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29 settembre 2016 delle ore 23:03
L'intervista/ Andrea Casiraghi
BENVENUTI NELLA NUOVA “THE OTHERS”
Incontro con il direttore della fiera torinese, tra novità e conferme
"The Others Art Fair” trasloca dalle Carceri Le
Nuove all'Ex Ospedale Regina Maria Adelaide;
via da Porta Susa, per il Lungo Dora a pochi
passi da piazza Castello. "The Others” cambia
premi, cambia board curatoriale, e mira ad
espandersi oltre Torino. Ne abbiamo parlato con
il neo direttore, Andrea Casiraghi, in attesa
dell'appuntamento con l'art week. In una città
forse al punto di saturazione. Gli spazi del
carcere Le Nuove, ammetto, non mi avevano
mai convinto fino in fondo. Troppo angusti per
la mole di pubblico e partecipanti, già dalla
prima edizione. Quest'anno si cambia posto e si
va in un ex Ospedale. Un altro centro
"contenitivo”, anche se in maniera differente.
Vorrei che mi raccontassi un po' questi due
scenari: da un lato avete sentito la necessità di
cambiare spazio, e probabilmente ne cercherete
uno nuovo anche per il 2017; perché? Dall'altro
la fiera è sempre intitolata agli "altri”, ai
"diversi” - che stanno in qualche modo ai
margini – eppure la manifestazione è ben
cresciuta, e tanto ai margini non è più... «
L’esigenza di trovare spazi "altri” in città si era
già manifestata negli ultimi due anni di "The
Others” per una serie di motivi e i principali
erano, come hai rilevato tu, l’esiguità di
movimento per il pubblico e per gli espositori
e la conseguente difficoltà sia per chi promuove
che per chi ammira l’arte. Non secondario
l’aspetto della sicurezza attiva e passiva del
pubblico e di tutti coloro che lavoravano alle
Nuove; e poi è nella natura del nostro progetto
quella di essere nomade e riscoprire spazi
centrali e periferici da restituire alla città.
Questo percorso è iniziato lo scorso anno con
l’apertura dell’ex Borsa Valori che probabilmente
anche quest’anno ospiterà la seconda edizione
di "Exhibit”. La nostra piattaforma progettuale
vuole dare e darà sempre più voce agli "altri”,
ma non nel senso dell’emarginazione sociale ben altri sforzi occorrono per questo tema - ma
nel senso di offrire un’opportunità di emersione
alla creatività originale, sperimentale, "altra”
per non percorrere le stare tradizionali del
mercato. Questo ha permesso a "The Others”
di crescere di anno in anno e non ci siamo mai
sentiti marginali anzi riteniamo che il progetto
oggi sia uno dei motori principale della
settimana dell’arte torinese; e non solo».
The Others apre quest'anno con un nuovo
comitato curatoriale, e una nuova direzione.
Dove sta andando la fiera? «Una scelta che
riteniamo di grande coerenza è stata quella di
chiedere a un gruppo di tre giovani curatori –
Bruno Barsanti, Ludovica Capobianco e Greta
Scarpa -, tutti senza l’esperienza di una fiera,
con un approccio molto aperto e attento alla
sperimentazione, senza preconcetti, di comporre
il contenuto di "The Others”; giovani che
costruiscono un percorso di giovani con un
occhio all’anagrafe ed uno alla qualità, con la
serenità di chi sa intercettare messaggi e
linguaggi coetanei». Hai mai pensato di
esportarla? Dove potrebbe collocarsi, in uno
scenario europeo? «"The Others” è sempre più
un format e quest’anno il pubblico lo apprezzerà
ancor più che in passato e, certo, stiamo
pensando a esportarlo fuori da Torino e
dall’Italia. Molto dipenderà dalla risposta del
sistema dell’arte torinese, se riuscirà a
rinsaldare le sfaldature di questi ultimi mesi e
forse più, se la nuova politica si dimostrerà
meno miope e più strategicamente attenta della
precedente; mentre il nostro sistema si sfrangia,
altre città si cimentano intorno a progetti
condivisi». State incontrando qualche resistenza
da parte dei galleristi? Intendo: qualcuno ha
storto il naso per questo trasloco? «Il nostro
nemico è il poco tempo che abbiamo avuto a
disposizione per organizzare il trasloco, le
lungaggini burocratiche per avere i documenti
a posto, qualche frangia del sistema che ha
cercato di intasare il motore ma il progetto da
una sua validità conosciuta e riconosciuta».
sono commensurabili. Esistono diversi sistemi,
diversi per dimensioni geografiche, politiche,
sociali e quindi dovremmo precisare quale
sistema; quello nazionale e debolissimo, fatto
di sottosistemi conflittuali tra loro e quelli
locali, Torino in primis proprio perché percepito
come il più prestigioso, si sta sfaldando e corre
seriamente il rischio di implodere. E non è solo
un fatto di scarsità di risorse a provocare lo
sfaldamento, ma gli eccessi di personalismi e
la mancanza di idee».
Matteo Bergamini
Che garanzie vi sentite di dare ancora? «Il
nostro è un progetto del quale i quattro giorni
di fiera sono solo un aspetto; importante per
qualità e quantità di contatti e per forza
comunicativa ma parte di un tutto più
complesso e più duraturo nel tempo. La fiera
può andare bene per tutti o per alcuni ma tutti
avranno le medesime opportunità di contatti e
relazioni. Questa è la garanzia che conta».
Come può contribuire una manifestazione
come "The Others” al mercato della giovane
arte in Italia? Che cambiamenti hai riscontrato
in questi anni? «Il nostro contributo o di
qualunque altra iniziativa in questo settore
dipende dalle dinamiche del settore stesso nel
suo complesso. Non basta una manifestazione,
un progetto, pur quanto virtuoso, se isolato, per
incidere nel mercato dell’arte in Italia e ancor
più se ci si riferisce al mercato dei giovani,
volatile per definizione, senza riferimenti e
storicità». Quali idee per il futuro del "
sistema”? «Sistema e futuro sono due termini
che non sempre vanno a braccetto e non sempre
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