Tribunale di Monza, sentenza del 4.5.2016, n. 1222

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Transcript Tribunale di Monza, sentenza del 4.5.2016, n. 1222

Rivista scientifica di Diritto Processuale Civile
ISSN 2281-8693
Pubblicazione del 27.09.2016
La Nuova Procedura Civile, 5, 2016
Editrice
Comitato scientifico:
Simone ALECCI (Magistrato) - Elisabetta BERTACCHINI (Professore ordinario di diritto commerciale, Preside Facoltà
Giurisprudenza)- Mauro BOVE (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Giuseppe BUFFONE (Magistrato) –
Costanzo Mario CEA (Magistrato, Presidente di sezione) - Paolo CENDON (Professore ordinario di diritto privato) Gianmarco CESARI (Avvocato cassazionista dell’associazione Familiari e Vittime della strada, titolare dello Studio
legale Cesari in Roma) - Caterina CHIARAVALLOTI (Presidente di Tribunale) - Bona CIACCIA (Professore ordinario di
diritto processuale civile) - Leonardo CIRCELLI (Magistrato, assistente di studio alla Corte Costituzionale) - Vittorio
CORASANITI (Magistrato, ufficio studi del C.S.M.) – Mirella DELIA (Magistrato) - Lorenzo DELLI PRISCOLI
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Corte di Cassazione) - Cosimo FERRI (Magistrato, Sottosegretario di Stato alla Giustizia) – Francesco FIMMANO’
(Professore ordinario di diritto commerciale, Preside Facoltà Giurisprudenza) - Eugenio FORGILLO (Presidente di
Tribunale) – Mariacarla GIORGETTI (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Giusi IANNI (Magistrato) Francesco LUPIA (Magistrato) - Giuseppe MARSEGLIA (Magistrato) – Roberto MARTINO (Professore ordinario di
diritto processuale civile, Preside Facoltà Giurisprudenza) – Francesca PROIETTI (Magistrato) – Serafino RUSCICA
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civile) - Stefano SCHIRO’ (Presidente di Corte di Appello) - Bruno SPAGNA MUSSO (Magistrato, assistente di studio
alla Corte Costituzionale) - Paolo SPAZIANI (Magistrato, Vice Capo dell’Ufficio legislativo finanze del Ministro
dell’economia e delle finanze) – Antonella STILO (Consigliere Corte di Appello) - Antonio VALITUTTI (Consigliere della
Suprema Corte di Cassazione) - Alessio ZACCARIA (Professore ordinario di diritto privato, componente laico C.S.M.).
Opposizione a decreto ingiuntivo: no all’assegnazione di termini ex art. 183,
comma VI, c.p.c. se il thema decidendum e il thema probandum non
necessitino di alcuna puntualizzazione o articolazione
Allorquando, da un lato, le contestazioni relative alla fondatezza della domanda
monitoria si risolvano in profili inerenti la sussistenza dei presupposti per l'emissione
del decreto medesimo e l’idoneità della documentazione allegata al ricorso per decreto
ingiuntivo e, dall’altro, la parte opposta abbia già fornito in sede monitoria (o fornisca
in sede di opposizione) documentazione idonea a confutare le avverse contestazioni,
senza che tale documentazione sia oggetto di formale disconoscimento, il thema
decidendum (delimitato dallo stesso tenore dell'opposizione) ed il thema probandum
non necessitino di alcuna puntualizzazione o articolazione, allora, conseguentemente,
risulta l'assegnazione di termini ex art. 183, comma VI, c.p.c. non solo meramente
ultronea, ma direttamente confliggente con il canone costituzionale della ragionevole
durata del processo, alla cui sorveglianza il tribunale deve costantemente
sovraintendere.
Tribunale di Monza, sentenza del 4.5.2016, n. 1222
…omissis…
Senza svolgere attività istruttoria il Giudice, ritenuta la causa matura per la decisione,
rinviava per la discussione ex art. 281-sexies c.p.c. all'odierna udienza, e decide ora
dando lettura della presente sentenza con motivazione contestuale ex art. 281-sexies
c.p.c., la quale costituisce parte integrante del verbale d'udienza.
Sull'opposizione L'opposizione è infondata e va respinta.
Parte attrice ha contestato la domanda monitoria, imperniando le proprie difese sulla
inidoneità delle fatture e dell'estratto autentico notarile a costituire piena prova nel
giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
In effetti, costante giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez. II, 10/10/2011, n.
20802; Cass. civ., Sez. VI, 11/03/2011, n. 5915; Cass. civ., 21/10/2010, n. 21599;
Cass. civ., Sez. III, 03/03/2009, n. 5071) ha stabilito che le fatture commerciali non
accettate, pur essendo prove idonee ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo, non
integrano di per sè la piena prova del credito in esse indicato e non determinano
neppure alcuna inversione dell'onere probatorio nel giudizio di opposizione al decreto
ingiuntivo, come in ogni giudizio di cognizione. Ne consegue che, quando il preteso
debitore muove contestazioni sull'an o sul quantum debeatur, le fatture non valgono a
dimostrare l'esistenza del credito, nè, tanto meno, la sua liquidità ed esigibilità.
Parimenti valore di piena prova non può essere attribuito neppure all'estratto
autentico del libro IVA, in quanto esso svolge “solo una funzione di documentazione ai
fini del debito fiscale”, ma non ha “alcuna rilevanza probatoria nel rapporto di debito e
di credito” oggetto di registrazione (cfr. Cassazione civile sez. II, 3 marzo 1994, n.
2108). 5915; Cass. civ., Sez. III, 03/03/2009, n. 5071; Cass. civ., Sez. II,
11/05/2007, n. 10860; Cass. civ., Sez. II, 08/06/2004, n. 10830).
Tuttavia, va sottolineato che: sin dalla fase monitoria parte convenuta opposta ha
fornito idonea prova della esistenza, liquidità ed esigibilità del proprio credito,
producendo sia le fatture sia i documenti di trasporto che attestano il regolare invio
della merce, consistente in imballaggi, (cfr. documenti contenuti nel fascicolo
monitorio) per la quale è stato chiesto il pagamento. l'opponente non ha disconosciuto
le sottoscrizioni ivi apposte nè promosso procedimento di verificazione della scrittura o
chiesto la produzione degli originali,
si è limitato ad affermare la
“illeggibilità” delle sottoscrizioni; parte opponente non ha espressamente contestato il
ricevimento della merce; Il “mastrino di sottoconto” riferito alla International sasa
prodotto dalla stessa opponente (doc. 10) attesta rapporti commerciali di lunga durata
con numerose consegne ripartite nell'anno, di importi analoghi a quelli delle fatture
azionate in sede monitoria risalenti al 2007; nel mastrino citato sono riportate tutte le
fatture azionate in sede monitoria, con eccezione della n. ddddddper € 15.068,70; la
sussistenza di rapporti commerciali fra le parti con regolari ordinativi, anche nelle date
di riferimento delle fatture, risulta confermato anche dalla missiva prodotta dalla
opponente sub doc. 3, nella quale si legge tra l'altro che in data 2 aprile 2014
International Paper “ha chiesto e preteso la consegna di n. 4 assegni per un importo
complessivo di € 41.028,78 pena la sospensione della consegna degli imballaggi sss
considerata la campagna agrumaria in corso e la nostra impossibilità, per ovvi motivi,
di poterci approvvigionare diversamente; pertanto ci siamo visti costretti ad
adempiere a quanto perentoriamente impostoci anche se in dispregio degli accordi e
condizioni di pagamento usuali che ben si possono evincere in tutte le transazioni
degli anni precedenti”.
Gli assegni citati pacificamente non erano a copertura delle fatture azionate in sede
monitoria (nella quale non sono stati prodotti, tant'è vero che l'ingiunzione è stata
emessa senza formula esecutiva), bensì di altra fattura, n. 3132/2014. Gli assegni
sono stati prodotti al fine di fondare la domanda riconvenzionale, di cui al punto
successivo. Ciò vale a superare le deduzioni svolte dall'opponente in citazione, in
quanto i documenti prodotti dimostrano che la merce per la quale è stato chiesto il
pagamento è stata tutta integralmente consegnata e che non è stato domandato il
pagamento di merce non inviata. Infatti, la contestazione riguarda il mero ricevimento
delle fatture – peraltro inverosimile alla luce della documentazione di cui sopra - e non
della merce, analiticamente elencata nei DDT sottoscritti, e non è stata chiesta la
verificazione delle sottoscrizioni nè proposta querela di falso.
La sussistenza di rapporti commerciali e di un rapporto di fornitura che, almeno
nell'anno di riferimento, era esclusivo risulta dalla documentazione sopra richiamata.
Queste constatazione valgono a superare del tutto l'opposizione, che nulla di concreto,
in realtà ha dedotto, essendosi limitata a muovere contestazioni talmente generiche
da sfiorare la nullità dell'atto di citazione.
Invero, il tribunale deve osservare come l'opposizione si sia esaurita nell'anodina
contestazione del valore probatorio generale delle fatture e della documentazione
allegata al ricorso per decreto ingiuntivo, senza in alcun modo scendere in una
contestazione concreta sui fatti allegati dall'opposta, ed in particolare dell'avvenuta
ordinazione e consegna della merce.
Ciò vale anche a spiegare perchè il tribunale non abbia ritenuto neppure di concedere
il termini ex art. 183, comma VI, c.p.c. pur richiesti.
È – invero – da ritenersi che, allorquando:
- le contestazioni relative alla fondatezza della domanda monitoria si
risolvano (come nel caso di specie) in profili inerenti la sussistenza dei
presupposti per l'emissione del decreto medesimo e la idoneità della
documentazione allegata al ricorso per decreto ingiuntivo; e
- la parte opposta abbia già fornito in sede monitoria, o fornisca in sede di
opposizione documentazione idonea a confutare le avverse contestazioni,
senza che tale documentazione sia oggetto di formale disconoscimento; il
thema decidendum (delimitato dallo stesso tenore dell'opposizione) ed il
thema probandum non necessitino
di alcuna puntualizzazione o
articolazione, risultando, conseguentemente, l'assegnazione di termini ex
art. 183, comma VI, c.p.c. 183, comma VI, c.p.c. non solo meramente
ultronea, ma direttamente confliggente con il canone costituzionale della
ragionevole durata del processo, alla cui sorveglianza il Tribunale deve
costantemente sovraintendere.
È quindi apparso opportuno procedere alla discussione immediata della controversia,
la cui prosecuzione avrebbe comportato il solo maturare di costi inutili.
Per ulteriore garanzia del diritto di difesa, anche con riguardo alla domanda
riconvenzionale, è stato concesso termine alle parti per il deposito di note conclusive
ed eventuale ulteriore documentazione, prima dell'udienza di discussione.
L'opposizione deve quindi essere respinta ed il decreto opposto deve essere
conseguentemente confermato.
Sulla domanda riconvenzionale.
Non dissimili le considerazioni in ordine alla deduzione inerente la domanda
riconvenzionale.
Parte opponente, riconosciuta l'assenza di provvista per i due assegni consegnati alla
opposta a copertura di fattura estranea al presente giudizio ed anzi prodotto la
documentazione bancaria di addebito per assegno impagato (docc. 6 e 7) ha
affermato di avere versato “la necessaria provvista a coprire gli importi dovuti,
soddisfacendo integralmente la pretesa creditoria dell'opposta” ma non ha prodotto
prova documentale del completo pagamento, del capitale e delle sanzioni, nemmeno
nel termine concesso successivo alla prima udienza, per cui non ha dato prova
dell'antigiuridicità del diniego da parte dell'opposta a rilasciare quietanza liberatoria.
La richiesta di consegna di assegni a garanzia di future consegne è pienamente lecita
e, alla luce della complessiva situazione debitoria come risultante dagli atti di causa,
comprensibile.
Come lecito è il loro incasso, essendo stati emessi a fronte di fatture.
Non vi è alcuna prova dell'avvenuto adempimento integrale di quanto dovuto in
relazione alla scopertura degli assegni, per cui non vi è prova della antigiuridicità della
mancata emissione di quietanza liberatoria.
Parte opponente ha invece prodotto l'eloquente missiva del Credito Siciliano in data 19
settembre 2014, invocata quale titolo per la domanda risarcitoria, avente ad oggetto il
conto corrente intestato alla medesima presentante un “Fido accordato Euro 0
Utilizzato € 418.400,96”.
Testualmente: “vi notifichiamo l'avvenuta escussione del pegno concesso a garanzia
della posizione in oggetto, per un controvalore di complessivi € 201.139,10. In
conseguenza di quanto precede, il conto corrente presenta, ad oggi, un saldo debitore
di € 418.400,96 … Vi invitiamo a ripianare la posizione entro 10 gior…” Data l'entità
dei debiti, in rapporto all'entità del credito portato dai due assegni in questione (€
12.420,57 ciascuno) non vi è prova del rapporto di causalità fra la scopertura degli
assegni e la riscossione del pegno e la cessazione della linea di credito.
In conclusione, parte opposta non può ritenersi responsabile del dissesto di parte
opponente, per avere chiesto e preteso il pagamento di assegni di valore pari a circa
un decimo dell'esposizione debitoria complessiva.
Devono quindi venire rigettate anche le domande riconvenzionali dell'opponente,
rimaste anch'esse del tutto sfornite di conferma probatoria.
Sulla domanda ex art. 96 c.p.c.
Ai sensi del novellato articolo 96 comma 3 c.p.c., “in ogni caso, quando pronuncia
sulle spese ai sensi dell'articolo 91, il giudice, anche d'ufficio, può altresì condannare
la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma
equitativamente determinata”.
Per espressa scelta normativa, la pronuncia può essere effettuata d'ufficio e non ha
limite nella determinazione dell'importo della condanna, come invece era previsto
nell'art. 385 c.p.c. ora abrogato.
Appare preferibile l'orientamento secondo cui la pronuncia non abbisogna della
preventiva instaurazione del contraddittorio ex art. 101 c.p.c., essendo un posterius e
non un prius logico della decisione di merito (in questi termini cfr. anche Trib.
Piacenza 15/11/2011 n. 855/2011 e ord. 22/11/2010; per la giurisprudenza di questo
Tribunale, cfr. Trib. Reggio Emilia nn. 729/2012 e 712/2012).
Tre sono le principali questioni sulle quali non si è formata un'univoca posizione
interpretativa, e sono quelle relative alla natura della norma, al suo ambito di
applicazione ed all'entità della condanna. In particolare, è discusso se, per procedere
alla condanna ai sensi del terzo comma, sia o meno richiesta l'esistenza di un danno di
controparte; se siano o meno richiesti i requisiti della lite temeraria di male fede e
colpa grave, previsti dal primo comma dello stesso articolo 96; ed infine quali siano i
parametri che devono guidare la discrezionalità del giudice nel quantificare l'importo
della condanna.
Ciò posto, con riferimento alla prima tematica della natura della norma, questo
Giudice aderisce all'orientamento
largamente condiviso nella giurisprudenza di
merito, secondo cui l'articolo 96 comma 3 c.p.c. introduce nell'ordinamento una forma
di danno punitivo per scoraggiare l'abuso del processo e preservare la funzionalità del
sistema Giustizia deflazionando il contenzioso ingiustificato (cfr. Trib. Reggio Emilia
nn. 729/2012 e 712/2012; Trib. Varese 23/2/2012; Trib. Piacenza 15/11/2011 n.
855/2011, 7/12/2010, ord. 22/11/2010; Trib. Milano ord. 29/8/2009. In questi esatti
termini, sia pure come obiter dictum, anche Cass. n. 17902/2010, e, per la
giurisprudenza amministrativa, Cons. Stato n. 1209/2012).
Risulta conseguentemente esclusa la necessità di un danno di controparte.
Con riferimento invece alla tematica dell'elemento soggettivo richiesto in capo al
destinatario della condanna, pare a questo Giudice che possa essere seguita la tesi più
garantista, che postula comunque la presenza del requisito della malafede o della
colpa grave, non già della sola colpa lieve od addirittura della mera soccombenza (così
Trib. Piacenza 15/11/2011 n. 855/2011, 7/12/2010, ord. 22/11/2010; Trib. S Maria
Capua a Vetere 26/9/2011; Trib. Reggio Emilia nn. 729/2012 e 712/2012).
Sotto il profilo strettamente letterale, va osservato che la norma è stata introdotta
come comma 3 del già esistente art. 96 c.p.c., dettato proprio in tema di lite
temeraria in quanto connotata dall'avere agito con malafede o colpa grave; e tale
inserimento nel medesimo articolo rende ragionevole ritenere che il requisito
soggettivo del primo comma debba reggere anche la fattispecie del terzo comma.
Da un punto di vista logico-sistematico, poi, la natura sanzionatoria della norma non
può che presupporre, a pena di irrazionalità del sistema, un profilo di censura nel
comportamento del destinatario della condanna, ciò che appunto deriva dal suo
elemento soggettivo di dolo o colpa grave.
La terza ed ultima problematica riguarda invece l'entità della sanzione monetaria,
atteso che, come detto, la norma non prevede limiti edittali.
Probabilmente, la soluzione più ragionevole ed utile ad orientare la discrezionalità del
giudice è quella che utilizza il parametro delle spese di lite.
Quanto al parametro che deve guidare la concreta scelta dell'ammontare, se si
aderisce alla tesi, qui condivisa, della natura sanzionatoria della pronuncia, esso deve
essere quello della gravità dell'abuso processuale. Infatti, gli altri parametri possibili quali ad esempio il valore della controversia, la natura della prestazione e l'entità del
danno, richiamati anche dall'art. 614-bis c.p.c. in tema di astreintes – paiono volti più
alla quantificazione del danno che alla quantificazione di una sanzione (Cfr. sentenza
Tribunale Reggio Emilia, 25/9/2012, est. dott. Gddd dalla cui ampia ed articolata
motivazione si sono colti ampli stralci).
Nella fattispecie in esame si ravvisano tutti i presupposti per la pronuncia ex art. 96
comma 3 c.p.c.
In particolare: l'articolo 96 comma 3 c.p.c. è ratione temporis applicabile, posto che la
causa è stata introdotta dopo l'entrata in vigore della L. n. 69/2009; l'opposizione si è
rivelata meramente dilatoria e strumentale, non avendo parte opponente prodotto o
allegato alcunchè, nemmeno nel termine all'uopo concesso, a sostegno della richiesta
di revoca dell'ingiunzione ed avendo anzi depositato documentazione dalla quale si
ricava l'avvenuto ricevimento delle fatture e l'esistenza di frequenti ed esclusivi
ordinativi di merce.
La provvisoria esecutività è stata concessa in prima udienza.
In quanto alla misura della sanzione, applicati i criteri sopra descritti, appare equa la
determinazione nella misura di 1/2 delle spese processuali.
Sulle spese legali Le spese legali seguono la soccombenza e vengono liquidate come in
dispositivo, con misura contenuta in considerazione della assenza di fase istruttoria e
della forma semplificata della fase decisoria.
pqm
Il Tribunale di Monza, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed
eccezione rigettata, così provvede: respinge l'opposizione avverso il decreto ingiuntivo
dddd per l'effetto; conferma e dichiara esecutivo il decreto stesso; respinge le
domande riconvenzionali proposte da ddd nei confronti di ddd condannadddd. al
pagamento in favore di I. della somma di € 3.000,00 ex art. 96 c.p.c.; condanna A.
dddpagamento in favore di I. delle spese processuali che liquida in € 6.000,00 per
compensi, oltre spese generali al 15%, I.V.A. (ove non recuperabile in virtù del
regime fiscale di cui gode la parte) e C.P.A. Sentenza per legge esecutiva. Sentenza
resa ex art. 281-sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura alle parti presenti e
deposito telematico immediato.
N.D.R.: per approfondimenti di veda anche Cassazione civile, sezione terza, sentenza del
11.03.2016, n. 4767, con nota di ALECCI e LUDOVICI.