:
dalla alchimia rinascimentale
a Giordano Bruno e Nicola Cusano, dal filone massonico
della letteratura tedesca con
Lessing a Feuerbach. Modelli
di pensiero dialettico che negli ultimi anni Parinetto avrebbe contribuito a riscoprire anche con traduzioni di Eraclito
e Hegel.
Dialettica come capacità di
pensare le contraddizioni che
solcano l’esistenza. Utopia
quale possibilità che ciascuna
esistenza, nella sua diversità,
potesse liberamente esprimersi senza doversi alienare.
Un’utopia che aveva guidato
Parinetto nella sua ricostruzione storica dei processi in
età moderna alle streghe, su
quali egli ha scritto testi che
sono ormai dei classici.
A prima vista, parrebbe che
la filosofia di Parinetto, nella
sua ostinata utopicità, sia
quanto mai inattuale rispetto
allo spirito del nostro tempo,
dove l’utopia marxiana appare
bollata dal segno dell’inferno
del comunismo sovietico. Ma
proprio perché Parinetto pensava il suo marxismo come altro da quello storicamente affermatosi, c’è da chiedersi se le
sue indagini sulla critica di
Marx alla religione non rivestano ancor oggi un interesse
come possibile antidoto critico all’alienazione religiosa oggi dominante: il fondamentalismo.
Cos’è il fondamentalismo se
non la quintessenza di ciò che
per Marx era l’esperienza religiosa? La possibile estraneazione da sé dell’uomo e la negazione degli altri. Alienazione dell’uomo nella religione:
una prospettiva che ritorna
oggi dirimente per chi si voglia interrogare sui drammi
del presente, anche per il credente e il non marxista che voglia sottrarsi alla riduzione
della religione a idolatria nichilistica. Domande che il libro di Parinetto, a quarant’anni dalla pubblicazione, permette di riformulare.
Ilario Bertoletti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
«Andare per viole», un libro nato dall’uso terapeutico della scrittura nell’ambito del disagio mentale
Fare poesie, un toccasana per il nostro «io»
L
a scrittura come pratica liberatoria. La
poesia come esperienza terapeutica. Sono
i cardini (etici e culturali, prima ancora
che scientifici e psicologici) di un gruppo nato
nel 2004 a Palazzolo sull’Oglio che va sotto il
nome di «Gruppo poetico Api operose» giunto
ora al suo secondo libro. «Andar per viole...
Tra mente e poesia» si intitola il nuovo volume
(Compagnia della stampa editore, pp. 160 euro
13) curato con garbo e partecipazione da Maria
Grazia Balciseri, psicologa e psicoterapeuta, e
Lara Beretta, infermiera professionale che da
vent’anni lavora nel Dipartimento di salute
mentale di Iseo. «Andar per viole» è sinonimo
del divagare, del trascorrere inconcludente da
un fiore all’altro. Sotto l’apparente futilità del
poetare, però, si celano valenze e strategie che
non interessano solo la sfera della malattia
mentale, ma attengono anche al benessere di
ciascuno di noi. Il libro di Balciseri e Beretta
racchiude l’un elemento e l’altro, ovvero
un’antologia di poesie individuali e collettive
delle Api operose, ma anche riflessioni
metodologiche e persino esercizi pratici per
arrivare a una scrittura creativa, a una poesia
che diventi introspezione ed espressione
autentica di sé. «Abbiamo bisogno di riempire
fogli vergini — scrive il cantautore Simone
Cristicchi nella prefazione — con i nostri sogni
rubati / al riposo della notte, / gettare
l’inchiostro colorato delle nostre anime / sulle
pagine bianche / dei giorni che verranno». Il
foglio bianco come spazio di autenticità,
insomma. O come condizione di equilibrio
perché, come scriveva Orazio, «l’uomo o
impazzisce o scrive versi». C’è anche chi è
impazzito e (anche) grazie alla poesia è
rinsavito. Come Mina che ammonisce: «Hanno
sentimento i nostri versi / Non vanno sciupati
provengono dall’anima». I versi alimentano
sguardi fiduciosi sul futuro, nella convinzione
che «la speranza / è qualcosa che si vive /
senza pregiudizi», come scrive Anna Maria. .
Certo, la radice dello scrivere rimane il dolore:
«Rivivo ricordi che vorrei cancellare»,
ammonisce Mina, mentre Paolo sa bene che
L’incontro Un foglio bianco, una penna. Ed è subito poesia
«Se si è squilibrati / non si gode / per
definizione». Tutti, a partire da Remo, sono
consapevoli della necessità di uno spazio
interiore, una zona franca dalla sofferenza:
«Quando sento il silenzio delle campane da
morto / vuol dire che sono ancora vivo. / Il
silenzio è serenità». Scrivere poesie implica
una lettura ad alta voce, un pubblico, una
relazione. Per dirla con Lorenzo: «La creta che
ho lavorato / ha preso le mie forme e / la
poesia / i miei pensieri. Ho trovato
nell’amicizia / la forza di esserci». Il libro di
Balciseri e Beretta, lo ricorda Andrea
Materzanini (direttore del Dipartimento di
salute mentale di Iseo), conferma che «c’è
qualcosa dentro ciascuno di noi che non solo
può essere detto, ma che non va taciuto». Uno
sprone per chi è dentro e per chi è fuori dai
percorsi del disagio psichico. Ralph Waldo
Emerson diceva: «La poesia come natura,
come semplicità intesa nel suo più autentico e
genuino valore, è prerogativa di una sana
esistenza volta a sviluppare la spiritualità
interiore». Perciò «Andare per viole» è un
libro sapienziale, delicato, toccante.
Massimo Tedeschi
© RIPRODUZIONE RISERVATA