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Giovedì 29 Settembre 2016
7
Di un vescovo (non faccia il demagogo) e del procuratore Dda di Napoli (s’è allargato troppo)
Don Ciotti è finito nella morsa
Se stesse per lui il Corano andrebbe letto in chiesa
DI
gli applausi facili, specie ai soliti amanti degli spettacoli televisivi. Sento tuttavia parlare
poco dell’aborto e se lo ricordi
non scattano i battimani, vieni
ritenuto vecchio e medioevale
o scarsamente sociale. Spesso
facciamo una morale a senso
CARLO VALENTINI
N
on c’è pace per don
Luigi Ciotti, prete irruente. Forse troppo?
Ha bacchettato quei
vescovi che non sono intervenuti, a suo parere, con la necessaria energia in occasione delle
processioni con inchini dinanzi
alle case dei boss o del matrimonio con l’elicottero atterrato
in piazza. C’è chi si è risentito
e tra essi il vescovo di Patti (fa
parte della città metropolitana
di Messina), monsignor Ignazio Zambito, che non digerisce il rimbrotto e quindi sbotta:
«Don Ciotti si occupi delle cose
sue, non dica ai vescovi quello
che devono fare. Indubbiamente se si accerta che è stato fatto
un inchino di natura mafiosa,
bisogna intervenire. È un fatto da condannare. Tuttavia,
nell’adottare queste decisioni,
occorre prudenza e mai mettere in difficoltà i parroci i
quali spesso sono sballottati.
Non sempre certi avvenimenti sono collegati a fenomeni
mafiosi. Piuttosto penso che
alcune prese di posizione sulle
processioni, di stampo moralista, nascondano il desiderio
di limitare o, peggio, coprire la
religiosità popolare che invece
è una ricchezza e va incoraggiata».
Ma il vescovo va oltre nel
contestare don Ciotti e lo fa
su un giornale cattolico, La
fede quotidiana: «Don Ciotti è
definito un prete antimafia ma
queste definizioni non mi piacciono. Il sacerdote non è contro
qualcuno ma per la conversione. Oggi sentiamo parlare di
peccati contro la legalità, la natura e simili, indubbiamente è
giusto. Sono cose politicamente
corrette che fanno guadagnare
Don Luigi Ciotti
unico che segue quanto piace o
quanto il mondo vuole sentirsi
dire. Per esempio ho letto che
proprio in Sicilia un sacerdote
sull’altare ha benedetto una
coppia di lesbiche. Siamo alla
profanazione, un gesto sacrilego. La benedizione non si nega
ma questa non deve confondere
o dare scandalo ai fedeli, corrompere linguaggio e morale».
Infine vi è il dissenso
sull’appello di don Ciotti
all’embrasson nous coi musulmani: «La Chiesa – dice il
vescovo- come edificio è dedicata al culto cattolico con una
precisa liturgia. Se vogliamo
incontrare i musulmani si faccia in altri luoghi idonei. Ai musulmani chiedo rispetto come
quello che loro pretendono. Vogliono che nelle loro moschee
ci si tolga le scarpe? Bene, si
comportino accettando i nostri
segni e tradizioni, assicurando
inoltre nei loro paesi la libertà
religiosa. Quanto al Corano,
io non lo permetto all’interno
delle chiese della mia diocesi.
Inoltre, relativamente all’accoglienza, pur nel rispetto della
doverosa carità, vedo migranti
che buttano il cibo offerto dai
volontari, perché non lo trovano di loro gradimento. Chi
ha fame mangia, non mi pare
che nelle loro terre avessero di
meglio. E allora i conti non mi
tornano».
Parole chiare, non c’è che
dire. Mentre secondo l’accusatore diventato accusato, don
Ciotti, «non si può non tacere
dinanzi alle ingiustizie e ad
ogni tipo di illegalità, bisogna
vigilare perché i riti sacri non
si trasformino in esaltazione
di personaggi potenti e boss
mafiosi e in mortificazione di
poveri ed ultimi, è necessario
sostenere le vittime innocenti
nella loro richiesta di giustizia
e di verità e accompagnare il
cammino di coloro che intendono pentirsi. Occorre corresponsabilità di chi insieme deve
perseguire il bene comune,
cittadini, Chiesa e istituzioni,
perché mafia e corruzione sono
i parassiti di un sistema che
impoverisce tutti».
Qualche tempo fa il sostituto procuratore della Dda
di Napoli, Catello Maresca,
puntò il dito contro don Ciotti e
la sua associazione Libera: «Se
un’associazione, come Libera,
diventa troppo grande, acquisisce interessi che sono anche di
natura economica, e il denaro
spesso contribuisce a inquinare
l’iniziale intento positivo, ci si
possono inserire persone senza
scrupoli che approfittando del
suo nome per fare i propri interessi. Libera gestisce i beni
confiscati alle mafie attraverso cooperative non sempre
affidabili, spesso in regime di
monopolio e in maniera anticoncorrenziale».
Don Ciotti ha querelato il
magistrato («tanto fango fa il
gioco dei mafiosi . Lo abbiamo
denunciato perché si tace una,
due, tre volte ma quando viene
distrutta la dignità del lavoro
di tante persone, è un dovere
ripristinare la verità») però
ammette (dinanzi alla commissione parlamentare antimafia):
«Il tema dell’infiltrazione è reale, le nostre rogne sono iniziate
con i 17 processi in cui siamo
parte civile, lì ci sono situazioni
complesse e questo ci ha creato
qualche problema. Altri problemi vengono dalle cooperative,
cammin facendo abbiamo scoperto che delle situazioni erano mutate. Adesso ogni 6 mesi
chiediamo la verifica ma qualche tentativo di infiltrazione c’è
ed è trasversale a molte realtà.
Libera è 1600 associazioni e
qualche tentativo, qualche ammiccamento c’è stato. Abbiamo
allontanato dal consorzio realtà
che non avevano più i requisiti
ed esse sono le prime a gettare
fango contro di noi. Chiediamo
alle autorità di aiutarci».
Certo non è facile operare border line e in una trincea dove molti, anche sacerdoti,
hanno pagato con la vita. Ma
questo confronto-scontro tra il
«prete antimafia» e la gerarchia
va registrato. Anche perché la
voce del vescovo di Patti non è
isolata. Interviene per esempio
lo scrittore messinese Nino Lo
Iacono: «Quando nel 1972 il
cardinale Michele Pellegrino
ordinò sacerdote Luigi Ciotti
gli assegnò come parrocchia la
strada, dando a tale decisione
un significato preciso: la strada
era ed è rimasta scuola di vita
ed a tale scuola il neo sacerdote
avrebbe dovuto attingere. Questo prete di strada ha saputo
capitalizzare nel tempo tutte le
esperienze fatte, iniziando con
associazioni come il Gruppo
Abele per finire a una specie
di holding che gravita intorno
a Libera. L’attività antidroga e
antimafia è diventata un impegno primario e il sacerdote
di strada si è trasformato in un
personaggio. Il palcoscenico della così detta antimafia di Stato
gli è da supporto per incassare
applausi di rito e penso che egli
abbia passato più tempo dietro
i microfoni che dietro gli altari
o in mezzo ai poveri».
Nel 2014 don Ciotti ha ricevuto dall’università di Milano la laurea honoris causa in
scienze delle comunicazioni, soprattutto in riferimento all’impegno nella diffusione attraverso i media delle problematiche
sulla legalità e il contrasto alla
criminalità organizzata. Al di
là delle critiche, a questo ha
dedicato la sua vita e il suo
impegno: «Se ancora dopo decenni stiamo parlando di lotta
alle mafie –conclude- qualcosa
non torna. La storia ce lo dice:
ci può essere una politica senza
mafia ma non una mafia che
può fare a meno della politica.
Non solo: come già aveva capito don Luigi Sturzo, la mafia
non è un problema relegabile
a poche realtà territoriali ma
è qualcosa di più complesso
perché da sempre la mafia fa e
continua a fare affari al Nord.
La legalità è solo un mezzo, il
nostro vero obiettivo è la giustizia. Senza responsabilità, senza civiltà, senza educazione e
lavoro, legalità rimane solo una
bella parola».
Twitter: @cavalent
RENZI HA INVESTITO SULL’ISOLA 5,7 MILIARDI, PIÙ DI QUEL CHE SAREBBE SERVITO PER ROMA 2024
La Sicilia vale più dei Giochi olimpici
Il Pd, nel 2017, potrebbe puntare su Faraone o Bianco
DI
Q
GAETANO COSTA
ualcuno ci ha scherzato su. Il
Manifesto, per esempio. In una
vignetta pubblicata sulla pagina di Facebook del quotidiano
comunista, alcuni atleti gareggiano in
acqua e sopra a un ponte. «Le Olimpiadi
si faranno sul ponte dello Stretto». La
battuta ci sta, ma il presidente del consiglio, Matteo Renzi, per la Sicilia ha
davvero investito più di quel che sarebbe servito per Roma 2024.
Le dichiarazioni di Renzi sullo
Stretto di Messina hanno fatto rumore.
«Costruirlo può creare 100mila posti di
lavoro», ha detto il capo del governo. Il
primo a opporsi è stato il leader di M5s,
Beppe Grillo, che lo Stretto l’aveva attraversato a nuoto: «Il ponte è un’opera
costosissima, inutile e in piena zona sismica». Renzi e Grillo. Il Pd e M5s. In
mezzo, la Sicilia. Che, nel 2017, con le
amministrative di Palermo, ma soprattutto con le elezioni regionali, sarà al
centro dello scontro tra i due principali
schieramenti della politica italiana.
In Sicilia si sono tenute sia la festa nazionale dell’Unità, sia Italia 5
Stelle, la principale manifestazione dei
grillini. Renzi, però, in qualità di presidente del consiglio, s’è mosso in anticipo.
E ha firmato un patto che, parola del
governatore dell’isola, Rosario Crocetta (Pd-Udc), vale più delle Olimpiadi.
Sinora, i dettagli dell’investimento di
Palazzo Chigi non erano stati resi noti.
È stato proprio Crocetta, alla fine della
scorsa settimana, a svelarli.
Il piano, siglato il 10 settembre ad
Agrigento, vale 5 miliardi e 750 milioni
di euro, ed è suddiviso in cinque macro
aree: turismo e cultura (267,2 milioni),
infrastrutture (1,8 miliardi), sviluppo
economico e attività produttive (965,4
milioni), ambiente (2,5 miliardi), sicu-
rezza e legalità (118,6 milioni).
«Sono un po’ più delle somme
per le Olimpiadi», ha spiegato Crocetta. «Che cosa avremmo dovuto fare?
Avremmo dovuto dire che non volevamo
queste opere per i rischi nella gestione?»,
ha proseguito il governatore in riferimento al gran rifiuto ai Giochi da parte
del sindaco di Roma, Virginia Raggi.
Secondo La Sicilia, i fondi del governo
serviranno a finanziare 1100 progetti
già in cantiere in 343 comuni dell’isola.
«La scommessa si fa con la trasparenza
e coi patti di legalità», ha aggiunto Crocetta, «che faremo coinvolgendo le forze
dell’ordine per sottoporre a monitoraggio costante queste opere».
Il governatore ha già annunciato
la sua ricandidatura alle regionali.
Il Pd, però, non ha ancora deciso se appoggiarlo o meno. I dem, nel 2017, potrebbero infatti scaricarlo per virare su
un renziano della prima ora. I principali
candidati sarebbero due: il sottosegretario all’Istruzione, Davide Faraone, e il
sindaco di Catania, Enzo Bianco.
Faraone ha invocato le primarie
per scegliere il candidato del Pd, ipotesi rifiutata da Crocetta. Bianco, invece,
sarebbe in corsa per la presidenza nazionale dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci), un’ulteriore ruolo
istituzionale che l’ex ministro dell’Interno potrebbe rimarcare in un’eventuale
campagna elettorale per la Regione.
In attesa di capire quale sarà la
posizione dell’Udc, che forma l’asse del
governo Crocetta col Pd, i dem sembrano intenzionati a puntare su un uomo
di fiducia di Renzi per sfidare lo stesso
Crocetta, il centrodestra e soprattutto
M5s. Chi vincerà le regionali metterà
le mani sui miliardi del governo. Se dovesse essere uno tra Faraone o Bianco,
Renzi avrebbe vinto le sue Olimpiadi.
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