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Mirko Riazzoli [email protected]

Il sindacalista, giornalista e politico fascista Edmondo Rossoni nacque a Tresigallo, un comune in provincia di Ferrara, il 6 maggio 1884 da Attilio e Dirce Cavalieri.

Compì gli studi ginnasiali presso il collegio Salesiano di Torino e poi tornò al suo paese natale.

Qui si avvicinò ai socialisti e partecipò il 20 settembre 1904, a Castelluzzo, ad uno sciopero indetto per protestare contro la repressione operata con la forza tra il 4 e il 14 settembre degli scioperi che si erano svolti nel cagliaritano e durante i quali vi era stato un grave eccidio di minatori a Buggerru (Cagliari), ove morirono 3 manifestanti e 20 rimasero feriti (il 14 vi furono altri scontri a Trapani, nei quali morirono due persone, altra causa di scioperi in molte parti d'Italia).

Per questa sua azione, era uno degli organizzatori dello sciopero, venne denunciato per “attentato alla libertà del lavoro”.

Dopo questi eventi, nel dicembre, si trasferì a Milano, città industriale che gli avrebbe fornito più occasioni di lavoro.

Continuò anche nella nuova città a svolgere l'attività politica e il 31 ottobre del 1906 venne eletto membro del gruppo di propaganda sindacalista, organo della federazione giovanile socialista della città.

Nel gennaio 1907 venne eletto delegato dell'Unione fra impiegati e commessi di aziende private presso la Camera del Lavoro e in febbraio nominato corrispondente del giornale di Roma “Gioventù socialista” (organo della federazione nazionale giovanile socialista), iniziava così anche la sua attività di giornalista, che affianca a quella di sindacalista.

Nello stesso periodo poté anche occuparsi di un importante tema, nel giugno 1907 tenne a Laveno (Varese) una conferenza sul tema “Guerra alla guerra” organizzata dal circolo giovanile socialista.

Nel novembre del 1907 si trasferì a Piacenza per lavorare presso la locale Camera del Lavoro come Commissario amministrativo; questo stesso mese partecipò al convegno di Parma tra i rappresentanti del Sindacato ferrovieri italiani (SFI), della Federazione Nazionale Lavoratori del Mare (FNLM), e di 16 Camere del lavoro di area sindacalista rivoluzionaria durante il quale venne approvato un o.d.g.

proposto dall'ala rivoluzionaria in contrasto con la linea confederale (110.000 voti a favore e 74.000

contrari) proposto da De Ambris a cui lui si oppose sostenendo la necessità di rimanere nella confederazione e combattere le tendenze riformiste dall'interno, in seguito a questo voto i sindacalisti rivoluzionari lasciarono la CGdL e fondarono il 2 il Comitato nazionale della resistenza per raggruppare “tutte le organizzazioni italiane” che intendessero svolgere “un'azione comune di lotta incessante contro l'odierno ordinamento capitalistico con tutti quei mezzi, nessuno escluso, che la pratica sindacale ha indicato come efficaci per indebolire ed eliminare la classe e lo Stato borghese” Lugano e poi a Nizza.

lasciare il continente per recarsi in Brasile.

1 .

A Piacenza continuò la sua campagna antimilitarista e partecipò allo sciopero di solidarietà con i lavoratori agrari del parmense, a causa di questo la Pretura di Parma, nel maggio 1908, lo condannò a quattro anni di reclusione e a due di sorveglianza speciale, per questo fuggì all'estero andando prima a Anche in esilio proseguì la sua attività di giornalista per giornali socialisti, collaborò infatti con il giornale “Le Droit du Peuple”, organo della Federation socialiste des Alpes Maritimes e tenne convegni. Anche in Francia queste sue scelte non furono ben accette, venne diffidato e dovette 1

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Qui, grazie anche al sindacalista Alceste De Ambris 2 (1874-1934) che vi si era già recato due volte, iniziò a collaborare con il giornale "Il Fanfulla" (giornale in lingua italiana edito a San Paolo dal 1893, divenuto col tempo l’organo ufficiale della comunità italiana nel paese). Anche questo paese però lo espulse per le sue attività propagandistiche e sovversive il 17 novembre 1909, allora ritorno in Francia, a Parigi, e poi si recò ancora nel nuovo continente, questa volta a New York, nel luglio 1910.

Durante la sua permanenza negli Stati Uniti continuò l'attività politica e l'agitazione tra gli emigrati e prese contatto anche con la Industrial Workers of the World (IWW) socialista.

3 .

Qui entrò nella Federazione Socialista Italiana (FSI), una organizzazione fondata da Giacinto Menotti Serrati (1876-1926) nel 1902, e divenne membro della giunta esecutiva, addetto all'organizzazione e propaganda, tenne discorsi ed organizzando incontri, oltre a divenire redattore del giornale in lingua italiana edito a New York “Il Proletario” dal giugno 1906 come organo della locale federazione Queste due esperienze nel nuovo continente condizionarono ampiamente il suo sviluppo politico: … vide vacillare le sue convinzioni internazionaliste, dopo aver constatato come i lavoratori immigrati anteponessero la solidarietà di gruppo etnico a quella di classe. L'esperienza in America Latina e negli Stati Uniti gli mostrò due differenti realtà dei lavoratori italiani all'estero: emarginati negli Usa, perché non coesi come gruppo etnico, punta di diamante del movimento di lotta in Argentina e Brasile, dove invece la comunità italiana era unita e solidale. Questa considerazione facilitò in lui una revisione critica dell'internazionalismo proletario e favorì la sua adesione al nazionalismo.

4 Grazie alla amnistia concessa dalla Corte d'assise di Parma poté tornare in Italia nel gennaio del 1913.

Dal mese successivo riprese appieno la sua attività e venne nominato segretario del sindacato provinciale edile di Modena, qui diresse uno sciopero durato settanta giorni che terminò con la sconfitta delle maestranze.

Nel frattempo però la situazione politica in Italia era mutata, durante il X Congresso del PSI (Firenze 19-22 settembre 1908) guidato da Andrea Costa (1851-1910), i riformisti ottennero la maggioranza nel partito e venne proclamata l'incompatibilità dei sindacalisti rivoluzionari con il partito portando così nel novembre 1912 a Modena al congresso istitutivo dell'Unione Sindacale Italiana (USI) 5 , il sindacato rivoluzionario.

Rossoni comunque continuò la sua attività, recandosi anche a Milano, ove venne arrestato in agosto dopo aver tenuto un comizio, durante lo sciopero degli operai del mobile ferroviario. Venne poi rimesso provvisoriamente in libertà, si recò allora a Lugano ove incontrò De Ambris e poi a Londra per partecipare al I Congresso internazionale sindacalista, come rappresentante della Camera del Lavoro di Bologna e Parma.

Dalla Grande Guerra al regime

Durante la sua permanenza all’estero si recò nuovamente a New York, qui, a causa dello scoppio del conflitto e delle posizioni interventiste da lui assunte, dovette abbandonare il giornale “Il proletariato”, fedele alla linea neutralista, andò all'ora a dirigere la "Tribuna", quotidiano nazionalista e patriottico.

Dopo l'arruolamento avvenuto nel 1916, era rientrato in Italia nel 1913 e nel 1914 aveva assunto posizioni interventiste, venne esonerato dal servizio attivo ma essendo era abile propagandista e avendo abbracciato posizioni interventiste, si rese più utile in questi panni. Il suo cambiamento venne manifestato anche dall'adesione, in questo periodo, ai Fasci d'Azione Rivoluzionaria internazionalista, organizzazione creata a Milano da varie forze interventiste a cui parteciparono anche De Ambris e Corridoni.

Il 1° novembre 1917 venne trasferito a Milano, presso il Deposito di Milano Ovest e andò a vivere in viale Monteforte n.7.

Nel marzo 1918 succedette a Ettore Bartolazzi, o Bartolozzi (1887-?) nella carica di segretario della Unione Sindacale Milanese (USM), fondata nell'aprile 1913 a Milano su inspirazione di Filippo Corridoni (1887-1915) e affiliata all'USI, l'ala sindacalista rivoluzionaria.

Il 1° maggio, sempre a Milano, iniziò la pubblicazione di un giornale da lui fondato ed appoggiato da 2

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De Ambris, il settimanale “L'Italia Nostra” (il motto del giornale era: “La patria non si nega ma si conquista”) organo dell'Unione Sindacale Milanese che era parte del Comitato Sindacale Milanese (CSM), organo formato dai sindacalisti interventisti.

Il 9 giugno partecipò alla costituzione, a cui partecipò anche A. De Ambris, dell'Unione italiana del lavoro (UIdL 6 o UIL), avvenuta nel salone dell'Associazione industriale e commerciale in piazza S.

Sepolcro a Milano in seguito ad una trasformazione del CSM derivato da una scissione dall'USI rimasta su posizioni neutraliste (proclamate sin dall'agosto del 1914 con un manifesto); al congresso parteciparono un centinaio di persone in rappresentanza di circa 120.000 iscritti, cresciuti in quei giorni fino al 137.000

giustizia” 8 .

7 .Sorsero due tendenze, una rappresentata da Rossoni e che ebbe la meglio, rivendicò la formazione di un sindacato apolitico e apartitico per conseguire l'unità del movimento operaio al di fuori dei partiti, secondo questa tesi le organizzazioni dei lavoratori avrebbero svuotato lo Stato delle sue funzioni economiche e politiche, queste ultime sarebbe poi state assunte dalle organizzazioni dei lavoratori stesse. L'altra tendenza rappresentato da Livio Ciardi (1881-1943) e De Ambris, sostenne invece la necessità di collegarsi tra attività economici e politica, i sindacati avrebbe operato all'interno dello Stato, convivendo con esso come un istituto specifico.

Del nuovo sindacato Rossoni divenne membro della Giunta Esecutiva e segretario. In questa sede pronunciò parole significative per seguire il suo mutamento politico, affermò che “l'antipatriottismo è superato e che il proletariato ha tutto l'interesse di affezionarsi al proprio paese e conquistarlo alla Sempre nel 1918, in luglio, divenne membro del Comitato di mobilitazione industriale per la Lombardia, questo organo si occupava di risolvere le controversie economiche e salariali fra dirigenti e personale degli stabilimenti ausiliari, autorizzare le dimissioni, i licenziamenti ed esercitare un controllo sulle condizioni di lavoro, sulle maestranze minorili e femminili impiegate anche in sostituzione degli uomini impegnati al fronte.

Come esponente di questo sindacato, nel novembre assunse una posizione critica verso il contratto firmato dalla Federazione italiana operai metallurgici (FIOM), parte della CGdL, con i datori di lavoro proponendo rivendicazioni molto maggiori, richiese l'adozione delle 44 ore di lavoro settimanale, il minimo di paga ed il riposo il sabato pomeriggio anche se in questo periodo, nel dibattito precongressuale, prese posizioni favorevoli ad un eventuale rientro nella CGdL per sostenere dall'interno alcuni fermenti autonomistici, rispetto al PSI, sorti al suo interno (questa tesi venne duramente contrastata da un altro sindacalista rivoluzionario, poi anche lui passato al fascismo, Cesare Rossi, 1887-1967).

Nel 1919, durante la riunione del Comitato centrale che si svolse a Milano il 30 e 31 marzo, lasciò l'incarico di segretario della UIdL (gli succedette De Ambris) per assumere la direzione della Camera del Lavoro Interventista di Roma (il mese precedente, durante il congresso del sindacato, si era schierato su posizioni critiche verso De Ambris e la sua apertura verso il movimento fascista, sostenendo anche la necessità di mantenere l'autonomia dalla politica estera di Sidney Sonnino e del governo). Queste dimissioni derivarono anche da una profonda divergenza con l'organizzazione: il comitato direttivo infatti il 24 novembre 1918 aveva approvato un ordine del giorno nel quale si affermava che “l'Unione implicherà ogni sforzo per cementare l'unità delle

forze operaie

organizzate, per la conquista dei

diritti del proletariato

italiano”, una linea in contrasto con le tendenze di Rossoni, uno dei padri del “sindacalismo nazionale”, che ormai sosteneva la necessità della “ricostruzione nazionale sulla base della produzione organizzata sindacalmente” la lotta di classe.

9 . Il sindacalismo nazionale si basava infatti sul principio della solidarietà di tutte le classi produttive, quindi sulla la riorganizzazione ed integrazione tra le classi nell'interesse della nazione, e non su quello della tutela dei lavoratori tramite Questa sua interpretazione concetto del ruolo del sindacato si accompagnato, nella sua teorizzazione, a quello dell'autonomia dello stesso da tutti i movimenti politici, strada che lo portò nel 1919, il 20 ottobre, a prendere le distanze dal neonato fascismo dichiarando che il sindacato “appare agli occhi del grosso pubblico non come un organismo sindacale indipendente, ma come un'appendice dei partiti ostili al bolscevismo. […] La nostra organizzazione dovrebbe essere autonoma ma non lo è. Per colpa del temperamento dei dirigenti, l'UIdL si trova su un terreno identico a quello del Partito Socialista: 3

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con l'Unione Socialista, con il Partito Repubblicano e con i Fasci di combattimento. Ora questi contatti indubbiamente pregiudicano la nostra purezza sindacale.” 10 . Tornò poi il 28 sull'argomento in una lettera inviata al “Popolo d'Italia” e pubblicata con il titolo dei sindacati.

Sindacalismo e nazione

, l'indipendenza anche dal movimento fascista. Qui sostenne che la guerra aveva modificato e sovvertito solo i rapporti internazionali tra gli stati, ora si poneva il problema di risolvere i problemi sociali. Per questo si doveva portare alla maturazione i lavoratori e la lotta di classe e questo era realizzabile solo all'interno Questa linea del sindacato verrà poi confermata nell'ottobre durante il III Congresso del sindacato a Forlì, che decide di allontanarsi dalla linea adottata dai Fasci e poi definitivamente al IV Congresso nel 1921, in netto contrasto con il percorso di Rossoni che viceversa aderì ai Fasci Italiani di Combattimento prima e poi al Partito Nazionale Fascista (PNF).

Nel settembre del 1920, durante il consiglio generale della Camera del Lavoro, lasciò il suo incarico direttivo. Da questo momento, per quasi un anno, svolse solo attività giornalistiche, collaborando con le riviste “Il sindacato operaio” (settimanale fondato a Roma nel 1905) e “Cultura sindacale”, su quest'ultima nel gennaio 1921 scrisse che la rivista serviva a creare “una mentalità sindacalista di disciplina, di volontà, di capacità produttiva nel campo del lavoro, stretto in potenti organizzazioni autonome e unitarie”. Nell'ottobre del 1920 partecipò al convegno interregionale dei sindacati nazionali durante il quale propone e riuscì a far approvare un o.d.g. nel quale si dichiarava la necessità di superare da un punto di vista organizzativo e politico le concezione della UIdL e della Confederazione italiana dei sindacati economici (organo fondato da dissidenti della UIdL), per poter dare vita a un organismo nazionale che comprendesse nel suo seno tutti i sindacati sorti a fianco del movimento fascista (il movimento fascista si era allontanato dalla UIdL dopo che questa, nel gennaio del 1920 aveva deciso di appoggiare gli scioperi dei ferrovieri e del postali).

Tornato nelle sue terre di origine, nel giugno del 1921 assunse la direzione della Camera sindacale del lavoro di Ferrara creata dai sindacalisti fascisti (il giornale “L’Internazionale” lo accusò di essere passato ai fascisti in seguito ad allettamenti finanziari e non solo 11 ), la sua nomina non venne però condivisa da altri sindacalisti come Cassio Spagnoli, Pilo Ruggeri e Romualdo Rossi che, appunto a causa di questa nomina, lasciarono la Camera del lavoro. In questa nuova veste si avvicinò al Balbo, concluse dei nuovi patti agrari con gli agrari della zona che avrebbero dovuto garantire una più equa ripartizione del lavoro nella provincia tra i braccianti, accordo però largamente disatteso secondo le accuse mossegli dal giornale socialista “La Scintilla”, che denunciò anche l’uso delle trebbiatrici anch’esso in violazione dell’accordo. Nel complesso la sua azione sindacale fu estremamente blanda se, come osserva Corner, “dall’agosto in avanti le riduzione salariali cominciarono a non incontrar più alcuna protesta da parte dei sindacati fascisti. Il crollo del mercato provinciale della canapa, indubbiamente gravissimo, fu utilizzato come pretesto per speculare sull’incertezza della posizione dei lavoratori agricoli.” che: 12 Organizzò in ottobre un convegno dei sindacati autonomi di cui assunse la direzione, durante il quale espresse la necessità di formare una confederazione tra i sindacati di stampo fascista e poi sostenne esplicitamente la sua linea autonomista, contrastata da Grandi (fautore della creazione di un sindacalismo nazionale con una “marcata impronta fascista”) ed appoggiata da Balbo, affermando Il fascismo deve ora lasciare ai lavoratori la più completa libertà, non ripetendo l'errore dei socialisti che, delle loro organizzazioni economiche, si sono valsi per asservire i salariati al partito.

13 La tesi di Rossoni si ricollegava alle tesi della UIdL, secondo le quali i sindacati avrebbero dovuto provvedere in prima persona alla guida del paese e al suo governo, questo presupponeva che gli stessi rimanessero liberi da precisi legami politici.

Riaffermò questa sua posizione in dicembre, durante il Congresso provinciale dei sindacati a Ferrara, qui sostenne la necessità di formare una Confederazione tra i sindacati di ispirazione fascista 14 , e infine, il 24-25 gennaio 1922 quando partecipò al I Convegno sindacale di Bologna organizzato dai fascisti (dichiarano di rappresentare circa 250 mila lavoratori). In questa sede emersero apertamente divergenze riguardanti il grado di dipendenza dei sindacati nei confronti della politica e, in questo 4

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caso, dal neocostituito Partito Nazionale Fascista.

Si scontrarono la visione "autonomista"e fautrice di un sindacalismo nazionale sostenuta da Edmondo Rossoni fascisti” 15 e Dino Grandi (1895-1988) e quella "politica"e corporativista di Massimo Rocca (1884 1973) e Michele Bianchi (1883-1930) (alla fine fu questa ad avere la meglio e Bianchi presentò la mozione finale). Venne approvato un o.d.g. che stabiliva che “la nomina degli organizzatori e dei dirigenti della Confederazione ed organismi ad essa subordinati debba esser fatta d'accordo con la direzione del Partito nazionale fascista e con gli organismi da questa dipendenti” 16 , questo grazie alla mediazione proposta da Dino Grandi che propose di non attribuire il nome di fascista alla nuova federazione e di ammettervi anche i non fascisti, pur attribuendo le cariche direttive solo ai fascisti garantendo così che l’organizzazione non cadesse nell’orbita di altri partiti e si garantisse uno stresso legame con il fascismo, lui sosteneva che si dovesse costituire “un grande organismo federale di sindacati nazionali il quale, pur rimanendo materialmente fuori dal partito, mantenga con questo stretti rapporti, ne segua costantemente le direttive ed i cui dirigenti debbano essere esclusivamente 17 .

Durante il congresso Rossoni oltre ad affermare la sua linea autonomista sostenne anche la tesi dell'esistenza di una linea di continuità tra il sindacalismo rivoluzionario, il sindacalismo fascista ed il corporativismo tesi che venne così esposta: Per il sindacalismo fascista le corporazioni erano guidate ancora dai valori e dagli obiettivi del "sindacalismo rivoluzionario", purché si intendesse il concetto di rivoluzione non alla stregua di insurrezione e di rivolta bensì come “il sopravvento di superiori capacità produttive”.Non diversamente dal sindacalismo rivoluzionario, le corporazioni vogliono innalzare il proletariato “nel senso volgare del termine” a “lavoratore”, inseparabile dall'appartenenza nazionale al “popolo nostro”, non senza massicce evocazioni ruralistiche e rinvii alla comunità della stirpe italica: “è dal popolo, specialmente dal meraviglioso popolo della campagna, dove la razza è ancora pura, che sgorgheranno le affermazioni nuove della Nazione nostra”.

18 Sempre a Bologna vennero inoltre affermati i principi basilari della politica corporativa, con la conferma del superamento della lotta di classe nei confronti della collaborazione e dell'interesse nazionale su quello individuale o di settore, e la nascita della Confederazione nazionale delle Corporazioni sindacali con sede a Bologna (organo nato ufficialmente il 25 gennaio 1922, formato da cinque federazioni: agricoltura, commercio, industria, gente di mare, classi medie e intellettuali).

Sull'indipendenza dei sindacati Mussolini era intervenuto nel dicembre del 1921, criticando sul “Popolo d'Italia” i sindacati fascisti dei lavoratori della bassa parmense, a suo avviso responsabili per aver avviato uno sciopero generale dei lavoratori che era di ostacolo allo sviluppo del programma del nuovo movimento sindacale.

Questo stesso anno, il 1922, Rossoni costituì a Bologna assieme a Mario Racheli (1879-1961), Gino Cacciari e Julio Fornaciari la Federazione italiana sindacati agricoli (FISA), un'organizzazione sindacale fascista per il settore agrario, prioritario nella bassa padana da cui lui veniva ed ove, nel maggio di quest'anno, venne operata una grande mobilitazione dei lavoratori del settore che occuparono la città di Ferrara, sotto la guida di Balbo, ma con il suo appoggio.

Il 10 febbraio del 1922 Rossoni venne nominato segretario generale 19 della neocostituita Confederazione nazionale dei sindacati fascisti partecipazione di Mussolini 21 pubblicazione ebbe inizio il 30 marzo 1922.

20 , che andò a unire i sindacati fascisti succeduti ai Sindacati economici e poi tenne a Milano il suo I Congresso nazionale il 4 giugno con la (l'anno successivo, il 23 gennaio, il Gran Consiglio sancì anche l'obbligatorietà dell'iscrizione ai sindacati fascisti per gli iscritti al partito). Affianco a questo incarico la con-direzione de "Il lavoro d'Italia", giornale settimanale della nuova Confederazione la cui Questo stesso anno partecipò alle operazioni di repressione, operate a Genova, ad opera dei fascisti contro lo sciopero dei lavoratori indetto in agosto entrano a far parte del comitato d'azione che ne aveva assunto il coordinamento ed appoggiò la vasta campagna fascista contro il prefetto di Bologna, Cesare Mori, sostenendo che questa fosse un’azione motivata dalla necessità di difendere la sopravvivenza stessa dei sindacati fascisti colpiti. Mori aveva introdotto l’obbligo per il Consorzio di 5

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bonifica Renana di assumere solo attraverso l’ufficio di collocamento, non riconosciuto però dai fascisti, e vietato la circolazione di manodopera da una provincia ad un’altra, tutto questo indeboliva drasticamente il potere del sindacato da lui guidato per il quale “il mancato raggiungimento di un dominio completo del mercato del lavoro minacciava la stabilità della posizione fascista.” 22 La Confederazione nazionale dei sindacati fascisti, il nuovo movimento sindacale che aveva aiutato a creare, si sarebbe improntato alla nuova elaborazione di Rossoni, il quale prevedeva che: Il sindacalismo si identifica con le minoranze capaci e volitive, con l'elité sgorgante dalle viscere delle classi del lavoro. Di fronte all'infrollimento ed alla decadenza borghese, il sindacalismo partì dal presupposto che fosse possibile trarre dalle vergini forze del lavoro un'aristocrazia dirigente della produzione della vita sociale rinnovata.

23 Per Rossoni il sindacalismo nazionale non derivava dai Fasci, anche se aveva i connotati del nazionalismo,su questo suo pensiero si può citare un suo articolo intitolato

Il sindacalismo nazionale

apparso su “L'Assalto” del 4 marzo 1922: non c'è sindacalismo (valorizzazione delle classi operaie) senza lotta di classe e non cioè nazionalismo (valorizzazione della nazione) senza spirito espansionista e conquistatore nazionale. Ma come la lotta di classe non è necessariamente violenta e brutale e deve contare principalmente sulle capacità intrinseche della classe che vuole elevarsi e non sulla distruzione delle capacità della classe contendente, così il nazionalismo non è necessariamente imperialismo distruttore dell'altrui valore e libertà.

È dunque evidente l'analogia del principio sindacalista e del principio nazionale. E se c'è, in tal senso, un paese che abbia bisogno di sindacalismo e di nazionalismo quest'è l'Italia, che ha tra il suo popolo energie inestimabili da mettere in valore: quelle degli operai – indisciplinati inconsci o mal considerati – nel senso della società nazionale, e quelle della nazione – proletaria mal considerata e mal trattata – di fronte al mondo.

24 Per Rossoni era necessario persuadere quindi i lavoratori a cambiare il loro punto di vista sulle fabbriche, le aziende, abbandonando la visione della contrapposizione e della lotta di classi contrapposte. Per questo sostenne che i lavoratori avrebbe avuto diritto a miglioramenti in base alle loro capacità e non tramite rivendicazioni e scioperi, su questo argomento nell'articolo intitolato

Nuovi doveri

e pubblicato su “L'Azione Fascista” del 12 ottobre 1922, scrisse: Quindi gerarchia, quindi disciplina e ognuno al proprio posto. I gruppi organizzati in Sindacato debbono trovare in una superiore volontà, il desiderio di migliorare, perché è giusto ed umano che me lasse operaie si elevino. Il dico sempre che questa grande Italia che noi vogliamo formare non potremo averla con un popolo di straccioni, di analfabeti, di indisciplinati, di scioperaioli.

La grande Italia l'avremo con un popolo lavoratore che compia il suo dovere, che tragga conforto dal libro e dalla cultura; ma che abbia anche il proprio benessere.

25 Per quanto riguarda la funzione politica dell’organizzazione sindacale, nell’articolo

Lo Stato e i sindacati

(apparso il 22 giugno 1922 su “Il Lavoro d’Italia”, n.13), prese posizione in favore della creazione dei Consigli Tecnici Nazionali, degli organi rappresentativi delle categorie sindacali privi di poteri legislativi, respingendo la formazione immediata di un Parlamento del Lavoro, tesi sostenuta da Panunzio, rinviando solo al futuro la sua possibile costituzione che riteneva ancora prematura, “Infatti, un Parlamento del Lavoro per essere fattivo e non illusorio, dovrebbe invadere il campo del Parlamento politico, il quale – per quanto incompetente, e spesso detestabile, nell’attuale sua costituzione – non tollera diminuzioni o duplicati di poteri. Forse, in attesa che maturino radicali trasformazioni, fra l’aspirazione massima e gli attuali imperfetti ed inconcludenti organismi, converrà sperimentare i Consigli Tecnici nel modo cui sopra accenniamo”.

Gli anni del regime

L'anno della presa del potere da parte del fascismo, in coincidenza con la Marcia su Roma, intervenne

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ancora per definire quale fosse il dovere cardine dell'organizzazione sindacale nel nuovo assetto che si stava andando a formare, indicandolo ne: la salvaguardia della salute spirituale del popolo [...] Sindacato vuol dire: unione di interessi omogenei.

Sindacalismo: azione che deve disciplinare e tutelare gli interessi omogenei [...] Noi rivendichiamo la concezione italiana del Sindacalismo alle corporazioni italianissime che sono nate ancor prima che la parola 'sindacalismo' fosse pronunciata.

26 Un discorso che si allontanava dall'azione tradizionale del sindacato italiano, incentrato principalmente sulla presentazione di rivendicazioni di stampo “materiale” o di diritti. Nel complesso la sua impostazione concettuale del sindacato e che sfociò nel corporativismo è stata importante perché “fornì l'impianto teorico e progettuale alla mobilitazione di questi ceti socialisti [la piccola borghesia], privi di grandi tradizioni sociali” 27 .

Dopo la presa del potere intervenne per rimuovere ogni dubbio da parte della classe media sulla politica sindacale fascista, nel novembre del 1922 partecipò al Convegno Nazionale della Confederazione delle corporazioni sindacali svoltosi il 10 e l'11a Bologna, qui tenne un discorso nel quale fece riferimento esplicito alle classi medie, dichiarando: le classi medie sono quelle che hanno sempre fatto le spese del basso e dell'alto, che sono rimaste sempre sbandate perché non “arrivano mai fino all'incoscienza di rovinare la Nazione per i propri interessi” […] Il sindacalismo nazionale che vuole essere un sindacalismo di “selezione”, doveva soprattutto puntare a queste classi medie che – se la guerra è stata combattuta dai contadini e dagli operai come massa – hanno fornito alla guerra i quadri dei nostri meravigliosi ufficiali.

28 Nel novembre-dicembre del 1922 assieme a Farinacci e vari capi del fascismo agrario si oppose duramente al tentativo di Mussolini di concludere un patto con la CGdL, tesi sostenuta da D’Annunzio, che avrebbe costituito il preludio all’instaurazione di un “parlamento del lavoro” e che portò Rigola, De Ambris e Angelo Olivetti a proporre la convocazione di una costituente sindacale.

Una seconda grande vittoria contro le altre organizzazioni sindacali si ebbe per lui il 24 gennaio del 1923, quando la Direzione del PNF decise che i membri del partito non potessero iscriversi ad organizzazioni che non fossero fasciste, questa decisione seguiva il mutamento avvenuto il 16 dicembre 1922 della Confederazione nazionale dei sindacati, che assumeva il nome di Confederazione delle Corporazioni Sindacali fasciste. Questa decisione, che colpiva anche le associazioni imprenditoriali, non fu ben accetta e causò proteste da parte della Confederazione dell’agricoltura e solo una adesione di facciata, il 18 febbraio, da parte della Confederazione del commercio che si dichiarò fascista.

Sempre nel dicembre del 1922, il 15, partecipò alla prima riunione informale per la costituzione del Gran Consiglio del Fascismo, assieme a Acerbo, Finzi, De Vecchi, De Bono, Balbo, ed altri.

Rossoni portò avanti la sua battaglia politica dal giornale"Il lavoro d'Italia"e vi promosse l'idea di un sindacalismo integrale 29 , vale a dire la fusione in un unico organismo sia dei sindacati dei lavoratori che dei datori di lavoro, futuro fondamento dello Stato corporativo. Nel 1923, il 15 marzo il Gran Consiglio aveva approvato all’unanimità - si astenne solo O. Corgini - un o.d.g. presentato appunto da Rossoni e Farinacci in favore della introduzione delle corporazioni in Italia e nel quale si affermava che le corporazioni sindacali erano “uno degli aspetti della rivoluziona nazionale fascista alle cui esigenze di disciplina realizzatrice di un nuovo regime” esse obbedivano “incondizionatamente” e si dichiarò avverso a “ogni monopolio sindacale”; era necessario raggruppare “sotto l'egida del Fascismo i lavoratori, i tecnici, i datori di lavoro, perché solo attraverso un'unica disciplina e una medesima fede” si sarebbe ottenuta “la collaborazione effettiva di tutti gli elementi della produzione nell'interesse del Paese” 30 , ma si dichiarava contrario ad ogni monopolio sindacale in coerenza, almeno formale, con quanto stabilito dal Gran Consiglio nel dicembre del 1922 (ancora nel luglio del 1923 Rossoni riconobbe che i tempi non erano maturi per la concessione di uno stato giuridico formalizzato ai sindacati). In linea con questo indirizzo condusse a Torino il 30 marzo 1923, su pressioni di Mussolini, trattative con Gino Olivetti (1880-1942) e Antonio Stefano Benni (1880-1945), 7

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alla presenza di Michele Bianchi (1883-1930) (i rappresentanti industriali si erano rivolti a Mussolini per impedire l’applicazione di quanto deliberato) per inquadrare dall'alto la Confindustria nell'ambito dell'organizzazione fascista, ma senza successo bloccando così lo sviluppo delle corporazione integrale. Nonostante questo Rossoni continuò a perseguire il suo obiettivo e invitò i segretari regionali dei sindacati a cercare di includere gli industriali nelle associazioni padronali fasciste.

Dopo questo incontro, si ebbe prima uno sciopero proclamato dalle organizzazione sindacali fasciste(il 10 ottobre 1923), a causa della situazione dei lavoratori tessili accetto al regime.

ogni potere e autonomia alle organizzazioni periferiche.

31 e metallurgici e in vista del rinnovo dei contratti per cercare di ottenere dei congrui miglioramenti (venne anche minacciato uno sciopero dei portuali a Genova), oltre che come strumento di pressione sugli industriali affinché accettassero il piano rossoniano di integrazione in un sindacato unico, dimostrando ancora delle energie e una forza autonoma che verranno successivamente perse con il suo asservimento allo Stato.

Questo sciopero venne proclamazione, nella città di Torino, in coincidenza con la visita in città di Mussolini equesto ne limitò gli effetti perché dimostro l’esistenza di un malcontento sociale non ben In seguito a questi fatti, sempre nel 1923, il 15 novembre, il Gran Consiglio approvò un o.d.g. con il quale si dichiarò contrario all'introduzione del monopolio sindacale. Nel testo si legge che “Il Gran Consiglio riconosce che la maggioranza delle forze industriali italiane è raccolta nella Confederazione Generale dell'industria; dichiara che non intende portare scissioni o diminuzioni alla efficienza tecnica e morale di questo organismo ed esige che la stessa Confederazione tenga conto di ciò nei suoi rapporti coi sindacati operai fascisti.”La deliberazione non si applicava però al settore agricolo ove i sindacati fascisti rimanevano liberi di stipulare contratti con tutte le organizzazione esistenti.

Questo fu un duro colpo per Rossoni e la sua linea, mitigato solo in piccola parte dall’accettazione, da parte degli industriali, di non trattare con le altre organizzazioni sindacali non fasciste e un generico impegno a formare un organismo consultivo confindustriale e sindacale. Altra vittoria per gli industriali fu la decisione che le organizzazioni sindacali sarebbero state guidate da persone scelte dai segretari federali, a loro volta scelti dalla Confederazione centrale in accordo con il PNF, togliendo Dal punto di vista organizzativo interno alla Confederazione, Rossoni,il 5 maggio 1923 aveva creato un Ufficio centrale per il dopolavoro nella Confederazione nazionale dei sindacati fascisti, su proposta di Mario Giani, per l'organizzazione delle attività dei lavoratori al di fuori dei luoghi di lavoro e un loro più stretto inquadramento.

Nel 1923-24 si sviluppò anche un dibattito riguardo alla tesi di formare dei “gruppi di competenza”, ovvero dei gruppi tecnici, proposta da Massimo Rocca ma contrastata da Rossoni, per rimediare alla mancanza di competenze e capacità specialistiche nel partito; secondo il loro fautore, che assumeva esplicitamente una visione tecnocratica, avrebbero consentito di avvicinare e coinvolgere personale tecnico nella gestione e risoluzione dei problemi economici ma questo avrebbe limitato il potere delle organizzazioni sindacali che invece dovevano essere le uniche deputate, secondo Rosoni, a mediare e rappresentare gli interessi economici. Il dibattito si concluse con la sconfitta di Rocca il quale, venne poi anche sospeso per tre mesi dal PNF nel maggio del 1924.

Ancora nel 1924 la polemica con le tendenze rossoniane non era ancora terminata, vi furono dibattiti sulla costituzione dei consigli tecnici provinciali, a cui Rossoni si oppose tentando viceversa, sempre nel 1924, di creare degli uffici tecnici provinciali con maggiori poteri.

Oltre che come capo dei sindacati fascisti Rossoni si occupava di politica sindacale anche in qualità di deputato, essendo stato eletto alla carica nelle elezioni dell’aprile 1924 nel collegio di Ferrara, ove ottenne 27.776 voti 32 risultato il secondo degli eletti dopo Balbo. Questo successo viene ricollegato da Corner all’appoggio della Federazione agraria che avendo tratto grandi benefici dalla politica condotta da Balbo e Rossoni nella provincia, ora vi si identificava, abbandonando il suo precedente referente politico Vico Mantovani 33 .

Il Patto di Palazzo Chigi

Le tesi rossoniane vennero parzialmente contraddette dall'accordo raggiunto tra gli industriali e le 8

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organizzazioni sindacali fasciste, il Patto di Palazzo Chigi 34 del 19 dicembre 1923, in cui si prevedeva solo di "armonizzare la propria azione con le direttive del Governo Nazionale" (venne per questo costituita una commissione composta da cinque rappresentanti dei datori di lavoro ed altrettanti dei sindacati), e non la formazione di organi unici per le due parti, una sostanziale battuta di arresto per il suo progetto di “corporativismo integrale” (formula lanciata da Rossoni all'inizio del 1923).

L'attuazione pratica del patto di Patto di Palazzo Chigi fu abbastanza complicata e si perpetuò nel tempo, sia per le diversità di vedute tra le organizzazioni sia a causa della battuta d’arresto causata dall’omicidio Matteotti che portò ad un aumento dei malumori in Confindustria che trapelarono attraverso alcuni industriali come Ettore Conti, Lusignoli ed altri che giunsero a prospettare una successione di Giolitti al governo Mussolini.

Ancora nel 1925 (24-25 aprile) il Gran Consiglio intervenne sull'argomento. Dopo gli scioperi del marzo 1925, aveva dichiarato che “lo sciopero effettuato dalle Corporazioni” era “un atto di guerra” e richiamava “talune organizzazioni di datori di lavoro al rispetto dei postulati del concordato di Palazzo Chigi, altrimenti il fascismo prenderà le misure necessarie, onde spezzare il monopolio di quelle organizzazione che antepongono i loro interessi individuali a quelli generali della produzione e della Nazione.” 35 Deliberava anche le condizioni perché lo sciopero fosse ammissibile e degli interventi restrittivi nell'organizzazione corporativa: “lo sciopero deve avere l'autorizzazione preventiva degli organi supremi delle corporazioni e del partito, senza di che il partito avrà la facoltà di sconfessare il movimento ed i suoi iniziatori”; “si dovrà procedere anche ad una revisione dei quadri dei dirigenti del movimento sindacale”; “i segretari provinciali devono essere nominati di comune accordo dalle corporazioni, dal partito e dalle federazioni provinciali fasciste” 36 . In sostanza si sanciva definitivamente la superiorità del PNF sulle organizzazioni sindacali.

Comunque allo stato di agitazione venne posto termine il 18 agosto quando le commissioni interne riuscirono a concludere un accorpo preventivo con la dirigenza.

Alla fine del 1925, il 10 settembre, assieme a Farinacci, Turati, Cucini, Teruzzi e Aldo Lusignoli si incontrarono a Roma con Olivetti, Benni e Agnelli appunto per discutere dell'attuazione del patto che “doveva finalmente essere attuato nei fatti”.

Poi il 24 ottobre Agnelli accettò di trattare direttamente a Torino con Rossoni che puntava ad ottenere le richieste avanzate in settembre (indennità di licenziamento, regolamento delle ferie, carovita, aumento dei salari) ma senza successo.

La sua battaglia con l'organizzazione degli industriali continuò l'11 dicembre, in un discorso parlamentare, osservò come questa dell'organizzazione.

37 , a differenza delle organizzazioni dei lavoratori e dei professionisti, non si definisse fascista, questo causò poco dopo il cambiamento del nome Tornò su questi temi anche in seguito e le illustrò in due discorsi da lui tenuti a Torino durante una adunata al Teatro Regio, uno il 16 gennaio 1926 in cui disse che il capitale e il lavoro: devono essere disciplinati. L'appetito all'infinito è malefico e assurdo. Per queste ragioni il sindacalismo fascista è per la collaborazione [...] ma con gli industriali che si impuntano e dicono comandiamo noi, occorre lottare decisamente per dare ai lavoratori il posto degno nella vita della nazione.

38 e poi il 18 gennaio 1926 durante il Congresso dei Sindacati intellettuali fascisti, sempre a Torino: Il sindacalismo deve essere nazionale ma non può essere nazionale per metà: esso deve comprendere capitale e lavoro e sostituire al vecchio termine proletariato, quello di lavoratore ed all'altro, di padrone, la parola dirigente, che è più alta, più intellettuale, più grande.

39 Tornando all'ambito giornalistico, nel 1923 assunse la direzione del neocostituito giornale delle corporazioni fasciste “La Stirpe”, nel suo primo numero veniva così presentata: La Stirpe nasce con una vitalità robusta e prorompente, perché il suo nome è una sintesi di vita storica incomparabile, e perché è l'espressione delle Corporazioni fasciste organismo vitalissimo per le forze che raccoglie ed armonizza e per l'idea che lo nutre... È il mito della Patria che ha ripreso su nostra 9

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Gente il suo imperio: Miro che è insieme realtà di vita e di affetti, religione di bellezza, somma di spiriti inseriti da secoli in ognuno e in tutti gli Italiani.

40 Sempre nel 1923, durante la seduta del 12-13 gennaio del Gran Consiglio, intervenne sul tema “organizzazioni dei datori di lavoro”, durante la quale rinnovò il principio dell'avversione del sindacalismo fascista verso la lotta di classe e sostenne la necessità di aggregare al sistema corporativo i ceti imprenditoriali e proprietari, affermava che fosse “necessaria l'organizzazione nelle corporazioni fasciste di ogni attività di operai, tecnici e datori di lavoro”.

Nel 1924 partecipò alla riunione inaugurale del Consiglio Nazionale delle Corporazioni, svoltosi a Roma il 24 maggio, ente composto da 124 membri e suddiviso in sei sezioni nel quale entrò a far parte su designazione del Ministro delle Corporazioni, come membro del gruppo degli "esperti" (assieme a Rodolfo Benini, Bramante Cucini, Gustavo Del Vecchio, Giuseppe De Michelis, Alberto De Stefani, Lando Ferretti, Agostino Lanzillo, Angelo Oliviero Olivetti). Rossoni tenne la relazione di apertura dei lavori nella quale tratto della collaborazione tra le varie parti produttive della società e disse: Collaborazione, si, è il nostro principio, il nostro desiderio, la nostra volontà; anzi gli organizzatori fascisti hanno detto che era molto più giustificato parlare di collaborazione economica, nel campo della produzione, che di collaborazione politica parlamentare, perché la collaborazione politica parlamentare è il risultato di un'insincerità, della diminuzione dell'individuo e dei gruppi mentre la collaborazione nel campo della produzione è una necessità di vita per tutte le classi.

La collaborazione economica poi si deve fare anche per un'altra ragione, e cioè per il senso di responsabilità nei confronti degli interessi generali, interessi generali che non sono una frase vuota, ma una vera e propria realtà, come è una realtà l'interesse nazionale, che non si confonde col portafoglio dei privati, ma è la ragione di vita, di benessere di tutto il popolo nell'ambito della nazione.

41 Dopo aggiunse che la collaborazione sarebbe stata possibile solo con chi avesse avuto l'intenzione di collaborare, mettendo quindi in secondo piano gli scopi egoistici e poi che, visto il successo elettorale fascista, le corporazioni erano libere di stabilire le condizioni della collaborazione.

Quindi sempre sul tema della collaborazione intervennero Bagnasco e Malusardi che sostennero una tesi avversa alla collaborazione, accusarono anche gli industriali di avversare la nascita del sindacalismo fascista nelle fabbriche ma questa tesi venne sconfitta da quella avanzata da Panunzio e Cucini, appoggiata da Rossoni, favorevole alla collaborazione, allo sviluppo di un sindacato unico obbligatorio, del riconoscimento giuridico dei sindacati, dei contratti collettivi, della istituzione della magistratura del lavoro e dell'arbitrato per risolvere controversie di natura economica. La battaglia per l’affermazione di questo principiò e della “corporazione integrale” fu lunga e poco fruttuosa, si scontrò con le resistenze confindustriali e con le visioni autoritarie e “organicistiche”, che interpretavano l’esistenza di un sindacato fascista separato con un possibile contropotere, la cui esistenza era intollerabile rispetto allo Stato totalitario che volevano edificare. Questa reazione contro gli industriale fu anche resa possibile dalle dichiarazioni di Mussolini che dichiarò di non essere preoccupato dalla proclamazione di uno sciopero da parte delle organizzazioni sindacali fasciste e che aveva anzi attirato l’attenzione di Rossoni sulla “necessità che non si peggiorino le condizioni della massa operaia industriale, non solo, ma che, laddove le condizioni dell’industria lo consentano, esse siano migliorate” 42 , rendendolo quindi responsabile di quanto avvenuto fino ad allora il solo Rossoni.

La conseguenza fu un rafforzamento dei sindacalisti dissidenti che formarono un movimento, guidati da Edmondo Malusardi e Virginio Galbiati, che si opponevano alla centralizzazione burocratica ed autoritaria della confederazione, sostenendo la necessità di introdurre la libera elezioni dei suoi dirigenti. Rossoni li accusò di aver compiuto una scissione e voler formare un’organizzazione sindacale concorrente, ma non intervenne con forza a causa della sua posizione di momentanea debolezza alla luce della sconfessione mussoliniana. Trattò della situazione in un’intervista intitolata

Restare nella nuova storia

ed apparsa nel luglio su “Il Popolo d’Italia” e “La Stirpe”, nella quale dichiarò che “Le Corporazioni si ostinano ancora a non credere a un significato sostanziale delle parole ‘destra’ e ‘sinistra’” (riferimento allo spostamento a sinistra implicito nelle dichiarazioni di Mussolini)e che non prevedeva alcun ritorno a “sistemi demagogici” 43 , da questi presupposti per lui 10

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derivava la necessità di aumentare il controllo centrale sui dirigenti sindacali, in modo da evitare radicalismo eccessivi, risultato che si sarebbe ottenuto imponendo la presenza di un rappresentante nazionale in tutte le negoziazioni di accordi salariali.

Affiancò a questa azione, su invito anche dei dirigenti Mario Racheli (Capo della Corporazione dell’agricoltura) e A. Casalini che sostennero la necessità di risollevare il morale dell’organizzazione, una campagna di rivendicazioni salariali accompagnata da scioperi, particolarmente numerosi in Toscana, come quello dell’agosto del 1924 tra i minatori di Valdarno appoggiato da Rossoni, che si concluse in settembre con la firma di un accordo, però inizialmente respinto dai sindacati fascisti locali. Sempre in settembre, in seguito alla stipula di un nuovo contratto per il settore tessile che prevedeva un aumento estremamente limitato dei salari, si ebbe una nuova ondata di scioperi organizzata però da un sindacato clandestino socialista, il che indebolì e dimostrò la contraddittorietà delle posizione del sindacato fascista.

La situazione di crisi si acuì, venne attaccato anche da Malaparte e Arnaldo Mussolini.

Il 14 novembre un gruppo di oppositori presentò un memorandum nel quale sostenne che senza l’intervento dello Stato, e quindi non del partito messo in crisi dall’omicidio Matteotti, era impossibile procedere verso la formazione della “corporazione integrale”. In questo periodo iniziò anche una campagna di attacchi personali contro Rossoni e il suo stile di vita ad opera di Arnaldo Fioretti, capo della corporazione sanitaria, a cui rispose Rossoni il 30 e 31 dicembre durante la riunione del direttorio delle corporazioni, qui dichiarò che “Il pettegolezzo scende perfino all’incredibile, quando si vuole giudicare il tenore di vita che tiene il Presidente delle Corporazioni”, dopo di questo riaffermò la sua fede fascista dichiarando che “In questo momento […] le Corporazioni non possono lasciare né Mussolini né il partito, senza macchiarsi di viltà e di tradimento”. Fioretti replicò che non intendeva attaccare Mussolini ed aggiunse, fatto molto più interessante, che “L’incapacità delle Corporazioni a difendere gli interessi delle categorie non proviene da colpa propria, ma è dovuta agli ostacoli che s’incontrano nel Governo e nel Partito” 44 .

La crisi Matteotti quindi ebbe seri effetti sull'attività sindacale, sia internamente ai sindacati fascisti acuendone le tensioni interne, sia portando ad una intensificazione in varie parti d’Italia degli scioperi, uno strumento utile per fare pressioni sulla controparte padronale e per cercare di conquistare la fiducia dei lavoratori tramite rivendicazioni salariali. Un preannuncio di questo moto si era avuto nel dicembre del 1924 a Carrara ove si svolse un grande sciopero, che durò 40 giorni, in seguito al rifiuto di concedere gli aumenti richiesti ai gestori delle cave e che venne organizzato e gestito dai fascisti stessi, con l’attiva partecipazione di Ricci e Rossoni che giunsero a dichiarare chiusa la collaborazione tra le classi.

Il moto poi si diffuse nei primi mesi del 1925 degli scioperi, sempre con l’attiva partecipazione dei sindacalisti fascisti o addirittura da loro stessi organizzarono come nel caso di Brescia ove fu Augusto Turati a proclamarlo il 2 marzo, sciopero che venne appoggiato anche da Farinacci e Rossoni.

Tra le varie agitazioni organizzate in questo periodo una risalta per la sua particolare rilevanza, questa ebbe luogo in Lombardia, poi si estese in Veneto, Emilia, Liguria ed Umbria e legata ai lavoratori del settore metalmeccanico (la FIOM in febbraio riprese le agitazioni per ottenere aumenti salariali e proclamò uno sciopero generale in Lombardia il 12 marzo). Per sedare gli animi i sindacati fascisti conclusero il 15 marzo un accordo mediato da Farinacci con gli industriali basato sul principio della scala mobile, ma senza grande successo visto il perpetuarsi degli scioperi a Torino e Milano, rientrarono invece a Brescia e Pavia (Rossoni non prese parte a gran parte delle trattative ed anzi dichiarò pubblicamente che la sua conclusione era da ricollegarsi alle pressioni del partito sugli industriali, dimostrando quindi l’importanza dello stesso per l’attività del sindacato). A questo evento si può collegare quanto Rossoni, questo stesso mese, comunicò a Mussolini in un telegramma ove si legge “mia opinione est che masse urbane sono in stragrande maggioranza refrattarie fascismo” 45 .

In questo periodo Rossoni tornò ad analizzare la posizione dei sindacati fascisti e in un editoriale apparso il 3 gennaio 1925 su “La Stirpe”, scrisse che il sindacalismo era parte integrante alla rivoluzione fascista ed era anche essenziale per poterla realizzare.

Tutti questi movimenti non vennero apprezzati da Mussolini, che li ritenne incompatibili con l’ordine che stava cercando di stabilire e per questo il 25 aprile intervenne il Gran Consiglio e chiuse il 11

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dibattito sancendo la superiorità del PNF sulle organizzazioni sindacali e introducendo ufficialmente il loro monopolio per la rappresentanza dei lavoratori, dichiarò lo sciopero “un atto di guerra” introducendo l’approvazione obbligatoria da parte degli organi sindacali centrali della sua proclamazione, vietando gli scioperi di solidarietà. Oltre a questo venne riconosciuto alle federazioni fasciste e agli organi centrali il diritto di intervenire nella scelta dei segretari provinciali dei sindacati e venne deliberare una epurazione dei quadri del movimento stesso.

In questo periodo Rossoni pubblicò sul “Giornale d'Italia” un articolo intitolato

Il progetto capestro sulla stampa

, nel quale sostenne “il diritto al Governo fascista di limitare l'attuale 'gazzara' giornalistica, instaurando una migliore educazione politica” fascista dei giornalisti (SNFG), dichiarò: 46 . Poi nel 1927 ritornò più estesamente a trattare del ruolo dei giornalisti, quando partecipò al congresso costitutivo del Sindacato nazionale Il mio parere è che l'organizzazione dei giornalisti non possa essere fascista semplicemente come tutte le altre organizzazioni. Qui c'è un compito specifico, preciso, squisitamente politico. Dopo questa riunione il Duce deve sapere che il Sindacato Nazionale dei Giornalisti è uno strumento squisitamente politico agli ordini del regime. Terremo lontani tutti coloro i quali avanzano una qualsiasi riserva mentale nei confronti del fascismo.

47

L’attività parlamentare e la legge Rocco

Nel 1924 Rossoni diventò deputato, carica che ricoprì fino al 1929, in questa veste entrò a far parte della "Commissione dei 15" dalla Commissione dei 18 49 48 (nominata dal Gran Consiglio) presieduta da Giovanni Gentile formata il 4 settembre 1924 e che iniziò ad operare il 28 ottobre. Questa commissione era incaricata di elaborare una riforma dello statuto e dell’assetto istituzionale, dopo alcuni mesi venne però sostituita , detta anche “dei Soloni”, che a sua volta si occupò della riforma della rappresentanza politica, oltre a quello del riconoscimento giuridico dei sindacati.

Rossoni era già stato coinvolto nell’elaborazione dei progetti fascisti di riforma delle istituzioni nel 1923, quando divenne membro, con Enrico Corradini, Maurizio Maraviglia, Attilio Tamaro, Giulio Casalini, Sergio Panunzio, Ettore Lolini, Salvatore Gatti, Giorgio Del Vecchio, Giovanni Preziosi, Massimo Rocca e Michele Bianchi (presidenti), Carlo Costamagna segretario, del Gruppo speciale di competenza per la riforma costituzionale costituito il 1° maggio dal Gran Consiglio, con il compito di “studiare quali modificazioni siano imposte al nostro diritto costituzionale dallo sviluppo della Rivoluzione fascista, dall’evoluzione della società moderna e dai problemi la cui risoluzione è indispensabile alla grandezza del Paese”.

All'interno di queste nuove commissioni (Commissione dei 15 e dei 18) Rossoni propugnò la sua tesi favorevole al monopolio sindacale, al riconoscimento obbligatorio da parte dello Stato, per ogni categoria, di un solo sindacato operaio e di un solo sindacato padronale, tesi contrastata dall'altro membro della commissione Gino Arias, che sosteneva invece la costituzione di una forma di rappresentanza istituzionale e che il riconoscimento giuridico non dovesse avere carattere di obbligatorietà, lo stato avrebbe deciso discrezionalmente e non avrebbe riconosciuto i sindacati che non perseguissero fini nazionali, “in ogni caso avrebbe accolto il pluralismo delle organizzazioni sindacali e, quindi, accettato la coesistenza di sindacati riconosciuti accanto ad enti di fatto” conclusioni a cui giunge la commissione nei suoi documenti finali.

Questa tesi propugnate da Arias venne contraddetta dagli accordi di Palazzo Vidoni all'istituzione dei fiduciari di fabbrica fabbriche).

52 51 50 . Alla fine Rossoni, la cui linea politica venne sconfitta nella commissione, espresse critiche sulle firmati il 2 ottobre del 1925 sottoscritti da Rossoni. Questi accordi riconobbero alla Confederazione nazionale delle Corporazioni sindacali e alla Confindustria la reciproca esclusività di rappresentanza di lavoratori e datori di lavoro, con l'impegno al conseguimento prioritario dell'interesse nazionale.

Rossoni dovette però rinunciare, anche per intervento di Mussolini, che inizialmente la appoggiò, da lui sostenuta ma duramente avversata dagli industriali(tesi che poi riemerse verso la fine degli anni ‘20, dopo lo sbloccamento del sindacato, ma non ebbe seguito a causa dell’opposizione degli industriali che ritenevano potessero minare la disciplina nelle 12

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Il 6 ottobre il Gran Consiglio intervenne affermando la necessità di un inquadramento da parte dello stato del "fenomeno sindacale" e introdusse il divieto di sciopero e di serrata, previde anche la definitiva introduzione della contrattazione collettiva dei contratti di lavoro, in linea con quanto sosteneva Rocco ed accantonando quindi i progetti elaborati dai Soloni.

Questo obiettivo venne raggiunto il 3 aprile 1926 quando i sindacati fascisti vennero definitivamente istituzionalizzati, ammettendo l'esistenza di una sola confederazione padronale (tesi sostenuta da marzo da Rossoni per evitare il rischio della divisione anche della confederazione sindacale dei lavoratori in unità separate, anche se propose la separazione tra piccola e media industria dalle grandi società azionarie e la loro organizzazione in un’entità separata) e di una sola dei lavoratori,e si riconobbe valore giuridico ai contratti da loro stipulati grazie all'approvazione della legge n.563, nota come “legge Rocco” 53 (il giurista e nazionalista Alfredo Rocco era il ministro della Giustizia). In seguito a questa norma la Confindustria divenne un’organizzazione di regime, il che le consentì di avere un proprio rappresentante nel Gran Consiglio, nello specifico Benni.

Il percorso per raggiungere questo obiettivo fu alquanto contrastato - in aprile sull’argomento si ebbero scontri sull'argomento con la Commissione dei 18 - e non fu una totale vittoria,. Questa normativa portò alla statizzazione dei sindacati e non alla “sindacalizzazione dello Stato”, come desideravano gli ex sindacalisti rivoluzionari come Rossoni. La tesi su cui si basava la norma in questione venne così esposta dal suo autore, Rocco, durante il dibattito parlamentare: “lo Stato non può né moralmente né politicamente rinunciare neanche a un millesimo del controllo stabilito dal disegno di legge. Lo Stato non può ammettere, e lo Stato fascista meno che mai, che si costituiscano Stati nello Stato. L’organizzazione dei sindacati deve essere un mezzo per disciplinare i sindacati, non un mezzo per creare organismi potenti e incontrollati che possano sovrastare lo Stato” 54 . In linea con questa spiegazione Bottai, alla Camera, dichiarò ancora il 21dicembre 1929: “Lo Stato ha, con la legge del 3 aprile, riconosciuto il Sindacato – e intendo adoperare questa parola ‘riconosciuto’ non solo nella sua accezione più strettamente e più propriamente giuridica, ma nella sua accezione più vasta, morale e politica insieme – ha riconosciuto il Sindacato nella sua forza, nella dignità e nella bellezza della sua funzione; il Sindacato, a sua volta, riconosce lo Stato, lo riconosce nella sua unità, nelle sue esigenze, nelle sue funzioni, e collabora con tutti i mezzi a che questa unità, queste esigenze, queste funzioni si svolgano nella loro pienezza”. Questo significava che non era stato creato uno Stato sindacale ma che il sindacato che stato riconosciuto ed ammesso nello Stato solo alle condizioni che questo aveva deciso ed imposto, trasformandolo sostanzialmente in uno strumento di attuazione delle disposizioni statali.

La normativa introduceva il riconoscimento formale dei sindacati 55 (passo essenziale per disciplinarli e sottometterli al controllo statale), il ricorso obbligatorio alla magistratura del lavoro per le controversie tra datori di lavoro e lavoratori, quest'obbligo nella versione iniziale era previsto solo per il settore agricolo, ma in seguito ad un intervento di Rossoni, appoggiato poi da Rocco stesso e infine da Mussolini, che risolse il problema dell'opposizione imprenditoriale, venne esteso.

Nella pratica però la legge aveva un peso inferiore a quanto si potesse supporre, prevedeva le elezioni dal basso all'interno del sindacato, ma nelle fabbriche erano state soppresse le commissioni interne e la magistratura del lavoro fu più che altro uno “strumento burocratico e formale” 1938) 57 e il segretario Antonio Stefano Benni (1880-1945) 58 organizzazioni che facevano posto assieme a lavoro e capitale.

56 che un arbitro indipendente. La norma approvata, in aggiunta, era diversa dal progetto originario di Rocco anche grazie all’intervento della commissione a cui era stata affidata, presieduta da Ernesto Belloni (1883 , che rese obbligatorio il ricorso alla magistratura del lavoro solo per il settore agricolo e impedì il riconoscimento giuridico a talune Una volta approvata questa legge gli scontri tra le varie interpretazioni continuarono per la definizione del regolamento attuativo (emesso con il Regio Decreto 1 luglio 1926, n.1130 contenente le norme di attuazione della legge 3 aprile 1926, n.563 sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro), lo schema redatto da Rocco venne approvato il 18 maggio dal Consiglio dei ministri ma a causa dell’opposizione di Rossoni ed anche della Confindustria venne modificato dal Gran Consiglio il 25 26 giugno. Vennero così attenuati i controlli burocratici sull’attività sindacale, Rossoni mantenne il controllo di tutti i sindacati operai, delle organizzazioni degli artisti e delle libere professioni (solo gli 13

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artigiani rimasero indipendenti), venne aumentata la quota dei contributi sindacali assegnata agli organi centrali a danno degli organi periferici, le confederazioni vennero autorizzate a raccogliere direttamente i propri contributi senza passare dagli esattori statali. Oltre a questo venne tolto il potere alla magistratura del lavoro di effettuare inchieste su costi e metodi delle aziende che sarebbero state obbligate a mostrare i loro libri contabili, tutto questo comportò un ridimensionamento dei poteri statali in netta contraddizione con le teorie imperniate sul potere e la centralità dello stato propugnate da Rocco. Per i sindacati una gravissima sconfitta fu la modifica apportata, rispetto al progetto originale, che toglieva alla magistratura il potere di emanare ordinanze provvisorie durante lo svolgimento di una controversia giudiziaria, questo consentiva ai datori di lavoro la possibilità di procedere a licenziamenti o sospendere la paga fino alla conclusione della controversia, causando un danno gravissimo al lavoratore.

Dopo questa norma si ebbe anche un riassetto interno delle organizzazioni sindacali che portò nel giugno del 1926 all’emergere di contrasti tra Cacciari e Rossoni. Quest’ultimo voleva aggregare i mezzadri alle organizzazioni dei lavoratori, il primo che era il rappresentante del settore agrario invece voleva aggregarle a quelle degli imprenditori.

Su questo scontro si può leggere quanto scritto in un articolo pubblicato anonimo, ma attribuito a Rossoni, il 5 aprile su “Il Lavoro d'Italia”: Prima di tutto non c'è bisogno di dire che le Corporazioni non intendono, per nessuna ragione, di rinunciare al proprio nome, neanche per darlo allo Stato, restando poi semplici sindacati [...] In secondo luogo è bene si sappia che le Corporazioni accetteranno soltanto quella forma di riconoscimento che gli organizzatori fascista hanno propugnato attraverso la propaganda, i congressi e gli atti ufficiali del movimento fascista. Perciò un movimento deformatore del problema sindacale, posto al fascismo in termini nuovo, sarebbe da noi recisamente respinto.

Nessuno, diciamo nessuno – con speciale riferimento ai sullodati consiglieri e professori che non seppero mai mettere assieme nemmeno un sindacato di dieci fabbricanti di stuzzicadenti – potrà imporre alle Corporazioni, in fatto di riconoscimento giuridico, una soluzione diversa di quella voluta dai nostri dirigenti e responsabili.

Piuttosto che un riconoscimento confusionario è meglio nessun riconoscimento, in attesa che la realtà maturi una profonda trasformazione sindacale degli istituti produttivi e politici.” 59 (anche Farinacci in luglio appoggiò Rossoni contro le conclusioni della commissione).

Questo stesso anno, il 1926, si verificarono due eventi che segnano per molti versi delle sconfitte per Rossoni. Il primo, in marzo, fu l’allontanamento di Farinacci dalla segreteria del PNF, i due si erano avvicinati in quanto rappresentanti “di due sottosistemi del fascismo, il sindacale e il provinciale, mossi dalla consapevolezza che i propri destini politici erano indissolubilmente legati a una prospettiva integralista di occupazione esclusiva del potere, sia nelle istituzioni sia nella società civile” 60 . Il secondo fu la nomina a sottosegretario del ministero delle Corporazioni di Giacomo Suardo, un uomo vicino agli industriali. Quello delle Corporazioni era nuovo ministero creato con il R.D. n. 1131 del 2 luglio 1926 per coordinare la nuova politica economica adottata dal regime, dicastero assunto dallo stesso Mussolini fino al 1929. Questo elemento può costituì una nuova importante sconfitta per Rossoni che è possibile avesse ambito a tale posizione Confindustria Olivetti che inviò una lettera il 1° maggio 1926 l’influenza sindacale.

trapela dal suo articolo

Lo Stato senza aggettivi

62 nomina, sottolineando che questo fatto avrebbe rafforzato la sua posizione.

61 , la mancata nomina anche solo alla carica di sottosegretario la si deve collegare all’intervento del presidente della a Mussolini per impedire la sua Questi cambiamenti portarono allo sviluppo del fronte antisindacale, formato dagli industriali, dall’apparato delle corporazioni gestito da Bottai (subentrato nel novembre del 1926 a Suardo come sottosegretario e poi a Mussolini nella carica di ministro nel 1929), contrario al sindacato unico e obbligatorio, e dal PNF ora guidato Augusto Turati, che mirava a ridimensionare il potere e Bottai era un fautore della supremazia statale condividendo alcuni concetto propugnati da Rocco come , pubblicato su “Critica Fascista” il 1° aprile 1928 e nel quale si legge: “La concezione corporativa è quella appunto per cui lo Stato si afferma non come somma di individui o di sindacati, ma come entità superiore al Sindacato, opposta e superiore al

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Sindacato stesso, perché lo Stato a sua volta, nella dottrina fascista e corporativa, è precisamente un corpus, cioè una persona morale, viva e vera, irriducibile agli ‘atomi’, siano essi sindacalisti, siano essi individualisti” 63 .

Rossoni stesso provvedette a denunciare la violazione, se non formale, almeno dei principi della norma da parte degli imprenditori che tramite rinvii e pressioni sui lavoratori ottenevano l’accettazione di contratti svantaggiosi per i salariati (i contratti individuali, nonostante l’opposizione sindacale, erano ammessi e spesso sfruttati per aggirare gli accordi collettivi).

Il sostanziale indebolimento di Rossoni venne dimostrato dai problemi emersi dall’attuazione della norma, solo nel marzo del 1927 la magistratura del lavoro entrò in funzione, ma sin dall’entrata in vigore della legge vennero attuate tutte le misure contro gli scioperi, anche se motivati da mancata attuazione degli accordi contrattuali. Altri problemi derivarono dagli uffici di collocamento la cui attività venne ostacolata dagli imprenditori che evitavano l’assunzione di personale iscritti ai sindacati o provvedevano a licenziamenti di personale, poi riassunto con qualifiche inferiori.

Nel 1926 si aprì un altro fronte di lotta per i sindacati, quando venne adottata la politica deflazionistica sostenuta da Mussolini, questa implicò una riduzione delle retribuzioni dei lavoratori. Rossoni riuscì a far approvare dal Gran Consiglio, l’8 ottobre, un invito per i datori di lavorio a procedere alle decurtazioni salariali solo dopo che le conseguenze della rivalutazione avessero avuto effetto e non da subito come era loro intenzione. Questo però ebbe ben scarsi effetti pratici come dimostrano i successivi scontri tra la confederazione e gli industriali e si conclusero con la completa legittimazione delle decurtazioni da parte del Direttorio del PNF nell’ottobre del 1927. Nel 1926 Rossoni attaccò “la cosiddetta libertà di commercio” e gli speculatori, anche in seguito a questi interventi venne adottato il R.D.-legge n. 2174 che regolamenta l'attività commerciale introducendo delle restrizioni all'apertura di nuovi negozi e attribuiva ai comuni il diritto di intervenire per determinare il prezzo di alcuni generi alimentari di particolare importanza.

Rossoni sosteneva anche tramite articoli pubblicati su “Il Lavoro d'Italia”, in polemica con la Commissione la necessità di fare delle Corporazioni il perno del nuovo Stato, l'obiettivo raggiungibile tramite il riconoscimento giuridico dei sindacati, l'introduzione di una disciplina giuridica uguale sia per le organizzazioni padronali che per quelle dei lavoratori e la rappresentanza di queste nel Parlamento. Del riconoscimento Rossoni trattò esplicitamente nel passo seguente: Il riconoscimento, mentre non deve essere soltanto registrazione dell'atto di nascita dei sindacati, deve portare all'abolizione di alcuni organi artificiosi ed inutili (come il Consiglio superiore dell'economia, a cosiddetta Direzione generale del Lavoro, ecc.) ed alla conseguente costituzione di Consigli corporativi per ogni industria o branca di produzione con poteri abbastanza vasti e da precisare e che possano andare dallo studio e dalla soluzione dei rispettivi problemi tecnici alla preparazione ed al controllo della legislazione sociale.

64 Già durante il Congresso nazionale delle Corporazioni sindacali di Roma dell'aprile del 1925 aveva sostenuto la necessità di un rapido riconoscimento delle organizzazioni “che ispiravano la propria attività ai fini della Nazione rinnovata dalla Rivoluzione dell'ottobre 1922” 65 e anche una drastica riforma del ministero dell'Economia nazionale.

In questo periodo la confederazione fascista aveva circa 2 milioni di iscritti e rappresentava 8 milioni di lavoratori (secondo un documento del capo della polizia, inviato al ministero delle Corporazioni,, il 17 agosto del 1927 le organizzazioni sindacali fasciste avevano come aderenti solo circa il 30% dei ferrovieri iscritti, il 25% dei tranvieri, il 35% dei postelegrafonici, tra il 10 e il 15% degli edili, il 5% dei lavoratori del legno, il 20% tra i metallurgici, il 10% tra i chimici, il 30% tra i tessili Turati che riuscì, nell'aprile 1927, a farla porre alle dipendenze del partito.

66 ), questo rendeva particolarmente potente la sua organizzazione, lui cercò di rafforzarla ulteriormente quando il governo, con il R.D.L. n.582, creò l'Opera nazionale dopolavoro (OND) e lui cercò di farla porre sotto il controllo del sindacato, senza successo a causa dell'opposizione del segretario del PNF Augusto 15

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Nel 1926 intervenne per bloccare l'introduzione, nella nuova legge elettorale per le elezioni politiche approvata tra gennaio e febbraio, del voto plurimo che avrebbe menomato la capacità delle masse operaie rispetto ad altre categorie.

Un altro evento curioso, risalente al giugno di quest'anno, quando propose a Mussolini, assieme al compositore Pietro Mascagni (1863-1945), un nuovo inno fascista da lui scritto, intitolato

Canto del Lavoro 67

e musicato appunto da Mascagni, ma senza successo. Il canto venne però presentato nel febbraio del 1928 al teatro Malibran di Venezia ove debuttò.

Nel 1927, il 7 gennaio, il Gran Consiglio deliberò lo studio e l'elaborazione di una Carta del lavoro 68 approvando il seguente o.d.g. “Il Gran Consiglio Fascista, riaffermando categoricamente il diritto dello Stato a dettare norme regolatrici della produzione e del lavoro nazionale, secondo i principii del nuovo ordine, le cui premesse si contengono nella legislazione sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi, richiamandosi ai compiti propri del Ministero delle Corporazioni, strumento di attuazione rivoluzionaria, e degli organi centrali corporativi di imminente costituzione, accoglie l’idea della Carta del Lavoro e ne delibera lo studio secondo i seguenti criteri: 1) dichiarazione della solidarietà tra i vari fattori della produzione nell’interesse supremo della Nazione; 2) coordinamento organico delle leggi per la previdenza e l’assistenza dei lavoratori; 3) coordinamento ed aggiornamento delle leggi protettive del lavoro; 4) norme generali sulle condizioni contrattuali del lavoro”. Questo stesso organo poi l'approvò il 21 aprile 1927, in questa sede Bottai, durante la sua relazione, la definì “un documento senza precedenti nella storia costituzionale”, destinato ad “esprimere la volontà dei nuovi organismi creati dalla rivoluzione e a costituire il fondamento, non solo di un indirizzo legislativo, ma del nuovo modo di essere di tutta quanta la società nazionale”; venne pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 100 il 30 aprile come una raccolta di principi e non un testo con valore di legge, non venne infatti mai approvata dal Consiglio dei ministri. Il documento in questione venne apprezzato da Rossoni per la parte che introduceva la contrattazione collettiva e in genere venne interpretato come un progresso nel campo della legislazione sociale ed uno strumento di protezione delle categorie svantaggiate. In generale le sue interpretazioni furono varie, sia per quanto riguarda la sua valenza legale che il suo significato. Panunzio vi vedeva un documento non strettamente politico-legale, ma una carta sociale, economica e morale Questa Carta costituisce, di principio, un testo fondamentale della politica sociale fascista nell'ottica di eliminare la contrapposizione classica tra datori di lavoro e lavoratori e per lo sviluppo di un sindacalismo organico in cui entrambe le parti siano contemplate (l'annuncio della sua prossima adozione era stato dato da Mussolini l'11 febbraio). Le cinque confederazioni dei datori di lavoro presentarono le loro preoccupazioni e le loro proposte passa il Capo del sindacalismo operaio”.

69 sulla stessa, già nel dicembre del 1926, al segretario del PNF, nettamente contrarie alle prime bozze e alle tesi appoggiate da Rossoni, che mirava ad introdurre “un controllo da parte delle Corporazioni sul capitalismo, con la mediazione dello Stato, e a una progressiva trasformazione dell’economia in una Corporazione di produttori, nella quale la proprietà privata sopravviveva con un controllo sociale” 70 .

Le confederazioni dei datori di lavoro accusavano i sindacati di “seguire un orientamento del tutto contrastante con le direttive del Regime”, di aver adottato il “programma d’azione del sindacato vecchio stile”, un accoglimento delle loro richieste avrebbe “certo per risultato […] di compromettere o di annullare addirittura la disciplina nelle aziende, e di impedire al datore di lavoro di svolgere adeguatamente la sua funzione di dirigente della produzione”. Di questi gravi problemi si attribuiva la responsabilità allo stesso Rossoni scrivendo che “Le peregrinazioni, che il Capo della suddetta Confederazione fa nelle varie regione d’Italia, lasciano una scia di malsana eccitazione negli animi dei lavoratori, che non sono e non possono ancora essere tutti completamente trasformati nelle radici; eccitazione di nuove pretese; fenomeni questi che ormai si verificano con matematica precisione dove Questa controversia causò l’intervento diretto di Mussolini, a cui li documenti vennero rimessi il 9 aprile da Giuseppe Bottai (1895-1959). Mussolini passò i documenti ad Alfredo Rocco, che assieme a Bottai, procedette ad una nuova stesura del documento; nella fase conclusiva del dibattito mise mano anche Mussolini che si occupò dell'elaborazione della versione finale, nella quale venivano accolte molte delle richieste imprenditoriali. Un elemento a favore dei sindacati introdotto rispetto al progetto 16

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di Rocco è l’aggiunta di una clausola che prevedeva l’assunzione privilegiata dei membri del partito e del sindacato.

Sulla questione della politica corporativista di Rossoni e sui rapporti con la Confindustria Castronovo scrive: Anche se è difficile dire quanto del programma corporativo di Rossoni fosse effettivamente condiviso dagli altri leader fascisti, a cominciare (non a caso) da Balbo, o fino a qual punto esso rappresentasse una sorta di coerente continuità ideologica con il “programma” di piazza San Sepolcro. Mentre la gara tra Rossoni e la Confindustria per tirare ognuno dalla propria parte Mussolini si concluderà, più che con una mediazione personale del “duce” fra i due opposti schieramenti, con uno slittamento verso le ragioni dei datori di lavoro.

71 Si deve osservare che in questo periodo le altre organizzazioni sindacali avevano cessato la loro attività, nel gennaio del 1927 il comitato direttivo della Confederazione generale del lavoratori (CGdL) decide l'autoscioglimento dell'organizzazione, l'USI invece aveva cessato la sua attività già nel 1925 72 , nel 1926 cessò la sua attività anche il sindacato cattolico Confederazione italiana dei lavoratori (CIL). Per quanto riguarda la CGdL si deve considerare anche che già nel 1923 Rossoni era intervenuto con Farinacci presso Mussolini per ottenerne lo scioglimento quando Mussolini cercava un'intesa con l'ala moderata della CGdL, tesi appoggiata da Cesare Rossi, discutendo con i suoi esponenti di unità sindacale e di collaborazione sindacato che non fosse quello fascista.

73. Rossoni si era opposto a questa possibilità adducendo come motivazione il pericolo di una rivincita delle forze antifasciste, avendo ancora questo sindacato un certo seguito tra gli operai del nord, e sostenendo anzi la necessità di vietare ogni Rossoni comunque aveva dovuto adattare le sue teorie sull'organizzazione sindacale alle diverse necessità imposte dal regime, abbandonò infatti l'idea della Corporazione integrale, come afferma in un articolo apparso su “Il Lavoro d'Italia” del 5 maggio 1926 intitolato

La Corporazione integrale 74

.

Lui desiderava la formazione di un'unica Confederazione delle corporazioni fasciste pacifica, al suo interno, delle controversie tra padronato e lavoratori.

75 in cui ogni branca produttiva avrebbe avuto una sua corporazione specifica nazionale, organizzata in tre sezioni autonome: lavoratori manuali, tecnici, datori di lavoro, il tutto sotto la guida di Mussolini, con lui come probabile responsabile effettivo (questo ovviamente non era ben visto anche da altri gerarchi, come Balbo). Questa integrazione totale tra le varie parti sociali avrebbe consentito la risoluzione Nel marzo iniziò anche a rivendicare il diritto di gestire il collocamento dei lavoratori alla Corporazioni, battaglia che continuò a lungo e nell'anno successivo si scontrò ancora con i datori di lavoro per i tagli dei cottimi da loro operati, intervenendo ad esempio a Genova nel febbraio 1927: Quando si dice che i datori di lavoro rivendicano la loro libertà, noi pensiamo che essi non debbano insistere molto su questa parola, così come gli operai si devono convincere che la libertà assoluta non esiste più e non deve esistere; tutti noi dobbiamo sacrificare qualche cosa della persona, dei gruppi o delle categorie, alla necessità della disciplina nella produzione per il bene comune e dello Stato nazionale.

76 Rossoni e le Corporazioni ottennero così un cospicuo potere che venne guardato con sospetto da taluni centri di potere esterni al PNF. A seguito di ciò, il leader sindacale si trovò spesso isolato ed ebbe reiterati contrasti con Bottai (sottosegretario al Ministero delle Corporazioni 1926-1929), che lo accusava di agire secondo un “particolarismo centrifugo” e di riprendere il concetto di lotta di classe che era incompatibile con i principi corporativisti. La sostanziale sterilità dell’organizzazione sindacale corporativa, a cui ogni sostanziale azione era preclusa dalla normativa vigente, portò infatti i dirigenti sindacali, spesso ex sindacalisti rivoluzionari ad adottare una strategia demagogica. Definì l’esistenza di una Confederazione dei lavoratori unica con “il maggiore intralcio per il buon rendimento degli organi centrali di collegamento” 77 e sostenne la necessità del suo smembramento in organizzazione separate oltre al trasferimento allo stato dei poteri ora afferenti alla Confederazione unica, questo avrebbe reso lo stato l’unico arbitro tra i diversi settori produttivi.

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A queste accuse Rossoni rispondeva accusando Bottai di sostenere un sindacalismo “ufficiale, burocratico e universitario” agitatori.

78 , Bottai infatti si schierò verso la formazione di un sindacato maggiormente tecnico nel quale i suoi quadri avessero più un ruolo di funzionari del regime e non di

Dallo sbloccamento della Confederazione agli anni trenta

Le controversie emerse riguardo all’eccessivo potere concentrato nella organizzazione sindacale unitaria vennero affiancate da una campagna condotta dai giornali controllati dagli industriali, nei quali vennero denunciati nel 1927-28 gli abusi, la corruzione e la lentezza dell’apparato burocratico sindacale, campagna mirante ad un indebolimento della Confederazione, accusata anche di condurre una campagna ostruzionista perché rifiutava l’approvazione ad accordi sulla riduzione salariale, formalmente legali, contrastati dai lavoratori con una serie di scioperi illegali e criticati anche da Rossoni il quale negava che questo fosse un sistema per contrastare la concorrenza internazionale come invece alcuni dichiaravano.

La questione venne risolta il 27 novembre 1928 la Confederazione nazionale dei sindacati fascisti paese), si procedette a quello che venne definito lo “sbloccamento” 80 79 venne smembrata in sei confederazioni (poi divenute sette) da parte di Bottai ed Augusto Turati (1888-1955, segretario del PNF 1926-1930), facendo diminuire il potere contrattuale dell'organismo (entrambi valutavano eccessivo il suo potere, essendo oltretutto l'organo con più aderenti esistente nel deciso da Mussolini il 21 novembre, ed approvato il 1° dicembre dal Consiglio dei Ministri 81 , che portò alla divisione della Confederazione in sei federazioni sindacali autonome, lo stesso numero delle Confederazioni dei datori di lavoro già esistenti, azione giustificata in base alle necessità tecniche imposte dal raggiungimento dell’assetto corporativo dello Stato. Questa mossa causò il fallimento del “disegno politico che il gruppo dirigente sindacale, ispirato da Edmondo Rossoni, mette a punto e tenta di imporre agli altri centri del fascismo: ‘squilibrare’ i termini del compromesso tra regime e classi dominanti in modo tale da fare assumere al sindacato come istituzione un autentico ruolo di condivisione del potere in forma insieme collaborativa e conflittuale” Corporazioni.

dello stato medesima” sindacato.” 84

Sindacalismo fascista

83 .

di opporsi allo Stato e solo formalmente a questi soggetta.

82 oltre ad una ulteriore diminuzione del prestigio dell’organizzazione sindacale stessa che perdeva così il suo potere politico di contrappeso agli industriali. Ora i vertici sindacali vennero ancor più burocratizzati perdendo ogni residuo potere autonomo e sostanzialmente neutralizzati dall’apparato del ministero delle Al riguardo della decisione dello “sbloccamento”di Mussolini Bottai dichiarò che riaffermava: “il principio che nello stato fascista, nessuna associazione può sussistere su altra forza che non sia quella Questa decisione ebbe ricadute gravi secondo lo storico De Bernardi perché comprometteva “fortemente la stessa identità culturale del sindacato e dei quadri dirigenti, perché la fine della grande corporazione del lavoro significava in realtà il definitivo ridimensionamento politico della tradizione anarco-sindacalista che aveva egemonizzato la politica sociale del regime e guidato l'azione del Lo sbloccamento venne appoggiato anche da Rocco e Olivetti che furono acerrimi avversari del suo progetto di unificazione sindacale rossoniano, secondo loro avrebbe riportato ad un “dualismo marxistico” e alla lotta di classe, i sindacati concepiti da Rossoni sarebbero diventati una forza capace Rossoni analizzò le conseguenze dello sbloccamento nel dicembre 1920 su “La Stirpe” con l’articolo , nel quale scrisse che “[…] tutto il disgusto suscitato dal parlamentarismo, e la stessa critica giustissima al socialismo e alla democrazia si risolverebbero in una delusione amara, in retorica inconcludente e – peggio ancora – in una fatale illusione reazionaria, se il fascismo non avesse una base più solida, più realistica, più umana […]- L’utopia comunista potrebbe sempre riacquistare effetti deleteri, se il nuovo ordine si dimostrasse incapace di assicurare un minimo di bene economico e non fosse profondamente animato da un’idea […] dal suo mito”, nell’ordinamento corporativo i lavoratori avevano ottenuto uno status pari a quello dei datori di lavoro, formalmente, questo nuovo status presupponeva un ulteriore sviluppo per acquisire anche “un valore economico e 18

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sociale” 85 , il che era stato impedito dallo sbloccamento.

Dopo questo passo, sempre in questo periodo, ebbe scontri con gli altri esponenti fascisti anche per la questione della designazione dei delegati sindacali, sull'argomento intervenne sul “Corriere della Sera” del 9 settembre 1928, il 15 gennaio 1929 poi in un articolo apparso su “Il Lavoro d'Italia” ed infine in aprile del 1930 al Gran Consiglio, lui sostenne che i dirigenti sindacali dovevano rimanere quello che erano, camicie nere delegate dal partito a dirigere i sindacati, scelti conciliando le esigenze di rappresentanza con quelle politiche del regime.

Altro segno dell'indebolimento del potere di Rossoni e della sua organizzazione fu l'inserimento di soli 89 rappresentanti dei lavoratori nel listone per il plebiscito partito).

ed economiche della nazione” 87 86 (22,25% dei seggi) che si sarebbe svolto il 24 marzo 1929, a fronte di ben 125 rappresentanti delle organizzazione padronali, ovvero il 31,25% dei seggi (nonostante questo partecipò alla campagna di propaganda in favore delle elezioni, presiedendo riunioni dei sindacati e dei corrispondenti d’azienda, per presentare il programma del Il principio della scelta da parte delle corporazioni di una quota dei membri della nuova camera era stato adottato due anni prima, il Gran Consiglio l'11 novembre 1927 aveva deciso che alla luce dell'esistenza di “un solo partito in funzione di organo del regime” e delle “organizzazioni produttive come base sindacale-corporativa dello Stato, queste avrebbero fornito una quota dei rappresentanti.

Un terzo elemento di indebolimento fu il fallimento della strategia da lui propugnata in un articolo intitolato

La difesa dei salari

, pubblicato in “Il Lavoro d'Italia” del 20 ottobre 1926 e nel quale sosteneva che l'intangibilità del salario dei lavoratori era un caposaldo dell'azione sindacale “finché non si [fossero] constatati sui prezzi al minuto i benefici effetti della rivalutazione economica perseguita dal governo fascista” 88 . Questa suo intento venne vanificato dall'inizio dell'anno successivo da una dura azione degli industriali che lo portò a tornare sulla questione della difesa dei salari un discorso tenuto a Velletri nel 1928, nel quale dichiarò che “Abbiamo constatato […] che molti datori di lavoro, anche dopo la disciplina degli operai – che nei sindacati hanno oggi una coscienza nuova e non fanno più scioperi – sono rimasti un po’ anarchici, cioè sempre individualisti. Essi dicono: c’è la legge; c’è il contratto; sta bene; ma io faccio il comodaccio mio […]. Ancora oggi, come ieri, tutti i contratti di lavoro possono essere sabotati attraverso il licenziamento e la riassunzione […]. è accaduto molto spesso che i datori di lavoro licenziano il sabato gli operai che guadagnano trenta lire ed il lunedì fanno altre assunzioni a ventotto lire. Con questo sistema, nei grandi stabilimenti industriali, si sono abbassate tutte le paghe, senza poter dire che c’era violazione del contratto di lavoro” 89 .

Dagli anni trenta alla fine del regime

Nel settembre del 1930 Rossoni divenne anche membro del Gran Consiglio del Fascismo e (l'Agenzia di stampa Stefani aveva dato l'annuncio del suo prossimo ingresso nell'organo nel 1929), due anni dopo, Sottosegretario alla presidenza del Consiglio, carica che mantenne fino al 1935.

In questi anni iniziò a collaborare con il giornale “La Stirpe”, proseguendo il dibattito sul corporativismo. Qui nel 1931 scrisse in

Riflessioni sulla rivoluzione fascista – La corporazione come idea

, che il corporativismo è una “idea tipica e originale della rivoluzione fascista: […] tra la logica conservatrice del padronato e la logica ribellistica del proletariato si impone quindi, per i fini superiori della Nazione, la logica fascista che pone per caposaldo la disciplina giuridica dei sindacati. Bisogna però rendersi conto che in tal modo il fascismo oppone al conservatorismo e al socialismo un metodo nuovo […] per trattare i problemi del lavoro, ma non ha affatto risolto il problema millenario dei rapporti sociali fra le classi come scrisse recentemente uno dei soliti miracolisti corporativi. I problemi del lavoro restano sempre vivi […]. E poiché la Corporazione non potrà mai esistere senza il sindacalismo, l’iniziativa e l’azione sindacale del lavoro devono svolgersi col più ampio respiro, senza prevenzioni assurde e senza inciampi burocratici” 90 .

Partecipò al dibattito seguito al II Convegno di studi corporativi, promosso da Bottai e svoltosi a Ferrara tra il 5 e l’8 maggio del 1932. Qui Ugo Spirito presentò una relazione intitolata

Individuo e Stato nell'economia cooperativa

, che sosteneva la possibilità di superare l'attuale assetto delle 19

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proprietà senza arrivare al collettivismo ma introducendo le corporazioni proprietarie di cui i membri sarebbero stati azionisti. Rossoni criticò questa analisi e prese parte ad una polemica sulla stessa condotta sul giornale “La Stirpe” nel 1935-36, sostenendo invece la tesi che identificava il problema nel fatto che il “riconoscimento giuridico non implicava la fine del Sindacato ma la fine del metodo sindacalista” 91 , per questo motivo diveniva necessaria la ridefinizione dei rapporti tra i sindacati e lo Stato.

Nel gennaio del 1935 venne nominato Ministro dell'Agricoltura e foreste, carica che mantenne fino al 31 ottobre del 1939 quando venne sostituito da Giuseppe Tassinari (1891-1944), poi non ebbe nessuna carica e non svolse quindi un ruolo politicamente prioritario fino al 25 luglio del 1943.

Durante gli anni trenta, quando ormai aveva raggiunto importanti ruoli a livello nazionale, si occupò della riqualificazione e di ampi interventi urbanistici, a spese dello stato, nel suo paese natale, Tresigallo, nel novembre del 1935 venne richiamato da Mussolini e si dovette difendere dall'accusa di aver favorito il suo paese natale, cercando di farvi nascere una zona industriale, ove cercò di sviluppare una distilleria agricola ed uno stabilimento per la lavorazione della canapa 92 , oltre a quello per la trasformazione del latte in lana.

Si occupò anche più in generale della politica di bonifica e dei relativi interventi, adottando una politica nettamente clientelare per favorire imprenditori e persone a lui vicine, come dimostra il caso dei lavori per l'acquedotto della Basilicata. Pensò anche ad arricchirsi personalmente beneficiando la moglie 93 di buoni del tesoro per 1 milione e 400 mila lire, oltre ad altre proprietà che aveva acquisito (già nel 1928 aveva acquistato una grande villa a Brisighella, intestata al fratello e una tenuta alla porte di Roma, intestata allo zio 94 ).

In qualità di membro del Gran Consiglio partecipò alla riunione dello stesso del 7 dicembre 1940 che approvò l'ingresso dell'Italia in guerra al fianco della Germania.

La fine del regime

Per quanto riguarda la sua attività in quest'anno fatidico, il 1943, si può segnalare quanto riportato in una comunicazione di Heinrich Himmler (1900-1945) a Martin Bormann (1900-1945) in base alla quale Rossoni faceva parte di un comitato formato assieme a Roberto Farinacci (1892-1945), Giovanni Preziosi (1881-1945), Renato Ricci (1896-1956) e Giuseppe Bastianini (1899-1961), che mirava a formare un “gabinetto di guerra che attui una politica antimassonica, antiebraica e filotedesca, l'esclusione radicale dei traditori d'ogni risma, il rinnovamento del Gran Consiglio fascista in seduta permanente, la creazione di un comando unificato per le forze dell'Asse. Chiedono che la Germania li aiuti catechizzando senza tregua il Duce affinché conceda immediatamente i pieni poteri a Riccardi [Raffaello Riccardi, 1899-1977, Ministero per gli Scambi e le Valute dal 31.10.1939 al 5.2.1943], ovvero ad uno dei citati collaboratori” 95 .

Nella riunione del Gran Consiglio del 24-25 luglio 1943 votò a favore dell'Ordine del giorno Grandi 96 , a cui aveva aderito già prima della votazione, che portò alla fine del governo di Mussolini e alla caduta del fascismo (dal 1939 al 1943 fu solo Consigliere nazionale).

Per la sua scelta di appoggiare la fazione contraria alla politica del Duce, dopo la liberazione di Mussolini ad opera delle forze naziste e la costituzione della RSI, fu condannato a morte in contumacia durante il processo che ebbe luogo a Verona, tra l'8 e il 10 gennaio 1944 e durante il quale vennero condannati a morte i gerarchi che votarono in favore dell'o.d.g. Grandi.

Il 28 maggio 1945 quando la guerra era ormai finita e la RSI sciolta, dopo essere già stato epurato a fine aprile dall'Albo dei giornalisti in base al Decreto Legge Luogotenenziale n. 159 del 27 luglio 1944 da un'apposita commissione istituita a Roma, Rossoni venne condannato all'ergastolo dall'Alta corte di giustizia (nello stesso processo vennero condannati anche Luigi Federzoni e Giuseppe Bottai all'ergastolo e Giacomo Acerbo a 30 anni di reclusione). Questa sentenza è particolarmente rilevante perché vi si analizza il suo ruolo complessivo nel regime riportando anche utili informazioni sul suo operato, eccone uno stralcio: Rossoni fu sempre considerato il padre del sindacalismo fascista; fascismo e sindacalismo sono movimenti coevi e paralleli e quel che accadde nell'ottobre 1922 non avrebbe potuto aver luogo se il 20

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movimento sindacale, facente capo a lui, non avesse fatto presa sulle masse e se non fosse stato lui a portare nel convegno di Napoli l'assicurazione dell'adesione e della fede fascista di 800 mila lavoratori, iscritti nei suoi sindacati; fu iniziatore di varie riforme, ispirate ai principi di ingerenza, di controllo, di accentramento propri del fascismo, con la trasformazione delle cattedre ambulanti dell'Agricoltura in ispettori provinciali, con l'unificazione degli enti economici provinciali dell'agricoltura, con la riforma dei consorzi agrari; collaborò alla creazione dello Stato corporativo fascista assiduamente e costantemente; partecipò alla seduta del 3 gennaio 1925 e a quella in cui furono approvate le legge fondamentali del regime; fu tra i componenti del Gran Consiglio fin dalla sua istituzione.

97 Già rifugiatosi in Vaticano (era stato aiutato dall’ordine dei salesiani) lasciò travestito da prete il paese nell'agosto del 1946, sfuggendo ad un tentativo di arresto operato nell'agosto nel convento di Grottaferrata, per andare in Canada, dove rimane per circa un anno. Nel 1948 ritornò in Italia, dopo che il 6 dicembre 1947 la Cassazione lo aveva amnistiato, abbandonando definitivamente l'attività politica e sindacale.

Morì a Roma l'8 giugno 1965 e venne sepolto nel monumento funebre di famiglia nel cimitero di Tresigallo.

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Il canto del lavoro: coreografia patriottica per Balilla e piccolo Italiane

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Aspetti politici e morali della nuova economia corporativa

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Commemorazione di Antonio Bizzozero

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Direttive fasciste all'agricoltura

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La terza via fascista Il mito del corporativismo

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Sitografia

http://www.storiaxxisecolo.it/fascismo/fascismo12m.htm

http://www.comune.tresigallo.fe.it/html/tresigallo__realta_improvvisa.html

23

1 4 5 22 23 24 25 26 7 8 9 10 11 12 13 14 27 28 29 2 3 6 15 16 17 18 19 20 21 30

Furiozzi, Il sindacalismo rivoluzionario italiano,

pag.38.

Rossoni e De Ambris, oltre ad una comune militante sindacale erano legati dall'appartenenza alla Massoneria di Piazza del Gesù (De Turris,

Esoterismo e Fascismo

, pag.44). Di questa organizzazione facevano parte anche vari esponenti fascisti: Galeazzo Ciano, Giuseppe Bottai, Giacomo Acerbo, che poi la abbandonarono anche in seguito alla proclamazione dell'incompatibilità tra tessera del PNF e appartenenza alla massoneria.

Organizzazione sindacale fondata a Chicago nel 1905 da esponenti di varie correnti della sinistra, che adottò una linea apertamente sovversiva.

de Grazia, Luzzatto,

Dizionario del Fascismo Volume Secondo

, pag.555.

Lo statuto dell'USI è disponibile al seguente indirizzo: http://www.alterhistory.altervista.org/Documenti/testiGET.php?titolotesto=StaUSI Per un'analisi storica di questa organizzazione si può leggere il testo scritto da Rossoni stesso e pubblicato in “Cultura Sindacale” nel 1921, riportato da Francesco Perfetti,

Fiumanesimo, sindacalismo e fascismo

, Roma, Bonacci, 1988 pag.203-219. Il testo dello statuto è disponibile al seguente indirizzo: http://www.alterhistory.altervista.org/Documenti/testiGET.php?titolotesto=StaUIL Perfetti

, Lo stato fascista

, pag.292.

Serventi,

Alceste De Ambris

, pag.93.

De Bernardi,

Operai e nazione

, pag.45.

Cordova,

Le origini dei sindacati fascisti, 1918-1926

, pag.23.

Lyttelton,

La conquista del potere

, pag.351.

Corner,

Il fascismo a Ferrara

, pag.211.

Cordova

, Le origini dei sindacati fascisti, 1918-1926

, pag.48.

Il 28 febbraio del 1921 in seguito all'abbandono della Camera confederale del lavoro, a San Bartolomeo in Bosco (Ferrara), venne fondato il primo sindacato fascista agrario.

Lo scontro tra le due tendenze era già emerso nel convegno sindacale di Ferrara. La sua posizione autonomista lo portò anche a scontrarsi con la commissione dei 18, istituita nel 1925, per studiare i problemi nei rapporti tra cittadini, Stato, esecutivo e legislativo; rendere più stabile il governo e modificare in suo favore i rapporti con i sindacati.

Santarelli,

Storia del movimento e del regime fascista

. Volume 1,pag.286.

Il Convegno sindacale del Partito nazionale fascista a Bologna dichiara costituita la “Confederazione Nazionale delle Corporazioni Sindacali”,

“Il Popolo d’Italia”, 26 gennaio 1922.

In questo passo è interessare evidenziare l'esaltazione ruralistica, che poi sarà presente nella propaganda del regime e il riferimento ad una purezza di razza da intendersi come portatrice ancora di valori tradizionali. Guidi, Michelini,

Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

(

1999

).

Marginalismo esocialismo nell'Italia liberale 1870-1925,

pag.219.

La nomina avvenne a Milano, durante la riunione congiunta della direzione del PNF e il Comitato centrale provvisorio della Confederazione.

Prima le organizzazione fasciste dei lavoratori facevano parte della Confederazione italiana dei sindacati economici (CISE), organo fondato a Milano il 19 novembre 1920 da Isidoro Provenza.

Gli aderenti sono 458.284. 277.084 dell'agricoltura; 72.000 dell'industria; 43.000 nei trasporti marittimi, ferroviari e nei porti; 31.000 impiegati; 10.700servizi pubblici locali; 8.200 tecnici. Santarelli,

Storia del movimento e del regime fascista

. Volume 1, pag.286.

Corner,

Il fascismo a Ferrara

, pag.246.

De Bernardi,

Operai e nazione

, pag.47.

Perfetti

, Lo Stato fascista

, pag.85.

Perfetti,

Lo Stato fascista

, pag.86.

Guidi, Michelini,

Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli (1999). Marginalismo e socialismo nell'Italia liberale 1870-1925

, pag.220.

De Bernardi,

Operai e nazione

, pag.55.

1919-1925: dopoguerra e fascismo Politica e stampa in Italia

, pag.500.

A.O. Olivetti, uno degli studiosi di questioni sindacali del tempo, scrisse al riguardo: “Sindacalismo integrale è quello il quale crede che la attuale forma di società sia in via di trasformazione, che intende tale trasformazione appoggiare e rendere consapevole. Perciò al sindacato che ha solo il carattere il resistenza e di lotta preferisce sostituire la denominazione di corporazione che implica un carattere costruttivo e formativo. La corporazione non deve essere solo un arnese di difesa e di protezione dei suoi componenti, ma deve rappresentare il mestiere che assume fisionomia, carattere, ordine e coscienza, che sa di rappresentare nella società un gruppo di servigi”. (Guidi, Michelini,

Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli (1999). Marginalismo e socialismo nell'Italia liberale 1870-1925

, pag.219) Perfetti,

Lo stato fascista

, pag.99.

38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 63 64 65 66 67 56 57 58 59 60 61 62 70 71 72 32 33 34 31 35 36 37 49 50 51 52 53 54 55 68 69 73 Sempre nel 1923 erano sorte polemiche per l'arbitrato di Giovanni Preziosi per risolvere una controversia tra i lavoratori e la direzione della Cotoniere Meridionali, prima appoggiato da Rossoni poi respinto e dichiarato decaduto in seguito alle proteste dei lavoratori fascisti stessi.

Corner,

Il fascismo a Ferrara

, pag.295.

Ibid.

, pag.296.

Il testo dell'accordo è disponibile al seguente indirizzo: http://www.alterhistory.altervista.org/Documenti/testiGET.php?titolotesto=Chigi De Felice,

Mussolini e il fascismo L’organizzazione dello Stato fascista 1925-1929

, pag.94.

Santarelli,

Storia del movimento e del regime fascista

. Volume 1, pag.408-409.

“Trovano essi che non è molto simpatica questa definizione? [di fascista NdA] Allora bisognerà che, per chiarire la situazione, si stabilisca bene che in una forma o in un'altra il controllo del fascismo arriva a tutti gli organismi costituiti, a tutti gli organismi economici e sindacali, sia di datori di lavoro che di lavoratori.” (Melograni

, Gli industriali e Mussolini

, pag.154) Cordova,

Verso lo Stato totalitario

, pag.5.

Cordova,

Verso lo Stato totalitario

, pag.5.

Mantovani

, Rigenerare la società

, pag.274.

Perfetti

, Lo Stato fascista

, pag.139.

Lyttelton,

La conquista del potere

, pag.501.

Lyttelton,

La conquista del potere

, pag.502-3.

Lyttelton,

La conquista del potere

, pag.507.

Mancini,

Il fascismo dallo stato liberale al regime

, pag.125 nota.

Franzinelli

, L'amnistia Togliatti

, pag.164.

Ibid

.

, pag.165.

I membri erano: Giovanni Gentile, Enrico Corradini, Nicolò Melodia, Matteo Mazziotti, Emanuele Greppi, Agostino Lanzillo, Fulvio Suvich, Pier Silverio Leicht, Edmondo Rossoni, Gioacchino Volpe, Francesco Ercole, Santi Romano, Artuco Rocco (il fratello di Alfredo), Silvio Longhi, Angelo Oliviero Olivetti.

Formata il 31 gennaio 1925 e costituita da 14 dei 15 membri della precedente commissione, venne escluso Silvio Longhi, e l'aggiunta di Gino Arias, Domenico Barone, Francesco Coppola e Gorrado Gini.

Tarquini,

Il Gentile dei fascisti

, pag.53.

Il testo è disponibile al seguente indirizzo: http://www.alterhistory.altervista.org/Documenti/testiGET.php?

titolotesto=Vidoni Verranno poi introdotti nella sostanza, anche variando il nome, ma non riconosciuti legalmente. Sulla loro presenza nel 1929 ripresero i contrasti tra sindacati e Confindustria, anche in seguito all'adozione dell'organizzazione scientifica del lavoro.

Il testo della legge è disponibile al seguente indirizzo: http://www.alterhistory.altervista.org/Documenti/testiGET.php?titolotesto=Legge563 Santomassimo,

La terza via fascista

, pag.46.

Dall’organizzazione sindacale erano escluse le categorie dei lavoratori della pubblica amministrazione e gli insegnanti, per i quali Rocco riteneva illegittimo formare sindacati o corporazioni.

Santarelli,

Storia del movimento e del regime fascista

. Volume 1, pag.412.

Dirigente industriale nel settore chimico e docente universitario.

Dirigente della società Marelli e di Confindustria.

Cordova,

Verso lo Stato totalitario

, pag.393.

Santomassimo,

La terza via fascista

, pag.93.

Santomassimo,

La terza via fascista

, pag.93.

Il testo della lettera è pubblicato in R. De Felice,

Mussolini e il fascismo L’organizzazione dello stato fascista

, pag.273.

Lupo,

Il fascismo

, pag.228.

De Felice,

Mussolini e il fascismo L’organizzazione dello Stato fascista 1925-1929

, pag.48.

De Felice,

Mussolini e il fascismo L’organizzazione dello Stato fascista 1925-1929

, pag.94.

Mancini,

Il fascismo dallo stato liberale al regime

, pag.117.

Il testo è disponibile al seguente indirizzo: http://www.lorien.it/x_inni/Pg_Canzoni-D/Alfa_I/Ca_Il-Canto-del Lavoro.html

Per i testi delle varie proposte di carta proposte De Felice,

L’organizzazione dello Stato fascista 1925-1929

, pag.525 547. Il testo della Carta del lavoro approvato è disponibile al seguente indirizzo: http://www.alterhistory.altervista.org/Documenti/testiGET.php?titolotesto= Per i testi delle osservazioni e delle proposte De Felice,

L’organizzazione dello Stato fascista 1925-1929

, pag.287 289.

CartaLavoro Dogliani,

Il fascismo degli italiani

.

Castronovo,

Giovanni Agnelli

, pag.309.

Anche l'organo che aveva raggruppato i sindacati antifascisti, ma al quale non avevano partecipato le organizzazioni cattoliche, l'Alleanza del lavoro, aveva cessato di operare sostanzialmente già prima della Marica su Roma.

Il 24 luglio Mussolini aveva incontrato a questo proposito: D'Aragona (questi già nell’agosto del 1923 aveva

87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 82 83 84 85 86 76 77 78 79 74 75 80 81 sostenuto la tesi favorevole alla collaborazione con il governo), Azimonti, Buozzi, Colombino e Cabrini per cercare un'intesa con l'ala moderata della CGdL. Con loro discute di unità sindacale e di collaborazione nel settore della tutela dei lavoratori. Canali,

Cesare Rossi

, pag.207.

Ecco il testo dell'articolo: “Oggi siamo a questo punto: sostenere la Corporazione integrale, sia pure come semplice principio, dovrebbe significare una assurda ostinazione dottrinale, pregiudizievole ai buoni rapporti collettivi del lavoro e perfino all'ordine e alla tranquillità del regime.” (Cordova,

Verso lo Stato totalitario: sindacati, società e fascismo

, pag.22).

Già nel gennaio 1926 aveva avanzato, senza successo, la proposta di trasformare la Confindustria in una federazione all'interno della Confederazione delle corporazioni fasciste.

Melograni

, Gli industriali e Mussolini

, pag.190-191.

Lyttelton,

La conquista del potere

, pag.561.

Guerri,

Giuseppe Bottai

, pag.140.

Nel 1928 aveva inquadrato 1.200.000 lavoratori dell'agricoltura, 1.313.000 nell'industria e circa 500.000 tra trasporti, commercio, marittimi e banche. Nel 1929, quando si operò un conteggio, risultarono inquadrati nelle corporazioni anche 1.193.091 datori di lavoro di vari rami.

Sulle reazioni a questa scelta

Le reazioni allo “sbloccamento” in un rapporto a Mussolini

, riportato in Cordova,

Verso lo Stato totalitario

, pag.258-263.

Gli avversari di Rossoni nella campagna per la divisione dei sindacati, nel 1928-29, avevano diffuso tramite la stampa la falsa notizia che lui fosse scappato in Russia con i fondi dei sindacati e fosse tornato solo dopo aver ottenuto un salvacondotto.

Del Boca, Legnani, Rossi (a cura di),

Il regime fascista

, pag.238.

Guerri,

Giuseppe Bottai

, pag.141.

De Bernardi,

Operai e nazione

, pag.117

Lyttelton,

La conquista del potere

, pag.562.

La nuova legge elettorale, Testo Unico 2 settembre 1928, n.1993, prevedeva la presentazione di una di 400 deputatiche gli elettori potevano accettare o respingere in blocco.

Santarelli,

Storia del movimento e del regime fascista

. Volume 1, pag.558.

De Bernardi,

Operai e nazione

, pag.68.

Mancini,

Il fascismo dallo stato liberale al regime

, pag.132.

Marino,

L’autarchia della cultura

, pag.80 nota.

Santomassimo,

La terza via fascista

, pag.95.

Stampacchia

,Ruralizzare l'Italia!: agricoltura e bonifiche tra Mussolini e Serpieri

, 1928-1943, pag.311

Anna Piovani, una donna che aveva conosciuto a Milano nel 1921.

Bosworth,

L'Italia di Mussolini

, pag.230.

De Felice,

Mussolini e il fascismo Crisi del regime 1943-1945

, pag.1225

Il testo: http://www.alterhistory.altervista.org/Documenti/testiGET.php?titolotesto=Grandi Franzinelli,

L'amnistia Togliatti

, pag.165-166.