Il cuppino della memoria

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CORRIERE CANADESE � MERCOLEDI 5 OTTOBRE 2016
SPORT
FORMULA UNO
Daniel Ricciardo col piede a tavoletta
ROMA - La stagione di Formula
Uno volge al termine. A dominarla sono le Mercedes, che lottano
in famiglia per il titolo mondiale. La delusione più devastanta
è la Ferarari. La più grande rivelazione e l’italo-australiano Daniel Ricciardo, anni 27 (nella foto) , 104 Gp disputati e 4 vinti, il
più recente domenica scorsa a
Sepang.
Ricciardo, zitto zitto ha fatto
meglio dell’enfant prodige Max Verstappen e lo dimostra il fatto che entrambi corrono con una
monoposto praticamente identiche in dodici Gran Premi ha vinto il confronto diretto 9-3 in prova, 8-4 in gara, nonché un significativo 168-134 in fatto di punti
complessivi rispettivamente acquisiti
La sola voce che salva e fa uscire molto, molto bene Max rispetto a Daniel è l’1-1 in fatto di
vittorie ottenute, anche se in Spagna, il giorno del primo clamoroso trionfo dell’Olandese Volante al debutto in Red Bull, la tattica giusta il box la scelse per lui, mentre a Daniel, perfino vittima di una foratura, non restò che
arrancare, fuori dalla zona podio
quando potenzialmente aveva il
passo per vincere.
E all’australiano poi va pure
peggio a Montecarlo, dov’è il suo
box che manda alle ortiche un
trionfo meritocraticamente e virtualmente già suo.
Eppure di Ricciardo fino a domenica scorsa si è parlato poco,
in quest’annata che da Barcellona
in poi doveva vederlo nello scomodo ruolo di post-Kvyat, ossia
della seconda vittima designata
di Max. In realtà, conti e logica
alla mano, Daniel si stia rivelando del tutto più efficace del suo
predestinato compagno di squadra e soprattutto in grado di te-
nere un passo financo aritmeticamente dignitoso rispetto a quello
delle astronavi Mercedes, avendo
ottenuto nelle ultime cinque gare una vittoria, tre secondi posti
e un quinto.
Cioè, cosa deve fare questo qui
di più per farsi dire e dare - lu-
i e non Verstappen - del fenomeno? Forse il problema di Ricciardo è più mediatico che altro. Daniel non ha nulla del campione
aggressivo, iperfocalizzato e dialetticamente sulfureo nelle dichiarazioni.
No, lui resta un ragazzo sem-
plice e spontaneo. Sorride spesso
e, quando può ride felice, mentre,
se le cose non vanno, non ha problemi a mostrarsi triste.
Forse è la sua naturalezza disarmante a dargli un malinteso
tocco naive, ma la realtà effettuale è tutt’altra.
Ricciardo dal 2014 a oggi è l’unico che ove possibile abbia creato problemi - e neanche pochi alle due entità più concrete e indiscutibili della Formula 1: alla
Mercedes e a Verstappen. Velocissimo in prova, Daniel è efficacissimo in gara e dotato - in coabitazione con Hamilton - delle
più grandi capacità di sorpassatore, con quella sua spettacolare
specialità consistente nel controsorpasso da finta pregressa.
Ecco, dopo il trionfo di Ricciardo a Sepang sono tornato con la
mente alla chiacchierata che la
scorsa primavera avevo fatto con
Helmut Marko una sera a Palermo, giusto davanti al Politeama,
a pochi giorni dal garone di Bar-
TENNIS
Ridotta la squalifica a Maria Sharapova
LOSANNA - Maria Sharapova potrà tornare in campo a partire dal
26 aprile del 2017. Il Tas di Losanna ha accorciato la pena per la
tennista siberiana pronunciandosi
sui due anni di sospensione (sino
al gennaio 2018) inflitti all’ex numero 1 al mondo per la positività
al meldonium riscontrata nei test
antidoping durante gli Australian
Open di gennaio 2016.
La Sharapova potrà tornare in
campo ad aprile 2017 garantendosi la partecipazione alla stagione
europea su terra battuta: lei che è
stata per tre anni vincitrice degli
Internazionali d’Italia e due volte
campionessa del Roland Garros.
Il comunicato della ITF spiega
che Maria Sharapova ha somministrato per dieci anni il meldonium
in cura il diabete, una sostanza allora permessa dai regolamenti e
diventata proibita dallo scorso
gennaio. Così la squalifica è stata
ridotta a 15 mesi “senza evidente
colpa e in buona fede” della tennista russa, che “ha assunto le sostanze sotto indicazione medica
senza poi provare a nasconderne
o mascherare l’utilizzo”.
Felicissima la tennista: «Lo
scorso marzo ho trascorso uno
dei giorni più duri della mia vita
quando ho appreso della squalifica. Oggi è senz’altro uno dei più
felici. Sento come se qualcosa che
amo mi sia stato sottratto, ma adesso so che potrò riaverlo presto. Conto i giorni, non vedo l’ora di tornare ad aprile. Ho imparato molto in questi mesi e da questa esperienza, e spero che anche
la ITF abbia fatto lo stesso, perché la giuria del CAS ha concluso di non essere d’accordo con la
maggior parte delle decisioni prese dal Tribunale».
cellona che lanciò Verstappen in
Red Bull, mettendo sotto attacco
Ricciardo.
A ben guardare, Marko quella
volta mi disse questo: «Ho scommesso dei soldi su questa faccenda: Verstappen entro tre anni sarà campione del mondo, Ricciardo lo diventerà entro due.
Hanno età e storie diverse ma sono due fortissimi, speciali, tra loro differenti come caratteristiche
ma belli rari nelle rispettive qualità».
In poche parole, lo stesso Marko manco ci ha mai creduto che
Max asfaltasse Daniel, immaginando un futuro luminoso e compatibilmente generoso per entrambi.
A conti fatti, tuttavia, Daniel
Ricciardo in questi cinque mesi successivi ha l’immenso merito di aver riportato decisamente
su rotte più terrestri le orbite apparentemente marziane del più
giovane e ambizioso compagno
di squadra.
Chiudendogli brutalmente la
porta in faccia a Sepang, tanto da
costringere il team a neutralizzare il finale.
E spiegandogli così che certe
volte la vera rivelazione non è chi
che arriva e vince, ma colui che
poi riesce brillantemente a evitare il ruolo di vittima designata.
Riuscendo a dimostrare d’essere in verità un grande campione
nonché il vero predatore, simpatico, inatteso e meritevole.
Tv, altre levatacce per i tifosi della Rossa - Per i tifosi della Ferrari altre notti in bianco, in
tutti i sensi visto che vanno le cose del Cavallino. In ogni caso, per
i fedelissimi della Rossa, venerdì
prove libere alle 12.45 am, ora di
Toronto; sabato qualfiche all’una;
domenica la corsa alle 12.55 am. Il
tutto sui canali Tsn.
d
CONTRO
SPORT
Nicola
SPARANO
Il cuppino della memoria
È vecchio, logoro e leggerissimo,
ma se connette con la coccia, il bitorzolo è garantito. È una reliquia
del passato, antico di quasi due secoli. È
la memoria dei tempi delle vacche magre
e delle famiglie con una morra (moltitudine) di figli. È la traccia dei viaggi dalla
povertà alla speranza. È la testimonianza
del tempo che fu, quando i migranti erano i nostri nonni, quando l’Atlantico si attraversava, meno male, sulle navi a vapore
e non su barconi destinati a trasformare il
Mediterraneo in un immenso cimitero. È
la prova che gli italiani di una volta, dovunque andassero portavano con se non
soltanto le abitudini e le tradizioni del paesello, ma anche utensili preziosi per sfamare la famiglia e tenere a bada i figli più
malandrini.
Stiamo parlando del “cuppino”, mestolo in italiano, mescule in Friul, luppuin nel dintorni della Maiella (Abruzzo), cianfa a Trieste, casu a Monza, minestro a Padova, cheppine (Isola Liri),
cunuttari a Catania.
Il mestolo in questione viene da Serra
San Bruno (Vibo Valentia), dove da secoli è battezzato cuppinu. Non è un pezzo solo come quelli moderni, ha un manico attaccato al cucchiaio con tre bulloni.
L’ho misurato senza riuscire a pesare perché nella bilancia di casa, i grammi non ci
sono e l’alluminio in duecento anni è diventato sottile come una ostia, senza perdere robustezza e forza. Ad occhio e croce, pesa quanto un pacchetto di sigarette.
Ha un manico lungo 26 centimetri, manico e conca sono 37. La conca, o cucchiaio, ha una circonferenza di 28 centimetri,
profonda tre e, se riempita, contiene esattamente 250 grammi di acqua, come a dire che non colmerebbe del tutto un piatto
di quelli usati per una minestra qualsiasi.
Il cuppinu in questione ha una storia nota ed una ignota. La storia che si conosce
è che ha viaggiato verso le Americhe nelle
valigie di cartone, o nei fagotti che le donne portavano in testa anche sulle navi. La
storia ignota la si deve immaginare, mariti
e figli che tornavano dalle miniere e venivano sfamati con un cuppinu o due di
verze e patate.
Il cuppinu che vedete nelle foto è di al-
luminio, chiaramente fatto a mano, la calotta non è del tutto propozionata, i bulloni con il quale il manico è attaccato, sono
stati martellati uno per uno.
Lo storico attrezzo, almeno io lo considero storico, è ancora funzionale, non ha
buchi tanto per intenderci, ma ha diverse ammaccature, i segni della sua lunga esistenza, come le rughe di chi ha vissuto
a lungo e duramente. Personalmente di
persona in quelle ammaccature vedo il
risultato di botte in testa ai figli irrequieti o troppo affamati per aspettare il loro turno.
Il cuppinu in questione è passato da
madre in figlia dalla fine del 1800, ripeto
1800, quando il regno d’Italia era fresco di
giornata, quando la gente del sud da benestante, coi Borboni, si era trovata povera
e disperata, con i Savoia. Fu in quegli anni della grande fuga verso le Americhe
che un carbonaio di Serra, andò a cercare lavoro e futuro in una miniera della
Pensilvania. Qualche anno dopo lo ragiunse la moglie e quattro figli, il quinto era
piccolo e lo lasciarono ad una zia. Il cuppinu attraversò l’oceano nel fagotto della
moglie. E mai oggetto fu tanto usato. Sul
fuoco la pentola bolliva insaporendo fagioli, ceci, patate, verze e quanto di buono passava il convento. Il cuppinu, utilizzato per servire la minestra, serviva anche
a misurare la porzione, uno o due ai più
grandi, tre al figlio meno in salute. E quello che restava, se restava, alla madre.
Da quella vecchia trisavola il cuppinu è
finito a mia suocera Assunta (87 anni appena compiuti, auguri) che lo aveva ammucciato (nascosto) in un vecchio baule,
dove per caso è stato riscoperto e riportato in tavola. Ora fa bella mostra in un suo
spazio speciale in cucina. Non lo usiamo
ma lo ammiriamo per quello che fu, quello che è, e quello che rappresenta. Un popolo senza memoria è un albero senza radici. E senza radici tutto muore, anche
la lingua e l’italianità.
Nelle foto, il cupppinu calabrese di
Serra San Bruno, nato coi Borboni, emigrato prima in America poi a Toronto.