Disinformare, negare o tacere: i big delle fossili che

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Disinformare, negare o tacere: i big delle fossili che oscuran
Disinformare, negare o tacere: i big delle fossili che
oscurano la scienza del clima
L’Union of Concerned Scientists ha esaminato il comportamento di otto grandi compagnie
energetiche dal 2015 a oggi, dando un giudizio molto negativo. Nessuna supporta attivamente le
politiche climatiche internazionali, né ha definito piani concreti per ridurre le emissioni di gas-serra.
Redazione QualEnergia.it
Continuano a investire nelle fonti fossili, incrementare le emissioni di gas-serra, in molti casi a fare
pressioni su governi e istituzioni per bloccare nuove leggi che dovrebbero limitare l’inquinamento
atmosferico.
Sono le otto grandi compagnie energetiche finite sotto la lente dell’Union of Concerned
Scientists (UCS), l’organizzazione scientifica no-profit americana che studia i cambiamenti climatici.
Nel rapporto The Climate Accountability Scorecard (allegato in basso), gli analisti indipendenti
dell’UCS hanno esaminato cinque colossi del petrolio e gas - Chevron, ExxonMobil, BP, Royal Dutch
Shell, ConocoPhillips - più i tre giganti del carbone Peabody, Consol Energy e Arch Coal.
Nel complesso, queste società sono responsabili del 15% circa delle emissioni cumulative di
CO2 provenienti dal settore industriale dal 1850 a oggi.
Disinformazione sui cambiamenti climatici
Gli scienziati hanno setacciato il lavoro delle compagnie tra gennaio 2015 e maggio 2016,
concentrandosi su trenta parametri e assegnando i relativi punteggi.
Ad esempio, hanno valutato l’accuratezza e la consistenza delle dichiarazioni pubbliche dei
vertici aziendali sulla scienza del clima, la posizione delle società rispetto alle politiche federali
americane volte a ridurre l’inquinamento, la divulgazione dei dati sulle emissioni di CO2 e sulle
misure con cui diminuire l’impatto ambientale delle loro attività.
I risultati, come si vede nella tabella riassuntiva, sono poco lusinghieri. In pochissime circostanze,
infatti, le aziende hanno meritato un voto sufficiente, attestandosi perlopiù nelle categorie “poor”
(mediocre) e addirittura “egregious” (vergognoso).
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A che cosa si devono giudizi tanto negativi? Ad esempio, osservano gli studiosi dell’Union of
Concerned Scientists, tutte le otto compagnie energetiche sono membri - talvolta con posizioni di
leadership - di gruppi e associazioni industriali che fanno disinformazione sugli argomenti
climatici.
Nei casi peggiori, le aziende arrivano a negare l’esistenza stessa del riscaldamento globale
provocato dalle attività umane e industriali e, di conseguenza, cercano di ostacolare leggi e iniziative
salva-clima che dovrebbero ridurre la produzione e l’utilizzo di combustibili fossili.
Di recente abbiamo parlato dei finanziamenti “sporchi” di Peabody, indirizzati a organizzazioni e
testate giornalistiche per diffondere informazioni favorevoli al mondo fossile (I soldi del carbone che
negano il cambiamento climatico). Peabody è finita sull’orlo della bancarotta, entrando nel Chapter
11 della legislazione fallimentare americana, una sorta di amministrazione controllata per risanare i
bilanci in rosso.
Rischi finanziari
Nessuna delle società esaminate, proseguono gli analisti dell’UCS, ha definito un piano per allineare
le sue strategie industriali alle raccomandazioni emerse dalla Cop21 del 2015. In buona sostanza,
nessuno di questi mastodonti dell’energia, almeno per il momento, ha intenzione di prendere troppo
sul serio i problemi connessi allo sfruttamento delle risorse fossili.
C’è anche qualche apertura, evidenzia il rapporto. Alcune società hanno dichiarato genericamente
che è necessario ridurre le emissioni di gas serra, anche se poi si sono ben guardate dal supportare
pubblicamente alcune misure specifiche, come il Clean Power Plan dell’Environmental Protection
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Agency (EPA).
ExxonMobil e ConocoPhillips hanno riconosciuto che i cambiamenti climatici sono un fattore di
rischio concreto, “fisico”, che può colpire direttamente i loro modelli di business.
Qui ci ricolleghiamo al problema di una futura bolla del carbonio: significa, in sintesi, che molte
compagnie fossili sono sempre più esposte ai rischi finanziari inclusi nei loro stranded asset,
infrastrutture obsolete e non più remunerative - anche grazie alla diffusione di politiche
climatiche internazionali più severe - come miniere di carbone, piattaforme petrolifere, centrali
termoelettriche messe fuori mercato dall’avanzata delle fonti rinnovabili, e così via.
Tra le azioni suggerite dagli scienziati indipendenti alle società incriminate, per riconquistare la
fiducia della società civile, c’è proprio la divulgazione di questi rischi finanziari e climatici.
Sarebbe il primo indispensabile passo che consentirebbe a queste aziende di bloccare la
disinformazione, pianificando uno sviluppo delle loro attività in sintonia con gli obiettivi climatici
internazionali.
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Il report della UCS
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URL di origine (Salvata il 09/10/2016 - 09:28):
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