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PRIMO PIANO
Venerdì 30 Settembre 2016
No del consiglio comunale di Roma ma i 5stelle sono isolati: anche Sel a favore dei Giochi
Olimpiadi: Regione contro Comune
In aula con i cartelli: ieri grillini, oggi coniglietti
DI
CARLO VALENTINI
S
inistra Italiana-Sel
abbandona i 5Stelle
sul no alle Olimpiadi
e i grillini sono così
ancora più isolati anche se,
seppur da soli, o quasi, hanno
lanciato dal consiglio comunale di Roma il loro siluro al
Coni, approvando la mozione
contraria ai Giochi con 30 voti
(tutti i grillini più l’ex-Pd e
ora sellino Stefano Fassina
che si è espresso contro la linea del suo gruppo). Hanno
bocciato la mozione, compatti, i 12 consiglieri d’opposizione. Forse il presidente del
comitato olimpico, Giovanni
Malagò, si toglierà qualche
sassolino dalla scarpa oggi
(ore 10,30) all’università di
Modena-Reggio Emilia, dove
sarà il relatore nella cerimonia d’inaugurazione dell’anno
accademico (diretta streaming su: www.unimore.it). In
ogni caso i giochi sembrano
(non) fatti.
Neppure l’appello di SiSel (dal quale si è dissociato
Fassina) ha scalfito il muroanti Olimpiadi imposto da
Beppe Grillo e avallato da
Virginia Raggi, pur con qualche mal di pancia nel pezzetto
di giunta già varata. Dicono i
capigruppo e consiglieri Si-Sel
in Regione, Gino De Paolis,
Marta Bonafoni e Daniela
Bianchi: «Riteniamo giusto
ospitare le Olimpiadi 2024
perché quell’appuntamento
è un’occasione preziosa per
rilanciare una città in crisi e
perché pensiamo che la capitale d’Italia debba poter giocare fino in fondo una partita di
questa portata con coraggio ed
orgoglio. È vero che le Olimpiadi hanno spesso rappresentato motivo di indebitamento
e di speculazione per le città,
ma l’ambizione e la responsabilità delle istituzioni devono
essere quelle di creare le condizione affinché i Giochi siano
opportunità di sviluppo e di riqualificazione, in un quadro di
legalità e trasparenza».
Poi l’affondo contro i
5stelle: «Le prese di posizione espresse dalla sindaca
Raggi», affermano, «rappresentano una resa, ingiustificabile, che consegna la città
alla rassegnazione: nulla può
cambiare, neanche da qui al
2024. Un fatto grave se si
considera che la prima cittadina è rappresentante di un
movimento che ha fatto della
differenza con la vecchia politica la propria carta di identità. Un’occasione persa quindi
per i 5stelle di dimostrare che
un altro modo di gestire appalti, denaro e grandi eventi è
possibile, una sconfitta per la
città e la Regione, per le istituzioni e le amministrazioni,
esclusi dal dibattito e dalla opportunità di dimostrare che la
trasparenza e la legalità sono
possibili».
Un richiamo caduto nel
vuoto, così come il documento approvato quasi all’unanimità, contrari ovviamente i
grillini, dal consiglio regionale e come la lettera-aperta di
alcuni sindaci delle città del
Lazio. Roma non è mai stata
così sola contro tutti, rifiutando un evento tanto
importante, la relativa immagine sul
piano internazionale e il conseguente
business. I bisticci
nell’aula del Campidoglio che hanno
accompagnato ieri
la discussione sul
niet pentastellato
non sono che la registrazione di questa
anomala situazione
di autoisolamento.
Consiglieri di centro, destra e sinistra
uniti nel criticare la
neo-sindaca, anche
issando cartelli con
scritto: «ieri grillini,
oggi coniglietti». Tra l’altro è
stata impedita la possibilità di
interventi esterni, che invece
solitamente sono ammessi
nelle riunioni straordinarie
del consiglio comunale. Così
la coordinatrice del comitato
promotore, Diana Bianchedi, non ha potuto spiegare
il piano di fattibilità delle
Olimpiadi: «Pensavo», dice,
«di poter parlare davanti al
consiglio comunale per dare
le informazioni corrette per
questa candidatura perché
ne abbiamo lette di tutti i colori». Commenta Alessandro
Onorato, capogruppo della
lista Marchini: «Abbiamo
chiesto solo la possibilità di
far intervenire persone esterne. Volevate fare una casa di
vetro, invece prendete ordini
da Milano». Aggiunge Roberto Giachetti, capogruppo del
centrosinistra, lo sfidante sconfitto dalla Raggi: «È lo sport a
Nicola Zingaretti
uscire umiliato da questi comportamenti dei 5stelle».
Se in Campidoglio è andata in scena la prova di
forza dei 5stelle, in Regione è
passata la stilettata al cuore
della Raggi e dei suoi accoliti:
la seduta straordinaria del
consiglio regionale ha infatti
approvato un ordine del giorno
(presentato da 16 consiglieri
di maggioranza e minoranza)
a sostegno della candidatura
e per “garantire l’interesse
dei cittadini romani e italiani a poter usufruire di una
simile opportunità economica
e culturale». Dice il vicepresidente della Regione Lazio (con
delega allo Sport), Massimiliano Smeriglio (Sel): «Le
scelte comportano sempre dei
rischi. Dei rischi di insuccesso, dei rischi di impopolarità,
rischi di dover riconoscere e
denunciare per tempo le mire
di mondi opachi. La Regione
Lazio la sua scelta l’ha fatta,
accompagnando attivamente
il processo di candidatura di
Roma alle Olimpiadi del 2024,
senza far mancare mai una
voce critica e vigilando contro
ogni forma di speculazione.
Così in occasione della prima
scadenza del febbraio 2016, ha
consegnato due lettere di garanzia firmate dal presidente
Nicola Zingaretti…..»
Aggiunge l’altro vicepresidente, Mario Ciarla
(Pd) «la sindaca di Roma si è
comportata più da portavoce
del Movimento che da primo
cittadino».
Si difende il capogruppo
5stelle, David Porrello. «È
sempre stato chiaro a tutti che
se avessimo vinto le elezioni
comunali sarebbe tramontata
l’ipotesi di ospitare a Roma le
Olimpiadi. Ce ne assumiamo
le responsabilità, convinti
che sia troppo rischioso per la
nostra città e la nostra comunità organizzare un evento di
tale portata, soprattutto sulla
scorta delle esperienze negative delle ultime edizioni in
altre nazioni e metropoli per
molti versi simili alla nostra».
Sei sindaci hanno preso carta
e penna per perorare di non
perdere questa occasione. Si
tratta di Simone Petrangeli
(Rieti), Leonardo Michelini
(Viterbo), Damiano Coletta
(Latina) e Nicola Ottaviani (Frosinone). «Roma non è
soltanto un comune», hanno
scritto, «ma è anche la Capitale del Paese, allora tutto
l’evento potrebbe essere gestito direttamente dallo Stato,
per il tramite del governo o di
un commissario straordinario,
nel pieno rispetto della previsione normativa contenuta
nell’ultima parte dell’art. 114
della Costituzione. Al sindaco
di Roma si chiede soltanto di
non ostacolare l’ elaborazione
di tale soluzione, nelle forme
ritenute più opportune, che
potranno contemperare le diverse esigenze in gioco».
Un altro compromesso
è proposto dal consigliere
regionale civico Fabio de
Lillo: «La sindaca indìca un
referendum per conoscere il
parere dei romani sulle Olimpiadi il 4 dicembre, giorno in
cui gli italiani saranno chiamati a promuovere o bocciare
la riforma costituzionale del
governo Renzi».
Ma dal consiglio comunale di ieri è apparso chiaro
che nessun compromesso sarà
valutato dai grillini. Le Olimpiadi sono state messe sul binario morto. Nessun dialogo
nell’aula Giulio Cesare ma il
muro contro muro. Nonostante le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «Lo sport è sempre un
investimento proficuo per un
Paese, contribuisce a farlo
crescere».
Twitter: @cavalent
© Riproduzione riservata
ON THE ROAD, NOTE DI VIAGGIO FRA I MEDIA DI MARIO SECHI
La maggioranza piagnona del vitalizio
DI
MARIO SECHI
Titoli. Hanno fatto l’accordo sulle pensioni, sei miliardi, cribbio, ora
stendiamo la tovaglietta a quadretti
rossi sul tavolo, mi raccomando un bicchiere di rosso della casa e via, tutti
insieme in osteria a parlare del passato. Sui quotidiani trionfa un paese a
caccia del vitalizio, un luogo dove fare
l’impresa è un affronto al tran tran
pre-pagato, al quieto vivere alle spalle
degli altri (quelli che ancora lavorano), uno sfregio al consenso totalitario
raggiunto grazie alla pensione prima,
dopo, durante, sempre. Stamattina
in edicola c’è un titolo della Gazzetta del Mezzogiorno che è un epitaffio,
talmente surreale da fulminare la
realtà, pietrificarla nella sua inesorabile senescenza: «La sintonia della
pensione».
Un paese di guelfi e ghibellini,
diviso su tutto, sulla moglie e sul
marito, sul Milan e sull’Inter, sulla
pasta e sulla pizza, si ritrova unito a
marciare verso il riposo all inclusive,
lo spiaggiamento a Ibiza, lo spritz e
il commento con il gomito alzato al
bar sui poveri giovani, quelli che la
pensione non la vedranno, che sfigati.
L’impaginato non dà scampo, è questo,
l’inno alla politica del tramonto: «Nuove pensioni, c’è l’accordo» (Corriere
della Sera); «Pensioni, ecco le novità»
(Carlino-Nazione-Giorno); «Pensioni,
così aumenti e uscite» (Il Messaggero);
«Fatto l’accordo sulle pensioni. Minime
più alte» (Repubblica); «Pensioni, Renzi trova l’accordo. Ma l’Europa frena
sulla manovra» (La Stampa).
È questa l’Italia? Non tutta, ma
avanza a passo di carica la maggioranza piagnona del vitalizio a prescindere,
si materializza come un moloch con lo
stuzzicadenti in bocca e la canottiera,
una società vecchia, decrepita, pronta
alla dentiera e al viagra, l’affermazione
del desiderio senza futuro, un eterno
svegliarsi-consumare-addormentarsi,
senza in mezzo una parola che fa la
differenza tra gli esseri dotati di logos
e i parassiti: creare, inventare, lasciare
un segno tangibile del proprio passaggio sulla terra e non solo allo sportello
dell’Inps. Più siesta per tutti e buen
retiro per sempre.
D’altronde, perché mai allarmarsi? Il tasso di impiego degli italiani tra
i 65 e i 69 anni dell’Italia è tra i più
bassi d’Europa: 8,6 per cento, contro il
14,5 della Germania, quindi bisogna
intervenire con urgenza e mandare a
riposo anche gli altri, perbacco. Che
tutto questo si compia sotto il governo
di un quarantenne – Matteo Renzi –
non deve stupire, perché siamo di fronte a un’ondata di egoismo e masochismo che la politica segue, incoraggia,
alimenta, è dettata dalla superiorità
demografica dell’anziano, dalla sua
maggiore capacità di spesa rispetto
agli altri, dal suo aver passato la crisi
meglio degli altri, i reietti, quelle sagome guardate con sospetto, quelli che si
chiamano produttori e non beneficiano
dei miracoli della spesa pubblica.
Così, con un tocco di sfrenata
allegria alla cassa, si va edificando
una società di mantenuti che va oltre
i contributi. È una storia destinata in
futuro a finire malissimo, un putrido
castello di carta previdenziale, perché
i trentenni e quarantenni di oggi prima o poi chiederanno il rimborso del
futuro: nessuno paga la propria rovina
per assicurare il sonno degli altri. Bevete l’Ape oggi, sarà il vostro veleno
di domani.
Il Foglio.it – List